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Autore: Elsa Maria    03/08/2015    3 recensioni
Nella città di Tokyo si è diffusa una strana disperazione … Si celano nella folla, cacciano gli umani per cibarsi delle loro carni: gli uomini li chiamano ghoul.
L’intrecciarsi del destino di due esseri di differente razza farà nascere una relazione dalle macabre sfaccettature.
“L'uomo è il mostro più orrido sulla faccia della Terra.”
“Dio non esiste, se esistesse, allora l’omicidio non avrebbe motivo di esserci.”
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Tokyo Ghoul!AU (non è un crossover, è stata ripresa solo l'ambientazione e non è necessario conoscere la storia originale ai fini della storia)
Coppia principale: MidoTaka
Coppie accennate/relazioni particolari: AkaMidoTaka, AoKuro, KuroMomo, NijiAka, kasaKise, OtsuMiya, MomoRiko
Buona lettura!
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Seijuro Akashi, Shintarou Midorima, Takao Kazunari, Tetsuya Kuroko
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Meraviglia

 
Noi umani siamo abituati a vivere nel terrore. Solo sotto minaccia siamo in grado di lasciarci comandare, istruire, siamo persino disposti ad annullare noi stessi pur di avere delle certezze per superare qualunque ostacol; siamo disposti a mentire pur di vivere al sicuro in una verità falsa. 
L'uomo è il mostro più orrido sulla faccia della Terra. 
 
“Il giorno 28, lungo la via del Takada building, è stata ritrovata parte del cadavere di un uomo. Sul luogo è rimasta traccia di liquidi che farebbero pensare ai ghoul. Il comando investigativo ha avviato delle indagini nell’area, ritenendo possa trattarsi di un atto predatorio da parte di un ghoul...”
Sempre la stessa storia, sui telegiornali non si sentivano che quelle notizie simili fra loro, cambiava solo il numero delle vittime e la metodologia d'assassinio, tutti accomunati dallo smembramento.  
“Non ne posso più, ma cosa fanno gli ispettori? Dormono sugli allori? Non fanno che morire persone su persone, ‘sai’ neanche una settimana fa è toccato lo stesso destino ad un'infermiera del nostro reparto.”
“Davvero? È terribile, io non esco se non per lavoro. Tu non hai una figlia?” 
“Doverla costringere a stare in casa è un’ingiustizia, ma non posso altro, è veramente un problema... Se potessi li ucciderei tutti, che motivo hanno di esistere?” 
Sempre lo stesso odio. Se fosse stato un ghoul a parlare avrebbe imprecato alla stessa maniera contro gli umani, con la differenza sostanziale di poter attuare l’omicidio.
Infilzò delle foglie di insalata. 
“Midorima-san, lei cosa ne pensa?” Lo interpellò uno dei due, facendogli lasciare il boccone a mezz’aria. Il dottore sospirò alzando di poco lo sguardo per guardare il suo interlocutore da sopra gli occhiali. 
“Che non vorrei trovarmene uno di fronte, tutto qui.” Declassò la conversazione che lo interessava poco, tornando a mangiare. Cosa serviva parlarne, se tanto non cambiava nulla? 
Sovrappose il coperchio dell’insalata preconfezionata al contenitore vuoto, per poi allontanarsi velocemente dagli altri, fuggendo da qualunque altra domanda. Non era di per sé una persona granché socievole, se poi gli altri iniziavano a parlargli dei ghoul allora non aveva più alcun motivo per restare. Probabilmente su 13 milioni d’abitanti neanche il 20% era obiettivo su quella situazione problematica che coinvolgeva la maggior parte di Tokyo. Quanti erano i ghoul? Quanti gli umani? Quanti davano la colpa all'altra razza?, quanti invece riconoscevano la propria condizione? Il problema risiedeva in questo: nessuno riusciva ad andare oltre e pensare a come ci si potesse sentire ad essere un ghoul. Per secoli erano state combattute battaglie sul razzismo, ma in realtà non avevano portato a nulla. Pensare a questa condizione umana lo avviliva, ma allo stesso tempo lo spingeva a proseguire i suoi studi sull'uomo, a salvarlo e ad aiutarlo. La curiosità era ciò che l'aveva fatto diventare medico e, come un fuoco inestinguibile, lo spronava alla ricerca; ricerca che si era spinta troppo oltre creando un desiderio inappagato a causa del giudizio altrui.
Il suo obiettivo era quello di studiare i ghoul, ma non come un ricercatore che torturava per scoprire i segreti di quei corpi così uguali e così differenti da quelli umani. Per un motivo di contegno e compostezza preferiva evitare totalmente quell'argomento, per questo scappava prima di ricevere domande inopportune –anche se era abituato ad evitare in generale qualunque tipo di rapporto, indipendentemente da quale fosse il soggetto delle discussioni. 
“Dottor Midorima, il paziente nella stanza 113 mi ha mandato a chiamarla, non specificandomi il motivo dell'urgenza.” Spiegò una giovane infermiera, un po' svampita a giudicare da quell'aspetto semplice, tipico delle ragazzine acqua e sapone, dallo sguardo brillante come se avesse visto qualcosa che l’affascinava.
 
“Sei alto, con quei capelli strani,  persino i tuoi occhi... È ovvio che le donne ti guardino! Poi il camice ti dona.” Questo gli aveva spiegato una volta un collega, parole a cui non aveva dato peso. 
 
“D'accordo, vado subito.” E come suo solito tirò gli occhiali sulla radice del naso, provocando imbarazzo nella tirocinante che si affrettò ad abbassare il volto, arrossito. 
 
“E quando ti sistemi gli occhiali. Bam! Conquistate!” Aveva aggiunto, in conclusione del discorso, ricordando il fastidio per quella onomatopea totalmente fuori contesto. 
 
La sorpassò con un passo deciso, ma non affrettato. Quando chiedeva di lui il paziente della 113 voleva per lo più chiacchierare, era un vecchietto interessante che non gli rubava mai troppo tempo, raccontandogli ogni giorno una storia diversa riguardo i ghoul, essendo un ex-ispettore.
A volte si chiedeva se il suo interesse non fosse per il troppo parlare: tra le notizie giornaliere, i racconti vari, le critiche e commenti non chiesti, diventava difficile persino pensare ad altro. 
Entrato nella stanza chiuse la porta dietro di sé, sedendosi sulla sedia posta accanto il letto del malato, il quale, appena lo vide, gli sorrise felice, seguendolo con gli occhi celati dalle palpebre, giusto uno spiraglio fra queste gli permetteva di vedere. 
“Signor Takeda.”
“Midorima-san.” Lo chiamò con la voce rauca, ma comunque vivace, vivacità tipica di chi ormai aveva visto tutto e non si stupiva più della vita. 
“Deve finirmi di raccontare la storia.” Gli ricordò, sistemando le pieghe del pantalone dopo aver accavallato le gambe. “Il perché del suo trapianto.”
“Ah, sì… Quel ghoul, ancora ricordo i suoi occhi rossi, ancor più del sangue che gli sporcava la bocca, me li sento ancora addosso. Mi aveva analizzato prima di sorridermi, chiamandomi poi problema, così profondamente divertito dalla situazione, quasi fosse nient’altro che uno scherzo. La bellezza della sua kagune, quell’ala che spezzava l’aria muovendosi come una scarica elettrica, così cupa quanto luminosa, era in totale contrapposizione con lo scenario macabro che lo circondava. Non ho mai notato la bellezza macabra dei ghoul, è stato affascinante.”
“Ha avuto paura?”
“Sono morto dalla paura… Se non fosse stato per chissà quale miracolo ora sarei morto, avrebbe mangiato anche me oltre l’altro, invece sono stato fortunato, null’altro che una ferita per quanto profonda. Pensavo che di ghoul ne avessi visti tanti nella mia carriera, di averne eliminati moltissimi, ma non finiscono mai, spuntano come pulci. Non ho più la forza di un tempo, non avrei potuto nulla contro di lui, così giovane e forte… Proprio questo mi aveva fatto pensare alla mia fine certa, ed invece ha esitato. Mai un ghoul di fronte a me, nelle vesti di ispettore, si era fermato a riflettere prima di attaccarmi, mentre questo, forse impietosito, per un momento ha riflettuto. Mi ha portato a chiedermi se in fondo anche loro fossero umani.” 
Lo erano, lui ne era certo. Pensavano e agivano, male o bene, come gli umani, secondo una morale. 
“In anni di lavoro non mi sono mai chiesto se ucciderli fosse giusto o sbagliato, o meglio ero tanto convinto che fosse giusto che non dovevo pormi nessuna domanda, ma ora mi chiedo se fosse veramente corretto.” 
“Non capisco, però… Lei è stato attaccato da questo ghoul, allora perché?” Sembrava stranamente preso ed era raro accadesse. Quella maschera di compostezza e serietà di fronte quello che perfettamente corrispondeva con il suo pensiero si era scomposta. In quella stanza, parlando con quella persona, sentiva di poter affrontare discorsi che lo stimolavano e portavano fuori il meglio di lui, un meglio che nessuno conosceva. 
“Perché ho riconosciuto in lui un umano, è stata solo una sensazione probabilmente, ma non voglio dimenticarmene mai.” Guardava lontano, fuori la finestra, come se riuscisse a vedere quell’ombra rossa aggirarsi per i vicoli della circospezione. Poi abbassò lo sguardo, verso il dottore che era rimasto con il fiato sospeso. Gli sorrise. “Non sei soddisfatto?”
“È stato un piacere poterla ascoltare.” Si riprese improvvisamente, composto e freddo, ponendo nuovamente fra lui e il paziente quella distanza professionale che doveva esserci per assicurargli un buon lavoro. Si alzò con precisione, facendo un cenno con il capo in segno di saluto. “Per qualunque problema non esiti a chiamarmi.” E detto questo, senza ricevere risposta, tornò fuori, andando a compiere i suoi doveri di medico. 
Il sangue, la kagune e gli occhi di quel ghoul. Ne aveva percepito il sapore, percepito la forza e percepito la paura. Quella sensazione così reale che ancora sentiva sulla pelle gli sembrò un segno di presagio: a breve qualcosa sarebbe cambiato. 
Eppure si trattava pur sempre di una sensazione e a suo parere persino insignificante… Non poteva di certo immaginare quanto questa poi si sarebbe fatta viva.
 
Si poggiò con le spalle alla porta del suo piccolo monolocale, respirando di sollievo: finalmente a casa. Rimise nella tasca della giacca le chiavi, posò a terra la borsa da lavoro e si levò le scarpe che ordinate ripose nella scarpiera, seguirono poi la giacca e la sciarpa, appesi ad un gancio dell’appendiabiti. Respirò a fondo quell’odore di chiuso e pulito, tipico del proprio appartamento, che più di ogni altra cosa lo faceva tranquillizzare. Si stropicciò gli occhi, sistemandosi per bene gli occhiali sul volto, mentre si spostava all'angolo cottura per prepararsi una meritata tisana, come ogni sera. Nel frattempo che l'acqua si scaldava, si era andato a cambiare, indossando abiti più comodi e sportivi, come ogni sera.
La routine giornaliera non si spezzava mai, sempre uguale, azioni precise e ripetute in uno stesso arco di tempo che non variava. Una vita apparentemente noiosa, ma appagante per il medico che con tranquillità e serenità aveva scelto l'infuso. Si sedette sull'unica sedia dell'appartamento, contata solo per lui e non per ospiti. Tamburellò le dita sul tavolo di metallo, godendosi il silenzio che gli permetteva di pensare e continuare a percepire quel fastidioso formicolio lungo la schiena che ancora non lo abbandonava, ma era certo che non ne sarebbe rimasta traccia dopo una bella dormita. Continuò a muovere le dita sul tavolo. Poi si fermò. Improvvisamente uno scatto in avanti, gli occhi strabuzzati e il respiro mancato. Ecco cos'era quella sensazione! Come aveva potuto dimenticare una cosa tanto vitale? 
In pochi secondi fu fuori casa. Aveva spento solo il fuoco, neanche indossando la giacca, senza contare delle orride pantofole che aveva preferito alle scarpe, troppo complicate da mettere, ma un'emergenza era un'emergenza e non poteva proprio aspettare. Camminava veloce continuando ad incolparsi: dimenticare qualcosa di tanto importante non era da lui, ne andava della sua stessa sorte. 
Si infilò nel primo kombini che aveva trovato. Vuoto, con solo il commesso che masticando rumorosamente un chewing gum lo squadrava annoiato. Neanche un saluto. Lo trovò maleducato, ma non se ne interessò: c'erano priorità da portare a termine e la sua era...
“Gelatina verde.” Sospirò sollevato, vedendo l'alimento in barattolo su di una mensola. La sua fortuna era salva, aveva nuovamente il suo lucky item, che sbadatamente aveva dimenticato all'ospedale prima di uscire. Lo strinse fra le mani sentendo come, piacevolmente, il formicolio fosse scomparso; preoccupazioni svanite. Si sbrigò a pagare non volendo passare un secondo di più in quel negozio, il rumore del continuo masticare non aiutava affatto e il desiderio di tornare a casa era tanto intenso che neanche si scomodò a ringraziare.  
Nelle strade silenzio totale, nessun anima viva in giro, e le luci dei lampioni erano tanto basse che illuminavano unicamente il palo. Tenendo stretta la busta iniziò ad incamminarsi verso casa, questa volta con un passo più lento e leggero guardando fisso davanti a sé, intento ad evitarsi una qualunque distrazione.
Ancora silenzio, si sentiva appena il suo passo, neanche il vento o qualche gatto randagio che frugava nell’immondizia: niente, ed era strano. Si fermò un attimo, preoccupato, decidendosi ad osservarsi attorno, in cerca di un elemento che riportasse l’atmosfera da inquietante a serena.
D’ un tratto un rumore molesto, metallico, un colpo secco che lo fece sobbalzare e voltare verso un vicolo alla sua sinistra. Si avvicinò… E un gatto nero, miagolando, uscì alla luce sinuosamente, scappando dopo averlo esaminato con i suoi grandi occhi azzurri. Sbuffò infastidito, spaventarsi per un gatto, doveva essere proprio stanco!
Si voltò per riprendere il suo percorso, ma uno nuovo e strano rumore lo fece desistere. Assottigliò lo sguardo per poter vedere meglio nell’oscurità nella quale si addentrò con pochi passi. Non parlò, cercò solo di vedere e ascoltare fino a quando non distinse delle figure e si pietrificò.
Un cadavere senza vita e il suo divoratore.
Il rumore della carne divorata gli stava lentamente perforando il cervello, diventando più forte ad ogni boccone e lui, che immobile, non riusciva né a distogliere lo sguardo né a scappare, attendeva solo che l’assassino si accorgesse della sua presenza… E quando accadde tornò il silenzio.
Gli occhi intrisi di sangue erano puntati su di lui, intinti in un lago nero, privi di riflessi, pieni di ingordigia. Quello si pulì il sangue dalla bocca con il palmo della mano, senza sentimenti, con quel ghigno. 
Crudele. 
Affamato.
Disumano.
Intrigante come quello sguardo fisso che gli bloccava il respiro nella trachea, ipnotizzandolo con quella splendida ala di fuoco che squarciava lo spazio circostante. 
 
“Oh, un problema.”
 
Stava per morire: privo di paura, pieno di meraviglia. 
 
 
 

Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Ho finalmente deciso di affrontare qualcosa di molto, forse troppo, serio, non solo per il tema che vorrei trattare in un certo modo, ma anche per il fatto che è una long! Purtroppo non posso assicurare una pubblicazione regolare, ad esempio ogni settimana: ma ci sarà un seguito e non tra un anno, questo lo assicuro.
Precisazioni per chi non conoscesse l’opera: i ghoul sono apparentemente degli umani che non posso mangiare altro che carne umana e possono vivere senza questa per almeno un mese. Le kagune sono delle protuberanze (chiamiamole così) che cambiano forma a seconda da dove fuori escono dalla schiena, possono essere, in ordine: spirali intorno ad un braccio, ali, tentacoli oppure code (scusate le parole molto spicciole, ma è la maniera più pratica per farmi capire) e queste sono le ‘armi’ che usano i ghoul contro vittime e altri come loro (discorso un po’ particolare che affronterò, per cui rimando). Il fatto degli occhi è che questi cambiano non appena il ghoul mostra questa sua seconda natura e diventano neri con l’iride rossa (sono particolari soprattutto nella storia originale… Cosa che non voglio specificare dato che sarebbe probabilmente spoiler e non me la sento proprio di farne). Per delle vere e proprie spiegazioni, nel caso non si fosse capito nel mio capitolo, consiglio una ricerca su Wikipedia o semplicemente su Google immagini! Io spero di essere stata nel mio piccolo chiara.

Ulteriori precisazioni: l’inizio del capitolo e parte di trama le ho riprese dal primo volume di Tokyo Ghoul (pubblicato in Italia dalla J-pop) con il puro intento di rendere la contemporaneità e l’unione alla trama, non per altro, idem per il titolo della fan fiction che riporta al titolo dell’opening della serie: Unravel.
La modifica del titolo poi avrà modo di essere spiegata in questa stessa fan fiction.

Chiedo perdono se sono stata tanto lunga e noiosa, ma mi sembrava giusto fare certe precisazioni.
Spero che leggiate e recensiate questa fan fiction che ritengo l’unico vero modo per rimettermi un po’ in questo fandom che ho sempre trovato accogliente (un modo strano trovare un fandom accogliente… probabilmente)

Grazie a tutti per l’attenzione, al prossimo capitolo!
Here we Go!
 

   
 
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