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Autore: Niglia    04/08/2015    3 recensioni
[Erik/Christine]
Christine è la cantante di una band, Erik un giovane uomo ossessionato da lei e dalla sua voce. Una sera, dopo un'esibizione, tenta un approccio "professionale"...
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Raoul De Chagny
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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WE ARE OUT FOR PROMPT - 31 Luglio/02 Agosto 2015

Titolo: An Unexpected Occasion
Personaggi: Erik/Christine Daaé, Raoul de Chagny
Prompt ©Tamara Patarini: Christine è la cantante di una band composta, oltre a lei, da Meg Giry, Carlotta Giudicelli e Raoul, il suo ragazzo. Erik è un giovane uomo ossessionato da lei e dalla sua voce. Una sera, dopo un'esibizione, tenta un approccio "professionale".
Note: modern!AU, triangolo.



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An Unexpected Occasion






Parte prima.

Il piccolo pub parigino C. Garnier – dal nome di colui che l’aveva aperto, negli anni venti del secolo scorso – era conosciuto per ospitare ogni sera della settimana band provenienti da ogni angolo nascosto della città, e per le gare tra di esse che venivano tenute una volta al mese. Era un locale caratteristico, con arredi ricercati e tipici della Belle Époque – luci soffuse, cuscini verde petrolio e oro, legno massello e lampade a gas – e ogni giorno attirava un numero spropositato di gente, tra turisti, curiosi e avventori affezionati.
Christine Daaé era grata di potercisi esibire con il suo gruppo. Era difficile riuscire a entrare nella lista standard delle band che venivano chiamate puntualmente una volta a settimana e a cui spettava persino un piccolo introito – in genere i gruppi nuovi e poco conosciuti si esibivano per il semplice piacere di farlo o per provare l’ebbrezza di salire sul piccolo palco del Garnier – ma grazie alle conoscenze di Raoul, suo ragazzo dai tempi del liceo, erano riusciti a stabilirsi a tempo indeterminato.
Poteva dire, dopo i due anni di vita della band, che erano un gruppo tutto sommato affiatato. Meg è stata la sua migliore amica sin da quando si era trasferita a Parigi, a sette anni, e suonava il basso; Raoul, che aveva conosciuto in terza media, si alternava tra chitarra elettrica e batteria a seconda dei brani; mentre Carlotta, la ragazza nuova trasferitasi da Roma in quarta liceo, cantava e suonava la chitarra tradizionale che dava sempre una certa malinconia alle loro canzoni. Per quanto riguardava Christine, era lei la cantante solista – anche se a volte preferiva cedere il posto a Carlotta pur di non sentirla lamentarsi e borbottare riguardo al fatto che la sua voce fosse migliore e che il pubblico venisse ad ascoltare lei. Per inciso, no, non venivano ad ascoltare lei – volevano Christine: ma gli altri le volevano troppo bene per farglielo notare.
Dunque, come già detto, Christine era grata della sua occasione. Ma non poteva fingere che la cosa le andasse del tutto bene: aveva sperato, non appena avevano iniziato a suonare al Garnier, che qualche produttore di musica li sentisse e offrisse loro un qualche contratto, ma finora – ed erano trascorsi già cinque mesi, il che significava una ventina di esibizioni all’incirca – non erano ancora stati avvicinati da nessuno. Monsieur André, uno degli attuali proprietari del locale, cercava sempre di tranquillizzarli dicendo che magari il mercato non era ancora pronto per loro, e che la loro occasione sarebbe arrivata quando meno se l’aspettavano, e che lui personalmente non aveva modo di rintracciare qualcuno dei sopracitati produttori per convincerli ad andare a sentire un particolare gruppo dato che lui, anche se gestiva un pub che serviva quasi unicamente a quello, non era per niente un esperto di musica.
Se non altro, Christine era certa di avere almeno un fan – anche se di questo ne aveva tenuto all’oscuro gli altri membri del gruppo, specialmente Raoul. Dopo ogni esibizione, infatti, il barista le si avvicinava e le porgeva discretamente una rosa rossa “da parte di un ammiratore segreto”, poi le faceva l’occhiolino e tornava al suo lavoro. Christine aveva provato a chiedergli chi gliele lasciasse, se non altro per ringraziarlo, ma il Persiano – così si faceva chiamare dal resto dello staff – scuoteva il capo con un mezzo sorriso e le diceva che, se e quando questo ammiratore avesse voluto smettere di essere segreto, lei sarebbe stata la prima a saperlo.
La ragazza non poteva fare a meno di apprezzare il romanticismo del gesto, anche se personalmente non avrebbe mai tradito Raoul. Era una cosa dolce e carina, resa ancora più gradita per il fatto che non ci fosse esibizione che concludesse senza che lei ricevesse una rosa. Era sicura che lui – doveva per forza trattarsi di un lui, decise Christine – si trovasse nel pub per poterla sentire cantare, e che fosse anche amico del Persiano, o non si spiegava come mai il barista ci tenesse in modo particolare a coprire e assecondare la sua missione.
«Christine, tutto bene?»
La voce preoccupata di Meg la riscosse dai suoi pensieri, riportandola bruscamente sul palco del Garnier. Si voltò verso di lei, osservandola mentre accordava la sua chitarra, e le sorrise. «Sì, Meg, non preoccuparti. Ero solo sovrappensiero.»
L’amica le si avvicinò, uno sguardo comprensivo sul volto. «Stai ancora pensando a quello che ci ha detto monsieur André? Lascia perdere, Chris», la confortò. «Magari stasera è la volta buona che un produttore entra da quella porte e ci offre un contratto. Chi può dirlo? Ora come ora possiamo solo dare il meglio di noi sul palco.»
E non è quello che facciamo tutte le sere? Christine sospirò rassegnata. «Sì, Meg. Hai ragione», annuì, passandosi una mano tra i capelli con aria spazientita. Prima stava pensando solo al suo ammiratore, ma grazie a Meg adesso le era tornata anche l’ansia per i produttori – quella serata non stava procedendo per niente bene, se si aggiungeva anche il mezzo litigio che aveva avuto con Raoul prima di venire al locale.
Tornò a volgere lo sguardo verso il pubblico, scrutando i tavolini debolmente illuminati da caratteristiche lampade a gas e cercando qualcuno che avesse scritto in faccia “ammiratore segreto” – non trovandone, ovviamente. Chi poteva essere? Il Persiano non le aveva dato il minimo indizio, e adesso era irritata anche per quel mistero irrisolto.
Accolse con gratitudine l’inizio della musica e il rumore del chiacchiericcio che si trasformò in un quieto brusio – a quel punto strinse il microfono tra le mani e iniziò a cantare.


Parte seconda.

Seduto in un tavolino solitario sulla balconata del locale che circondava la sala sottostante, un uomo nascosto nell’ombra giocherellava distrattamente con lo stelo di una rosa rossa, trattenendo poi il fiato quando alle prime note della musica si aggiunse la voce melodiosa della cantante.
Sospirò, chinandosi in avanti per avere una visione migliore senza rischiare di farsi notare dal resto degli avventori. Erano già tre mesi che seguiva i progressi di quella band: conosceva a memoria il testo di ogni canzone, aveva memorizzato ogni singolo accordo, notava il più minimo cambiamento che veniva apportato alla spartitura, e poteva addirittura interpretare l’umore della giovane cantante a seconda di come le brillavano gli occhi o stringeva le dita intorno al microfono. Quella sera appariva combattuta: aggrottò la fronte al di sotto della maschera nera che indossava – il bianco avrebbe attirato troppa attenzione nel buio – e ripensò a ciò che gli aveva riferito il suo amico Persiano. A quanto pareva nessuno si era ancora fatto avanti con delle proposte serie per la loro carriera, e l’umore del gruppo era leggermente a terra.
Erik sbuffò: il problema non era di certo della cantante – lei era perfetta, anche se gli sarebbe piaciuto poter avere la possibilità di rendere la sua voce più raffinata ed elegante. Il problema era che si trattava di quattro ragazzi poco affiatati: la ragazza con i capelli rossi che di tanto in tanto cantava sembrava fare di tutto per mettere in ombra la solista, il ragazzo suonava bene o male a seconda di quanto aveva litigato con la sua fidanzata – le nocche della sua mano divennero bianche al pensiero di loro due insieme, ma come sempre mise un freno ai propri istinti – e la biondina mancava di tecnica e spessore.
Riportò l’attenzione sulla cantante, piegando il capo di lato con curiosità quando la vide scrutare il pubblico con aria assorta e determinata, come se stesse cercando qualcuno in particolare. Inevitabilmente sorrise: che stesse cercando lui – o meglio, il suo ammiratore segreto? Se pensava di trovarlo tra la folla, in piena vista, si sbagliava di grosso – non era tipo da esporsi al pubblico ludibrio come chiunque altro.
Il Persiano gli aveva detto più volte che Christine – Christine, si chiamava, il suo angelo aveva persino un nome elegante – avrebbe voluto conoscerlo e ringraziarlo, ma in realtà Erik doveva ammettere di essere indeciso. Non che il desiderio non fosse corrisposto – avrebbe dato un braccio per poter parlare faccia a faccia con lei, con la donna che negli ultimi tre mesi era stata la sua ossessione, l’aria che gli permetteva di respirare, la protagonista di sogni e fantasie – ma temeva che il suo aspetto peculiare avrebbe in qualche modo impedito qualsiasi tipo di rapporto, sia lavorativo che privato.
Non che dubitasse della sua gentilezza e delicatezza, ed erano pur sempre nel ventunesimo secolo, e cose che nei secoli passati lo avrebbero portato all’ostracismo del resto della società oggi sarebbero magari passate più o meno in secondo piano; ma onestamente, vista l’infanzia che aveva tollerato e la vita che aveva condotto, non si sentiva molto ottimista al riguardo. Era anche per quel motivo che indossava una maschera e mandava chi lavorava per lui a svolgere le sue commissioni durante il giorno: non aveva alcuna intenzione di essere additato come lo scherzo della natura del momento.
Eppure non poté fare a meno di domandarsi se per lei, per Christine, per conoscerla, ne valesse la pena.
La risposta gli giunse verso la fine della loro esibizione, quando le ultime note si persero nell’aria poco prima degli applausi: sì, lei ne era degna. Come altro spiegare la fortuita coincidenza che lo aveva portato a varcare proprio quel locale, una banale notte di tre mesi prima, se non per incontrare lei?
Presa la sua decisione, Erik si alzò, la rosa tenuta con cura tra le mani, e si diresse a reclamare un posto nella vita della ragazza.


Parte terza.

Meg e Carlotta erano rientrate a casa: neanche oggi qualcuno si era fatto avanti per parlare di lavoro, e le due non vedevano l’ora di chiudere la serata e dimenticare quella situazione affidandola al sonno. Anche Raoul era rincasato, ancora irritato e furioso con la fidanzata sia per il litigio che per il recente rifiuto di lei di riaccompagnarla a casa - «Abito a due isolati da qui, Raoul, ho voglia di fare due passi. Ci sentiamo domani», gli aveva detto seccamente, senza neppure aspettare una risposta.
Christine era rimasta un altro po’ al Garnier per bere qualcosa, infastidita col mondo per una miriade di ragioni diverse. Era preoccupata per la band, che sarebbero stati costretti a sciogliere se una qualche occasione non si fosse presentata il più presto possibile; era arrabbiata con Raoul, che continuava a trattarla come una bambina fragile da tenere rinchiusa sotto una campana di vetro, e che aveva – come diavolo aveva fatto, poi – scoperto del suo ammiratore e delle rose che le lasciava, perché quella scema di Carlotta aveva lo sguardo lungo quasi quanto la sua lingua e non riusciva a tenere la bocca chiusa; e soprattutto era irritata e delusa perché il suddetto ammiratore segreto, quella sera, non aveva palesato la sua presenza con le sue solite rose rosse. Era un motivo stupido per essere arrabbiata, Christine lo sapeva bene – dopotutto non lo conosceva neanche, e per quanto ne sapeva poteva essere anche lo stesso Persiano – eppure non poteva fare a meno di sentirsi, in un certo senso, abbandonata.
Infilandosi il cappotto e imbacuccandosi per bene, visto che fuori l’aria ottobrina era decisamente gelida, Christine rifletté che forse era per questo che Raoul l’aveva presa così male – in fondo era la sua ragazza, e se la sua mente era occupata quasi interamente dal mistero che era questo fan segreto, non si rifletteva forse in modo misero su di lei? Ovviamente non aveva mai tradito Raoul, né con la mente né con il pensiero – beh, esclusi certi attori hollywoodiani, in ogni caso – e non aveva intenzione di farlo neanche stavolta.
Però, ecco… Ciò non le impediva di essere curiosa, giusto?
Le campanelline appese sulla porta del locale tintinnarono quando uscì in strada, pronta a farsi una lunga passeggiata solitaria prima di raggiungere il suo appartamento – in cui viveva per conto suo, grazie alla buonanima di mamma Valerius che gliel’aveva lasciato in eredità.
Aveva fatto appena due passi quando una figura si staccò dall’ombra del vicolo, piazzandosi in mezzo al marciapiede e costringendola a fermarsi con un’esclamazione appena soffocata e a malapena educata.
Stava quasi per fare dietro-front e rientrare nel locale, spaventata, quando la figura – l’uomo, decise – allungò una mano verso di lei porgendole bruscamente una rosa rossa.
A quel punto tutta la sua attenzione si focalizzò sul fiore che lo sconosciuto teneva in mano, e con sua stessa sorpresa, anziché voltargli comunque le spalle e trovare rifugio nel pub, perché chissà chi diavolo poteva essere e poteva volere da lei questo estraneo, ammiratore segreto o meno, Christine fece un passo in avanti e accettò la rosa dalla sua presa.
L’uomo parve allora rilasciare il respiro che aveva trattenuto, e d’un tratto, malgrado il cappello che indossava ben calato sul viso, non apparve più tanto minaccioso.
«Le chiedo scusa», esordì allora cautamente, con una bassa voce musicale che le fece venire i brividi. «Non era assolutamente mia intenzione spaventarla. Non sono un malintenzionato – volevo solo farle di persona i miei più sinceri complimenti, e ringraziarla per aver permesso a noi tutti di godere della bellezza della sua voce. Il Daroga… voglio dire, il Persiano… mi ha detto che avrebbe voluto conoscermi, e non volevo… non voglio che possa sentirsi minacciata dall’ombra di uno sconosciuto che semplicemente l’ammira.»
«Oh», fu tutto ciò che riuscì a dire Christine, in un misto tra imbarazzo e delizia. «In effetti gli ho chiesto diverse volte di lei, ma mi ha sempre detto che è un uomo che ama la sua privacy e che probabilmente non l’avrei mai vista. Mi dispiace che si sia sentito in obbligo di andare contro i suoi desideri solo per placare la mia curiosità, ma non nego che sono molto lieta di fare la sua conoscenza.»
A quel punto sorrise e, spostando la rosa dalla mano destra a quella sinistra, gli porse la prima e disse: «Io sono Christine, Christine Daaé. E la ringrazio di cuore per le sue bellissime parole.»
Erik la guardò dal di sotto del cappello e della maschera tra soggezione e meraviglia, non credendo davvero che il loro primo approccio potesse andare così bene. Subito allungò la propria mano e strinse con delicata fermezza quella di lei, ricambiando il favore delle presentazioni. «Non ho detto che la pura e semplice verità. E il mio nome è Erik Destler.»


Parte quarta.

Nell’udire quel nome, Christine trattenne bruscamente il fiato. «Oh mio Dio», mormorò. «Erik Destler… Lei è quel Destler? Il famoso compositore… Il pianista?»
«Suono parecchi strumenti», fu la sua unica risposta, accompagnata da un umile cenno affermativo del capo. Finse di non mostrare quanto il fatto che lei lo conoscesse lo avesse riempito di soddisfazione, visto che non si aspettava che una ragazza così giovane fosse informata sulle novità della musica classica. «La prego, nessuna deferenza. Sono io qui l’ammiratore, e lei l’artista.»
«Mi permetta di dissentire, monsieur! Lei è un genio, e io di certo non merito…» Balbettò lei ancora incredula, cercando di memorizzare più dettagli possibili di quello che era, ai suoi occhi, una sorta di divinità della musica.
«Coraggio, mademoiselle Daaé», la interruppe subito, avvicinandosi e porgendole gentilmente un braccio: contava di trarre quanto più possibile da quella fortuita situazione. «Posso essere tanto audace da offrirmi di accompagnarla a casa? Il Daroga mi ha detto che abita qui vicino.»
«Si è informato su di me?» Domandò Christine senza parole, accettando il suo braccio e lasciando che la conducesse lungo il marciapiede.
«Non è quello che fanno tutti i fan, forse?» Replicò lui restituendole la domanda, sorridendo al di sotto della maschera che non era sembrata turbare la giovane più di tanto. «Inoltre, vorrei approfittare di questo incontro per introdurre un altro argomento.»
«La prego», lo esortò lei a mezza voce.
Erik annuì, poi scelse le successive parole con estrema cautela. «Sarei molto onorato se lei prendesse in considerazione l’idea di diventare mia allieva, mademoiselle Daaé. Ha una voce meravigliosa e molto espressiva, ma sono nel giusto se assumo che non sia mai stata, come dire?, educata tecnicamente?»
Alla conferma della ragazza, lui proseguì. «Dunque, questa è la mia proposta. Lei mi permetta di istruirla, e le posso garantire che entro la primavera tutta Parigi conoscerà il suo nome, ed entro il prossimo inverno avrà così tanti impegni da avere a malapena il tempo di respirare.» Tacque un momento, poi sorrise e aggiunse in tono più scherzoso: «Ma forse questo non depone a mio favore e non avrei dovuto dirlo, mh?»
Christine si lasciò sfuggire una risatina, poi si prese alcuni momenti per pensare; Erik glielo permise.
Non avevano fatto che venti passi quando lei parlò. «La sua proposta è probabilmente la cosa più bella che mi potrà mai capitare», esordì, con un sospiro palesemente sognante. «Tuttavia, deve capire che io non canto da sola: faccio parte di un gruppo. E una simile offerta, per quanto allettante – non mi fraintenda! – mi porterebbe ad allontanarmi dai miei amici e dalla nostra band probabilmente senza possibilità di ritorno. Mi creda, se fossi da sola, se dovessi pensare solo per me, le direi sì senza pensarci due volte… Ma per il momento ho bisogno di discuterne con gli altri, considerare i pro e i contro, vedere cosa sia più conveniente. Sul serio, monsieur Destler, non me ne voglia a male, ma non posso proprio darle una risposta subito. Posso essere tanto presuntuosa da chiederle se possiamo riparlarne in un secondo momento?»
Erik apprezzò la diplomazia che Christine aveva mostrato nel rispondere, e apprezzò ancora di più che lei non gli avesse detto un secco no così, a prescindere. Era una ragazza saggia malgrado la sua età, il suo modo di pensare e parlare ne era chiaro esempio, per cui non la biasimò per aver preso quella decisione.
No, ciò che rimpiangeva era di non averla incontrata prima che quella stupida band nascesse, legandola a degli inetti che le avrebbero tarpato le ali vita natural durante se lei non se ne fosse liberata al più presto.
E quello sciocco ragazzo – ah! Di sicuro l’insolente avrebbe fatto di tutto per convincerla a non accettare, come se avere il suo affetto non fosse abbastanza – no, il giovane voleva anche la sua anima, la sua voce, avido com’era. Ebbene, Erik non poteva accettarlo: doveva fare in modo di convincere Christine che la sua proposta era troppo succulenta per poterla ignorare, e doveva fare in modo soprattutto che il fidanzato non entrasse nel merito delle sue decisioni.
«Non si preoccupi, mademoiselle, capisco perfettamente il suo punto di vista», ammise infine con un sospiro, decidendo per il momento di non insistere – non voleva fare la figura dell’ossessivo. «Ci sono scelte che cambiano e sconvolgono la vita, e che non è mai facile compiere. Ma se fossero facili forse non ne varrebbe davvero la pena, non crede? Ad ogni modo, si prenda pure il suo tempo: le lascerò il mio biglietto da visita, così potrà entrare in contatto con me quando più le fa comodo. Se non dovesse trovarmi, le basterà rivolgersi al Persiano e sarò io a trovare lei, le va bene?»
Christine annuì immediatamente, grata di non essersi appena giocata l’occasione della vita con la sua prudenza. «La ringrazio, monsieur Destler, sul serio», ripeté per l’ennesima volta, rafforzando appena la stretta sul suo braccio come per trasmettergli la sua gratitudine.


Parte quinta.

Quando arrivarono infine nella sua via, chiacchierando tranquillamente come vecchi amici, Christine notò una macchina parcheggiata davanti al portone del suo condominio che non ci sarebbe dovuta essere. Mentre vi si avvicinava, lo sportello del guidatore si aprì bruscamente e Raoul uscì dall’auto come una furia, sbattendolo con forza per richiuderlo e fissandola con così tanta rabbia e sospetto da farle male al cuore.
Deglutendo, si sciolse gentilmente dalla stretta di Erik e gli rivolse un mezzo sorriso di scuse. «Mi scusi un attimo», mormorò, prima di raggiungere il suo fidanzato.
Raoul la aspettava a braccia conserte poggiato contro la macchina. «E questa cosa che significa?» Sibilò, indicando con un cenno del capo all’uomo che attendeva pacatamente qualche metro più indietro, l’essenza stessa della galanteria.
«Significa che ho incontrato un amico che si è offerto di riaccompagnarmi a casa, Raoul», ribatté lei sullo stesso tono, pregando che Erik non li sentisse. «Che problema hai?»
Il ragazzo la fissò come se fosse diventata pazza. «Che problema ho? Ti sto aspettando da più di un’ora, ecco che problema ho! E tu stai gironzolando con un altro?»
«Raoul!» Esclamò Christine inorridita e imbarazzata. Poi gli piantò un dito sul petto e riabbassò la voce, nuovamente furiosa. «Come ti permetti? Non ti fidi di me, forse? E in ogni caso ti ho detto che ci saremmo rivisti domani, quindi non hai alcun motivo di trovarti qui. Sono ancora arrabbiata con te, sai.»
«Ah certo, sei tu quella arrabbiata, scusami eh», replicò subito, sarcastico. Lanciò un’occhiataccia a Erik e insisté, afferrandole una mano: «Non mi hai mai parlato di un amico che se ne va in giro mascherato. Sei sicura di dirmi tutto, Chris?»
Imbarazzata e offesa oltre ogni dire per conto di monsieur Destler, Christine strappò la propria mano dalla stretta del fidanzato. «Senti, non ho intenzione di fare una scenata in mezzo alla strada. Okay? Ritorna a casa, e ne parliamo domani. Domani, Raoul. Non farmi arrabbiare.»
«Me ne andrò quando tu sarai dentro casa e quel tipo sarà sparito», ringhiò insistente il ragazzo, a voce non abbastanza bassa da non essere sentito.
«Bene», sibilò lei, voltandogli le spalle e raggiungendo rapidamente il suo nuovo amico. Si fermò a pochi passi da lui per riprendere fiato e si accorse di avere le guance in fiamme, insieme dalla rabbia e l’imbarazzo, e per un momento non seppe che dire. «Sono mortificata», sbottò alla fine, a mezza voce. «Non so cosa dirle per scusarmi. Raoul è…»
«Un fidanzato fin troppo premuroso?» Offrì Erik gentilmente, benché si sentisse tutto fuorché generoso nei confronti dell’altro ragazzo. In realtà, avrebbe voluto scuoterlo violentemente per il modo in cui aveva trattato la giovane, che aveva come unica colpa quella di essere troppo affabile ed educata. «Non si deve scusare, non è colpa sua. Bene», sospirò poi, frugando all’interno della propria giacca alla ricerca del suo biglietto da visita, e porgendolo poi a Christine. «Suppongo che il mio compito per stasera si concluda qui. Quello è il mio numero privato, mi chiami quando vuole senza alcuna esitazione. È stato un enorme piacere fare la sua conoscenza, mademoiselle Daaé.»
«Oh no, il piacere è stato tutto mio, mi creda!» Esclamò frettolosamente lei, allungandosi per stringergli di nuovo la mano in una stretta grata. «La ringrazio ancora per l’opportunità che mi sta dando, le darò una risposta non appena possibile.»
«Attenderò con ansia», sorrise lui, benché lei non potesse vederlo. «Buonanotte, mademoiselle. Di nuovo, è stato un piacere», la salutò infine, sfiorandosi il bordo del cappello con due dita per poi voltarsi e sparire lungo la strada soffusamente illuminata.
«Buonanotte, monsieur», sussurrò lei guardandolo andare via. Le sue dita sfiorarono ancora incredule il cartoncino del biglietto da visita, Raoul per il momento completamente dimenticato.


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Oneshot: 3810 parole


   
 
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