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Autore: SusanButterfly    04/08/2015    1 recensioni
[Persefone/Ade][AU!In the past]
Prese a camminare lungo i viali alberati, volgendo lo sguardo alle siepi che costeggiavano la strada, attorno cui prolificavano piantine, alcune delle quali erano probabilmente sbocciate quella notte stessa, mentre altre erano ancora racchiuse nei propri boccioli in attesa di schiudersi.
Ade sorrise. Gli piacevano, i fiori.
Forse non si sarebbe potuto intuire tanto facilmente dal suo aspetto; era sempre stato un ragazzo cupo, dall'aria tetra, che fino a due anni prima aveva sempre preferito starsene in disparte a guardare da lontano la vita degli altri scorrere celere e dinamica, mentre i suoi giorni si trascinavano lenti uno dietro l'altro.
[Storia partecipante al "Cross Olympus guys!Contest" indetto da Kirame amvs sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Demetra, Persefone
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore EFP/Forum: SusanButterfly
Fandom/s: Percy Jackson
Titolo: My lily
Rating: Verde
Pairing: Persefone/Ade
AU/What if: AU!In the past
Prompt: Pelle/Fiore
Generi: Introspettivo, Romantico
Avvertimenti: Nessuno
Note: AU, OOC
Tipo storia: One shot
Conteggio parole: 4206 parole
NdA: So che Demetra, nel mito, è decisamente contraria all'unione della figlia con il dio dei morti, ma ho dovuto fare un piccolo cambiamento ai fini della trama.
Partecipante al “Cross Olympus guys!Contest” di Kirame amvs

My lily



Sedeva in giardino strappando distrattamente i petali di una giovane margherita.
La primavera era sbocciata da poco, e con essa il perfetto ordine che regnava nel giardino della grande villa durante il resto dell'anno era stato deliziosamente compromesso dal rigoglio di innumerevoli primule e margherite dalle mille sfumature differenti. Ve n'erano ovunque.
Ade si alzò dalla panchina in ferro finemente intarsiata, poiché gli pareva uno spreco di tempo starsene languidamente a poltrire con quel tripudio di vita intorno.
Prese a camminare lungo i viali alberati, volgendo lo sguardo alle siepi che costeggiavano la strada, attorno cui prolificavano piantine, alcune delle quali erano probabilmente sbocciate quella notte stessa, mentre altre erano ancora racchiuse nei propri boccioli in attesa di schiudersi.
Ade sorrise. Gli piacevano, i fiori.
Forse non si sarebbe potuto intuire tanto facilmente dal suo aspetto; era sempre stato un ragazzo cupo, dall'aria tetra, che fino a due anni prima aveva sempre preferito starsene in disparte a guardare da lontano la vita degli altri scorrere celere e dinamica, mentre i suoi giorni si trascinavano lenti uno dietro l'altro.
Ma quella vita non gli aveva mai procurato incertezze a tal punto da spingerlo a migliorare se stesso. Non era stato il suo modo di vivere a innescare quel cambiamento che aveva preso possesso di lui senza che neppure se ne rendesse conto. La causa era invero un'altra.
Molto probabilmente lei lo avrebbe raggiunto più tardi. Era come una forma di protesta, quel suo presentarsi ogni volta in ritardo, quasi a fargli capire che non le importava nulla di fare una pessima figura con lui.
Dopo quasi due anni di matrimonio era altresì possibile che avesse cambiato opinione, che i mutamenti nel carattere e nella persona di lui avessero soddisfatto le aspettative di lei, e perciò Ade era giunto alla conclusione che la sua sposa persisteva in quella condotta per ragioni di orgogliosa cocciutaggine. Quasi non osava sperare che lei cambiasse effettivamente l'opinione che sosteneva di avere nei suoi confronti.
Era ormai abituato ad affrontarla con cupa rassegnazione: si incontravano nei corridoi dell'immenso palazzo e si scambiavano solo un impercettibile segno del capo, giusto per far intendere che all'uno non era passato inosservato il passaggio dell'altra. Al che Ade proseguiva per la propria strada, diretto in una delle tante stanze che ai suoi occhi apparivano sempre così vuote.
Spesso scuoteva la testa scacciando pensieri inopportuni, ma in fondo sapeva di non poter negare a se stesso che ne soffriva. Faceva male, quell'indifferenza.
E proprio la primavera era il periodo in cui la speranza del giovane uomo si risvegliava; sbocciava nel suo cuore come i fiori nel terreno fertile, e si propagava per tutto il suo corpo procurandogli sensazioni nuove allo stesso modo in cui l'erba selvatica ricopriva con la sua disomogenea cappa verde l'equilibrio delle aiuole accuratamente potate del suo immenso giardino.
Quel pomeriggio Ade camminava con il cuore pieno di speranza, anche se in un buio angolo della sua mente era radicata l'angosciante ma quantomai veritiera prospettiva che sua moglie quelle speranze le avrebbe infrante, molto probabilmente entro poche ore.
Senza quasi rendersene conto, stava dirigendosi verso il laghetto.
Un passo dietro l'altro, era come camminare in un sogno. Non aveva la sensazione di star proseguendo, avvertiva solo il dolce profumo dei fiori riempirgli le narici, e i suoi pensieri volarono inevitabilmente altrove.
Era da così tanto tempo che non ripensava a quel ballo... riviverlo era sempre un dolore, e quindi Ade cercava di non riflettervi. Potrebbe sembrare paradossale che un pensiero del genere lo avesse colto proprio in quel paradiso di armonia e rinascita, ma forse fu proprio quell'eccessiva bellezza a far nascere nel suo cuore la volontà di bilanciare quella realtà così fantastica con i propri pensieri. Crudi, pungenti, amari.
La primavera scomparve, e Ade rivide con gli occhi della memoria la sala da ballo gremita d'invitati.

Signore in ingombranti abiti di satin e taffettà girovagavano ovunque: chi al braccio di distinti gentiluomini con redingote scure ed eleganti cilindri in testa, chi in compagnia di qualche amica.
Il salone era stipato di divanetti in pelle su cui alcune persone si erano già accomodate, e poi tavoli ingombri di caraffe, ciotole di punch e bicchieri in vetro dal lungo stelo. Su di una sorta di palcoscenico improvvisato alcuni musicisti oliavano i propri strumenti in attesa dell'apertura delle danze.
Lui, come al solito, era solo. Tormentava nervosamente i bottoni della giacca, nera come il resto del completo e come la massa disordinata dei suoi capelli che, per quell'occasione, aveva tentato senza successo di domare.
Ade aveva da sempre una specie di sesto senso che lo avvertiva quando stava per avvenire qualcosa d'importante. Quella sera si sentiva nervoso come gli era capitato ben poche volte nei suoi vent'anni di vita. Così, mentre ingannava il tempo congetturando su cosa potesse avvenire durante quella festa cui era stato praticamente costretto a partecipare, arrivarono anche gli invitati più ritardatari.
In quanto figlio unico e orfano di ricchi proprietari terrieri, Ade era stato invitato al ballo dalla signora Demetra, proprietaria di quella bellissima villa, nella speranza che simpatizzasse per una delle figlie che sicuramente aveva e decidesse di unirsi a lei in matrimonio.
Ma il giovane era consapevole che l'interesse che la gente del posto nutriva nei suoi confronti era prettamente dovuta alle ricchezze ereditate in seguito alla tragica morte dei suoi genitori.
Ade non riuscì a sottrarsi alle danze che per pochi minuti.
Non aveva molti assi nella manica per sfuggire all'inevitabile: sorseggiò un bicchiere di punch e tentò d'imbastire una conversazione con un paio di signorotti del posto, anche se quell'interazione non giovò certo al suo umore.
Ben presto gli argomenti finirono e il terzetto piombò in un imbarazzante silenzio, finché uno dei due giovani non adocchiò una signorina in un bell'abito color zafferano e la seguì per invitarla a ballare. Il compagno a quel punto decise che non vi era più ragione di restare in compagnia di quell'allampanato ragazzo scuro, e si mischiò anch'egli alla folla.
Rimasto nuovamente solo, Ade rifletteva amaramente sul motivo per cui era stato trascinato a quella festa. Quasi fosse colpa della padrona di casa per il modo in cui veniva guardato ed evitato, decise che le aspettative della signora Demetra sarebbero state da lui calpestate, e con un certo appagamento.
Fu strappato con violenza alle proprie congetture quando, in cima alle scale che univano il salone al piano superiore del palazzo, comparve la signora Demetra con a fianco una fanciulla sui diciotto anni. La signora indossava un raffinato abito verde menta, e nonostante le fatiche che la sarta aveva di certo dovuto compiere, sembrava ugualmente molto costretta al suo interno.
I capelli erano acconciati in una strana capigliatura, intrecciati con alcune spighe di grano che fungevano da bizzarra e originale decorazione.
La proprietaria del palazzo aveva dedicato molta cura alla propria persona, ma a dispetto di ciò non poteva aspettarsi che gli occhi degli invitati fossero tutti rivolti a lei, di certo non se al suo fianco stava quella ragazza.
Lo sguardo di Ade si era posato solo pochi attimi sulla figura della signora Demetra, ma solo perché questa aveva fatto il suo ingresso leggermente prima di quella che doveva essere sua figlia.
Quando era apparsa la ragazza, non solo la madre era scomparsa, ma era svanito anche tutto il resto.
Ade non si sentiva più il terreno sotto i piedi. L'unica cosa che poteva fare era restare fermo, immobile, con gli occhi fissi su quel miracolo che ora scendeva le scale con passi tanto aggraziati da ricordare il volo di un angelo.
La ragazza indossava un abito in seta color verde smeraldo, su cui erano stati cuciti fiori dai mille colori con una tale maestria da parere veri. Un leggero alito di vento fece capolino dalle finestre socchiuse, e andò a smuovere i lunghi capelli neri della fanciulla. Li portava sciolti, senza alcun ornamento fatta eccezione per una spilla con un giglio appuntata dietro la testa, e non avrebbe potuto fare scelta migliore. Neri come i capelli e i vestiti di Ade, le ricadevano morbidamente sulla schiena sottile come una cascata di fili d'ombra.
La voce potente della signora Demetra che esclamava: -Si dia inizio alle danze!- giunse ovattata alle orecchie di Ade, così come i primi accordi suonati dal terzetto d'archi sul rialzo adibito a palcoscenico.
Fu solo quando il pianoforte si unì al coro che il ragazzo finalmente si riebbe. Quei suoni che parevano fluire dalle mani stesse del pianista lo riportarono alla sua breve infanzia felice, quando suo padre suonava il piano mentre lui, un paffuto bambinello spensierato, sedeva sulle sue ginocchia.
La ragazza intanto era già circondata da una moltitudine di ragazzi e signorotti, che tentavano in ogni modo di aggiudicarsi le sue grazie. Ade strinse i pugni, provando sentimenti che quasi credeva di aver dimenticato. Un desiderio e un'irritazione così forte da contorcergli le viscere.
Dopo qualche calcolo constatò che farsi spazio nella calca sarebbe stato pressappoco impossibile, così optò per un sentiero più sicuro. In pochi passi raggiunse senza difficoltà la signora Demetra, che si stava servendo di frutta fresca da uno dei tavoli imbanditi.
-Buonasera, rispettabile signora. Oltre allo splendore della vostra dimora, questa sera sono rimasto abbagliato in special modo da quello di colei che ritengo essere vostra figlia.-
La donna gli riservò un sorriso soddisfatto. Era chiaro dal suo sguardo che aveva molto apprezzato la galanteria del ragazzo.
-Ma voi siete proprio il giovane proprietario di quella che, devo dire assai ingiustamente, in città tutti chiamano la Villa Tetra! Quella fanciulla è mia figlia, Persefone. Anche se si comporta ancora come una giovinetta oramai è in età da matrimonio...-
-Volevo avere il vostro permesso di chiederle un ballo.- disse Ade, desideroso di arrivare subito al nocciolo della questione senza passare per stucchevoli convenevoli.
La signora acconsentì, ma non prima di aver lodato per alcuni altri interminabili attimi la galanteria e il fascino di quello sfortunato, giovane scapolo che, secondo il suo parere, avrebbe dovuto esser circondato da donne.
La pazienza di Ade fu fortunatamente ripagata, difatti ci pensò Demetra a risolvere il problema degli ammiratori della figlia Persefone, richiamandola servendosi di eloquenti gesti delle braccia.
La giovane accorse dalla madre e domandò il motivo di quella chiamata che aveva fatto parere tanto urgente. Al sorriso d'intesa che la donna le rivolse, finalmente posò lo sguardo sul giovane nell'elegante completo nero che la fissava estasiato.
Demetra li lasciò soli e si dileguò tentando di nascondere una risatina, diretta a servirsi altra frutta dal tavolo più vicino.
I due giovani rimasero l'uno davanti all'altra, senza che nessuno dei due distogliesse dall'altro lo sguardo.
Ade pensò che gli occhi di Persefone erano un prato in primavera.
Come i prati inglesi nutriti dalle fitte e continue piogge primaverili risplendevano intrisi di rugiada all'alba del nuovo giorno, così e forse ancor più intensamente splendevano gli occhi di Persefone. Così verdi che Ade fu tentato d'illudersi che guardandoli troppo a lungo ci si sarebbe potuti ritrovare su di una vera distesa d'erba.
-Dunque, volete concedermi questo ballo, signor...?- esordì Persefone, e la sua voce fu come un colpo di pistola che lo risvegliò e l'uccise nel medesimo istante.
-Ade. Il mio nome è Ade, e sì, sarebbe per me un onore concedervi questo ballo.- si ricompose nel migliore dei modi, e raccolto il coraggio strinse la mano di lei, piccola e morbida, e la condusse dove le altre coppie stavano volteggiando a tempo della musica.
Forse su comando di Demetra, i musicisti presero a suonare un lento dai toni sensuali, le cui note scivolavano fluide e ammaliatrici dalle corde degli archi.
La mano destra stretta a quella di Persefone e la mano sul suo fianco, Ade volteggiava stretto a lei come sulle onde di un mare calmo e al contempo in tempesta. Era come un limbo, un luogo di stallo in cui il tempo non esisteva. Vi era solo quella musica suadente, le pallide ombre in movimento delle altre coppie, e i loro corpi danzanti e uniti in uno solo.
Eppure, benché quella sensazione di sogno e irrealtà lo stesse quasi sopraffacendo, Ade si rese conto delle occhiate che Persefone lanciava ad alcuni giovani che in quel momento stavano conversando e ridendo accomodati sui divani di pelle.
Gli occhi verdi di lei sfuggivano a quelli del suo compagno per cercare il più delle volte uno di loro, senza dubbio il più attraente, dai capelli di un biondo lucente e dal sorriso sfacciato.
Ade lo conosceva solo di vista, ma sapeva molte cose su di lui grazie ai domestici che non si lasciavano sfuggire occasione di andare al mercato per ottenere pettegolezzi freschi. Si chiamava Apollo, e aveva la fama di essere un gran donnaiolo, bevitore e accanito giocatore d'azzardo.
Ma nonostante quest'ampia gamma di vizi aveva comunque l'ammirazione di molte giovani donne, e ciò non avrebbe urtato Ade più di tanto, se solo Persefone non avesse fatto parte di quella minoranza.
Poteva illudersi quanto voleva di stare vivendo un sogno, che Persefone non desiderava trovarsi in nessun altro posto mentre fissava i suoi occhi neri, che fremesse avvertendo il leggero stringere della sua mano sul fianco. Ma sapeva che lei immaginava altri occhi, altre mani, un altro sogno.
Si sentì improvvisamente pervadere da un moto di egoismo.
Diversamente da quanto avrebbe fatto solo poche ore prima, ovvero rinunciare e farsi da parte come ogni volta, decise che in quell'occasione avrebbe ottenuto ciò che voleva. E voleva lei. Non aveva mai desiderato nulla con tale intensità.
Voleva averla al proprio fianco per tutta la vita, svegliarsi con il profumo dei suoi capelli nelle narici e scoprire cosa si provava ad avere quel corpo splendido, nudo sotto di sé.
Mesi dopo se ne sarebbe amaramente pentito, ma in quel momento i sentimenti di lei per lui erano totalmente irrilevanti. Anche se lei amava quell'Apollo, se lui avesse fatto la prima mossa il suo rivale non avrebbe avuto alcuna possibilità.
I suoi numerosi vizi avevano gravato pesantemente sulla fortuna di Apollo, e ora il giovane si ritrovava in seria difficoltà per mantenere il proprio stile di vita così eccessivamente dissoluto.
E proprio su ciò Ade si mise in mente di far leva.
La signora Demetra si sarebbe dimostrata giustamente refrattaria nel concedere la propria figlia ad un uomo che, per quanto avvenente, si trovava sull'orlo della rovina.
Al contrario, Ade non aveva mai avuto nessun vizio o svago che lo spronasse a spendere il proprio capitale, e in tal modo l'eredità dei suoi genitori era ancora saldamente intatta.
Ballare con Persefone divenne ben presto disagevole. Era come se la ragazza fosse divenuta improvvisamente cosciente della vicinanza del proprio compagno, e la cosa la infastidisse alquanto. Cercava di distaccarsi da lui il più possibile, e alla prima occasione passò nelle braccia di un altro ballerino, mentre Ade si ritrovò con una donnicciola bionda dal viso eccessivamente incipriato che gli sorrideva giuliva. Probabilmente era una delle poche ad apprezzare la sua aria tenebrosa.

-No! Madre, vi prego... come potete farmi questo?- implorò Persefone, stringendo tra le dita sottili un lembo del proprio vestito.
Era passato un mese da quel ballo sciagurato. Se avesse saputo quali sarebbero state le conseguenze, non ci sarebbe certo andata. Lei si era lasciata convincere solo perché aveva sentito che vi avrebbero partecipato i giovanotti più cortesi e piacenti di tutta Londra, aveva sperato che quell'occasione portasse con sé risvolti positivi.
Di certo non rientrava nei suoi piani l'essere presentata da sua madre ad un giovane alto e terribilmente magro con un'espressione così cupa da rassomigliare ad un cadavere.
Non avrebbe potuto in nessun caso rifiutare un ballo con quell'individuo. Se solo si fosse trattato di un membro della bassa borghesia o un signorotto qualunque... e invece no, doveva proprio trattarsi di uno degli uomini più ricchi di Londra!
Da quando quel giovane nobile si era presentato nella loro villa e le aveva domandato la mano di Persefone, Demetra non faceva che sfornare nuove buone ragioni per convincere la figlia ad accettare la proposta.
“Quando ti ricapiterà un'occasione del genere?” le aveva più volte ripetuto. E ancora: “Il signor Ade ha una delle più belle ville della campagna londinese. Forse è un po' tetra da quando i precedenti padroni sono passati a miglior vita, ma sono certa che la presenza di una donna saprà ridonare a quella dimora il suo antico splendore.”
Aveva sempre ottenuto un categorico rifiuto e un secco cenno del capo da parte della figlia.
Ma da quando era morto suo padre, anche la fortuna della loro famiglia stava a poco a poco prosciugandosi, e così Demetra era arrivata a decidere per lei. Si era presentata in camera sua di mattino presto, più cocciuta del solito e determinata a trovare una volta per tutte la soluzione a quel problema.
-Lo sposerai, Persefone. Hai bisogno di un marito premuroso e facoltoso e di un ambiente decoroso in cui crescere i tuoi figli. Non puoi continuare a vivere con me finché non diventerai vecchia; ormai sei in età da marito!-
La ragazza tentò inutilmente di protestare. Disse che conosceva molti altri giovani quasi altrettanto facoltosi come il signor Ade, e certamente più socievoli e piacenti. Ma sua madre non volle sentir ragioni. Ritta davanti a lei, le braccia incrociate sul petto per dare alla propria figura un aspetto ancora più imponente, concluse la questione con una frase che non ammetteva repliche.
-Tu sposerai il signor Ade. Sono tua madre: così io ho deciso, e così tu farai.-

Ade giunse al laghetto al centro del giardino.
Qualche anatra starnazzava a riva godendosi la brezza leggera che annunciava l'avvicinarsi prossimo dell'estate, mentre altre nuotavano placidamente nell'acqua limpida.
Aveva fatto restaurare il giardino non appena Persefone aveva lasciato la casa di sua madre per venire a vivere con lui. Da quando erano morti i suoi genitori, difatti, le condizioni del giardino erano paurosamente peggiorate. Alla greve operazione di potatura di massa erano sopravvissuti soltanto i tre alberi di ciliegio piantati da suo nonno, che si affacciavano sul lago come a volerlo toccare protendendo i propri rami sottili.
Ade era venuto a sapere dalla sua stessa novella moglie, in uno dei rari momenti in cui era di buon umore, che i fiori erano la sua più grande passione.
Non ricordava di aver mai messo tanta cura in qualcosa come ne aveva messa per la costruzione di quel giardino. Alcuni alberelli li aveva piantati lui stesso, mentre la maggior parte dei fiori li aveva scelti Persefone. La natura aveva poi pensato ad arricchire ulteriormente quel delizioso equilibrio con fiori selvatici, alcuni dei quali di un'incomparabile bellezza.
Quell'egoismo iniziale che l'aveva spinto a chiedere la mano di Persefone così sfacciatamente era gradatamente svanito, sostituito da un'inspiegabile desiderio di rendersi migliore agli occhi di lei.
Aveva ridato vita al giardino perché sperava che i sentimenti della giovane nei suoi confronti sarebbero migliorati. Ade si comportava sempre in maniera cortese e cercava di non forzarla a fare ciò che lei non voleva.
La ricostruzione del giardino era stata per di più un pretesto per far passare ai due novelli sposi del tempo insieme. Persefone non l'avrebbe mai ammesso, ma avevano passato dei momenti di vicinanza e affetto propri di una vera coppia piantando insieme tutti quei fiori variopinti e quei giovani alberelli.
Gli occhi di Ade percorsero la riva del laghetto come in cerca di qualcosa. Credeva che lei sarebbe giunta dalla sua stessa direzione, eppure l'istinto gli diceva di cercarla lì. Non stava sbagliandosi, difatti Persefone sedeva accanto ad un cespuglio di rose lanciando di tanto in tanto un sassolino, che andava ad infrangere in cerchi concentrici il pelo dell'acqua.
Mentre camminava nella sua direzione, Ade comprese di aver, seppur inconsciamente, maturato una decisione. Non sapeva dire quando quel pensiero avesse avuto origine nella sua mente. Forse si trovava lì da mesi, anni ormai, incorporeo e sfuggente come il vento d'inverno, e solo in quel momento aveva preso forma, come ridestato da quella natura in festa.
Sedette accanto alla sua sposa, prestando attenzione ad accomodarsi ad una certa distanza per non metterla a disagio.
Non vi fu alcun bisogno di saluti o di premesse; Ade non si voltò neppure a guardarla quando ebbe raccolto sufficiente coraggio a pronunciare finalmente quelle parole.
Sapeva già cosa avrebbe visto, e sapeva altrettanto bene quanto quella visione gli avrebbe inferto più sofferenza di una coltellata allo stomaco.
In primavera Persefone era ancora più splendida.
Sarebbe stata contenta, ora? Avrebbe sorriso di nuovo assistendo al crollo delle sue resistenze, di tutte le mura che lui aveva eretto pur di tenerla rinchiusa nella torre che aveva edificato apposta per lei, principessa prigioniera?
-Puoi andartene, se vuoi.- sussurrò piano, e quella piccola frase parve rimbombare per tutta la campagna londinese e anche oltre, superare l'orizzonte e l'oceano.
-Non voglio che tu sia infelice, non ti tratterrò un secondo di più. Avrai le mie ricchezze, se è questo che vuoi, e potrai tornare da tua madre. Potrai sposare chi più preferisci, perché se deciderai di lasciarmi allora io sparirò. Me ne andrò per sempre, e sarà inutile cercarmi.- Ade prese un respiro profondo, artigliando i ciuffi d'erba, conficcando le unghie nel terreno umido. -Mi sono pentito del mio iniziale comportamento. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere nel tentativo di renderti felice, ma a quanto pare il mio tutto non basta. Non basta e non importa quanto io ti desideri. Se c'è qualcosa che desidero più di te quel qualcosa è vederti felice, e se con me credi di non poterlo mai essere allora voglio che tu te ne vada...-
Alzò lo sguardo, e proprio in quel momento uno stormo di anatre si librò nel cielo azzurro tagliando le nuvole candide e corpose come un coltello col burro. Sentì una lacrima rigargli il volto e la lasciò compiere il suo cammino. Un'ultima cosa, e poi l'avrebbe lasciata alla vita che avrebbe scelto.
-... Spero per te che un giorno qualcuno potrà amarti come ti ho amata io, Persefone.-
Attese una decina di secondi, lenti, grevi, li sentì comprimerlo come rocce. Li lasciò trascorrere per godere un'ultima volta di quello spettacolo magistrale che la natura offriva loro una volta l'anno.
Si ricompose e prese coraggio, quindi fece per alzarsi, ma qualcosa lo trattenne. La mano di Persefone si era fatta strada nell'erba, e ora stringeva delicatamente la sua. Nonostante fosse così piccola l'avvolgeva perfettamente. Trattenendo il fiato, Ade alzò il capo in contemplazione dei ciliegi rivestiti da quel surreale e superbo manto rosato che indossavano esclusivamente in primavera. Il vento frusciava tra i rami staccando qualche petalo.
Non osava ancora guardarla. Stentava a credere all'effettiva presenza della mano di lei sulla sua, che eppure era lì, calda, morbida stringendo la sua in un modo familiare ma al contempo incredibilmente nuovo.
Un petalo roseo si separò dal ramo di un ciliegio.
Gli occhi scuri del ragazzo seguirono la sua lenta traiettoria fino a cadere inevitabilmente dove si posò il petalo stesso. Persefone non si prese il disturbo di toglierselo dai capelli, quasi fosse stato un'aggiunta alla sua acconciatura. E di certo era innegabile che la rendesse ancora più bella.
Ade avrebbe continuato a fissare la propria sposa fino al calar del sole se questa non avesse dischiuso leggermente le labbra, per poi dire qualcosa che mai, neppure guidato dalle più audaci fantasie, avrebbe sperato di udire.
-Dispiace anche a me. È vero che all'inizio ti detestavo, e probabilmente se fosse dipeso da me non avrei scelto te come mio sposo. Però con il tempo tu sei cambiato, ed io sono stata così orgogliosa da non ammettere che sono cambiati anche i sentimenti che nutrivo nei tuoi confronti.- le labbra di Persefone si incresparono in un lieve sorriso, i suoi occhi luminosi fissi all'orizzonte.
Ade si accorse solo in quel momento che appuntato dietro la testa portava quel fermaglio con il giglio che aveva indossato anche la prima volta in cui si erano incontrati.
-Io non ti lascerò... tu resta con me, se credi di potermi perdonare. Ricominceremo dal principio.- la giovane donna si alzò e Ade fece lo stesso. Volse lo sguardo alla linea del tramonto, quasi sapesse che non era il momento opportuno per guardare la sua sposa.
Era tempo di guardare nella stessa direzione, guardare al futuro finalmente con la sicurezza di non doverlo affrontare da soli. Bastava la leggera stretta delle loro mani a farli sentire vicini in un modo in cui neppure le poche notti che avevano trascorso nello stesso letto avevano mai fatto.
Ade non aveva bisogno di esprimere a parole la risposta all'implicita domanda che gli era stata posta dalla sua sposa. Sarebbe rimasto, sarebbe rimasto con lei a qualunque costo.
Non era più il frustrato ed egoista ragazzo di un tempo, e non desiderava più Persefone per farne una sua proprietà.
Voleva solo potersi sedere accanto a lei durante i pasti, passeggiare nei giardini stringendo la sua mano, addormentarsi con la sua fronte premuta sulle labbra.
-Ricominceremo dal principio...- ripeté Persefone, e ciò che disse poi diede un senso a tutte le speranze, i sogni e le fantasie con cui Ade si era tormentato per tutti quei mesi. Rese il cielo più limpido e il cinguettio dei passeri per un attimo somigliò ad un coro di angeli.
-... e sono certa che questa volta riuscirò ad amarti.-
   
 
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