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Autore: shimichan    04/08/2015    5 recensioni
[Post Organizzazione] [ShinShiho paring]
Se è vero che nessun paradiso può durare a lungo se vi convivono un uomo e una donna come se la caveranno lo Sherlock Holmes del Terzo Millennio e l'ex donna in nero a condividere lo stesso tetto?
#1. Trasloco [ovvero quando la distanza non conta ]
#2. Scatoloni [il segreto di una relazione sta nel compromesso]
#3. Risveglio [nota: mai lasciare una copia di chiavi ai vecchi proprietari]
#4. Cinema [ovvero mai fidarsi dei poliziotti felicemente sposati]
#5. Gelosia [di diete, tradimenti e bruciante passione]
#6. Detective Boys [di innocenti rancori e indiscrete curiosità]
#7. Amici [metti una sera, a cena...]
#8. Agasa [di abitudini da perdere e di abitudini da prendere]
#9. Esperimento [pronto a tornare cavia, Kudo?]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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#6. Detective Boys
[di innocenti rancori e indiscrete curiosità]
 

La vita di coppia si era rivelata ricca di molteplici sfaccettature. Piccole manie, sfumature di carattere, gusti ignorati fino a quando l’amicizia non aveva invaso i limiti imposti dalla consueta famigliarità. Una cosa, però, era rimasta immutata, ovvero la naturale quanto irritante inclinazione di Shiho di prendere decisioni senza prima consultarlo.
Vero che si trattava di prese di posizione irrilevanti per la loro relazione, Shinichi questo non lo contestava, ma, in un modo o nell’altro, quelle scelte finivano sempre col incidere negativamente sul suo umore. Come quel giorno.
Shiho rientrò insolitamente presto con due borse della spesa enormi se paragonate a quelle abituali, chiedendogli, o meglio ordinandogli, di seguirla in cucina.
«Ehi, hai forse intenzione di sfamare l’intero quartiere?» ironizzò, spulciando il contenuto: carote, patate e quelle che sembravano due libbre di carne rossa.
«No. Ho solo invitato i ragazzi a cena».
Ora, Shinichi doveva ammettere di essersi affezionato a quei tre mocciosi, di trovarli in gamba, ma credeva di aver ampiamente esaurito le sue responsabilità nei loro confronti tra i banchi delle elementari, perciò la notizia lo colse alla sprovvista e soprattutto lo vide contrariato.
«Cosa? Perché? Quando?».
Domande lecite accompagnate da un profondo aggrottamento delle sopracciglia che avrebbe espresso bene il suo assoluto rifiuto se solo Shiho si fosse posta il problema di conoscere il pensiero del detective a proposito. Ma ciò non avvenne.
«Stasera» rispose con noncuranza, aumentandone il disaccordo, che non ebbe comunque modo di manifestare perché quel «in fin dei conti sono stati i nostri soli amici» smosse la sua coscienza e contro la coscienza non si può opporre alcun no.
Sbuffò, allora, aprendo una confezione di biscotti, addentandone poi uno: chissà che il cacao, rigorosamente magro, non potesse addolcire la sconfitta. 
«Non fare quella faccia, Kudo. Sono maturati molto in questi anni e potrebbero anche sorprenderti».
L’unica cosa che lo sorprese, in realtà, fu la straordinaria puntualità con cui, alle diciannove e trenta spaccate, il campanello prese a suonare, seguito da un attimo di panico risolto dal perentorio «vai tu» che udì alle sue spalle.
Tutti e tre attendevano impazienti al cancello, cercando di sbirciare oltre le inferiate quel poco che la loro altezza, spinta al massimo dalle punte dei piedi, permetteva e, quando aprì, nel vederli varcare il vialetto con entusiasmo, Shinichi non riuscì ad impedirsi di provare un pizzico di nostalgia. Fu, tuttavia, una debolezza passeggera che si esaurì nell’esatto istante in cui Ayumi pronunciò, concitata, «Conan-kun!», correndo ad abbracciarlo.
Fortunatamente il saluto di Genta e soprattutto di Mitshuiko fu più composto e ciò gli permise di invitarli all’interno, dove le loro bocche disegnarono un ovale perfetto. La casa disabitata che era stata sempre scenario perfetto di lugubri fantasie nelle notti di Halloween, appariva ora calda e accogliente, completamente diversa rispetto a quella della loro immaginazione, come Genta non mancò ingenuamente di far notare. Ma a suscitare maggior fervore fu la comparsa di Shiho.
«Ai-chan!» urlarono all’unisono, chiudendola in una stretta di gruppo.
Shinichi osservò la scena, gustandosi l’evidente difficoltà con cui lei, sempre impacciata quando si trattava di avere a che fare con dimostrazioni di affetto, tentava goffamente di contraccambiare quello dei bambini.
«Piano. Piano altrimenti mi fate cadere».
Il rimprovero bonario sortì il suo effetto solo dopo qualche secondo.
«Ayumi è molto felice di essere qui» ammise la piccola incrociando il suo sguardo. Arrossì.
Le erano sempre piaciuti gli occhi di Ai. Quegli occhi malinconici non perché fosse triste, ma perché la tristezza aveva dato forma ai suoi connotati, la loro forma, il colore, la profondità tale da rendere impossibile capire se quel verde avesse davvero fine.
Le piacevano si, ma mai quanto a Mitshuiko, che sentì il corpo scaldarsi di un grado e il sangue concentrarsi sulle guance, mentre Shiho s’informava dei suoi progressi scolastici. Evitò l’errore di Ayumi e posò lo sguardo su un punto indefinito davanti a sé, cercando di misurare il proprio respiro perché non gli giocasse brutti scherzi, ma, quando fu pronto e sollevò il capo, gli occhi di Shiho si erano già spostati. Non occorreva studiarne la direzione per intuire verso chi.
C’era solo una persona in grado di farli illuminare in quel modo che continuava a fargli male, solo una capace di scuoterli dalla loro impassibilità e indurli a tradire un senso di smarrimento che non faceva paura, perché in buona compagnia. L’aveva letto su un testo, a scuola, “…dove si perde l’occhio anche il cuore resta invischiato”.
«La cena non è ancora pronta. Kudo, mostragli la casa intanto».
L’apostrofarlo con quel nome segnò per Mitshuiko una piccola rivincita, come l’espressione corrucciata del detective che evaporò contro l’eloquente alzata di sopracciglia di Shiho.
«Venite…qui c’è la biblioteca…».
 
 
«…e questa, infine, è la camera da letto» spiegò, tastando la parete alla ricerca dell’interruttore.
Accesa, la luce rivelò un’ampia stanza. L’antica toletta, nell’angolo opposto all’ingresso, catturò immediatamente l’attenzione di Ayumi, così come il matrimoniale quella di Genta. Mitshuiko, invece, rimase immobile, ad un passo dallo stipite. Era tipico della sua maturità non seguire i propri slanci e porsi un minimo di autocontrollo, un aspetto che Shinichi aveva sempre gradito.
«Che bella foto» esclamò con scarso entusiasmo, afferrando la cornice sopra il comodino, dal lato di Shiho.
Era un autoscatto che li ritraeva insieme: lei strizzava l’occhio più divertita che infastidita da qualcosa che lui le stava mormorando all’orecchio e che in quel momento non si ricordava.  
«Già. Eravamo ad Okinawa, o forse a Hokkaido. O a Goto» e si strinse le spalle in un gesto di superficialità che infastidì non poco il giovane Tsuburaya. «E tu dove dormi?».
«Eh?».
Mitshuiko illustrò la deduzione che aveva portato a quella domanda tanto brillantemente e in maniera così precisa da sbalordire il migliore dei detective. In effetti l’ordine, la toletta, il colore chiaro delle pareti e il profumo per ambiente alla gardenia dimostravano il tocco di una mano femminile, al contrario la sua presenza poteva essere testimoniata solo dal cassetto della biancheria, che però era chiuso, e dal suo comodino, il cui contenuto doveva rimanere assolutamente segreto.
A peggiorare ulteriormente la situazione ci si mise, poi, Genta, che occupato il letto senza permesso (!), recitò uno dei soliti insegnamenti impartitigli dai genitori.
«Mia mamma dice che non sta bene che due persone dormano insieme senza essere sposate».
Shinichi cominciò ad iperventilare. Cosa serviva vivere nel terzo millennio se si proveniva da una famiglia tradizionalista come i Kojima?!
«Che? Ah, no…noi…cioè io…». Si bloccò, complice il formicolio che gli salì alle tempie, impedendogli di pensare ad un piano per togliersi da quell’impiccio, ed il respiro trattenuto nei polmoni. Fortunatamente, prima che diventasse cianotico, Ayumi, esclusa dalla conversazione, fece notare che quella non era l’ultima stanza del secondo piano poiché in fondo al corridoio vi era un’altra camera.
«È la mia!» mentì e, un secondo dopo, la voce di Shiho riecheggiò dalla tromba delle scale, annunciando la cena.
 

Stava andando tutto bene.
Shiho garantiva argomenti alla conversazione, senza bisogno del suo aiuto, e la giusta dose d’imbarazzo perché Mitshuiko non richiedesse spiegazioni ai dubbi che palesemente l’attanagliavano. Mai si sarebbe azzardato, infatti, a manifestarli davanti alla diretta interessata. Di tanto in tanto Shinichi interveniva con delucidazioni sul suo lavoro di consulente alla centrale di polizia, che, secondo le previsioni, suscitò curiosità e interesse.
Al momento del dolce, una vera torta alla crema come non se ne vedevano più da tempo a villa Kudo, il discorso verteva ormai completamente sull’alto livello di criminalità raggiunto da Tokyo, motivo che lo costringeva ad assentarsi da casa per lunghi periodi o a passar fuori la notte.
«Quindi sei spesso sola qui? Non hai paura?» si preoccupò Ayumi, terrorizzata dall’idea di dover trascorrere una nottata intera senza compagnia.
«Ci sono abituata».
Sorrise per tranquillizzarla, scoccando poi un’occhiata di rimprovero al fidanzato, il quale non ebbe comunque modo di difendersi in quanto i tre fecero un cenno d’intesa che non prometteva nulla di buono.
«Ci stiamo noi con te!». E no, non era una proposta.
Rischiò il secondo arresto cardiaco nel giro di un’ora. «C-cosa?».
Opporsi non sortì alcun effetto. Avevano già deciso, forti dell’accondiscendenza di Shiho, il cui lato materno si palesava sempre in netto contrasto con i suoi pensieri.
«Sarà come i vecchi tempi!» commentò, allegra, raccogliendo i piatti, mentre l’opera di convincimento messa in atto dai piccoli detective, il sorriso innocente di Ayumi e un crescente mal di testa toglievano a Shinichi la forza di protestare.
Avrebbero dormito tutti insieme, tutti eccetto lui.
«È casa nostra!» ragliò in bagno, una volta soli, schiacciando con foga eccessiva il tubetto del dentifricio per poi ficcarsi in bocca lo spazzolino. Shiho si portò l’indice alle labbra nel chiaro intento di fargli abbassare la voce.
«Dai non essere il solito brontolone» lo pregò simulando un tono amorevole che non le apparteneva e che s’incrinò subito. «Quante volte ti devo ripetere di non premere il dentifricio al centro ma alla base?».
«Non camfiare discorfo» ribatté, sciacquandosi. «Non intendo dormire nella mia vecchia stanza!».
Lo sguardo di lei si ritrasse indispettito sotto le ciglia. «Non sono stata io a dir loro che quella era la tua camera. E comunque, se sei fortunato, un killer potrebbe decidere di mettersi in azione proprio questa notte, no?».
Al detective bastò la parte di viso non coperta dall’asciugamano per farle capire che il suo sarcasmo era del tutto fuori luogo. Shiho lo trovò buffo e si aprì in un sorriso capace di sciogliere in un istante la sua stoica opposizione.
«Solo stanotte» asserì, vinto, cercando e trovando le sue mani come ogni dopo litigio, quando parole piene di rancore lasciavano spazio a ciò che di vero c’era tra loro. Shinichi le rivolse il primo vero sorriso della serata, pensando a quale rapporto dovesse intercorrere tra la propria felicità e la lunghezza delle labbra di Shiho. Decise di scoprirlo in quell’istante.
«I nostri genitori hanno detto che possiamo rimanere!».
L’urlo gioioso di Genta proruppe dalla porta spalancata e sul volto di entrambi comparve un’espressione increspata dalla frustrazione di veder svanire il preludio di un bacio perfetto.
«Ho interrotto qualcosa?».
Shiho si coprì le labbra con la mano, Shinichi, invece, uscì visibilmente scocciato, lasciando al suo biascicato «’notte» l’onere di parlare per lui.
 
 
La sua buona stella non doveva essere in gran forma.
Il letto in cui aveva dormito durante la sua intera, o quasi, adolescenza era diventato inspiegabilmente scomodo e la lampadina dell’abatjour fulminata non gli permise nemmeno di conciliarsi il sonno con una lettura. Come se non bastasse, l’ultima volta che aveva controllato, la radio sveglia segnava le tre e diciannove, il che significava che gli rimanevano circa quattro ore di riposo da trascorrere presumibilmente con gli occhi chiusi ad ascoltare i rumori che tenevano viva la casa: l’orologio a pendolo in biblioteca, lo scricchiolio del vecchio controsoffitto in legno, il cigolio della porta che lui, però, aveva chiuso.
Si voltò senza sollevare le palpebre, venendo toccato dal cono luminoso disegnato dalla fessura che era stata aperta. Aveva la sfuriata già pronta e incentrata su tre parole: ‘scuola’, ‘tardi’ e ‘lavoro’.
«Ti ho svegliato?».
«Non ne sono sicuro» mormorò, sorpreso, sfregandosi gli occhi per riabituarli alla luce.
Shiho stava sotto lo stipite, immobile, dentro un pigiama che, nonostante l’oscurità, riconobbe come proprio. Gli parve di scorgere una strana smorfia sul suo volto. «Ayumi scalcia, Genta russa e Mitshuiko parla nel sonno. Sono venuta a chiedere asilo».
Shinichi accarezzò, per un attimo, l’idea di rifiutarglielo, ma era troppo stanco per qualsiasi macchinosa elucubrazione, così si limitò a scostare le coperte e ad accoglierla come meglio poteva in quello spazio striminzito. Lei aderì la schiena al suo petto, tirando un angolo del cuscino in un sospiro sollevato.
«Dichiarazioni d’amore?» scherzò, ignorando di proposito il tono spossato di quella confessione. Shiho giudicò la domanda di cattivo gusto e perciò indegna di risposta.
«Invece di fare lo spiritoso, passami la sveglia».
Obbedì, rischiando di mettere in allarme l’intero vicinato quando scorse l’ora da lei impostata.
«Le cinque e mezzo?!? È uno scherzo spero!»
«Non gridare!» lo rimproverò «Domani il signor Kojima passa a prenderli di buon’ora per portarli a casa e poi voglio farmi trovare nel loro letto quando si sveglieranno».
«Nostro» chiarì stizzito «Nostro letto. E perché?».
Al buio non poté vedere il moto rotatorio compiuto dai suoi occhi, ma sentì lo sbuffo, scocciato come al solito se si trattava di evidenziare l’ovvio. «Perché non voglio deluderli».
«Sei qui!».
«Si certo. Questo però non lo sanno, quindi ti prego, Kudo, dormiamo».
Shinichi dilatò le narici ed espirò forte, un po’ per rassegnazione, un po’ per allontanare i capelli che gli solleticavano il naso: quella che gli si prospettava davanti prometteva di essere l’ora e mezza più lunga della sua vita.
 

 
«Kudo, togli la mano da lì»
«Non è colpa mia. Questo letto è così piccolo!»
«Fingerò di crederti. Ora, toglila!»
 
«Kudo…cosa stai…?»
«…»
«Sh-Shinichi
«Mi…mi dispiace….è una cosa involontaria, te lo assicuro…»
«Sei un pervertito!»

 
«Nessun disturbo, davvero! Arrivederci!». Il suo saluto fu coperto dal rombo dell’auto del signor Kojima che usciva dal vialetto. Shiho attese di vedere la polvere depositarsi al suolo, poi si chiuse la porta alle spalle, adagiandovi la schiena.
«Se ne sono andati» annunciò in un sussurro che tradiva le apparenze.
Con un po’ di trucco e grazie alla vasta esperienza di notti trascorse davanti al computer era riuscita a mascherare la propria stanchezza. Stessa cosa non poteva dirsi, invece, per Shinichi che comparve dalla cucina strascicando i piedi e sbadigliando sonoramente. «La prossima volta che vuoi fare una rimpatriata organizzala dal dottor Agasa. Ti prego!».
Sospirò, astenendosi dalle repliche, e lo seguì.
Sul tavolo c’erano ancora i rimasugli della colazione, durante la quale i bambini, rinvigoriti da un sonno ristoratore, non avevano fatto altro che lodare la comodità del letto, aumentando la frustrazione del suo proprietario, e chiederle quali erano i suoi programmi per la giornata, liberando acuti versetti di ammirazione ad ogni risposta.
«Le aspirine sono sul ripiano in alto a destra» disse, sedendosi, mentre lui trafficava con gli armadietti.
«Prendine due» suggerì poi.
Shinichi le lanciò uno sguardo interrogativo e, nonostante fosse poco reattivo quella mattina, scorse l’aria colpevole che aveva assunto. «Perché?». Tremò nel chiederlo.
Shiho si massaggiò la fronte, preda di una fastidiosa emicrania e di cattivi pensieri, e tirò un angolo della bocca nel sorriso tipico di chi si pente prima ancora di parlare.
«Da uno a dieci, quanto ti arrabbi se ti nomino il campeggio…?».










Angolo Autrice
Come sono stata brava stavolta! Ho aggiornato in tempi, per me, supersonici! *^* 
Autolodazioni a parte, volevo approfittare di questo spazio per ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la raccolta e assicurare (alcuni l'hanno accennato nelle recensioni, cui risponderò con calma) che ci saranno episodi romantici, ovviamente in pieno stile ShiShiho, e (forse) un confronto tra....eh, eh no, non ve lo dico! Ma ci sto lavorando! Se volete scoprirlo mi troverete qui!
Come sempre, alla prossima!
 
  
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