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Autore: Sognatrice_2000    04/08/2015    1 recensioni
Cosa è accaduto veramente tra Shiho e Gin,prima che la scienziata abbandonasse l'organizzazione?
Un giorno,dopo un inaspettato incontro per le vie del centro,entrambi rievocheranno i loro ricordi,accorgendosi che dentro di loro continuano a palpitare leforti emozioni del passato.
Ai dovrà affrontare una scelta difficile,che metterà in discussione il suo futuro,ma che sarà resa più piacevole dall'amore di una persona speciale.
(GinxSherry)
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 11: Addio, piccola Ai
 
Ai fissò quella piccola pillola bianca e rossa posata sulla scrivania, chiedendosi per la terza volta in due minuti che cosa doveva fare. Non capiva il perché della sua indecisione, fino a qualche tempo fa avrebbe ingerito l’antidoto senza preoccuparsi delle conseguenze, ma adesso era diverso. C’era qualcuno, adesso, per cui valeva la pena indugiare. Prima non le sarebbe importato più di tanto di perdere la vita, in fin dei conti non aveva niente da perdere, ma ora era tutto diverso.
Il rumore della porta d’ingresso la distrasse da quei pensieri, e si affrettò a nascondere la pillola in un cassetto. Lasciò che l’uomo appena entrato la sollevasse tra le sue braccia e le stampasse un tenero bacio tra i capelli. “E la mia cena?” Chiese Gin facendole il solletico. Ai si dimenò ridendo e cercando di far cessare quella dolce tortura. “Hai ragione, scusa, ma avevo da fare. Se avessi la bontà di lasciarmi vado subito in cucina.”
Seguì il suo sguardo, e i suoi occhi si posarono sul computer portatile ancora aperto. “Cosa stavi facendo?”
“Niente.” Si limitò a rispondere la bambina, chiudendo il computer con un gesto secco.
“Mi stai nascondendo qualcosa?”
“Ma no, figurati. Ora vado a preparare qualcosa da mangiare.”Ai mosse qualche passo in direzione della cucina, poi si girò e gli sorrise. “Stavo scrivendo al mio ammiratore segreto.”
“Ah, è così? Vieni qui che ti prendo!” Ai rise divertita,mettendosi agilmente a correre, ma non poté nulla quando restò intrappolata tra lui e la parete. Gin la sollevò da terra, lasciando la scia di un bacio sul suo collo. “Ormai sei in trappola…”La stuzzicò strattonandola verso di lui.
“Davvero?” Ai rise, circondandogli il collo con le braccia e sfiorandogli le labbra. Gettò la testa all’indietro e rilasciò un piccolo gemito quando sentì i suoi morsi pieni di desiderio sul collo.  “Allora… adesso mi dici cosa stavi facendo?” Le sussurrò tra gli ansimi, dandole un piccolo bacio sul lobo dell’orecchio. Sapeva che quello era il suo punto debole. “Te l’ho detto, stavo scrivendo al mio ammiratore segreto.” Lo prese in giro Ai, ridendo. All’improvviso la sua espressione si fece più seria, e lentamente si chinò sul suo orecchio.
“Adesso basta, stringimi forte, per favore…”Si aggrappò a lui e chiuse gli occhi, persa nel calore del suo abbraccio. “Gin…” Sussurrò ad un tratto, il tono stranamente tremante. “Se mai un giorno… se mai un giorno dovesse succedermi qualcosa, sappi che io ti ho sempre amato, fino al mio ultimo respiro, anche quando credevo di odiarti con tutta me stessa…”
“Che cosa stai dicendo?” Gin la staccò da sé, fissandola a lungo negli occhi. “Che cosa vuoi dire?”
“Era solo un’ipotesi.” Rispose lei in un sussurro, abbassando lo sguardo. “Se qualcun altro dell’Organizzazione dovesse scoprire la mia vera identità, sai cosa succederebbe…”
“Dovranno prima passare sul mio cadavere.” Lo sguardo di Ai si riempì di lacrime solo sentendo quelle parole: non si era mai sentita così amata. Eppure si ricordò di Conan, del suo coraggio, delle volte in cui le aveva salvato la vita, e di quelle in cui aveva rischiato la sua per proteggerla. Non poteva dimenticare tutte le esperienze, tutte le emozioni che avevano condiviso. Era il suo migliore amico, e non meritava di continuare a vivere in una menzogna. Doveva tornare dalla persona che amava anche. Non voleva essere felice soltanto lei, dimenticando egoisticamente una persona che si era sempre comportata  con coraggio ed onestà disinteressata nei suoi confronti, anche se era lei la responsabile di quel pasticcio. Era lei che gli aveva rovinato la vita, e doveva prendersi le sue responsabilità e cercare di rimediare. Avrebbe provato quell’antidoto, adesso ne era certa. Quella sera stessa.
“A cosa stai pensando?” La voce di Gin la fece sobbalzare.
“Niente, davvero. Fammi scendere, finisco di preparare la cena.” Gli diede un piccolo bacio sulla guancia e sorrise, cercando di non far trapelare l’ansia che provava.
Il resto della serata trascorse velocemente, in un’atmosfera quasi magica. Il cuore di Ai era scaldato dalla presenza dell’uomo che amava. La cena passata ridendo, attorno ad una tavola piena di cibi deliziosi, le coccole sul divano mentre guardavano un film, l’abbraccio prima di addormentarsi, stretti in unico letto: erano piccoli gesti quotidiani, era una vita normale e serena, ma era tutto per Ai, che non aveva mai provato sentimenti così belli e così veri. In quella casa, in quell’uomo era racchiuso tutto il suo mondo. Una vita che voleva vivere e gustarsi fino in fondo.
A notte inoltrata, Ai si alzò dal letto nel modo più silenzioso possibile, scostando delicatamente il braccio di Gin che le circondava le spalle e la teneva stretta a sé. Con una stretta al cuore, vide che allungava la mano cercando il suo corpo tra le pieghe del lenzuolo vuoto. Trattenne a fatica le lacrime. Non poteva essere debole, soprattutto non in quella circostanza. Posò una lieve carezza sulla guancia dell’uomo e sorrise, carica di malinconia. “Ti amo.” Sussurrò nel buio, prima di uscire.
Con il cuore che le martellava incessantemente nel petto, si diresse verso il bagno e aprì l’armadietto dei medicinali, dove aveva nascosto la pillola. Svuotò la mente da qualsiasi pensiero. Non doveva pensare, doveva solo agire. Fissò la pasticca ancora qualche secondo, e poi se la posò sulla lingua. Stava indugiando troppo. Ingoiò in fretta, e subito uno spasmo doloroso si trasferì lungo il suo collo. Fitte dolorose le attraversarono il corpo, trapassandole le membra. Era preparata al dolore, ma questo era talmente intenso che dovette portarsi una mano al petto e l’altra alla bocca per evitare di gridare. Scivolò a terra, e a fatica riuscì ad appoggiarsi alla parete. Le ondate di calore e i tremiti la scuotevano da capo a piedi, aumentando sempre di più. Non ce l’avrebbe fatta, ne era sicura. Non avrebbe rivisto Gin. Ma gli aveva detto che lo amava, e questo era più che sufficiente per lei.
Quello fu il suo ultimo pensiero prima di svenire. Poi, solo oblio.
 
 
**
 
 
Sollevò piano le palpebre, avvertendo tutto il corpo indolenzito. Raggi di sole le ferivano gli occhi, e Ai capì che era ormai mattina. Si guardò le mani, senza avere la forza per alzarsi dal pavimento del bagno. Le piastrelle erano fredde e dure, ma non le importava. Erano grandi, il seno più sviluppato, le gambe più lunghe. Ai se n’era andata per sempre, adesso c’era la vera se stessa. Era Shiho. Era una ragazza di diciotto anni che scoppiava di gioia, pronta a realizzare tutti i sogni che le erano stati negati. Ma prima, c’era una cosa che doveva fare.
Prese i vestiti che aveva portato con sé nel caso l’antidoto avesse funzionato davvero e si affrettò ad  alzarsi e a indossarli. Non voleva che Gin la vedesse in quello stato e si spaventasse. Gli avrebbe spiegato dopo. Prese una pillola uguale a quella che aveva ingerito e la infilò nella tasca dei pantaloni. Era destinata ad una persona precisa.
Non fece in tempo a muovere qualche passo, che la sagoma di Gin si materializzò davanti ai suoi occhi. “Cos’è successo?” Aveva gli occhi sbarrati, incredulo. Ma la risposta l’aveva proprio di fronte.
“Ho preso l’antidoto.” Spiegò Shiho tranquillamente.
“Questo lo vedo, ma… cosa ti è saltato in mente? E se ti fosse successo qualcosa? Non voglio nemmeno immaginare cosa poteva accadere…”
“Ma adesso sono qui, e mi sento benissimo.” Shiho non potè aggiungere altro, perché Gin la strinse in un abbraccio così forte da impedirle quasi di respirare. Le stava accarezzando i capelli, senza smettere di stringerla. “Promettimi che non farai più una pazzia del genere.”
“Certo. Abbiamo una vita da vivere insieme, ricordi? Lontani da questi criminali, lontani dai pericoli. Dobbiamo essere felici ricominciando daccapo.”
“Partiamo subito, allora. Per l’America, o qualunque altro posto il più lontano possibile da qui. Ricominceremo insieme, Shiho.” Prese le sue mani e le strinse. Per la prima volta, Shiho sentì che la sua pelle era calda. Quella stretta era dolce e sapeva di una promessa che nessuno dei due avrebbe potuto infrangere: non lasciarsi mai.”
Ma lei sorrise e scosse il capo. “Ce ne andremo tra qualche ora. Prima devo fare una cosa importante.”
“Come? Cosa devi fare?”
“Scusami, ma non te lo posso dire.” Sorrise dolcemente e sciolse la loro presa, allontanandosi verso la porta.
“Aspetta!” Gin tentò di richiamarla, ma lei si affacciò e strinse lo stipite. Gli sorrise, un sorriso meraviglioso e luminoso che non aveva mai fatto in vita sua, e gli fece l’occhiolino. “Tornerò presto. Tu comincia pure a preparare le valigie. Ti amo.” E sparì prima che lui avesse il tempo di dire o di fare qualsiasi cosa.
Uscì sul marciapiede e fermò un taxi. “All’agenzia investigativa Mouri.” Disse frettolosamente all’uomo al volante.
Quando il taxi sfrecciò via, si svelò la sagoma di un’auto che sostava proprio lì dietro. Un’auto di colore nero. Anche l’uomo alla guida era vestito di nero, con occhiali da sole scuri, nonostante fuori stesse piovendo. Sorrise, un sorriso beffardo e niente affatto rassicurante.
“Ma guarda un po’, nel palazzo dove abita Gin si nasconde Sherry…” Prese il telefono cellulare, e con la mano coperta da un guanto nero, compose un numero. La sua faccia si deformò in un ghigno mentre rispondeva alla domanda del suo interlocutore.
“E’ proprio come mi avevi detto. Gin sta nascondendo la sua cara Sherry per proteggerla. Peccato che non sia servito a nulla…”
 
 
**
 
 
Shiho scese dal taxi guardandosi furtivamente intorno, poi, certa che nessuno la stesse osservando o seguendo, salì le scale dell’agenzia e suonò il campanello davanti alla porta. Era mattina presto, quindi sia Conan che Ran dovevano essere a scuola. Ma Shiho preferiva così: avrebbe detto a Goro che quella pillola era per Conan, e quell’uomo sbadato sicuramente non si sarebbe posto tante domande, gliel’avrebbe consegnata senza fare altre domande.
Come previsto da Shiho, fu proprio Goro ad aprirle la porta, con la sua solita aria svagata e distratta, la barba da rasare, i capelli scompigliati e la camicia aperta per metà sul petto.
“Mi dispiace signorina, ma oggi l’agenzia è chiusa.” Disse con tono atono, pronto a chiudere la porta. “Ripassi domani.”
“Veramente, sono un’amica di Conan e vorrei lasciare una cosa per lui.” Si affettò a dire Shiho.
“Ah, ho capito.” Goro, un po’ stupito, si scostò di lato per farla passare. “Quel marmocchio sarà felice di ricevere una visita.”
Shiho aggrottò le sopracciglia confusa, senza capire.
“Conan, c’è una tua amica qui!” Urlò Goro, e con immenso stupore Shiho vide il bambino comparire nel soggiorno in pigiama che starnutiva. Doveva essere rimasto a casa a causa di un brutto raffreddore.
Conan, dal canto suo, sembrava scocciato e infastidito, ma appena la vide la sua espressione cambiò dall’incredulità alla gioia, ma anche all’incertezza e al sospetto. Per quale motivo era venuta lì?
“Devo darti una cosa.” Disse lei, cercando di non far trasparire emozioni dal tono della sua voce.
Conan sembrò capire. “Vieni, potrai darmela in camera.” Le prese la mano, trascinandola lontana dalla vista di Goro. Una volta chiusa la porta, iniziò a subissarla di domande. “Non mi aspettavo che tu venissi qui. Anch’io volevo tanto vederti, e parlarti, ma non sapevo come fare. Cosa devi darmi? E poi per quale motivo hai preso l’antidoto?”
“Shinichi, non hai ancora capito? Mi stupisce che un detective intelligente come te non ci sia ancora arrivato. L’ho testato prima su di me, per capire se funzionava. È quello definitivo. Ed ecco il tuo regalo.”Shiho tirò fuori dalla tasca la piccola capsula bianca e rossa e gliela mise nel palmo della mano, dato che Conan era immobile per lo shock. “Dato che i nostri corpi hanno avuto la stessa reazione al veleno, credo proprio che avranno anche la stessa reazione all’antidoto. Praticamente è una certezza. Buona fortuna, allora.” Sorrise lievemente, ma Conan le tirò la manica del maglione per trattenerla e la strattonò, proprio come un bambino capriccioso. “Aspetta!” Aveva le lacrime agli occhi. “Tu dove andrai? Cosa farai?”
“Andrò in America, insieme a Gin. Là sarà più facile cominciare insieme una nuova vita. Mi dispiace, piccolo Sherlock Holmes, ma temo che le nostre strade non si incroceranno più.” Gli parlò come si parla ad un vero bambino, con un sorriso comprensivo su cui era poggiato un velo di tristezza.
Conan strinse i pugni. Il petto gli doleva. Stava finendo davvero tutto così? “Quindi… quindi questo è un addio?”
Shiho sorrise, triste. Non ci fu bisogno di parlare, Conan lesse la risposta nel suo sguardo. “Grazie di tutto, non ti dimenticherò, Shinichi. Torna presto dalla tua Ran, lei ti sta aspettando da un sacco di tempo.” Non pianse, non lo abbracciò con forza come nella scena di un film, perché in fondo, in cuor suo, voleva avere l’illusione che l’avrebbe rivisto. Lo guardò un’ultima volta, per imprimere nella memoria i tratti del suo viso, i suoi occhi grandi e buoni, i ciuffi sbarazzini che gli coprivano la fronte. “Ti auguro di essere felice.” Mormorò, prima di uscire in tutta fretta.  Poteva avere dei ripensamenti, stando lì dentro ancora a lungo.
Salutò rapidamente Goro e scese le scale, fermandosi davanti ai gradini per riprendere fiato. Avvertiva una tristezza profonda, mentre fissava, forse per l’ultima volta, quel pezzo di strada dove aveva aspettato Conan ogni mattina per mesi e mesi, per dirigersi verso la scuola elementare. Le chiacchiere innocenti e infantili degli altri bambini, le lezioni su quei banchi troppo piccoli, i succhi di frutta come merenda, le indagini fino a tarda sera, a caccia frenetica di indizi, i campeggi immersi nella natura, gli indovinelli ridicoli del dottor Agasa… quanto le sarebbero mancati.
Quante cose, quante persone avrebbe perso. Pensò a quei bambini un po’ invadenti ma in fondo buoni, che non avrebbe potuto salutare. Al sorriso solare e puro di Ayumi, quella bambina tanto piccola e dolce che ormai aveva imparato a considerare un’amica. Era affezionata ad Ai, e lei se ne stava andando senza nemmeno salutarla. Ma purtroppo non poteva fare altrimenti.
All’espressione dolce di Ran, così simile a sua sorella. Sarebbe stato come perdere Akemi per la seconda volta.
 Alla faccia seria di Conan, le loro conversazioni nascoste e preoccupate sull’Organizzazione, alla sua aria da pallone gonfiato quando riusciva a risolvere brillantemente un caso. Le sarebbe mancato infinitamente.
All’espressione bonaria e comprensiva di Agasa, con i baffoni grigi che fremevano sotto un sorriso. Non avrebbe potuto abbracciarlo e dirgli addio, non avrebbe potuto guardare negli occhi quello che  ai suoi occhi era il padre affettuoso che non aveva mai avuto, dicendogli che lo lasciava per sempre. Gli avrebbe lasciato un biglietto di saluti nella cassetta della posta. Scrisse poche, veloci righe, e corse ad imbucare la lettera di persona. Quanto le sarebbe mancata quella casa, il suo comodo e caldo letto dove riposava quando era malata e dove si svegliava sudata in preda agli incubi, quel divano soffice dove beveva tazze di caffè insieme a Conan e Agasa, sentendosi parte di una famiglia. Il suo dito si mosse prima dei suoi pensieri, e suonò il campanello. Voleva rivederlo ancora una volta.
Agasa si affacciò quasi subito alla finestra, e la sua espressione dapprima stupita divenne colma di gioia. Shiho alzò la mano in segno di saluto, e sorrise cercando di trattenere le lacrime, mentre i capelli le ondeggiavano intorno al volto sospinti da folate di vento. Quando capì che il professore stava per uscire, girò lo sguardo perché lui non si accorgesse delle lacrime che le solcavano le guance e corse via.
E si guardò indietro un’ultima volta, dicendo davvero addio a quella città, a quel piccolo quartiere dove aveva provato per la prima, e ne era certa, unica volta, l’incanto dell’infanzia, dove aveva trovato dei veri amici, delle persone speciali con cui condividere dolori e gioie.
Era tutto così difficile, così maledettamente difficile. Aveva gli occhi lucidi e un nodo in gola, ma si impose di non cedere. Andava incontro ad un’altra vita, ma niente sarebbe mai più stato così meravigliosamente magico come prima. Adesso doveva affrontare la crudele realtà. E senza saperlo, si incamminò verso la casa da dove non avrebbe più fatto ritorno e dove migliaia di sogni e di desideri si sarebbero spezzati con lei.
  
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