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Autore: Noah Jayden Vati    06/08/2015    0 recensioni
A causa di alcune revisioni vi consiglio vivamente di saltare il Prologo e passare direttamente al Capitolo 1.
( Aggiungerò un disegno alla fine di ogni testo, a partire dal Capitolo 1 :) )
Quella che voglio raccontare non è la mia storia, purtroppo non ho mai avuto i requisiti giusti per essere considerato un protagonista interessante. Non so nemmeno da dove cominciare in effetti, non sono mai stato bravo neanche in questo. Sono però un buon osservatore, e di cose da narrare, credetemi, ne ho viste tante.
Ebbene sì, mi sono impuntato su questa cosa, ed anche se so di non essere mai stato bravo con le parole, io ho intenzione di raccontare. Raccontare di una guerra senza schieramenti o fazioni, combattuta da uomini che si nascondevano dietro la parola
Ideali , ma che di indeali proprio non ne avevano. Voglio parlare di una battaglia che con la potenza di un vortice è riuscita a risucchiare dentro di sé decine di vite, compresa la mia.
Io voglio raccontare le vicende di una di queste vite. Voglio raccontare una storia di cui non ho mai voluto far parte.
N.J.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella che voglio raccontare non è la mia storia, purtroppo non ho mai avuto i requisiti giusti per essere considerato un protagonista interessante. Non so nemmeno da dove iniziare in effetti, non sono mai stato bravo neanche in questo. Sono però un buon osservare, e di cose da narrare, credetemi, ne ho viste tante.
Ebbene sì, mi sono impuntato su questa cosa, ed anche se so di non essere mai stato bravo con le parole, io ho intenzione di raccontare.
Raccontare di una guerra senza schieramenti o fazioni, combattuta da uomini che si nascondevano dietro la parola Ideali, ma che di ideali proprio non ne avevano.
Voglio parlare di una battaglia che con la potenza di un vortice è riuscita a risucchiare dentro di sé decine di vite, compresa la mia.
Io voglio raccontare le vicende di una di queste vite. Voglio raccontare una storia di cui non ho mai voluto far parte.

N.J.

Capitolo 1. -Come educare un ragazzo distratto. Pt.1

Katherine e David Lawson, moglie e marito, non avevano proprio niente di cui lamentarsi sulla loro vita insieme.
Erano una coppia felice, un po' invidiata, con un unico figlio a carico e un lavoro assicurato che gli fruttava un modesto guadagno.
Assieme gestivano ormai da una decina d'anni una pasticceria e gelateria proprio vicino casa loro, a Lewiston, Maine. La Esurio Pastry Shop attirava clienti come mosche sul miele, soprattutto in quel periodo dell'anno quando l'estate era ormai alle porte. Gli squisiti dolci artigianali della signora Kath erano molto apprezzati dalla clientela (anche dal sottoscritto), soprattutto la sua torta agli agrumi con decorazioni alla frutta e base di cialda sbriciolata e scaglie di mandorle, mentre il signor David aveva sempre qualche storia interessante da raccontare a chi visitava il negozio; inventata o meno, non faceva molta differenza.
La signora Lawson, spero non si arrabbierà se dico la sua età, era una donna sulla quarantina dal fisico asciutto, un po' bassotta rispetto alla media e all'apparenza fisicamente molto fragile. Assai più tenace era invece il suo caratterino, che la rendeva una donna temibile e rispettata da tutti, capace di leggerti dentro con una sola, fredda, occhiataccia.
David dal canto suo aveva qualche anno in più di sua moglie, ma a differenza di lei sapeva camuffare bene la sua età, forse un po' grazie al suo aspetto sempre curato e gli occhiali dalla montatura nera che indossava ogni giorno o forse per il suo carattere completamente opposto a quello di Kath, così gioviale e a tratti infantile.
Presi singolarmente, probabilmente, avrebbero fatto la figura della donna in crisi esistenziale e dell'uomo che ancora abitava con la madre ma insieme, non c'è che dire, facevano proprio scintille.
Un po' meno scintille, invece, le faceva il loro unico figlio: Justin.
Non andavano molto fieri di lui in ambito scolastico, e non solo in quello. " Potrebbe, ma non si applica" gli dicevano spesso gli insegnanti , o " Se ascoltasse di più invece di fantasticare, sarebbe il più bravo della classe.", tutte parole che li facevano imbestialire, perché loro ci speravano davvero che lui si sarebbe applicato. Ma loro figlio dava l'impressione di essere sempre svogliato, troppo svogliato per fare qualsiasi cosa.
Justin, in realtà, non era davvero pigro come voleva far credere. Lui era solo, in un modo a volte anche disarmante, costantemente distratto. Riusciva a distrarsi in ogni frangente, anche in mezzo ad un discorso che lo interessava in prima persona, e a scuola, figuriamoci, lì riusciva a dare il meglio di sé.
Forse era proprio a causa del suo carattere che la lista dei suoi amici si limitava ad un numero di partecipanti piuttosto basso. Certo, anche il fatto di non farsi scrupoli a dire in faccia a qualcuno ciò che pensava di lui o lei, davanti a tutti, non lo aiutava sicuramente a rendersi più simpatico. Un po' come quando, all'ultimo anno delle medie, salutò i suoi ormai ex compagni di classe con un semplice ma adeguato: "Dio mio, finalmente non sentirò più il vostro tanfo!", imitando una persona che non riesce a respirare. E non posso dargli tutti i torti.
Ma sto divagando.
A volte neanche mi accorgo di non seguire il filo logico del discorso.
Sarà bene ricominciare, stavolta con un inizio più banale, almeno eviterò di sbagliarmi!

Meglio iniziare col parlare di quel Sabato di fine Maggio in cui per la prima volta riuscii a vedere Justin Lawson di persona.

Quella mattina faceva piuttosto freddo nonostante la stagione quasi estiva e il sole se ne stava ancora seminascosto tra le nuvole, evitando di condividere tutto quel calore che la sua luminosità sembrava volesse offrire. Non che ciò dispiacesse a Justin, che non aveva mai sopportato il caldo. Erano le undici passate e lui, ancora mezzo intontito per il sonno, se ne stava seduto al tavolo della cucina, sorseggiando la sua cioccolata calda tanto fuori luogo per quella stagione quanto il pigiama grigio a maniche lunghe che stava indossando. Avvicinò la tazza alla bocca lasciandosi inebriare dall'odore dolce e vellutato della bevanda e quasi rischiò di macchiarsi la maglietta con qualche goccia di liquido, sbadato com'era.
Justin era estremamente felice di potersi godere un altro meritato weekend senza dover toccare libro (sinceramente di compiti da fare ce n'erano, ma lui ormai era diventato abbastanza abile da riuscire a farli durante la ricreazione e prima del suono della campanella), inutile dire che a lui non era mai piaciuta particolarmente la scuola. Troppi ordini da seguire dettati da persone spesso incapaci, pensava lui. Per fortuna le vacanze estive erano ormai alle porte e il ragazzo non poteva che esserne contento, tanto che già fantasticava su ciò che avrebbe fatto nel tempo libero. Pensava di voler mettere da parte un po' di soldi per comprarsi quella strafigata della Playstation 4 e per visitare Portland in cui a detta di Mortimer, suo compagno di classe, si sarebbe svolta la quindicesima edizione dell' Evo's Midnight Festival nei primi giorni di Luglio, e se ciò che Mortimer gli aveva detto era vero, perché Morty era un gran bugiardo, Justin non sarebbe proprio dovuto mancare.
Ovviamente l'idea dei compiti estivi non lo aveva sfiorato minimamente.
Le sue fantasticherie sull'estate furono però bruscamente interrotte da uno strano rumore proveniente dalla cucina.
Drizzò le orecchie in un attimo, attento a non emettere alcun tipo di suono, ed attese immobile che la fonte del rumore si facesse sentire di nuovo.
Un Tud lo fece voltare di scatto verso sinistra. La sua reale paura era quella di trovarsi da solo a faccia a faccia con qualche grosso insetto munito di ali, ma poté constatare che non c'era alcun pericolo di quel genere. Tutt'altro animale, infatti, stava provocando quel rumore: era un cane di grossa taglia, un po' tozzo, dal manto color miele. Stava insistentemente provando ad aprire la porta in vetro che divideva la cucina dal giardinetto della proprietà, colpendola col suo muso.
-Jackson!-esclamò Justin quasi sollevato, facendo correre le sue dita tra le ciocche di capelli nerissimi.
-Non farlo entrare, Justin!- urlò una voce dal piano superiore, seguita a ruota da una serie di tonfi che riecheggiarono per tutte le stanze. Era Kath, che era scesa di corsa giù per le scale per raggiungere suo figlio. L'unica cosa che desiderava dopo una maratona di faccende era tenere quella montagna di peli lontana da casa sua. Si avvicinò alla porta in vetro e la picchiettò con una nocca, vicino al muso del cane. -Via, via!-
Justin guardò la scena senza riuscire a trattenere un sorriso beffardo. A volte aveva l'impressione che Kath avesse paura del suo Golden Retriever, e probabilmente un po' era vero. Per carità, di cani tonti e pacati quanto lui ne esistevano davvero pochi, ma Katherine non aveva mai amato gli animali di grossa taglia.
Il sorrisetto compiaciuto del ragazzo, però, sparì non appena sua madre si voltò verso di lui dicendo: -Justin, alzati in piedi e fammi un favore.-
-...che favore?- chiese lui quasi intimorito, restìo dal dire di sì prima di conoscere ogni singolo dettaglio.
-Tieni il cane un po' lontano da qui e portalo fuori a fare una passeggiata.-
-Ma che fastidio ti da?-
-Portalo fuori, ho detto. Ne approfitterai per prendere una boccata d'aria.- gli ordinò lei, afferrando la tazza di cioccolata calda ormai vuota e posandola dentro il lavandino. -Te ne stai sempre chiuso in casa.-
-Ho 14 anni, posso decidere per conto mio se starmene in casa oppure no.-
-Eh no, tesoro mio!- esclamò lei, poggiando entrambe le mani sui fianchi, segno inequivocabile di profondo disappunto -Fino a quando abiterai qua, farai tutto ciò che diremo io e tuo padre!-
-Ho capito, ho capito!- sbuffò lui, alzando le mani in segno di resa. -Vado!- L'ultima cosa che desiderava in quel momento era sentire le fastidiose urla di sua madre quindi ci mise davvero poco a lasciare la stanza per dirigersi di sopra verso la sua camera. Senza, ovviamente, dimenticare di trascinare i piedi.
Si lavò e si cambiò d'abito, indossando al posto del pigiama dei semplici jeans e la prima maglia, blu a maniche lunghe, capitatagli davanti.
Dopodichè, munito di guinzaglio e poco entusiasmo, si diresse in giardino.
Jackson se ne stava sdraiato, sonnecchiante, sotto l'ombra modesta di uno dei cinque ulivi di quel piccolo prato e sembrò non apprezzare la vista del suo padrone con un guinzaglio in mano, tanto che mugolò contrariato non appena Justin si chinò verso di lui per afferrargli il collare.
-Lo so, nemmeno io ho voglia.- sospirò il ragazzo prima di tirare un'energica pacca sul dorso del cane. -Andiamo, dai.- continuò poi, facendo leva con le braccia sulle ginocchia per alzarsi. Sembrava quasi si stesse rivolgendo più a sé stesso che al cane.
Ma col cavolo che Jackson aveva voglia di seguirlo.
-Andiamooo.- insistette Justin, strattonandolo un po' per il guinzaglio. Solo al terzo tentativo il cane si decise ad assecondare il padrone e lentamente lo seguì fino al cancello, per uscire fuori dalla proprietà.
Justin era un ragazzo poco conosciuto in città, per ovvi motivi. Molte volte capitava che qualche anziano interessato agli affari degli altri lo avvicinasse per chiedergli di chi fosse figlio e nipote, e se abitasse lì. Poi, quando rispondeva, tutti sembravano riconoscerlo all'improvviso. "Aaah! Il figlio di quelli della pasticceria!" si sentiva dire, o "Già, già. Ora ricordo, hai ragione (eh certo che ha ragione, ci mancherebbe altro)." e l'unico modo in cui riusciva a replicare era con un sorriso imbarazzato ed un "Eh sì" che in realtà nascondeva una disperata supplica per essere lasciato in pace.

Camminarono per un po', i due. Era quasi mezzogiorno ed avevano già attraversato un paio di isolati e il parco, senza soffermarcisi, per poi arrivare in mezzo alla città,tra i negozi. Justin decise di fermarsi ad una fontanella pubblica per far bere Jackson che ormai da metà tragitto teneva la lingua penzolante ad un lato della bocca.

-Non sapevo avessi un cane.- lo fece sobbalzare all'improvviso una vocetta squillante alle sue spalle, che quasi gli trapanò un timpano, tanto era vicina all'orecchio.
-Co... Cosa?- cercò di replicare, voltandosi lentamente per scoprire chi fosse il proprietario della voce. Sembrava un bambino colto con le dita nella marmellata.
-Non mi avevi mai detto di avere un cane.- ripeté una ragazzina sorridendogli, indicando Jackson ancora intento a bere. Aveva la stessa età di Justin ed un tempo andavano a scuola assieme. Erano anche buoni amici. Era una ragazza snella, forse con i fianchi un po' troppo larghi rispetto al resto del corpo, e teneva spesso i capelli biondi raccolti in una piccola coda.
-Ah. Sunny.-
-Aaah. Sunny.- lo imitò lei in modo assai grossolano, distorcendo la bocca in una smorfia. -Che c'è? Non sei felice di vedermi?- poi continuò, senza neanche permettere a Justin di rispondere -Ti ho visto dalla finestra del negozio dei miei- ed indicò una specie di mini supermarket a pochi passi da loro -Sai, li sto aiutando un po'.-
-Oh.- disse lui puntando gli occhi castani verso il negozio di alimentari.
D'un tratto sentì una morsa attanagliargli lo stomaco. Si accorse solo in quel momento di non essere mai andato a trovarla in tutto quel tempo ed un po' si sentiva in colpa.
-Anche tu li aiuti, i tuoi?-
-Figuriamoci.-
La ragazza aggrottò le sopracciglia e lo squadrò, incuriosita.
-...Non sono molto bravo in quel genere di cose.- Concluse lui, notando la perplessità dell'amica.
-Capisco.- Sembrava quasi delusa. -Posso?- disse poi, protraendo una mano verso il cane.
-Mhmh.- Annuì Justin. -Certo.-
-Come si chiama?- chiese lei, prima di chinarsi di fronte a Jackson per accarezzarlo e cambiando totalmente tono di voce, un po' come si fa quando ci si rivolge ad un bambino.
-Jackson. Ma è più facile che reagisca se lo chiami tonto.- Era serio quando lo disse.
-Ttttonto!- esclamò con una vocina infantile, afferrando la testa del cane e scuotendola verso destra e sinistra.
Dopodichè si rialzò con l'aiuto delle mani e si risistemò la maglietta sgualcita con qualche pacca.
-Sembra molto stanco, dev'essere un cane piuttosto vecchio ormai. Quanti anni ha?-
-...Tre.- rispose lui un po' imbarazzato ma accennando comunque un piccolo sorriso maldestro.
La pelle diafana della ragazza si tinse in poco tempo di un rosso vivo. -Beh, dai...- cercò subito di rimediare -Dicevo tanto per dire!-
-Figurati Sunny.- la fermò ridendo -Non è certo la prima volta che capita.-
Sunny gli rispose con un sorriso a trentadue denti. Poi, quasi si fosse svegliata all'improvviso da una lunga trance, spalancò i grandi occhi celesti. -Già! Devo tornare dentro!- quasi gridò. Fece dietrofront per dirigersi verso il negozio dei suoi genitori, senza nemmeno salutare, ma si fermò a metà strada di colpo, come se avesse appena ricordato qualcosa di importante. Si voltò di scatto verso Justin allargando le braccia ed esclamòa gran voce -Però potresti venire a trovarmi qualche volta!-
A Justin quasi era venuto il mal di testa. Gli sembrava che Sunny urlasse fin troppo per i suoi gusti.
-Lo farò.- sospirò -Promesso.-
La ragazza gli sorrise soddisfatta, prima di voltargli le spalle. Aveva sempre avuto uno strano modo di comportarsi con le persone a cui teneva.
Intanto il caldo cominciava a farsi sentire e Justin per mettersi un po' più a suo agio si rimboccò le maniche sopra i gomiti. Ci avrebbe scommesso una mano che Sunny lo stava ancora tenendo d'occhio dalla vetrina del negozio, quindi evitò di voltarsi in quella direzione.
In quel momento l'unica cosa che desiderava era tornarsene a casa, ma se conosceva davvero sua madre avrebbe dovuto sapere con certezza che lei fino all'ora di pranzo non lo avrebbe mai fatto entrare; non con il cane. E da quando era nato non c'era mai stato orario differente dall'una in cui avevano mangiato.
Inoltre Justin notò con gran delusione che tutte le panchine a disposizione in quello spiazzo si trovavano proprio sotto il sole, nessuna esclusa, lasciandogli quindi solo due possibilità in man: farsi coraggio e chiedere ai tizi seduti all'ombra di fare un po' di spazio o avviarsi verso casa con l'andatura più lenta possibile. Justin era parecchio tentato dalla seconda opzione ma dovette ricredersi, quando vide le condizioni del suo cane. Chissà che caldo doveva patire, con tutto quel pelo.
Mosso dalla pietà per Jackson, il ragazzo decise di mettere da parte le sue insicurezze e, dopo aver accuratamente evitato le panchine occupate da anziani, si sedette vicino ad un ragazzo dai capelli castani. Silenzioso, sguardo assente, pensò che non gli avrebbe dato alcun fastidio.
Infatti non lo feci.

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Ecco una cosina per togliervi la curiosità sull'aspetto di Justin (sì, anche i narratori ci provano, a disegnare).

N.J.
   
 
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