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Autore: The Darkness Inside Me    03/08/2015    4 recensioni
SCRITTA A QUATTRO MANI CON "THE WRITER OF THE STARS."
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L'isola di Hidaki ha pochi chilometri quadri, un solo albergo e pochi turisti d'eccezione ogni anno. La perfezione, insomma. Ma anche il luogo più puro e limpido può nascondere tra se ombre e chiaroscuri macabri, passati poco limpidi e fantasmi del destino che tornano a bussare alle nostre porte.
In un locus amoenus degno della più grande opera omerica, un caso complesso, assurdo, controverso e inquietante prende vita tra i sussurri delle antiche leggende della misteriosa mitologia greca.
L'alleanza più inaspettata e potente che il mondo aspettava si stringe attorno a un antico altare sacrificale la cui vittima immolata sarà designata per il banchetto degli dei.
E a volte, contro di essi, persino i detective possono fare poco.
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Cross over! Death Note/Detective Conan
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Kazuha Toyama, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Si guardavano tutti intorno, rapiti dalla bellezza della hall dell’albergo:dai grandi finestroni ai lati della stanza entrava la luce crepuscolare del tramonto,che si rifletteva
sull’enorme lampadario di cristallo sopra di loro, inondando i presenti di accecanti bagliori colorati.

“Ma è magnifico …”sospirò con un filo di voce Kazuha,ancora aggrappata al suo braccio. Heiji la strinse con fare protettivo temendo che potesse sentirsi male di nuovo. Girò nervosamente la testa da una parte all’altra,cercando Shinichi,Ran e Goro;avevano detto che sarebbero venuti anche loro all’isola di Hidaki,ma non li aveva ancora visti.

Non erano in molti,altri cinque o sei al massimo. Non riconobbe nessuno,solo il ragazzo dall’aria trasandata di prima e il vecchio che lo accompagnava. Non poco lontano da lui,due ragazzi della sua età parlavano fitto fitto tra di loro,una signora dall’aria altezzosa si sventolava spazientita un ventaglio davanti alla faccia e un uomo anziano seduto su una poltrona fissava un punto imprecisato dinanzi a sé, stringendo tra le mani rugose un vecchio bastone di legno. Un leggero chiacchiericcio riempiva la sfarzosa sala d’albergo.

“Wooooow! Ran nee- chan, hai visto che bello?” le teste di tutti si voltarono di scatto verso l’ingresso dell’albergo dove avevano udito provenire la vocina infantile. Heiji e Kazuha si voltarono in contemporanea, sorridendo dinanzi ai nuovi arrivati.

“Ran!” esclamò Kazuha entusiasta, divincolandosi dalla stretta di Heiji e correndo verso la ragazza.

“Kazuha! Quanto tempo, come stai?” chiese affettuosa, abbracciando l’amica. Kazuha ripensò ai fatti avvenuti pochi attimi prima, al mal di mare e al momento in cui si era svegliata tra le braccia di Heiji dopo essere evidentemente svenuta.

“Diciamo che potrei stare meglio … comunque, che mi racconti?” Ran e Kazuha presero a chiacchierare animatamente tra di loro estraniandosi dal resto dei presenti.

“Allora Shinichi, che mi dici?” sussurrò Heiji al bambino con gli occhiali, abbassandosi alla sua altezza. Conan alzò le spalle incurante.

“Mah, niente di che. Sai, sono curioso di sapere per quale motivo siamo stati chiamati qui …” osservò sospettoso, guardandosi attorno con circospezione.

“Già, vorrei tanto saperlo anche io …” convenne Heiji.

“Gentili signori, permettete che vi dia il benvenuto nella meravigliosa isola di Hidaki!” tutti si voltarono nuovamente, stavolta in direzione opposta rispetto all’ingresso, attirati da una potente voce maschile. Al centro della grande hall sostava infatti un uomo sulla cinquantina, dai capelli scuri e gli occhi luccicanti di una strana perversione. Indossava un elegante completo scuro, evidentemente doveva essere il responsabile dell’albergo.

“Benvenuti all’ hotel “Il labirinto di Dedalo!” Io sono Himura Kasagi, proprietario e gestore di questa, permettetemi di dire, magnifica reggia, l’unica in tutta l’isola, che vi ospiterà durante il vostro soggiorno qui!” esclamò trionfante, le braccia spalancate come un abile oratore greco e un sorriso mellifluo ad imbellettargli il volto. Tutti i presenti lo osservarono curiosi, annuendo fra di loro.

“E così sarebbe questo il tipo che ci ha chiamato qui …” osservò Heiji in un sussurro che solo Conan riuscì ad udire.

“Già, a quanto pare …” rispose il bambino, scrutando pensieroso il tipo che li aveva accolti. C’era qualcosa nel suo sorriso, nei suoi occhi e nei suoi gesti che lo inquietava, indubbiamente.

“Prego, seguitemi, vi mostro la sala da pranzo! Sarete di certo affamati.” Riprese l’uomo, prima di voltarsi e prendere a camminare, facendo cenno ai presenti di seguirlo.
 
                                                 

L  alzò gli occhi al cielo scuro, sospirando pesantemente. Quella notte le stelle sembravano emanare una luce diversa, più intensa e magica. O forse erano stronzate. Forse il fatto era che non si era mai trovato in quella zona geografica sino ad allora e magari lì le stelle erano di più, in quella zona del Giappone vi era una maggiore concentrazione di corpi celesti. O magari si trovava in un’isola il cui unico edificio era un albergo frequentato esclusivamente pochi mesi all’anno e non essendoci le luci della città, le stelle erano più visibili. Sì, doveva essere quello il punto. Con un respiro pesante guardò il bosco che si estendeva fitto fitto davanti a sé, valutando l’idea di andare a fare una passeggiata tra gli infiniti arbusti. Quella sera avevano cenato nella grande sala da pranzo dell’albergo, ognuno nel proprio tavolo, lui solo con
Watari. Era stata una cena ottima in verità. Il cibo era fresco, cucinato alla perfezione e di ottima qualità, per non parlare poi della torta alla crema di cui aveva ingurgitato sei fette.

 Forse aveva esagerato. Ecco perché adesso, alle 3,00 della notte, era dovuto uscire dal grande edificio, tormentato dall’insonnia e dal gran caldo che regnava sull’isola. Chiuse per un attimo gli occhi, eppure il sonno non giungeva. Finalmente, dopo numerosi attimi di indecisione, il detective prese a camminare a passi lenti verso l’ingresso del bosco, illuminato debolmente dal riflesso della luna, quella notte magicamente piena. L avanzò per una decina di minuti, muovendosi senza fretta tra gli alberi tutti uguali. Era buio, eppure le stelle bastavano ad illuminare il cammino dinanzi a lui.

Ad un tratto si bloccò di scatto, paralizzato. Il suo udito sopraffino aveva udito qualcosa agitarsi nell’aria. Sprazzi di una melodia dolce, sembrava uno strumento a corde quello che risuonava flebilmente per il bosco sino a giungere alle sue orecchie. Era musica. Non sapeva cosa esattamente fosse a produrla o da dove arrivasse, ma di quello era certo; si trattava di musica. Lentamente riprese a camminare, seguendo la melodia che mano a mano si faceva più chiara e distinta, come catturato da essa.  Quando capì di essere ormai giunto alla provenienza della dolcezza di quelle note si bloccò di scatto. Dinanzi a lui si estendeva una piccola radura, circondata da tutti i lati dagli alberi che infittivano il bosco. Al centro di essa si trovava la strana rovina di quello che probabilmente in antichità era stato un altare di sacrificio agli Dei, la cui struttura in roccia e marmo era rimasta sorprendentemente intatta nonostante gli anni. Ma non era stato quello a colpirlo; non era solo. Al centro di quell’altare, ritta in piedi, vi era qualcuno. Era una giovane donna, probabilmente di poco più di vent’anni. Il corpo era esile, delicato come porcellana e illuminato solo dall’abbagliante luce azzurrognola della luna che svettava imponente sopra di lei, nel manto scuro in cui le stelle erano rimaste intrappolate per sempre. La figura dolce della giovane era avvolta da un lungo abito del colore della purezza, macchiato di sprazzi d’oro, e ripreso sulla vita e sulle spalle, degno solo di una dea greca o di una creatura mistica quale appariva. Ma fu un altro particolare a catturare la sua attenzione; come una cascata di inverno, lungi capelli color del fuoco vivo ricadevano sulla schiena della giovane, muovendosi indipendenti in onde come di mare. La dea, perché per lui altro non poteva essere, danzava libera sulle note di quella musica, proveniente chissà dove, che ricordava a tratti il flamenco spagnolo e sempre maggiormente le danze della terra dalle verdi colline, l’Irlanda che portava il rosso dei suoi capelli vivi.

 L era rimasto immobile. Svelto si era nascosto dietro ad un albero, restando incantato a fissare la figura onirica che si palesava dinanzi ai suoi occhi. Non si era mai sentito così; alla visione di quella creatura, qualcosa era scattato dentro di lui, un calore strano aveva invaso il suo petto di ghiaccio e il suo cuore, che batteva regolarmente 80 battiti al minuto, aveva preso a correre nel suo petto e a colpire la sua cassa toracica con una potenza inaudita, che L aveva temuto volesse scappare via dal proprio corpo. Non mosse un muscolo, paralizzato, temendo che se solo avesse calpestato una foglia avrebbe spezzato quel delirante sogno , perché ne era certo, quello era un sogno,che l’insonnia aveva palesato dinanzi alle sue iridi buie come il cielo sopra la propria testa. Era solo una visione, un incanto dettato dalla stanchezza e che aveva palesato dinanzi a sé la creatura onirica che stava fracassando il suo cuore. La ragazza intanto non smetteva di danzare, di muoversi leggiadra ma al tempo stesso passionale sulle note di quel brano così bello ed indicato per quel momento. La luna, sicuramente, era stata lei a conferire ancora più magia a quel momento colmo di misticismo e incanto che aveva avvolto il bosco solitario. La ragazza non si era accorta di nulla, seguitava a danzare come se da quella danza dipendesse la propria vita. Ma ad un tratto l’incantesimo si spezzò; un’inaspettata quanto piacevole raffica di vento si schiantò sul volto di L, costringendolo a serrare gli occhi per il fastidio. Li riaprì pochi secondi dopo, ma nulla era più come prima; non vi era più alcuna musica d’Irlanda a fare da colonna sonora al suo sogno e l’altare che aveva visto palcoscenico di quella magia di luna era vuoto. La ragazza era scomparsa.

L sospirò tra sé, passandosi una mano sul volto stanco e marcato dalle occhiaie, tornando il ragazzo dall’aria fredda e impassibile di sempre. Era stato solo un sogno, ne era certo. Uno strano, ma meraviglioso sogno.
 


“Watari, vado un attimo in bagno. Torno subito.” L’anziano annuì senza alzare minimamente gli occhi dalla tazza del suo caffè. L si alzò dal tavolo dove stavano consumando la colazione, lanciando un’occhiata agli altri presenti, ognuno impegnato a consumare il proprio pasto nei loro tavoli riccamente apparecchiati in quella calda mattina di luglio. L si allontanò dalla sala da pranzo, sentendo mano a mano il chiacchiericcio della sala svanire dietro di sé. I bagni erano dall’altra parte della hall, ma abbastanza distanti perché potessero concedere lui un po’ di silenzio. Stava camminando per la sfarzosa hall, ripensando per la milionesima volta allo strano “sogno” che lo aveva colpito la sera precedente e scoprendo, suo malgrado, di non essere in grado di dimenticare quella ragazza dai capelli rossi che lo aveva stregato.

“Ma che diavolo …” imprecò all’improvviso.

 D’un tratto infatti, avvertì qualcosa venirgli addosso, come un peso sulle spalle. Sorpreso si voltò di scatto, cercando colui o colei che gli era involontariamente finito addosso. I suoi occhi bui si spalancarono di scatto, scontrandosi con due iridi verdi come le colline di quell’Irlanda che era tornata alla mente ieri sera. Un volto candido e spruzzato di lentiggini sulle gote sostava dinanzi a lui curioso mentre una cascata di capelli color del fuoco ricadevano indomabili sulle spalle della giovane davanti a lui.

“O mio Dio, scusami, ti sono venuta addosso! Perdonami, non l’ho fatto apposta …” si scusò subito la ragazza, arrossendo visibilmente. L rimase immobile dinanzi a lei. Non era possibile, quella lì non era davvero  …

“Ehm ehm …” tossicchiò la giovane, cercando di attirare la sua attenzione. L continuò a fissarla inebetito con gli occhi sbarrati, rendendosi conto che sì, quella ragazza era lei. Allora non era stato un sogno …

“Comunque, piacere, io mi chiamo Shannon!”
 

Angolo autrici:
Ragashi,siamo tornate!O meglio,Letizia è tornata! Tanti bacini londinesi, guys! Nd Leti. Coooomunque, mentre Leti progettava una nuova ff sulla Heizuha stile Nozze Rosse (fan di GoT capitemi pls), oggi ci siamo comunque messe d’impegno per scrivere il nuovo capitolo della storia, and so here we are! Che dite, vi piace Shannon? Ora sappiamo l’origine delle occhiaie di L, capito il birbantello? *if you know what I mean* Nd Leti. “Che diavolo dici?!” Nd Marti. “Ehehe …” *faccia pervy. * Bene, ci siamo!
Fateci sapere che ne pensate eh, siamo curiose! Domanda del capitolo: secondo voi,qual è l’origine delle occhiaie di L? A voi l’ardua sentenza.

A presto!

Un abbraccio, Adam.

No aspettate.

Marti e Leti

Ora va meglio.
 
Se volete farvi un'idea della musica che ha accompagnato la danza di Shannon:  https://www.youtube.com/watch?v=FMwRhSyJhDQ 


 
   
 
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