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Autore: build_people    03/08/2015    8 recensioni
«La vita è piena di sorprese, eppure non ne scartiamo nemmeno una.
Siamo impegnati a preoccuparci di quello che ci circonda, dei nostri sentimenti e di quanto non riusciamo a fare una cosa buona in una sola ora. Eppure, in ogni angolo della strada, c'è qualcosa che ti sorprende... se solo riuscissimo ad aprire gli occhi.» [...] Le giornate non sono tutte rose e fiori. Alcune sono candide, altre infernali. Tra i corridoi di un ospedale lo si può sapere benissimo, un chirurgo lo sa benissimo. E quegli sguardi che prima si evitano e poi si cercano non fanno altro che aumentare quella voglia di poter stringere qualcuno tra le tue braccia, baciarlo, graffiarlo per poter sentire il corpo premere sul proprio.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: April Kepner, Jackson Avery
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La vita è piena di sorprese, eppure non ne scartiamo nemmeno una.

Siamo impegnati a preoccuparci di quello che ci circonda, dei nostri sentimenti e di quanto non riusciamo a fare una cosa buona in una sola ora. Eppure, in ogni angolo della strada, c'è qualcosa che ti sorprende... se solo riuscissimo ad aprire gli occhi.

«Tu sei ridicola!»
Le giornate non sono tutte rose e fiori. Alcune sono candide, altre infernali. Tra i corridoi di un ospedale lo si può sapere benissimo, un chirurgo lo sa benissimo. E quegli sguardi che prima si evitano e poi si cercano non fanno altro che aumentare quella voglia di poter stringere qualcuno tra le tue braccia, baciarlo, graffiarlo per poter sentire il corpo premere sul proprio.
April era rimasta incastrata in una morsa salda, una presa micidiale che non le lasciava andare le gambe. Sanguinava, internamente. Tentava in ogni modo di sopprimere quei sentimenti che le pugnalavano il petto, con una forza micidiale da farla soffocare. Non riusciva a venirne fuori, non ne sarebbe mai venuta fuori.
«Tu, il tuo Dio... ti rendi conto che sei ridicola?»
Continuava a ripeterlo, come una filastrocca o un ritornello di una canzone. Perché si divertiva a farle del male? Certo, sicuramente anche April aveva le sue colpe -soprattutto-, ma non avrebbe mai insultato in quel modo la persona a cui teneva di più al mondo: Jackson.
La forza di parlare le era rimasta chiusa tra l'esofago e la trachea, immobile come una statua di marmo che aspettava di essere distrutta per poter porre fine alle proprie sofferenze. Ogni volta sembravano come cane e gatto e quando pensava ai loro momenti di discussione le veniva da sorridere dolcemente. Perché lo amava, con tutta se stessa.
Tutti i loro momenti più belli sembravano dimenticati: le risate al bar, davanti ad una birra, i momenti in cui lei era ubriaca e non connetteva più i neuroni -cosa che per Jackson faceva sempre-, rifugiarsi nello stanzino per fare l'amore, chiudersi in una camera per non farsi vedere... sembrava tutto svanito, come una nuvola che appena distogli un attimo lo sguardo, ecco che sparisce.
April pregava con tutta se stessa di vedere apparire dietro Jackson qualche medico, come Hunt, la Grey, Cristina... ma nessuno sembrò soccorrerla, semplicemente perché erano soli. Lui era il capo dell'intero ospedale, colui che dirigeva ogni singola cosa -o almeno ci provava- e lei era la causa di un macello.
«Jackson...»
E nonostante lei cercasse di parlare, di dire qualcosa, la gola le bloccava l'impulso di dar aria alla bocca, di emettere un piccolo suono. Ma forse il problema non era il suo, ma l'uomo che aveva davanti: così bello, dolce, e allo stesso tempo un bamboccione da prendere a pugni.
Chiuse gli occhi, April, e strinse le labbra in un lieve sorriso amareggiato. Passare l'esame le era stato d'aiuto per aprire gli occhi, per scoprire qualcosa di migliore. E forse era per quello che Jackson le stava sputando tutta quell'acidità che aveva in gola, quella rabbia che non riusciva più a reprimere.
«Vai, esci. Prendi le tue cose, vai nel tuo nuovo ospedale»
Mentre diceva quelle parole, April si rese conto di quanto amasse il suo viso ogni volta che sbarrava gli occhi. Quanto quelle labbra si stringessero come per far capire quanto nervosismo provasse... e sapeva che non poteva più mentire a se stessa, nemmeno a lui. Non poteva mentire sull'amore che giorno dopo giorno le logorava il cuore, le lacerava il cervello di pensieri negativi.
Come sarà la mia vita con lui? Avremmo una famiglia? E se litighiamo? E se non saremo solidi?
L'insicurezza era tutto quello che le restava della sua vita privata. Non avrebbe avuto una famiglia perché troppo strana, non avrebbe avuto un amore perché troppo strana: era chiaro, il problema era unicamente lei. E come poteva fare qualcosa se Jackson era fidanzato e lei anche? Era tutto uno scherzo e per qualche frazione di secondo sperò che fosse immersa in un sogno, un incubo.
«Ti amo»
Non le importava più niente, aveva finito la sua vita da santarellina e senza nessuna felicità. Perché tutto ciò che provava, da sempre, era amore per Jackson. Non poteva continuare a giocare a nascondino con le proprie emozioni, sarebbe stata tutta una farsa e a lei non piacevano le bugie. Voleva chiarezza, sincerità e in quel momento avrebbe potuto averne.
Quelle due parole lo fecero bloccare, la maniglia della porta abbassata per uscire, ma ancora chiusa. Si girò appena verso di lei, come se tutto quello avesse risvegliato il demone nascosto dentro di lui. Le labbra, quelle labbra, si schiusero in una smorfia sorpresa, non riuscendo a credere che davvero April stesse dicendo una cosa simile.
«E sì, ho sbagliato tutto fin dalla prima volta che ci siamo guardati negli occhi» iniziò; sul volto un lieve sorriso triste, malinconico, ricordandosi solamente di quei momenti che aveva amato e avrebbe amato per tutta la sua vita. «e so anche che senza di te non avrebbe nessun senso vivere, perché ti amo, perché ogni singolo giorno penso a quanto io possa essere felice con te, Jackson, alla nostra famiglia, ad avere dei bambini... a litigare sul nostro credo, a litigare per stupidaggini...» non era forte, non lo era mai stata. Quella maschera che continuava a portarsi davanti al viso si stava lentamente spezzando, crepando.
Non riuscì nemmeno a dar freno alla lingua, ormai troppo impegnata a dire quello che da anni non aveva mai avuto il coraggio di fare. Perché April Kepner, si disse, non è una fifona. April Kepner è una donna che ha perso la verginità, rompendo la sua promessa con Dio, ma che in quel momento non gli importò.
Ma se nel cuore le restava ancora un briciolo di speranza, la porta che si chiuse con un rumore forte era la prova che anch'essa si era distrutta.
Era rimasta sola, ancora una volta.
Sola, e con il cuore a pezzi.




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