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Autore: FedeB    04/08/2015    2 recensioni
"Era stato in quel momento che Adam aveva capito che sarebbe morto.
Poi il soldato puntava la pistola contro la tempia di sua madre, diceva qualcosa. E sparava. E Adam si svegliava.
“One thousand brains to create one.”"
Fai attenzione a quello che sogni, perché potrebbe rivelarsi vero.
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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One Thousand Brains To Create One
 
Adam si svegliò di soprassalto, la mano sinistra stretta attorno alle lenzuola del suo letto e gli occhi spalancati a guardare il soffitto di camera sua, la stanza leggermente illuminata dalla luce del mattino che filtrava dalla finestra aperta.

Allentò lentamente la presa dalle lenzuola, il cuore che gli martellava nel petto, assordandolo, ma facendogli capire di essere vivo.

Non era la prima volta che gli capitava di fare sogni vividi, ma quello… quello era stato tutta un’altra storia.

Se si fosse concentrato, sarebbe stato in grado di sentire quella voce, quell’accento inglese così marcato e l’odore penetrante della polvere da sparo.

Afferrò il cellulare dal comodino, leggendovi l’ora: le dieci del mattino. Nemmeno così tardi, considerati i suoi standard. In più era estate, un po’ di meritato riposo poteva concederselo.

Tese l’orecchio per captare eventuali rumori che gli avrebbero indicato la presenza di altre persone nella casa, ma a giudicare dal silenzio che la avvolgeva, dedusse di essere da solo. Tutti al lavoro.

Decise di alzarsi per andare a fare colazione, cercando di lasciarsi alle spalle e dimenticare del tutto quel sogno così strano.

Sua madre era viva. Non erano in guerra. I giapponesi non li avevano invasi. La seconda guerra mondiale era finita. Andava tutto bene.

Che poi, per quanto ricordasse dalle lezioni di storia, i giapponesi non avevano mai tentato di invadere l’Italia, o di attuarvi un colpo di Stato.
 
Eppure… Eppure quella sensazione di realtà, di veridicità, proprio non si decideva ad abbandonarlo.

Cosa diavolo voleva dire quella frase detta in un inglese perfetto per un giapponese?

Forse, semplicemente, stava dando troppo peso a ciò che il suo cervello decideva di mostrargli durante il sonno.
Anzi, senza il forse.

A risvegliarlo dai suoi pensieri fu il suono del suo cellulare che gli notificava l’arrivo di un messaggio da Arwen, il suo migliore amico, che gli raccontava qualcosa della sera precedente.

Scrisse un veloce messaggio di risposta e poi, facendo partire il registratore per mandare una nota audio al suo amico si decise a condividere la sua stranezza con almeno un’altra persona.

Così, con la voce ancora impastata dal sonno, si mise a raccontare.


Era inverno, nel sogno. Non ricordava esattamente se avesse nevicato o meno, ma di sicuro faceva freddo, considerato come erano vestiti.
Ricordava di essere con sua madre, che camminavano per una delle strade principali della sua città, quella con più negozi.

Ricordava di fermarsi a parlare con una sua amica nella piazza del mercato e di incontrare un attore famoso che lui adorava e di parlarci per qualche minuto per poi tornare indietro e sedersi su uno scalino della via principale, di fronte ad un negozio di tecnologia.

Alzando lo sguardo vedeva uno schermo che trasmetteva immagini in bianco e nero di soldati asiatici, quasi sicuramente giapponesi. Erano in quattro. Tre uomini e una donna dai tratti severi, gli occhi spietati.

“See those men?” proiettava lo schermo. Vedete quegli uomini?

Le immagini che si erano susseguiti erano state troppo veloci per lui per essere comprese completamente, ma in linea di massima aveva capito si trattasse dei quattro uomini intenti a sparare su una folla di persone con violenza inaudita.

Con inglese scolastico, le scritte sullo schermo raccontavano la storia dei quattro soldati giapponesi più feroci e violenti che il Giapponese avesse mai visto tra le sue fila. Vere e proprie armi perfette, atte agli omicidi più efferati per il macabro gusto di uccidere nel nome della guerra. Della Seconda Guerra Mondiale.

Mentre Adam leggeva queste parole ricordava di udire il suono di colpi da arma da fuoco e l’odore acre della polvere da sparo. Voltava di lato la testa e scorgeva dei soldati in divisa nera che si avvicinavano lentamente, lasciando dietro di loro una scia di cadaveri che cadevano a terra come pesi… beh, morti.

Sua madre, constatava voltandosi a guardarla, non si era accorta di niente, ma anzi continuava a guardare lo schermo e le immagini che trasmetteva con volto sereno, segnato dalle rughe che il tempo vi aveva scolpito sopra.

Ricordava di provare ad alzarsi, per trascinare la donna via con lui, ma le sue gambe non rispondevano ai comandi e lui era costretto a guardare i soldati che continuavano la loro avanzata, uccidendo tutte le persone sedute come loro sullo scalino della via. Fra i soldati era riuscito a scorgere persino le macchine da guerra. Quei quattro soldati che, a rigor di logica, avrebbero dovuto essere morti. Invece erano più vivi che mai e camminavano con passo cadenzato, brandendo armi da guerra.

Un soldato, nel frattempo, si era staccato dal gruppo e si era avvicinato ad una coppia di fidanzati, seduti poco più in là e – come loro – inchiodati al suolo e completamente indifferenti a quello che stava succedendo.

Il soldato sorrideva. I suoi occhi non lasciavano trasparire nessuna emozione. Non rabbia, non pena o dolore, né paura. Ma divertimento. Puro, semplice folle divertimento.

Poi puntava una pistola dalla canna allungata e sottile alla tempia del ragazzo e dal suo sorriso era scomparso il sorriso che prima lo aveva caratterizzato.

Poi il soldato diceva qualcosa. E sparava.

Nella confusione e nell’agitazione dell’azione, Adam era stato in grado di capire solo una parola di ciò che il giapponese aveva detto. “Brains.” Cervelli.

E nel momento stesso in cui le sue gambe decidevano di riprendere a funzionare, il soldato si avvicinava a loro.
La recente esecuzione non gli aveva lasciato addosso nemmeno una traccia: la divisa nera era intonsa, la pistola lucida come se non fosse mai stata utilizzata.

Era stato in quel momento che Adam aveva capito che sarebbe morto.

Poi il soldato puntava la pistola contro la tempia di sua madre, diceva qualcosa. E sparava. E Adam si svegliava.

“One thousand brains to create one.”



Niji's corner
Ok, ehm.
Allora, innanzitutto vorrei ringraziare tutte le persone che leggeranno questo primo capitolo.
Come avrete intuito si tratta di una sorta di prologo, più che un vero e proprio capitolo, tuttavia mi serviva per far partire la storia.
Il sogno che Adam fa è in realtà un sogno che ho fatto io, lol.
Questa storia, difatti, si concentrerà tutta sul sogno di Adam per poi svilupparsi. Spero la troviate interessante, tanto quanto io mi diverto a scriverla.
Attualmente ho in preparazione il secondo capitolo, ma non ho idea di quanto possa dilungarsi.
E non ho idea nemmeno di quando lo pubblicherò, il secondo. lol.
Va beh, in ogni caso vi ringrazio nuovamente e spero che mi lasciate qualche recensione, anche un commentino - ino mi farebbe piacere, giusto per sapere se vi è piaciuta!
Un bacione, 
Niji

 
  
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