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Autore: Bolide Everdeen    05/08/2015    3 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 12, Savannah Sparks.]
Queste parole erano sgorgate senza sosta né programmazione dalla sua bocca, e come al solito provocarono alla bocca del Capo Pacificatore qualche concitata risata trattenuta.«Ricorda che io sono il Capo Pacificatore, tu non puoi dire a me queste cose su tua madre, potrei andare a raccontargliele.»
Scostando un flessibile ramo di un albero lì accanto, accarezzandolo come pegno della temporanea variazione di aria, Savannah replicò:«Sì, però non lo dico a Near il Capo Pacificatore. Lo dico a Near compagno di avventure che per riprendermi ha infranto una regola fondamentale di Panem.» Savannah adorava provocarlo, ed era come se Near adorasse essere provocato. Impostava un sorriso di umiltà, annuiva e replicava con un'affermazione arresa, come in quel caso:«Ok, ok, questa volta hai vinto tu. Non pensiamoci più.»

[...]
Ah, Near, se tutti in questo mondo mi capissero come te, forse queste urla non si verificherebbero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Near

Il lago si stagliava davanti a lei, del solito colore azzurro splendente che riusciva sempre a pretendere ed a estirpare un momento della sua calma. Savannah arrivava in quel posto per rimanere sola un momento, principalmente, oltre per sviare i confini del distretto 12 ed attendere, attendere che qualcuno tentasse di catturarla, giocare con lui fuggendo dalla sua morsa con la sua eloquenza, ricevendo i rimproveri di quelle due persone chiamate “genitori” il cui unico scopo pareva di racchiudere sotto i loro ideali la sua vita, tramutarla in qualcosa di “puro”, e non di sedare il desiderio di libertà, o qualche cosa simile alla libertà, l'eludere ciò che tutti temono. E lei varcava continuamente la recinzione del distretto, per appagare questo suo desiderio, per rendere concreti i suo sforzi per distinguersi dagli altri. E forse, anche per distinguersi da quei caratteri di se stessa considerati eccessivamente scomodi, inservibili sui suoi panni canzonatori.

D'improvviso, trovò assurda quella sua inerzia di fronte alla distesa argentata. Balzò in piedi con un'agilità allenata e naturale nei suoi arti, afferrò un sasso di quelli difussi sulla riva, ed iniziò ad aggredire la superficie dell'acqua con esso e dei suoi compagni, divertendosi alla risposta del lago che li rigettava per qualche saltello ancora, prima di inghiottirli, prima di affogarli e racchiuderli sotto il suo peso. Quello era ciò che accadeva spesso a lei, sentiva che paragoni fra lei e quegli eventi erano effettuabili: i comandi si scontravano con il suo corpo, si distanziavano ancora per qualche metro, ritornando alla loro fonte; venivano rigettati, e così fino a quando lei non li distruggeva definitivamente con una parola, un gesto, una decisione in più. Un sorriso beffardo, come quello onnipresente sul suo volto. Quel sorriso beffardo che un momento dopo fu reso un'espressione sorpresa e vacillante, per un'inattesa e attesa frase:«Siamo alle solite, Savannah, eh?»

La ragazza si voltò, impostando sulla sua espressione l'ordinario invito alla sfida, e scontrò il suo sguardo con quello del Capo Pacificatore Near. Lui pareva essere ugualmente divertito dalla situazione, e concesse alla sua bocca di rincarare con i rimproveri d'obbligo prima di attendere la replica di Savannah:«Lo sai, i tuoi genitori e l'intera Panem non vorrebbero che tu ti trovassi qui.»

«I miei genitori e l'intera Panem evidentemente non vogliono cosa voglio io» calcò lei, accostandosi con le braccia incrociate all'uomo. Da quanto tempo quelle commedie si verificavano quasi quotidianamente? Quante volte si erano incrociati, sia all'interno che fuori dal distretto, per imporre uno all'altro di eseguire il proprio compito? Savannah riusciva ad animare le giornate di Near, e Near ad impostare dei limiti per la ragazza, a controllare le sue follie prima che divenissero addirittura deleterie per se stessa. Se nessuno avesse compreso la motivazione per la quale ogni arto della ragazza pareva così reticente al territorio legalizzato, probabilmente lei avrebbe ampliato i suoi movimenti fino ad infittirsi nei guai irrevocabili, guai che l'avrebbero portata a dolore, qualsiasi tipo di dolore, per lei ed altri suoi conoscenti. Savannah non aveva amici, però aveva un secondo e valido educatore in Near, un confidente, addirittura. E ciò sembrava essere sufficiente, per lei.

«Tu dovrai vivere, un giorno. Forse non con i tuoi genitori, ma con l'intera Panem sicuramente. Perciò, credo che dovresti abituarti ad andare incontro alle persone, anche perché io non rimarrò qui per sempre. Ed ho paura di ciò che potresti combinare se io non ti stessi dietro.» L'uomo replicò con queste brevi frasi, e poi le accennò con la mano di seguirlo, di effettuare di nuovo la strada della sua libertà in un corteo che si sarebbe potuto definire come umiliante, ma a fianco di Near diveniva una passeggiata, uno dei momenti migliori dell'intera giornata. Il momento del confronto, e di un dialogo in cui allenare il proprio senso dell'umorismo e dell'indipendenza, con continue battute che la saggezza del Capo Pacificatore sosteneva. E continuavano così, fino a quando la condanna non li restituiva alle nere strade del distretto 12, e ognuno alla propria rigidità. Savannah si concentrò sulle parole di Near, e cavò una riposta adeguata per quelle considerazioni:«Il giorno in cui tu morirai, io sarò già morta o scappata. O i miei genitori mi avranno rinchiuso in cantina, fidati di me, loro ne sono capaci.»

Uno dei migliori lati di Savannah era la sua comprensione verso le sue azioni: anche se tentava di riflettere sulla profondità dell'evadere dagli ordinari confini del distretto, lei si rendeva conto di uscire principalmente e solamente perché le piaceva. Le piaceva, e nessuno le aveva imposto di imitare quei passi, nessuno aveva imposto che rientrassero nelle sue passioni. Era naturale, e lei si dedicava al suo impeto. Evidentemente, Near aveva dovuto provare simili sensazioni, nella sua giovinezza, per essere così indulgente con lei. Ma Savannah adorava pensare che era sempre la sua scaltrezza a rendere così replicabile ogni suo crimine, a desistere dal renderla una fuorilegge da rinchiudere in gattabuia, o condannare a ciò che era offerto a chi disertava dalla legge con estrema facilità come lei. Ad essere sinceri, le pene prescritte quasi mai venivano praticate, e, se mai realizzate, erano decisamente più lievi del previsto. Questo riusciva sempre a tranquillizzare la ragazza, nonostante lei non avesse mai temuto la frusta dei Pacificatori, oppure il buio di una cella. Era consapevole che erano irrealizzabili, per lei, perché Near l'avrebbe sempre garantita, come accadeva dalla prima volta in cui si erano incontrati.

E quella volta era stata dieci anni prima, un tempo che aveva concesso loro di frapporre il proprio spirito all'altro, di confrontarsi nello spirito della persona accanto a loro come se si stessero esaminando in uno specchio, e sentirsi compresi per questo. Forse addirittura liberi; una libertà che rendeva solamente una pallida, grezza statua di scarti di alluminio l'evadere dai confini imposti da persone neanche conosciute, che però comunque miravano ad imporre una chiusura inestimabile nella sua vita. Infantilmente, Savannah credeva che fossero esageratamente pretenziosi, nell'ordinare addirittura di non recarsi nel bosco, il quale poteva divenire principale sostentamento per alcune famiglie, con il lago, la selvaggina, le bacche. A volte aveva esposto queste idee a Near, e lui si era mostrato cupamente d'accordo. Però, era accaduto troppo spesso per poter seriamente variare la situazione.

«Allora, cosa accade di nuovo nel grande e tumultuoso mondo di Savannah Sparks?» domandò Near, con il suo solito tono intrattenuto dalle conversazioni con la ragazza. Lei sorrise, e replicò:«Niente di nuovo. Come al solito, tento di scappare da mia madre che mi dice di pettinarmi i capelli. Però, io trovo che spettinati mi stiano meglio. Solo che, se glielo dicessi, come minimo mi tirerebbe uno dei suoi bellissimi centrini di pizzo sperando che il miracoloso contatto con loro mi trasformasse in una damina di casa di cui andare fieri.»

Queste parole erano sgorgate senza sosta né programmazione dalla sua bocca, e come al solito provocarono alla bocca del Capo Pacificatore qualche concitata risata trattenuta.«Ricorda che io sono il Capo Pacificatore, tu non puoi dire a me queste cose su tua madre, potrei andare a raccontargliele.»

Scostando un flessibile ramo di un albero lì accanto, accarezzandolo come pegno della temporanea variazione di aria, Savannah replicò:«Sì, però non lo dico a Near il Capo Pacificatore. Lo dico a Near compagno di avventure che per riprendermi ha infranto una regola fondamentale di Panem.» Savannah adorava provocarlo, ed era come se Near adorasse essere provocato. Impostava un sorriso di umiltà, annuiva e replicava con un'affermazione arresa, come in quel caso:«Ok, ok, questa volta hai vinto tu. Non pensiamoci più.»

Quella conoscenza così infittita dei suoi limiti, del momento in cui un discorso doveva essere frenato per non divenire una polveriera, era un altro dettaglio che Savannah adorava di Near. Era strano avere il suo migliore amico in una persona legalmente contrapposta a lei. Giravano per le strade con una familiarità estrema, nonostante tutti fossero consapevoli che, malgrado la tranquillità mostrata sul volto del Capo Pacificatore, stesse scortando a casa la solita, pestifera ragazza, dialogavano con un'allegra vigorosità, si divertivano in quel modo. Talvolta, Savannah tentava di immaginare come la sua vita sarebbe stata una valle grigia, senza la presenza di qualcuno come lui. Perché, altrimenti, sarebbe rimasta sola. Alla porta della sua camera si sarebbero potuti manifestare la ferrea educazione di sua madre, in occasioni rare suo padre, la perfezione di suo fratello Matt pregata di essere presa in adozione anche da lei, però la solitudine sarebbe rimasta intatta, intima. Savannah preferiva quella vita, sebbene si contrapponesse a quella della sua famiglia. Lei preferiva Near, e credeva che anche lui non si potesse dimostrare eccessivamente infastidito da questa simpatia.

Arrivarono a casa loro. La signora Sparks si trovava sul portico della sontuosa abitazione appartenente a loro, una delle famiglie borghesi del 12, e si avviò verso le due figure imprecando con la dovuta maestria verso sua figlia:«Savannah! Dove ti sei recata per tutto questo tempo? Un giorno tu ti ucciderai, in questo modo! E, dopo tutto quello che ho fatto, ucciderai anche me!»

E, in quel momento, si raggiungeva la parte più complicata: trattenere le risate. Come poteva pretendere che i suoi insegnamenti fossero l'unico metodo di trascorrere la vita, quando esisteva la libertà? A Savannah piaceva mentire, ma solo per i suoi scopi.«Mamma, non ti preoccupare, andrà tutto bene, il giorno in cui morirò ti lascerò tutto in eredità.»

Senza considerare la figura dell'uomo accanto alla figlia, la signora Sparks continuò a manifestare il suo concerto con le solite espressioni, imponendole il ritorno nella sua stanza. Ma la ragazza non la stava ascoltando. Condivideva con Near gli acuti della predica e l'ilarità che trascinavano, nell'essere della donna la caricatura di se stessa, fiammeggiando occhiate in direzione prima della madre e poi del Pacificatore. Lui la congedò, quando le due donne salirono sulle scale, con un occhiolino, che lei replicò prima di voltarsi.

Ah, Near, se tutti in questo mondo mi capissero come te, forse queste urla non si verificherebbero.

 

Spazio autrice

Sì, l'ho scritta. Una storia allegra, finalmente, per evitare tutte queste tragedie. Qui non muore nessuno, almeno, o non subito. No, non intendo Near o i genitori di Savannah, ma proprio la ragazza. Nell'edizione speciale degli Hunger Games del 500. Un'altra perdita relativa alla storia interattiva “500”, che in queste settimane sta torturando il fandom con le one shot sui relativi personaggi. Questa, se non sbaglio, dovrebbe essere l'ottava della serie “500 – Behind the scenes”, e la prima su un tributo del distretto 12. Savannah Sparks, appunto. È corta, come storia, ma significativa, perché racconta un giorno tipo della vita della ragazza, e le misere tragedie ed allegrie relative. Non è un granché, ma spero sia accettabile.

Grazie chi continua pazientemente a seguire le storie, so che in fondo mi odiate, ma resistite, fra sedici one shot tutto sarà concluso. Spero di essere più veloce, in seguito.

Perdonate eventuali errori di battitura, ed errori e basta. Alla prossima,

Bolide

 
  
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