Find
someone. Save someone.
{
ode to serendipity }
and
she’s happy now
I’m
going home
another
day
another
cruel reminder
«Sono arrivato
troppo tardi.»
Ci sono un ragazzino,
una cabina blu e il fiume dell’inferno.
Nico
strizza gli occhi incredulo, rilevando il tutto come la scena iniziale di una
barzelletta un po’ macabra. E, intendiamoci, non è il fiume
dell’inferno il problema. Ormai lo Stige
è un vecchio amico – anche in quei momenti in cui l’umore di
lui è più cupo delle sue acque, anche oggi che l’ha preso a
sassate perché all’inferno non ha trovato quello che voleva
– invece quella cabina blu,
ecco, quella è un’altra faccenda. A Los Angeles non si vede una
cabina telefonica da decenni, di questo è abbastanza sicuro; figuriamoci
una blu, e figuriamoci una cabina blu piazzata proprio all’ingresso degli
Inferi.
Incerto
se avvicinarsi o andare a chiedere delucidazioni a qualcuno, magari a Caronte,
o magari a suo padre, Nico rimane lì per qualche secondo di troppo.
Dà così modo alla barzelletta di svilupparsi ulteriormente: le
porte della cabina si aprono e ne sbuca un tizio in bretelle e cravattino.
La
situazione sta sfuggendo a qualsiasi schema.
«Oh,
interessante.» L’uomo si sistema la giacca sulle spalle, si ravviva
il ciuffo di capelli scuri sulla tempia e si guarda intorno. Osserva il fiume
grigio gonfio dei suoi cimeli spezzati, le mura grigie che cingono la terra
grigia al di là della vita, giù fino al palazzo di Ade che si
staglia alto e scuro all’orizzonte – e alla fine, senza degnare lui
di uno sguardo, si volta ancora verso l’interno della cabina (uno spazio
che da quell’angolazione, per un qualche mistero ottico, sembra essere
molto più grande del dovuto) e
manifesta un garbato disappunto, in un tono di voce venato di commiserazione.
«Perdonami, tesoro, ma non mi sembra proprio l’Armorica.
A te sembra l’Armorica? Stiamo di nuovo
prendendo iniziative strampalate, vero?»
Nico
comincia a chiedersi se non sia il caso di mettere mano alla spada. Lo
sconosciuto non ha certo un aspetto semidivino, e del resto qui non
c’è Foschia che possa mascherare un mostro, ma quelle parole non
hanno granché senso nemmeno per un mortale. La cabina resta –
giustamente – in silenzio, mentre l’uomo stavolta punta uno sguardo
seccato direttamente su di lui e brontola qualcosa sul chiedere indicazioni,
come in risposta alle sollecitazioni di un’invisibile consorte.
L’occasione di alzare le armi passa, e in meno di due secondi Nico si
ritrova al centro di un esame accuratissimo, con il tizio così chino su
di lui da respirargli quasi in faccia.
«Salve,
sono il classico turista imbranato che segue i cartelli sbagliati. Ti prego di
assecondarmi, non ci vorrà molto. Questa non è l’Armorica, è
ragionevolmente certo, quindi per favore, potresti dirmi dove siamo?»
Nico
si rende conto di essere rimasto a bocca aperta. Non esattamente la miglior
prima impressione che possa fare un figlio di Ade. Cerca di adeguarsi
all’atteggiamento dignitoso dello sconosciuto e lo squadra dalla testa ai
piedi, rendendosi conto di non riuscire ad attribuirgli né
un’età, né una nazionalità, niente di niente. Un
mistero in bretelle e cravattino.
«Sei
un mortale?» è tutto ciò che gli viene sul momento,
perché davvero, deve capire chi
o che cosa è prima di
considerare l’eventualità di prenderlo sul serio.
L’altro
si trasforma – non letteralmente,
non da mostro, ma di colpo lo guarda come se parlassero la stessa lingua.
«Questa sì che è una domanda che non mi fanno tutti i giorni. Vediamo un po’» lo studia
ancora, ma adesso svolazzandogli intorno, come se di fronte ai suoi occhi fosse
appena spuntato un reperto raro, «mortale, be’,
sì, lo sono. Conosco qualche trucchetto,
però. Sono un Signore del Temp— oookay, non lo dico se non ti piace.» Nico ha
estratto la spada di ferro nero prima ancora di lasciargli finire la frase; gliela
punta alla gola, dal basso in alto, e l’uomo assume una buffa posizione
disarticolata, cercando di alzare le mani senza perdere d’occhio la lama
che gli sfiora il mento. «Vacci piano, amico. Ci sono affezionato, a
questo mento. È il mio preferito tra tutti quelli che...»
Nico
ignora le farneticazioni senza senso e si concentra sulle parole che invece ha
capito alla perfezione. «Signore del Tempo... Sei un figlio di
Crono» lo accusa, facendo più forza sulla spada.
«Crono?
Be’, etimologicamente parlando...»
«Cosa
diavolo ci fai agli Inferi?»
«Agli
Inferi? Siamo negli Inferi?»
L’uomo strabuzza gli occhi. Per un attimo è talmente sconcertato
da tendersi fino al limite raggiungibile dal suo collo entro il raggio di
manovra della spada, e si rivolge di nuovo alla cabina blu, mezzo isterico.
«Mi hai portato negli Inferi?!
Aspetta un attimo» aggiunge senza riprendere fiato, «ma non ha
senso.» Si volta con il busto per osservare meglio le mura
dell’Erebo, e Nico gli va dietro con la spada, sforzandosi di non
sentirsi troppo preso in giro. «No, io ci sono stato all’inferno.
Non era così. E quel pianeta non c’è più...
Sì, sono sicurissimo di aver mandato il diavolo al diavolo.»
Sbircia Nico e accenna una strizzatina d’occhi. «L’hai
capita? Carina, vero? Ehi, e se questi fossero gli Inferi cosa ci farebbe un
bimbo come te a guardia delle mura, me lo sai dire? Certo, suppongo ci sia
penuria di cani a tre teste nel mondo reale.»
«Cerbero
è più avanti, e io sono il figlio di Ade.» Un silenzio
interdetto. Nico si sente avvampare: gli sta dando troppa corda. «Smettila
di fingerti stupido! Sei un Titano, no? Non so come tu abbia assunto questa
forma da sfigato ma...»
«Ehi» si risente il tizio,
«non insultare il mio aspetto! I cravattini sono forti!»
«Ma
sei serio?» Suo malgrado, Nico si ritrova ad abbassare appena il braccio
armato. Nessun Titano degno di questo nome potrebbe recitare così bene;
per quanto possano rivelarsi furbi, i Titani sono ottusi. Mentre questo... questo... «Non sembri affatto
imparentato con Chirone, te lo concedo.»
«Oh,
grazie. Chi è Chirone? Non mi piace non
conoscere le persone, ha del destabilizzante.»
Nico
ha già imparato a ignorare i tre quarti di ciò che gli esce di
bocca. «Ma Crono è stato distrutto. Percy
ha compiuto la profezia.» Lo scruta a occhi socchiusi. «Cosa
c’entri, tu, con Crono?»
«Non
comportarti come se io conoscessi
Crono, sei stato tu a tirare in ballo
Crono per primo» è la risposta, a questo punto prevedibile,
accompagnata da un broncio ben poco minaccioso. «E devo ancora capire
questa storia degli Inferi e di te che saresti figlio di Ade, per inciso. Dammi
un momento, vuoi? Vedi, mi aspettavo un nugolo di pazzi e irriducibili galli,
non certo...» un altro sguardo comprendente Erebo, Stige
e Nico, «questo.»
Nico
abbassa l’arma del tutto. Non può fare a meno di notare che lo
sconosciuto ne approfitta per sistemarsi il cravattino come ne andasse della
sua stessa vita. «Va bene. Chi accidenti sei?»
«Sono
il Dottore.» Per la prima volta, lui sorride. «Della razza dei Signori
del Tempo. Se, come suppongo, siamo ancora sulla Terra...»
«Siamo
sotto Los Angeles.»
«Ecco,
quindi questo fa sì che per te io sia un alieno» spiega con
semplicità.
«Un...»
Nico emette un verso a metà tra una risata e un sospiro. «Certo.
Non so come ho fatto a non accorgermene prima.»
«Non
è colpa mia se giungi a conclusioni affrettate. Questo Crono che vuoi
per forza piazzare nel mio albero genealogico dev’essere
il cattivo, eh?»
«No,
senti, sul serio. Non puoi essere un alieno. Non esistono gli alieni.»
Il
Dottore solleva le sopracciglia sottilissime, oltraggiato. «Disse il
figlio di una divinità mitologica.»
«Gli
dei esistono!» Nico si sente di nuovo arrossire. «Quello è
lo Stige, nel caso non l’avessi già
capito. E io sono davvero il figlio
di Ade.» E non dovrebbe parlargli di nessuna di queste cose, si
rammarica, ma tanto ormai.
Il
presunto alieno sbuffa, ostentando superiorità. «Se è
così, ti ripeto: perché te ne stai qui fuori? Non dovresti –
non so – gironzolare nel palazzo di papà e... e divertirti con il
tuo esercito di scheletrini o... qualsiasi cosa
facciano i pargoli del dio dei morti? Ma guardami, adesso parlo come se credessi nel dio dei morti» e la
sua faccia assume un’espressione preoccupata. «Sarà una
crisi di mezza età? Avrei giurato di averla superata da un pezzo.»
Nico
lo scruta, furiosamente perplesso, stringendo l’elsa della spada. Il
Dottore sembra ancora in attesa di una risposta alla sua stupida domanda. Lui
inghiotte la rabbia.
«È...
complicato.»
E
all’improvviso il Dottore si illumina – quasi letteralmente. Il suo
sorriso è molto più caldo, gli occhi si fanno consapevoli, e
adesso più che mai sarebbe impossibile stabilire se abbia quindici anni
o centocinquanta. «Oh, figlio di Ade. Perché non l’hai detto
prima? Adoro le cose complicate. Racconta!»
«Mi
dispiace.»
Nico
esce dal TARDIS più rintronato di quanto lo fosse mentre ci entrava, sulla
scia del Dottore che biascicava di galassie e di stelle in formazione.
Non
ha programmato niente di tutto quel
che è appena successo, e ci mancherebbe anche. Quando si è
svegliato stamattina, quando ha saputo che qualcuno ha aperto le Porte della
Morte, il suo unico pensiero è stato quello di andarsi a riprendere
Bianca nell’Elisio... Non avrebbe mai potuto immaginare la macchina del
tempo e l’alieno completamente pazzo in bretelle e cravattino.
Sull’onda della delusione e del rimpianto (Bianca non c’era: Bianca
vivrà ancora, ma senza di lui) lo ha seguito senza scopo, senza meta,
appena dopo avergli raccontato la sua storia, e nemmeno per un secondo si
è fermato a chiedersi se il Dottore gli avesse mostrato l’universo
per un motivo ben preciso.
Perciò
è una sorpresa, quando rimette piede sulla sponda dello Stige e di colpo capisce.
Muove
qualche passo da solo: il Dottore è rimasto sulla soglia, e Nico si
sente i suoi occhi sulla nuca. Anche ora che conosce parte della sua vita non
saprebbe dire quanti anni hanno, quegli occhi. Sa che hanno perso qualcosa
d’importante, però, e non una volta sola. Sa perché il
Dottore lo ha preso con sé per un intervallo di tempo impossibile da
definire e sa anche perché, poi, lo ha riportato a casa.
Si
volta. «Grazie... credo.»
Gli
strizza l’occhio per l’ultima volta. Non gli dice che si
rivedranno, un giorno. Nico pensa che il Dottore non lo ammetterà mai,
ma che serva del tempo a lui, adesso,
per accettare il fatto di avere appena scorrazzato in giro per il tempo e lo spazio
il figlio di un vero dio greco, che
non c’entra niente con quel diavolo sconfitto ma che è altrettanto
reale, con tutti i suoi fratelli e cugini e quant’altro. E a quel
pensiero, per la prima volta da un bel pezzo, si ritrova a sorridere.
Le
porte del TARDIS si chiudono. La cabina blu emette quel suono stranissimo che
annuncia la partenza e a poco a poco scompare.
Nico
affonda le mani nelle tasche del giubbotto. Ha ancora la testa piena di stelle,
ma lo stesso il suo sguardo vaga fino all’Elisio, oltre le mura. E
continua a sentire le parole del Dottore... sul fatto che, nonostante tutto,
non riesce mai a restare da solo.
All’inizio
crede siano solo echi impressi nella memoria o nell’immaginazione, ma
dopo un po’ si rende conto che il TARDIS sta tornando indietro. Forse
è la cosa più sorprendente dell’intero pomeriggio. Si volta
di nuovo e la cabina è di nuovo lì e di nuovo le porte si aprono –
non è il Dottore ad affacciarsi, ma una ragazza con occhi e capelli
scuri, il naso all’insù, sicuramente sui vent’anni.
«Ehi,
ehm, ciao. Nico.» Si gira a guardare alle proprie spalle, dove la sala di
controllo crepita di esplosioni più o meno contenute. «Senti,
abbiamo qualche problema tecnico e questa nave mi odia, ma è voluto
tornare per darti un messaggio... Cerca nelle Praterie degli Asfodeli. È
importante.»
Nico
la guarda e si chiede quanto tempo sia passato per lei e per il Dottore.
«Perché? Lì ci sono solo anime senza ricordi.»
La
ragazza gli sorride radiosa. «Non smettere mai di cercare. Lui ha trovato
me.»
Da
qualche parte la voce del Dottore gli urla un saluto, ma per il TARDIS è
tempo di continuare a correre. Lui annuisce.
Nico allungò una
mano. «Anche tu sei mia sorella: ti meriti un’altra
possibilità. Vieni.»
I could be happy
and I’ll never
know it
till
never a day comes back
Spazio
dell’autrice
Mi faccio viva sempre con le idee peggiori, bene
così. 3
Crossoverare Doctor Who con qualsiasi cosa (literally
qualsiasi) è la mia missione nella vita, e morivo dalla voglia di farlo
non appena iniziata la lettura di Percy Jackson e
relativi Eroi dell’Olimpo.
Penso di aver deciso quasi subito – appena entrato in scena – che
il mio Dottore avrebbe interagito con Nico, solo che ancora non sapevo come
(benché dolorosa, Bianca era una faccenda un po’ scontata)
finché non ho conosciuto Hazel e il modo in
cui Nico ha salvato lei in luogo di Bianca. Redenzioni e seconde
possibilità ovunque. Qui
doveva entrare in scena il Dottore.
E niente, probabilmente non è molto ben
approfondita... Ho cercato di attenermi a uno stile veloce che mettesse in luce
soprattutto la frustrazione di Nico, perché scommetto che nonostante
tutto era arrabbiatissimo prima di trovare Hazel. Ho
immaginato un Dottore post-Ponds e pre-Clara, combattuto
tra il bisogno di trovare l’impossibile ragazza dei soufflé e il
bisogno di stare da solo per evitare di perdere qualcun altro. Find someone e Save someone sono
due cose che Donna ha detto al Dottore e che, credo, lui non
dimenticherà mai, e ho pensato che volesse trasmetterle a Nico, una
volta conosciuta la sua storia. Se tutto il resto (compreso il periodo imprecisato
di companion!Nico) è brumoso e frettoloso
è perché ho voluto concentrarmi soprattutto su questo, e me ne
prendo tutta la colpa. *piagnucola afflitta*
I versi sono tratti da Never a day, degli Wood, dalla soundtrack del
film Serendipity,
mentre il testo in corsivo è tratto dal finale del ventinovesimo
capitolo di Eroi dell’Olimpo: Il
figlio di Nettuno, il primo incontro tra Nico e Hazel.
I riferimenti ai pazzi galli dell’Armorica stanno lì perché di tanto in tanto
mi torna la fissa per Astérix,
e basta XD
Thanks for reading,
Aya ~