Anime & Manga > Detective Conan
Ricorda la storia  |      
Autore: shimichan    05/08/2015    4 recensioni
Shiho è il nome di tredici ragazze su cui ha indagato durante la sua carriera.
Due sillabe tenute insieme dall’abbraccio di lingua e palato, sciolte dall’urgenza di riprendere fiato.
Fede e tradimento, anime doppie adatte all’ambiguità di una sola persona. Shiho.
[Piccolo esperimento su un argomento delicato]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Con il buio dietro lo sguardo




Il rampicante ha divelto il portone d’entrata.
Nessuno abita più in quella vecchia casa e la natura è esplosa, inghiottendola. Grosse radici accarezzano le cornici delle finestre frantumate da alcuni ragazzini. L’hanno chiamato «coraggio» ed aveva lo stesso peso della pietra che ora giace sul pavimento coperto di vetri. Tanto nessuno ci cammina più.
Forse nessuno ci ha mai camminato.
 
§
 
Il cielo è solo la quinta ritagliata dagli alberi di una giornata autunnale, testimone del lento scorre del tempo come una clessidra. Le nuvole sono granelli e si stanno tingendo dello stesso colore della sabbia.
«Dimentichi sempre gli occhiali».
Un rimprovero affettuoso e due mani che aprono le sue per consegnargli un paio di lenti. A lui non servono, non ha più un’identità da celare, eppure, appena le indossa, il mondo acquista nitidezza e pare ancorarsi nei suoi contorni allo stesso modo in cui il sorriso di lei ormeggia nello sguardo che le rivolge. Sa che l’ha riconosciuta.
«Grazie, Ran».
«Così riuscirai a leggere».
Il libro è uno di quelli che lo accompagnano sempre e forse da sempre. Ha le pagine ingiallite, dagli angoli ricurvi, e odora di polvere e legno laccato. Shinichi lo apre, ma i suoi occhi non arrivano alla fine del paragrafo.
«…non esisteva per lui che un'unica donna, e quella donna era Irene Adler, di dubbia e discutibile memoria» recita, scrutando l’orizzonte e accettando l’abbraccio dei suoi colori.
Rosso e giallo. Tutto diventa primario ed elementare quando il giorno è esausto. Tutto diventa prezioso, rivelando l’oro che c’è in ogni cosa, come se il sole volesse regalare un ultimo istante di bellezza durante l’agonia del suo tramonto.
«È meglio rientrare».
Shinichi acconsente, ma si contraddice con la sua immobilità.
C’è qualcosa che gli pesa sulle labbra e ha la sensazione che muovendosi non riuscirà a liberarsene.
La luce s’impenna, rossastra. Il suo cuore perde un battito che non ritroverà più.
«Shiho».
 


Shiho è il nome del crepuscolo, quello che annuncia la sera e la venuta del buio dietro i suoi occhi. 
Ran non sa chi è. All’inizio credeva fosse un altro regalo della malattia, ma i medici le hanno assicurato che la mente di Shinichi non è più grado di creare dal nulla, può solo lasciar riaffiorare ciò che sta andando alla deriva nel mare dei suoi ricordi.
Ran lo associa ormai al momento della partenza. Sa che, una volta pronunciato, quel nome trascinerà Shinichi con sé e per lei comincerà l’ennesima battaglia.

 

Shiho è un’ombra nella fitta oscurità della sua memoria, un sibilo segreto trattenuto dalle labbra prima di svelarsi al vento. Shinichi lo ripete con la bocca chiusa e aspetta di scoprire se un volto può sorgere anche da un orizzonte vuoto. Ma non accade nulla. Il vento ha soffiato molto prima.
«Su, andiamo».
Ran avanza la richiesta con cautela, modulando la voce per non apparire impaziente, e gli tende una mano. Lui l’accetta solo quando il panico e lo smarrimento gli scivolano piano piano via dagli occhi e l’istinto gli deposita un sussurro nelle orecchie.
Quella signora è gentile. E non è Shiho.

*
 
Non devono valutare le loro vite sulla base degli ultimi anni, sebbene Ran stia ormai dimenticando quale rapporto intercorresse tra la sua felicità e la presenza di Shinichi, sempre più rara.
Un mondo sconosciuto lo sta lentamente inghiottendo, rivelandole briciole di un passato che non conosce.
Da lì proviene la sua fobia per i corvi ed il colore nero. Lì abita ancora Shiho.
L’amarezza che prova è in ogni suo gesto, mentre si sforza di incrociare il suo sguardo, sperando di trovarvi qualcosa di famigliare. La cortesia è più una forma d’educazione che altro, ma deve accontentarsi.
«Faccio del thè».
Shinichi annuisce distratto dal fascino vittoriano della biblioteca, rivestita in legno lucido e velluto smeraldino. Si sente un bambino e lui sa bene cosa significa perché ha vissuto l’infanzia due volte, ma non lo ha mai detto a nessuno. Troppi sono gli elementi che mancano alla sua storia per essere giudicata veritiera e ciò che non riesce a colmare con i ricordi, naufraga nella fantasia, nella realtà distorta in cui convivono pozioni magiche, uomini vestiti di scuro e bambine dai capelli chiari. E fate dall’abito bianco.
«…Shiho» dice a se stesso. Il sangue inizia a bruciare sotto la pelle senza scopo, come il dolore.
 

Shiho è il nome di tredici ragazze su cui ha indagato durante la sua carriera. Due sillabe tenute insieme dall’abbraccio di lingua e palato, sciolte dall’urgenza di riprendere fiato.
Fede e tradimento, anime doppie adatte all’ambiguità di una sola persona.
Shiho.
 
 
Ran urta volutamente contro lo stipite della porta per avvisarlo del suo arrivo.
Lo vede alzare la testa e per un attimo ha l’impressione, o l’illusione, che capisca.
«Gelsomino» mormora, riconoscendo l’odore dolciastro che si espande nell’aria dalle tazze fumanti.
Il sorriso inavvertitamente apparso sul viso di Ran sparisce, quasi colpevole per la fretta istintiva, dietro al «non mi piace» sputato con rabbia e sospetto.
Frasi slogate escono come tratti di veglia in mezzo a un incubo da cui non riesce ad uscire.
Loro. Sangue. Spari. Buio. Morte. Ran.
«…Ran?».
Il suo nome pronunciato in un sussurro le si fissa nei sensi come una presenza sottratta al tempo, come fosse un elemento della tavola periodica della felicità.
«Si». È tutto ciò che riesce a dire. Le pizzicano gli occhi, ma non può permettere alle lacrime di offuscarle la vista perché non sa quanto durerà la sua permanenza né quanto dovrà attendere la prossima.
Shinichi rilassa le spalle e si avvicina alla finestra senza mai voltarsi. Dal modo in cui si aggrappa alla cornice è facile indovinare l’incertezza dei suoi pensieri, eppure, indomabile, il cuore di Ran spera. E trema.
Fuori il cielo è privo di colori. La luce esala le sue ultime forze nell’estrema carezza che dona al mondo spossato dal giorno. C’è un roseto in giardino. Shinichi non può frugare nella sua mente, deve attendere che quell’immagine afferri un ricordo e lo porti in superficie.
Ecco.
«Le nostre rose».
Ran si abbraccia le spalle. Le ha riconosciute.
Quand’erano bambini, le aveva raccontato che quello era un roseto incantato dove vivevano le fate e lei aveva sgranato gli occhi per riempirli di quanta più magia fosse possibile, ignorando fosse uno scherzo come ammise poi. "Credulona. Le fate non esistono".
Già. Le fate non esistono. A questo punto, da qualche parte, una fatina dovrebbe cadere a terra, morta.
Ma in giardino ce n’è una ancora in piedi.
Lo guarda e la sua bocca tradisce un sorriso incerto. Non sa sorridere quella fata, cui fanno più male i petali appassiti che le spine. Shinichi le mostra quanto sia semplice, poi nota i suoi occhi e sa che non c’è nulla che possa fare un sorriso per cancellare quella malinconia.
La sua impotenza è un ricordo luminoso, ma effimero. Sfugge via non appena apre la finestra e uno sbuffo d’aria gli screzia il viso, mentre la vede avvicinarsi, tendendo il capo quasi a chiedere permesso. I capelli corti le ballano attorno al viso, dove sbuca l’espressione malandrina, tipica dei personaggi delle fiabe e di chi possiede le risposte che ad altri mancano.
Qualcosa dentro di lui, ma non sa cosa, o qualcuno, ma non sa chi, gli dice che si sono già incontrati.
È famigliare, infatti, la sensazione che prova quando lei ritrae lo sguardo sotto le ciglia e sbuffa dal naso.
Che gli fa dire senza esitazioni. «Rosse. Le tue preferite».
Corretto, di nuovo.
Ran cede alla tentazione e allunga le dita verso la sua spalla, nonostante i contatti fisici siano sconsigliati a causa dell’imprevedibilità delle reazioni che suscitano.
Shinichi, però, non sobbalza, l’accoglie tranquillo come se fosse quello il porto naturale della sua mano.
La copre con la propria e la guida al centro del petto, sopra il cuore, un groviglio di desideri che non sa più esprimere. Ha paura di lasciarla, di dimenticare ancora. Dona e riceve un abbraccio che è una promessa elusa in partenza.
Il respiro gli si annoda.
Sta già preparando un rimpianto. O forse lo sta semplicemente riportando alla luce.
Stringe Ran come il naufrago si appiglia alla vita e si perde nelle ferite verdi di Shiho.
«Sei qui».
«Non me ne sono mai andata».
 
§
 
Il rampicante ha divelto il portone d’entrata.
Nessuno abita più in quella vecchia casa che il tempo ha consegnato alle leggende di quartiere, dove i ragazzini mettono alla prova il loro coraggio, suggestionati dall’aura di mistero che l’avvolge. Scagliano sassi contro finestre senza vetri e li sentono rimbalzare nel vuoto o rotolare sul pavimento. Tanto nessuno ci cammina più.












Angolo Autrice
Salve a tutti! Dunque, beh...che dire? O meglio da dove iniziare?
Iniziamo dal perchè. Probabilmente sono stata influenzata dall'aver visto di recente 'Le pagine della nostra vita' e di sicuro dal fatto di voler scrivere un fanfic dal finale ambiguo che è il lettore a dover scegliere.
Spero di esserci riuscita. 
Prima di alcuni chiarimenti, ci tengo a precisare una cosa. Non è/era assolutamente mia intezione offedere qualcuno con questa fic nè deridere una malattia terribile come la demenza (non la cito, ma credo si capisca); anzi, mi incuriosiva provare a mettermi nei panni di chi, putroppo, ne è vittima.
Ora. Ci sono un paio di cosucce che non so se siano chiare o meno, perciò ve le spiego qui in seguito:
1) Immagino che la malattia non permetta di distinguere realtà e fantasia, quindi quando parlo di 'fate dall'abito bianco' e 'pozioni' mi riferisco, rispettivamente, al camice e alle pillole.
2) Le ultima frasi. A chi sono dirette? Chi le pronuncia? Eh...chi volete voi. Finale aperto e a scelta (il mio pensiero lo sapete, comunque ^^)
3) Shiho. Che fine ha fatto? Altra domanda senza risposta. Potrebbe essere morta, o fuggita. Decidete voi, sebbene in questo caso abbia lasciato degli indizi sul suo destino...
4) Il rating arancione mi sembrava il più adatto visto il tema delicato.

Credo sia tutto. Se ci sono dubbi, perplessità e quant'altro, non esitate a chiedere, io sono qui. Se poi vi sfugge pure una recensione, ben venga! XD 
Alla prossima.
 

 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: shimichan