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Autore: Nezu    27/01/2009    3 recensioni
Fan fiction vincitrice del contest di Natale nel PDO: è una one-shot su come in teoria l'Organizzazione XIII potrebbe trascorrere il Natale, tenendo conto della loro impossibilità di provare sentimenti. Leggerissime tracce shonen-ai, quasi impercettibili. Un commento è sempre ben visto, anche se si tratta di una critica, basta che sia costruttiva.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Demyx, Naminè, Organizzazione XIII
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: I've got nothing inside

Categoria: Kingdom Hearts

Personaggi: Organizzazione XIII, Naminé

Genere: Introspettivo, triste

Rating: Giallo

Avvertimenti: Possibile linguaggio scurrile

Note d’Autrice: il testo che segue può presentare minime tracce di shonen-ai, ma sono talmente minime che io le classificherei come semplici dimostrazioni d’amicizia, uno ci vede shonen-ai solo se lo vuole per forza vedere. Non avendo io inoltre molte esperienze riguardo Babbo Natale (non gli ho mai scritto una lettera, nella mia famiglia si festeggia solo l’epifania) e cose simili, può darsi che le situazioni descritte siano leggermente anormali rispetto a quello che si può immaginare riguardo una festa in compagnia. Il titolo è un verso preso dalla canzone “New Model no.15”, le tre righe iniziali da “Fundamentally loathsome” e la canzone finale da “Great big white world”, tutte dell’album “Mechanical Animals” di Marilyn Manson. L’ultima parte può darsi che sia un po’ carente rispetto al resto della storia perché l’ho scritta alle tre di notte della sera tra il 24 e il 25 dicembre (ultimo giorno per la consegna dell'elaborato). E' stato eseguito un beta-reading (per cui ringrazio Fratellone Lontano, Arianna e Giulio) solo a metà e siccome io sono troppo pigra per rileggermi tutta la storia in cerca di errori, l'ho lasciata così, ma comunque gli sbagli dovrebbero essere molto pochi. Per ulteriori commenti dell'autrice vi rimando alla fine della storia, mentre qui c'è il link del contest di fan fiction del PDO (ove sono iscritta con il nickname di Kuroi the black): http://pauraedelirionellorganizzazione.forumcommunity.net/?t=23756124   Spero che la storia vi piaccia ^^

 

“I want to wake up in your world with no pain
But I'll just suffer in a hope to die someday
While you are numb all of the way”

 

 

La fortezza dei Nessuno si stagliava come al solito imponente sopra i grattacieli, un palazzo bianco in mezzo al nero della notte e delle nubi che lasciavano cadere una gocciolina d’acqua di tanto in tanto: Demyx lo aveva sempre trovato un posto troppo tetro per i suoi gusti, specie per il fatto che non era mai illuminato dalla luce del sole e che il cambio di stagione si avvertiva solo dalla temperatura. Mai una nevicata in inverno o un bel temporale estivo in giugno, no, c’era solo quell’onnipresente stupida pioggerellina a cui il numero IX non riusciva proprio ad affezionarsi.

Non riusciva a rientrare nel quartier generale come faceva Xaldin, che, abbassatosi il cappuccio, si guardava attorno come se pensasse soddisfatto “Casa dolce casa”. Era solo un insieme di muri bianchi e spogli, un agglomerato di stanze messe in modo talmente casuale che spesso e volentieri si perdevano anche i fondatori, tra quei corridoi tutti uguali.

Se avesse potuto, Demyx avrebbe sofferto davvero nel vedersi ridotto in quel posto silenzioso e squallido, ma non avere cuore a volte porta anche dei vantaggi e così il biondo riusciva a sopportare bene o male quelle odiose pareti tutte bianche e tutte uguali.

Aveva chiesto più di una volta a Xemnas se non si poteva magari dipingere una parete o due, sia per spezzare la monotonia, sia per dare un punto di riferimento nel dedalo di corridoi, ma il Superiore aveva sempre risposto di no, che i colori non si addicevano minimamente a loro: erano delle “non-persone” e quindi era giusto essere circondati da “non-colori”.

Ma la vita di Demyx era tutt’altro che solo bianco e nero e riusciva a dimostrarlo ai suoi compagni in particolare quando si avvicinava il Natale.

Nessuno dei membri dell’Organizzazione sapeva con certezza in che giorno cadesse il Natale, da loro: ogni mondo aveva il suo calendario, mentre da una parte era appena iniziata la primavera, dall’altra le foglie già iniziavano a cadere dagli alberi e, visto che il Mondo Che Non Esiste non aveva una divisione così precisa delle stagioni, si andava abbastanza a casaccio.

Quando la temperatura cominciava ad abbassarsi, Demyx cominciava a tirare fuori dal ripostiglio gli scatoloni con tutti gli addobbi e le decorazioni, preparandosi ad abbellire i saloni e le stanze del castello, deciso a rendere almeno ospitale all’interno il luogo che da fuori incuteva tanto timore.

Ma nonostante gli piacesse darsi da fare a coprire quei muri spogli con striscioni, angioletti, vischio e agrifoglio, aveva sempre quel chiodo in testa, il fatto che non sapeva esattamente in che giorno cadesse il Natale. Si era dovuto rassegnare per alcuni anni ad andare ad intuito, almeno fino a che i membri dell’Organizzazione da dodici non passarono a tredici.

Roxas, che, quando non era impegnato in missioni, amava andare in giro per i mondi pacificamente, soltanto per esplorarli, aveva notato che il mondo che sembrava avere il cambio di stagioni più vicino al loro era Crepuscopoli e, per la gioia di Demyx, gli abitanti di quel tranquillo mondo avevano anche la passione per i calendari dell’avvento.

Quando cominciava ad essere freddo nel Mondo Che Non Esiste, Roxas faceva una capatina a Crepuscopoli, lanciava uno sguardo dalla finestra ad uno dei calendari appesi e andava poi dal compagno a riferire esattamente quanti giorni mancassero al lieto evento.

Non potendo neanche distinguere il dì dalla notte, in quel mondo perennemente buio, Demyx si era attrezzato con un grosso orologio che aveva appeso sopra il letto in camera sua e si regolava con quello, segnando ogni ventiquattr’ore su un foglio di carta che un altro giorno era passato.

Quello di quest’anno era uno dei primi Natali che il numero IX passava con la consapevolezza che era effettivamente il giorno giusto e ne era talmente felice che non riusciva a smettere di sorridere neanche in cima alla scala di tre metri, intento a fissare bene un angioletto ad un angolo del corridoio che portava alla sala.

Al posto del cappotto indossava un maglione bianco e sprizzava gioia da tutti i pori: era felice, felicissimo che fosse arrivato il Natale, anche se non poteva suscitargli emozioni, gli suscitava una serie di ricordi infiniti e tutti allegri di feste passate in famiglia, con gli amici più cari, in compagnia.

Si arrampicava su e giù dalla scala come un gatto, spostandola verso un altro angolo che gli sembrava non abbastanza allegro e salendo in fretta, senza curarsi del fatto che barcollasse pericolosamente.

< Demyx, fai attenzione. Non siamo così in ritardo con la tabella di marcia e non vale certo la pena di rompersi l’osso del collo...> lo redarguì Lexaeus che teneva la scala da sotto per impedire che cadesse.

Era ancora il 24 dicembre e lui e Demyx avevano addobbato praticamente tutto il castello, mancava solo la sala dove ci si riuniva tutti dopo il cenone per parlare, ma il giovane aveva fretta di finire, temeva di non riuscire a finire tutto il tempo. Non voleva rovinare la vigilia di Natale agli altri arrivando in ritardo con le decorazioni.

Lexaeus scosse la testa quando la scala barcollò ancora di più sotto il peso del biondo che si sporgeva per mettere una ghirlanda al collo di una statua dalla forma mostruosa che ornava la porta d’ingresso alla sala: il fondatore non riusciva a condividere l’allegria di Demyx, non solo perché gli mancava il cuore, ma anche perché i ricordi non giocavano a suo favore.

Gli unici ricordi che gli erano rimasti riguardavano gli esperimenti fatti con i suoi colleghi, non c’era spazio per feste o ritrovi con gli amici. C’era il lavoro, prima di tutto, e poi ancora lavoro, lavoro e lavoro.

Un Natale che arrivava e passava era solo un altro anno passato in quel corpo privo di sentimenti e di calore, un altro anno perso dietro un’illusione che probabilmente non si sarebbe mai trasformata in qualcosa di più concreto, ecco come la vedeva lui. Non era un momento di felicità, era solo un momento di profonda malinconia, un istante di riflessione sui propri errori e sulla sua incapacità di rimediarvi. Ma almeno non voleva guastare l’allegria allo spensierato biondo e così stava in silenzio, come al solito, parlando solo lo stretto indispensabile per paura di lasciarsi sfuggire qualche parola che potesse rattristare l’altro.

< Ecco fatto!> esclamò Demyx con un sorriso a trentadue denti scendendo dal barcollante appoggio e aprendo in fretta la porta che dava alla sala. L’ambiente era di certo uno dei più arredati di tutta la fortezza: c’erano una serie di poltrone e divani, tutti rigorosamente di pelle nera, disposti a ferro di cavallo per rendere più pratica la conversazione di gruppo e sistemati vicino ad un caminetto nero di fuliggine e, in quel momento, spento. L’unico oggetto che rallegrava l’ambiente era un grande albero di Natale, addobbato solo per metà, collocato anch’esso nei pressi del caminetto, dietro ad uno dei grossi divani; appena Demyx e Lexaeus entrarono nella stanza, da dietro l’albero fece capolino Xigbar con in mano cinque palline colorate da attaccare ai rami.

< Era ora, cominciavo a temere che mi aveste mollato qui come un idiota ad appendere palline!> esclamò sollevato lanciando un sorrisetto ironico a Demyx che avanzava con tra le braccia uno scatolone, mentre Lexaeus lo seguiva trascinando la scala.

< Scusa… è che non ero molto soddisfatto di come era arredato il primo piano e quindi ho perso tempo lì…> rispose il biondo sentendosi un poco in colpa, sapendo che effettivamente erano davvero in ritardo.

Mentre il più giovane era voltato a cercare un festone argentato nella scatola, Lexaeus lanciò con lo sguardo un chiaro avvertimento a Xigbar: “Chiudi la bocca”.

La maestria del numero II nel distruggere le illusioni degli altri con commenti sarcastici ed inappropriati era fin troppo conosciuta, e quasi sempre la vittima era Demyx: troppo ingenuo per poter resistere e frenare le parole, Xigbar spesso non riusciva proprio a trattenersi. Demyx era semplicemente un bambino nel corpo di un ragazzo che in linea teorica avrebbe già dovuto affrontare le difficoltà della vita (o della non-vita, dipendeva dai casi) e avrebbe dovuto smetterla di ammirare il mondo col sorriso sulle labbra.

Xigbar sentiva dentro una sorta di desiderio paterno e un po’ perverso di vederlo crescere, come quando gli animali svezzano i cuccioli e li vedono arrancare per la prima volta nel mondo reale: anche se capiscono che il cucciolo è in difficoltà e sta soffrendo, non intervengono, ma lo guardano con orgoglio mentre comincia a reggersi realmente sulle sue zampe.

Per quanto l’istinto di Xigbar potesse essere perfettamente giustificabile, la maggior parte dei membri dell’Organizzazione cercava di difendere il modo infantile e l’ingenuità di Demyx, forse perché faceva pena pensare al biondo alle prese con problemi troppo grandi per lui, o più semplicemente perché avere qualcuno tra loro che si comportasse come se avesse un cuore senza però accorgersi della falsità dei suoi sentimenti, bé, questo faceva sentire tutti un po’ meglio... un po’ più vivi di quanto non fossero.

Xigbar, represso l’istinto di sputare in faccia al ragazzo che quella del Natale era tutta una storia per bambinetti, aveva preso a riderci sull’ingenuità del numero IX, in fondo non poteva farci nulla.

Anche in quel momento, a vederlo appendere tutto contento una serie di festoni sopra il caminetto, un sorriso un po’ storto e sofferto, a malincuore, spuntava sul suo volto deturpato.

 

{*-¯-*}

 

Demyx si asciugò le ultime gocce di sudore dalla fronte mentre percorreva uno dei tanti corridoi per raggiungere la sua stanza: aveva finito di decorare ed era molto contento del risultato. Sia Lexaeus che Xigbar erano stati gentili ad aiutarlo e il numero II era il responsabile di quasi tutti gli addobbi dell’albero che, bisognava dirlo, era venuto una meraviglia! E Demyx ancora sorrideva ricordando quanto buffo era l’uomo mentre, appeso a testa in giù grazie al controllo che aveva sulla gravità, appoggiava sulla punta del loro capolavoro verde una bella stella dorata.

< Ehi, Demyx!>

Un urlo richiamò la sua attenzione e si fermò di colpo, voltandosi solo per vedere Axel che lo chiamava dalla stanza in cui, nel corso degli anni, il rosso aveva raccolto una serie che pareva infinita di apparecchi elettronici, film in VHS e in DVD, GPS e altre cose ottenute saccheggiando i mondi attaccati dagli Heartless prima che fossero distrutti del tutto.

Demyx tornò sui suoi passi e si affacciò lentamente alla porta.

< Che succede?>

Axel, anche lui in abiti informali, si faceva strada tra gli scaffali di film mentre in mano reggeva una VHS e un paio di DVD.

< Sta sera possiamo guardare un film dopo il cenone? Se lasciamo il telecomando a Xigbar quello rischia di farci vedere di nuovo quel film noiosissimo, come l’anno scorso...>

Demyx rabbrividì ricordando quando, il Natale precedente, Xigbar, preso il telecomando, aveva fatto zapping fino a fermarsi sulla trasmissione della copia restaurata de “L’albero degli zoccoli”, quasi tre ore di bergamasco spiccicato e con i sottotitoli che si leggevano a malapena.

< Meglio se ti prepari un paio di titoli, nessuno dei fondatori spicca per buoni gusti cinematografici, probabilmente solo Zexion...>

Ad Axel si illuminò il volto.

< Allora ti va bene se scegliamo tra questi?> chiese mostrandogli le copertine dei tre film scelti.

< “Nightmare Before Christmas”?>

< E’ uno dei miei preferiti... hai presente? Quello dello scheletro e del sacco di insetti...>

< Ah, sì! Buona scelta, piace anche a me. E gli altri cosa sono?>

< “La Bella e la Bestia: un magico Natale” e “Il Grinch”.>

< Anche “Il Grinch”?>

< Sì, nel caso gli altri non vogliano vedere cartoni animati ho preferito scegliere anche un film con attori in carne ed ossa.>

< Ok. Bé, direi che vanno bene. Portali in sala e cerca di non farli vedere a Xigbar.>

< Tranquillo, so il fatto mio. A dopo!>

Il numero VIII si allontanò sorridendo, i film sotto braccio: no, non ci credeva al Natale, ma Demyx non lo doveva sapere. Il biondo aveva sempre ritenuto Axel il suo migliore amico anche perché entrambi avevano dei ricordi talmente forti che spesso sostituivano le loro emozioni mancanti con una forza tale da non sentire quasi la differenza: il rosso sapeva quanto Demyx ci teneva al Natale e, per quanto dentro di sé sentisse solo il vuoto più totale mentre fissava le lucine che si spegnevano e si accendevano ritmicamente sulle statue addobbate, voleva reggere il gioco. Voleva rendere il Natale un avvenimento bellissimo per poter vedere Demyx contento e, in un certo senso, mettersi a posto con la coscienza.

Per tutto l’anno ne faceva di cotte e di crude, depredando mondi, corrompendo persone, volgendo amico contro amico, fratello contro fratello, il tutto in nome di Kingdom Hearts e del suo cuore da recuperare: rendere felice Demyx, almeno una volta all’anno, era come redimersi da tutto il male fatto e stare in pace con sé stesso. Un cuore non lo aveva, ma la coscienza era ben presente.

Demyx, nel frattempo, riprese la sua strada verso la camera: le luci e le decorazioni che aveva sparso per il castello lo aiutarono fortunatamente a non perdersi, e riuscì addirittura a battere il suo record personale ritrovando la sua stanza in meno di dieci minuti.

La scorgeva già in lontananza quando improvvisamente notò una figura appoggiata all’ampio davanzale di uno dei finestroni del corridoio.

Ci mise un po’ prima di riconoscere al chiaro di luna il volto pallido di Saïx e la sottile cicatrice ad X che solcava il suo viso: il numero VII non si voltò sentendo i passi del numero IX, ma restò fermo immobile, gli occhi fissi sulla luna a forma di cuore che troneggiava sopra gli edifici, nel buio della notte.

Demyx si avvicinò con circospezione, intimidito come al solito dal modo di fare dell’altro: Saïx era particolare, molto particolare. Aveva un ordine mentale tutto suo per il quale reagiva in modi inaspettati nelle situazioni più tranquille: nel bel mezzo della battaglia poteva mettersi a guardare la luna, nel caso ci fosse, anche con orde di nemici che lo ferivano senza pietà, come in fondo si metteva a parlare con il suo tono calmo e distaccato di un argomento a caso, così, senza alcuna ragione.

A Demyx era successo più volte di esserselo trovato accanto, magari seduto sul suo stesso divano, apparso dal nulla senza che nessuno lo sentisse o percepisse, e cominciava a parlare: parlava delle missioni, di alcuni ricordi personali che gli erano rimasti, di discussioni psicologiche e filosofiche tra lui e Zexion…

Il numero IX non sapeva mai cosa aspettarsi dai suoi discorsi, ma in genere la sua compagnia, dopo i primi attimi di smarrimento, gli faceva piacere.

Demyx si fermò a pochi passi da lui, schiarendosi brevemente la gola, deciso a farsi coraggio e intraprendere una discussione, ma non poté trattenere un tremito quando Saïx puntò gli occhi gialli da predatore su di lui. Il più piccolo aveva tutte le ragioni di questo mondo: nessuno nell’Organizzazione riusciva a reggere a lungo lo sguardo di Saïx, soltanto Xemnas e Zexion gli tenevano testa.

< Ciao, Saïx...> cominciò tentennando il numero IX, cercando di imbastire una buona conversazione costruttiva. L’altro continuò a fissarlo per un tempo indeterminato, lo sguardo da rapace a riposo che guarda con leggera curiosità un furetto che cerca un qualche approccio azzardato: sembra totalmente disinteressato, ha uno sguardo indifferente, più incuriosito che coinvolto, ma sotto il velo l’attenzione è vigile come al solito se non di più, come fosse pronto ad attaccare o a difendersi da un colpo inatteso.

< Ciao, Demyx...> la risposa che si faceva attendere arrivò, col solito tono distaccato, mentre lo sguardo tornava alla luna.

< Come stai?> continuò il biondo, deciso a combattere i suoi timori e procedere imperterrito.

< Bene...> la risposta era l’apoteosi della laconicità.

< Che cosa fai? – chiese Demyx avvicinandosi un po’ di più – Guardi la luna?>

< No, sto pensando... guarda anche tu, cosa ne pensi?>

Il ragazzo guardò per la prima volta con vero interesse la luna pallida che si stagliava in un cielo scurissimo e senza stelle: era l’unica luce visibile nella foresta di grattacieli, quasi fosse un segno di speranza o di guida per qualcuno.

Demyx si ritrovò a pensare che ai Re Magi la stella cadente doveva dare la stessa sicurezza che quella luna in quel momento dava a lui, ma si tenne il pensiero per sé, riflettendo subito dopo che era un pensiero piuttosto stupido.

< Sai... – proseguì stancamente Saïx senza abbandonare il tono distaccato – Mi sembra una di quelle lucine che hai messo in giro nel castello in questi giorni. Anche questo castello è tetro come la notte che c’è sempre qua fuori, ma con le luci che hai messo è quasi come se la struttura stessa si sentisse più viva... e per quelli come te dev’essere un sollievo, immagino. Non doversi più perdere per questi corridoi... le luci, per quanto in teoria abbiano solo uno scopo decorativo, ti aiutano a trovare la strada, sono delle guide. Per quelli che invece vivono fuori di qui, in un buio simile, una luna così pallida e smorta basta a malapena per non inciampare nei propri piedi.>

Demyx non sapeva se poteva sorridere oppure no in presenza di Saïx, ma in quel momento ne avrebbe avuto davvero voglia: non aveva un motivo preciso per farlo, ma il discorso del numero VII gli era piaciuto, aveva un che di poetico e di altruista che non si aspettava da uno come lui.

Si concesse un breve sorriso mentre si staccava dal parapetto dove si era appoggiato e si allontanò di qualche passo da Saïx, avvicinandosi alla propria camera, prima di voltarsi un attimo ancora.

< Allora, Saïx, ti prometto che il prossimo anno addobberò anche i grattacieli e, se non bastano, anche il cielo. Ci vediamo a cena, ciao!>

Il numero VII lo guardò allontanarsi senza rispondere al saluto e, quando il ragazzo fu scomparso verso camera sua, si voltò in silenzio nuovamente alla luna, appoggiandosi meglio sul davanzale con un leggero sospiro: quel moccioso era davvero un mistero, non riusciva proprio a capirlo.

“Però, ce ne sono di tipi strani in giro” pensò guardando tristemente la luna.

Demyx intanto procedeva per i corridoi con in corpo la classica allegria natalizia che avevano sempre i bambini durante questa festa; stava pensando di andare in camera sua per sistemare alcuni spartiti lasciati in disordine sulla scrivania quando passò di fronte alla camera di Zexion: la porta era chiusa, ma dalla fessura sotto di quella filtrava della luce.

“Zexion dev’essere per forza qui” pensò Demyx, avvicinandosi un po’ di più alla porta. Zexion non lasciava mai la luce accesa se non era in camera, aveva deciso di dare inizio all’era del risparmio anche nel loro castello.

Demyx bussò piano alla porta, ma non rispose nessuno.

Volume: 13.

Il biondo si fece un attimo scuro in volto, ma senza perdersi d’animo bussò con forza per farsi sentire, ma ancora nessuna risposta.

Volume: 16.

< Zexion! Sono io, Demyx!>

Volume: 18.

< Ehi, Zexion!!! Dai, voglio solo parlarti! So che sei in camera, la luce è accesa!!!>

In tutta risposta la luce che filtrava da sotto la porta venne spenta.

Volume: 24.

< Coraggio, Zexion!!! Perché non vuoi parlare con me?! Che ho fatto di male?!>

Volume: 29.

Demyx sbuffò, decisamente scocciato, ma fece spallucce.

< Fa come ti pare!!! Mi basta che tu venga tra mezz’ora a mangiare! Hai capito?! Ci vediamo!!!>

E detto questo, il biondo si voltò e scomparve nel corridoio, decidendo di dare un’ultima occhiata al corridoio dell’ala est.

Volume: 12.

Zexion rimase immobile, disteso sul letto, gli occhi aperti. Fece scivolare un dito lungo la superficie fredda del lettore Mp3 mentre abbassava il volume, la musica che continuava a risuonargli nelle orecchie.

Non aveva voglia di parlare con Demyx, in quel momento non aveva voglia di parlare con nessuno: voleva stare da solo, senza pensare, mentre era preda di uno dei suoi soliti attacchi di scontrosità che arrivavano sempre in prossimità delle feste, Natale in particolare.

Odiava vedere tutta quella gente che si aggirava per il castello, se avesse potuto sarebbe uscito dal castello, ma lui soffriva terribilmente il freddo e fuori si congelava.

Così si era rassegnato a chiudersi in camera sua, al chiuso ma almeno non al gelo invernale.

Voleva esternarsi dal mondo, consumare quello strano e insensato fastidio nella solitudine: in parte c’era il timore di attaccare il cattivo umore agli altri, in parte c’era il desiderio di studiare questo bizzarro comportamento, cercarne le origini e per fare ciò non doveva venire a contatto con gli altri, non voleva che sballassero la sua analisi interna.

Ma era chiuso lì ormai da ore, la batteria del lettore Mp3 era quasi scarica e il malumore persisteva: in quel momento avrebbe volentieri mandato al diavolo tutti i suoi studi insensati e sarebbe uscito per svagarsi un poco.

“Che cosa stupida, il Natale” pensò mentre si stendeva a pancia in su, fissando con ostilità il soffitto bianco al quale Demyx, entrato di nascosto quella mattina, aveva appeso un allegro agrifoglio.

Zexion si ritrovò a chiedersi perché non l’avesse già staccato, ma decise che in fin dei conti troppo fastidio non dava e che non valeva la pena di alzarsi per toglierlo.

Sì, il Natale lo infastidiva.

Lo infastidiva vedere gli abitanti dei mondi così contenti per una semplice festività che in realtà nascondeva una giornata come le altre, un’ennesima giornata di sofferenza inconsapevole per tutti e invece nel frattempo sorridevano come idioti di fronte ad una vetrina o ad un albero con accanto un vecchietto con un piede ormai nella fossa travestito da Babbo Natale.

E lo infastidiva ancora di più vedere i propri compagni che facevano quella faccia contenta, quella disgustosa maschera d’ipocrisia che si indossa per dare il “contentino” ai bambini e reggere loro il gioco.

Demyx poteva credere tranquillamente nel Natale, per quanto gli riguardava, non si aspettava poi tanto da uno stupidotto come quello, ma gli altri avrebbero almeno potuto evitare di fingere così palesemente. Era falso, era lampante ed era assolutamente odioso.

Immergendosi nuovamente nella sua grande nuvola di cupi pensieri, Zexion si voltò sul fianco, sbuffando al mondo che ancora una volta lo deludeva coi suoi comportamenti.

 

{*-¯-*}

 

Le urla di Demyx che chiamava ripetutamente Zexion echeggiarono sonoramente lungo i corridoi fino a giungere all’orecchio infastidito di un Vexen alle prese con l’ennesima formula impossibile e lunga più di tre fogli.

< Quella stupida testa vuota...!> sbottò seccato mentre tentava in tutte le maniere di non distogliere l’attenzione su quello che stava facendo.

Una risatina bassa e senza allegria arrivò da una poltrona poco distante dal tavolo dove il numero IV stava lavorando: Luxord guardò fuori dalla finestra mentre continuava a far oscillare nella sua mano il bicchiere pieno di whisky.

L’altro gli rivolse un’occhiata stizzita.

< Perché quella risata, ubriacone?>

Luxord non poté trattenere un altro sorriso.

< Sembra che tu ti sia dimenticato cosa vuol dire essere giovani.>

< Un conto è essere giovani, un altro è essere stupidi.>

Luxord si grattò il pizzetto prima di sorseggiare ancora un po’ di whisky.

< Non è che lo invidi perché prova qualcosa?>

< Provare qualcosa? Quello non prova qualcosa. Quello che sente sono solo ricordi mischiati alla sua dannata idiozia: preferisco cento volte sapere di essere un guscio vuoto piuttosto che vivere in un’illusione.> esclamò indignato Vexen, sbattendo con forza la penna sul tavolino.

L’ennesimo sorrisetto spuntò sulle labbra del numero X.

< Con tutta questa foga sembra che tu non faccia altro che confermare la mia teoria. Non sopporti proprio Demyx, eh?>

Il più anziano scosse la testa, soppesando se valeva la pena sprecare ancora tempo e parole con quell’uomo che lo prendeva in giro dall’angolo della stanza: un uomo che non aveva mai speso un solo attimo della sua vita a lavorare, che era sempre sopravvissuto col semplice ausilio del gioco d’azzardo e della sua fortuna sfacciata.

“Mentre io – pensò rabbuiandosi – ho lavorato tutta la mia vita, ho perso la salute e gli anni della mia giovinezza a impararmi a memoria formule complicate, a stare sopra i libri, a lavorare per la vera Scienza. Io ho fatto di tutto per poter dare ai mondi un futuro migliore, alimentando il progresso come meglio potevo, eppure ora sono nella stessa misera situazione di questo alcolista da strapazzo!”.

< Certo che non lo sopporto – disse con voce roca cercando di mantenere la calma – e come potrei in fin dei conti? La sua ostinazione a non voler realmente capire la nostra situazione la trovo una mancanza di rispetto nei nostri confronti, oltre che nei suoi. Non so dove pensi di vivere quello... pensa che qualche giorno fa è venuto a chiedermi se, con il potere del ghiaccio che è in mio possesso, potevo anche far nevicare. Per rallegrare l’ambiente, mi ha detto! Ti  rendi conto? Un impiastro come lui, debole in battaglia e con un Q.I. inferiore a quello di un rospo, dovrebbe essere già stato eliminato dalla selezione naturale!>

Luxord continuò imperterrito a lisciarsi il pizzetto inclinando leggermente la testa di lato mentre Vexen si passava arrabbiato una mano sulla fronte cercando di imporsi un po’ di autocontrollo.

< Però... è diventato come noi.>

Vexen colse a malapena il sussurro dell’altro.

< Come, scusa?> fece bruscamente riprendendo la penna in mano

< Demyx è un nessuno come noi: per quanto stupido e debole, ha avuto abbastanza forza d’animo per preservare il suo corpo. E’ stato abbastanza forte per riuscirci.>

Il numero IV rispose con un sorrisetto storto, pensando ironicamente che, se non fosse stato uno scienziato, avrebbe risposto che probabilmente era uno di loro per miracolo.

 

{*-¯-*}

 

Quando sentì qualcuno che bussava nuovamente alla sua porta, Zexion prese seriamente in considerazione l’idea di usare la sua scrivania come arma impropria.

< Numero VI, sono Saïx.>

Borbottando un paio di imprecazioni, Zexion si convinse ad alzarsi dal letto facendo scrocchiare le ossa del collo e aprendo svogliatamente la porta con aria leggermente addormentata: Saïx lo scrutò come al solito diffidente, mantenendo le distanze.

< Che vuoi, numero VII?>

Saïx non rispose subito, voltandosi a guardare interessato un piccolo ragnetto che stava filando in fretta la sua tela su uno dei festoni appesi da Demyx nel corridoio.

< Il Superiore ti vuole.> spiegò tenendo fisso lo sguardo sul piccolo aracnide che, ignaro di avere spettatori, si prodigava nel tessere.

< Grazie per avermi avvertito.> ringraziò Zexion con una lieve sfumatura di ironia mentre si chiudeva la porta alle spalle e oltrepassava il compagno, ormai incantato ad osservare l’animaletto.

Per quanto la sua intenzione fosse quella di arrivare da Xemnas il prima possibile, magari evitando le decorazioni natalizie che Demyx aveva appeso ovunque, il numero VI preferì non usare un varco oscuro: sentiva un incontrollabile desiderio di camminare, tutto quello star fermo a letto gli aveva addormentato le gambe e gli girava anche un poco la testa per l’improvviso movimento.

Passò con aria schifata accanto ai piccoli alberelli decorati messi strategicamente lungo i corridoi, cercò di ignorare gli angioletti e i festoni argentati appesi al soffitto, velocizzando sempre più il passo.

Nel giro di pochi minuti si trovò di fronte alla porta dello studio del Superiore, anch’essa arredata con una bella ghirlanda, e bussò in fretta.

Prima si levava dai piedi quella scocciatura, meglio era.

Udì distintamente un “Avanti” un po’ attutito dall’interno e aprì la porta passandosi una mano nei capelli: lo studio era in penombra, il Superiore piegato in avanti su una pila di fogli sparsi.

Non alzò la testa fino a quando Zexion non si decise a chiudersi dietro le spalle la porta.

Al contrario delle altre stanze, questa non era stata affatto addobbata: Demyx aveva avuto troppa paura di chiedere il permesso di farlo a Xemnas e men che meno si sarebbe permesso di entrare di nascosto in uno degli ambienti ritenuti più inviolabili.

Entrare nello studio del Superiore era come lasciarsi alle spalle tutta la realtà ed immergersi in una bolla di sapone: si vedeva l’esterno così sfocato da perdere la percezione di che cosa esistesse fuori, ad un passo da lui.

Ad un certo punto era talmente difficile concentrarsi su cosa ci fosse fuori che Zexion preferiva dimenticarlo con una scrollata di spalle ed immergersi completamente in quella stanza, a tornare su teorie già studiate più volte da cima a fondo, accanto al caminetto.

Xemnas alzò lo sguardo sul suo compagno di esperimenti che era tutto intento a fissare con sguardo perso il caminetto acceso: Zexion era contento che Demyx non avesse toccato quella stanza, ormai per lui era come un tempio, un rifugio, niente doveva cambiare là dentro.

< Zexion.>

Il ragazzo voltò la testa ricambiando lo sguardo.

< Superiore?>

Il numero I in tutta risposta si stiracchio per bene, stendendosi poi sullo schienale, il volto stanco per tutto quel lavorare.

“Ma non c’è tempo per riposare....” si rimproverò mentalmente il più vecchio, alzandosi all’improvviso e cercando di ordinare tutte le carte sparse: rimpiangeva sul serio le vigilie passate, quando aveva ancora un cuore. Non era mai stato bravo con le scartoffie, si prendeva sempre in ritardo con tutti quei fogli: lui non voleva stupide formule o relazioni scarabocchiate su una pagina strappata, voleva l’esperimento davanti a sé, voleva poter toccare la cavia, vedere con i suoi occhi i vari stadi del processo, non voleva del maledettissimo inchiostro.

Ansem questo l’aveva sempre saputo e, trovandolo alle prese con gli arretrati ogni vigilia di Natale, con una pacca sulla spalla lo congedava, dicendogli che ci avrebbe pensato un’altra volta.

E tutte le volte che Xehanort rientrava nel suo studio per sistemare le carte lasciate in sospeso, le trovava belle ordinate, praticamente perfette.

Ma da quando era diventato un Nessuno non c’era più il suo maestro, o chi per esso, a sistemargli gli appunti lasciati confusamente sul tavolo. Era suo compito, ormai, e dei Natali passati restavano solo vari e offuscati ricordi.

Xemnas sospirò: aveva accettato l’idea di non poter più provare emozioni fino a quando non avrebbe riavuto un cuore.

Per lui il Natale in quel castello era quasi più vuoto di quanto non fossero loro stessi.

< Spero di non averti interrotto mentre ti avviavi alla cena...>

< Non si preoccupi, ero nella mia stanza che cercavo di ammazzare il tempo.> rispose l’altro con un’alzata di spalle.

< Se ti annoi, allora credo proprio di essermi rivolto alla persona giusta. Ho una missione e probabilmente tu sei l’unico che in questo momento può farla senza risentimenti. Sai, gli altri sono impegnati con tutti quei festeggiamenti...>

< Se la missione è un modo per sfuggire a questi festeggiamenti, sarò più che felice di farla. Di che si tratta?> tagliò corto Zexion, ma appena pronunciata la frase si diede dell’idiota.

Demyx probabilmente ci teneva che lui partecipasse insieme agli altri al cenone, avrebbe di certo messo il broncio vedendo che non c’era... il numero VI con un’altra scrollata di spalle si liberò anche di quel pensiero: per un po’ non voleva pensare né a Demyx né al Natale.

< Non è nulla di serio, ma è piuttosto urgente. Ascolta…>

 

{*-¯-*}

 

< Verde e rosso l’agrifoglio, tralalalala lalalala, è Natale anche quest’anno…>

< Oh, ma come siamo allegri quest’oggi!>

Xaldin rifilò a Xigbar un’occhiataccia tornando a canticchiare a mezza voce mentre cucinava per bene gli stinchi di maiale.

< Se non canto non sento neanche il tempo passare… è da ore che sono qua a preparare tutto per la cena e mi vien male solo a pensare gli sforzi sovrumani che dovrò fare domani mattina per il pranzo vero e proprio.>

Xigbar si mosse dallo stipite della porta dove era appoggiato e, presa una sedia, si stravaccò guardando in continuazione una volta l’orologio e un’altra l’amico alle prese coi fornelli.

Xaldin indossava un grembiule bianco da cucina e un cappello da cuoco che gli stava con qualche difficoltà in testa, i dreadlocks non aiutavano affatto.

< Mai pensato a prenderti uno sguattero? Avresti più tempo per divertirti…> disse reprimendo uno sbadiglio.

Il lavoro con Demyx e Lexaeus l’aveva davvero prosciugato delle sue energie.

< Chi fa da sé fa per tre.>

< Allora non ti darò una mano.>

< Ne avevi l’intenzione?>

< No, perché? Ci speravi?>

< … va a molestare altri, sono impegnato ora.>

Xigbar allungò in fretta la mano nel tentativo di sottrarre un antipastino da un vassoio abbandonato, ma Xaldin lo colpì con un mestolo appena in tempo.

< Tieni le mani in tasca, cialtrone! Neanche a Natale riesci a perdere questi brutti vizi?>

< Ehi! – replicò con aria offesa Xigbar – Io la mia buona azione per questo Natale l’ho fatta! Chi pensi che abbia aiutato il biondino tutto capelli e niente cervello ad addobbare in giro?>

< Uhm… Lexaeus?>

< Anche io.> replicò con aria un po’ offesa il numero II.

Xaldin rivolse nuovamente lo sguardo ai fornelli cercando di non far vedere il sorriso sulle sue labbra.

< Già... – proseguì il Xigbar giocherellando con un cucchiaio – Il biondino ha sprecato tutta la giornata a mettere su addobbi, credo che trovare una stanza non illuminata da tutte quelle lucine sia ormai un miracolo. E dovevi vedere Lexaeus che gli correva dietro con la scala! Uno più ridicolo dell’altro...>

< Non posso evitare di ridere se penso che li hai anche aiutati.>

< Quasi quasi ti direi che mi hanno costretto...>

Xaldin rimase in silenzio. In effetti era esattamente quello che si aspettava: una serie di scuse e mezze imprecazioni verso il moccioso troppo testardo e la statua semi-movente.

Il numero III e Xigbar erano sempre stati amici, in genere si confidavano tra loro ogni cosa, ma, per quanto l’avesse dato spesso ad intendere, il numero II non aveva mai detto esplicitamente che Demyx gli stava simpatico.

La sua versione ufficiale era che era un tale rompiscatole che si faceva prima ad accontentarlo piuttosto che mettersi a discutere.

< Allora?> chiese Xaldin dopo qualche minuto di silenzio.

Xigbar sbuffò scocciato.

< L’ho fatto perché da solo non avrebbe mai finito in tempo.>

Xaldin scoppiò in una risata fragorosa.

< Che ci trovi di così divertente?!>

< E’ buffo... – Xaldin diede un’occhiata ai pomodori gratin che si stavano cucinando – mi sembrava che tu volessi farlo crescere. Sai che finché non si infrangono un paio di illusioni non si matura?>

< ... è ancora troppo presto. E poi non ora. Il Natale per lui è ancora troppo importante.>

< Non smetterà mai di essere importante. E’ un piccolo scoglio di emozioni e ricordi in mezzo ad un mare di freddo e vuoto, ci si attacca per puro istinto.>

Xigbar sbuffò se possibile ancora più forte.

< Guarda che tra poco ti trasformerai in una locomotiva...>

< Tu che ne pensi?>

< Di cosa?>

< ... del Natale.>

Xaldin non rispose subito, si limitò ad aggiungere un po’ di sale alla zuppa d’orzo: non sentiva la necessità di esprimere la propria opinione, o almeno fino a che non si stufò dello sguardo dell’amico fisso sulla sua schiena come un laser.

< Credo che sia giusto.> disse dopo diversi minuti.

< Ma..!>

< Lasciami finire. Non è giusto per noi: ormai siamo vecchi, questi corpi senza emozioni sono la punizione per la nostra sfrontata curiosità. E’ giusto subire una punizione, come è giusto cercare di riottenere i nostri cuori. Fa tutto parte del gioco in cui ci siamo immischiati anni fa con i nostri esperimenti. Noi fondatori non siamo più dei bambini, possiamo affrontare anche una realtà così dura come quella di non poter provare la benché minima emozione: è triste, lo so, ma possiamo sopportare. Ma non ci siamo più solo noi in questa situazione: ci sono anche ragazzini che già fuggono da una realtà “normale”, figurati se riescono ad accettare di essere privi di emozioni. Non sono scienziati, sono persone normali, non sono pronte a questo distacco così totale da ogni forma di sentimento e, secondo me, in qualche modo mantenere alcune illusioni è necessario per non farli impazzire. Come pensi che reagirebbero Demyx o Roxas, se comprendessero appieno che ogni minima emozione, ogni più piccolo sentimento che loro credono di provare, in realtà non sono reali? Sì, il Natale serve. Serve a loro per continuare ad illudersi e in qualche modo resistere fino a quando non riavranno il loro cuore. E serve anche a noi, per ricordarci cosa abbiamo perso e invogliarci ad andare avanti. Serve, anche se svolge una funzione che non è quella per cui è stato istituito.>

Xigbar non credeva che potesse esistere un silenzio così pesante.

Xaldin era esauriente quando lo voleva, questo era ormai certo.

< Chissà... – mormorò il numero II più a se stesso che all’amico – cosa ne pensa Roxas...>

 

{*-¯-*}

 

Il pastello rosso si fermò a ricalcare un po’ meglio lo spazio appena colorato, non era venuto abbastanza intenso. Mentre con forza ricalcava il punto malfatto, uscì di poco dal bordo fatto in matita.

Naminé guardò tristemente il colore debordato, dava un’aria decisamente sciatta a tutto l’insieme, nonostante fosse solo un piccolo segnetto.

Per fortuna arrivò il pastello nero: ricalcando i bordi in matita ed ingrossandoli un poco, inghiottì anche la sbavatura rossa.

La ragazzina sorrise appena guardando le dita sottili che impugnavano il pastello, risalendo con gli occhi lungo il polso chiaro, il braccio coperto dal maglione scuro, fino al volto concentrato e serio.

Lei fece un cenno per ringraziare mentre Roxas le porgeva il pastello giallo: sapeva che era il suo colore preferito.

Anche lui sorrise un poco guardandola colorare attentamente la stella cadente in cima all’albero di Natale che avevano disegnato: entrambi lo trovavano bellissimo, tutto verde e pieno di palline e festoni d’ogni sfumatura possibile. A concludere il tutto vicino ad esso c’era un caminetto acceso e un bel regalo incartato.

Mancava un colore di sfondo, ma Naminé non era abituata a farlo. I suoi sfondi erano sempre bianchi.

< E’ venuto bene.> mormorò contenta.

Roxas annuì pensieroso.

< Vuoi fare lo sfondo?> chiese piano la ragazzina.

< Posso provarci...> fu la laconica risposta e il numero XIII prese il pastello arancione: inizialmente aveva pensato di fare lo sfondo grigio, ma poi gli era venuto in mente che se c’era un caminetto acceso, allora anche la luce doveva avere un colore un po’ diverso.

Colorò con un bell’arancione sfumato lo sfondo, aggiungendoci poi un po’ di giallo nei pressi del fuoco e un po’ di rosso negli angoli più remoti.

Concluse il tutto con una leggera spolverata di grigio chiaro dove si doveva notare la linea del pavimento.

< Ti piace?> chiese piano a Naminé e sorrise quando lei annuì.

< Ora è ancora più bello. Dici che possiamo appenderlo?>

Roxas si guardò attorno, ma in quel momento entrò Larxen.

A vedere i due piccoletti così, seduti l’uno accanto all’altro ad ammirare il loro disegno appoggiato sul tavolo bianco, le venne da ridere: una risata derisoria e sprezzante come al solito.

< Ma bene bene bene, chi abbiamo qui? I due fidanzatini che progettano la loro casa dei sogni? Puah, patetici!>

Naminé abbassò lo sguardo, cominciando a trovare all’improvviso il suo mignolo destro estremamente interessante.

Roxas non disse nulla, ma alzò lentamente lo sguardo impassibile sulla donna.

Larxen gli lanciò un’occhiata di scherno, ridacchiando di quel nanerottolo.

< Che c’è, ti sei mangiato la lingua? O speri che io non ti infastidisca per paura di quella stupida chiave che puoi sfoderare?>

< Perché non vai da Marluxia?>

La donna lo guardò di traverso, stizzita per quel tono così distaccato.

< Ma bene! – esclamò perfidamente gettando uno sguardo più attento al disegno – Anche voi avete il Natale in testa, come quel piccolo idiota biondo!>

Naminé strinse un poco i pugni pregando che l’altra non se ne accorgesse: sentir offendere in modo così naturale una persona tanto buona come Demyx le faceva una rabbia enorme!

< Eppure il Natale è una tale stronzata! Una festa per poveri dementi, proprio come quel Demyx! Ma per me quello non resisterà ancora a lungo, è troppo debole ed in fondo, chi se ne frega se sparisce, tanto uno come lui non può che essere un peso!>

Gli occhi di Roxas si fecero più torvi.

< Vai da Marluxia, Larxen.>

< Tsk, a sapere dove è andato quell’altro! E’ uscito mezz’ora fa e non è ancora tornato...>

All’improvviso da un varco oscuro apparve Saïx con la solita aria trasognata e tutti e tre i giovani si voltarono a guardarlo perplessi.

< Volevo solo avvisarvi che tra dieci minuti si mangia. Non tardate.>

Detto questo sparì, veloce come era arrivato.

Larxen, con uno sbuffo, lasciò perdere i due ragazzini e sparì anche lei a sua volta in un varco oscuro.

Naminé sospirò, calmandosi un attimo: le visite di Larxen la facevano sempre indignare per un motivo o per l’altro.

< Andiamo?> chiese Roxas sorridendo appena.

Lei annuì e si alzò, riponendo il disegno nel suo album.

Lo avrebbe appeso più tardi.

 

{*-¯-*}

 

Appoggiò la testa al finestrino dell’auto, socchiudendo appena gli occhi: il freddo contatto col vetro era l’unica cosa reale che gli ricordasse che non stava sognando.

Lanciò un’occhiata stanca alla strada. Le betulle spoglie sfilavano davanti ai suoi occhi come una processione ad un funerale, le villette erano tutte illuminate da festose luci intermittenti rosse e gialle e la neve ammucchiata agli angoli e sul marciapiede rendeva il panorama ancora più surreale.

< Dove devo girare?> chiese il tassista con la voce roca dal fumo.

< A sinistra, poi giri a destra al prossimo semaforo e si fermi. Ormai siamo quasi arrivati.> rispose Marluxia continuando a fissare i rari fiocchi di neve che cadevano soffici.

Il tassista grugnì in risposta.

Il numero XI non sapeva bene perché si trovasse là: ormai era un’abitudine, una sorta di ricorrenza. Il suo modo di festeggiare il Natale.

Quante volte aveva percorso con la macchina quelle strade innevate! Si ricordava di ogni sgommata, di ogni buca di quella strada e tutto, anche il più misero rallentatore, era per lui un ricordo talmente prezioso e allo stesso tempo struggente che ogni tanto si chiedeva se non sarebbe stato meglio dimenticare.

Il taxi si fermò lentamente e il guidatore si voltò, ancora la sigaretta in bocca, dicendogli il prezzo; Marluxia pagò senza fiatare e scese in fretta dall’auto.

Sorrise amaramente dandosi dello stupido: avrebbe potuto raggiungere quel luogo in un attimo grazie ad un varco oscuro, ma ormai era incatenato a questa tradizione.

Il viaggio lo si faceva in macchina, come lo aveva fatto anni prima.

Si parcheggiava non di fronte alla casa, ma qualche vicolo prima, per poter fare un poco di strada a piedi e guardarsi meglio attorno.

Marluxia mise le mani nelle tasche del cappotto e cominciò a camminare sul marciapiede: anche se la maggior parte della neve era stata spalata per permettere il passaggio, ne era caduta altra e ci si affondava fino a metà polpaccio.

L’uomo fece entrare l’aria gelida nei polmoni, tendendo l’orecchio per bearsi del silenzio attorno a lui; continuò a camminare lentamente, perdendosi nel frattempo in un baratro di ricordi.

Se fosse stato come gli altri, sarebbe stato meglio.

Era un pensiero ricorrente, questo: invidiava gli altri membri dell’Organizzazione che, perdendo ogni legame con gli altri mondi, trovavano nel loro gruppo l’unico aggancio possibile.

Loro ricordavano pochissimo se non proprio zero di quando erano degli essere viventi a tutti gli effetti: non ricordavano né amici, né familiari, solo ogni tanto qualche situazione o qualche luogo.

Marluxia invece ricordava tutto.

Luoghi, persone, situazioni, abitudini, ogni cosa.

Forse perché era diventato un Nessuno da poco, o forse perché al contrario degli altri si era tenuto stretto i suoi ricordi fin dal primo momento: li aveva ripetuti mentalmente ogni notte, alcuni li aveva trascritti su carta per non perderli, sta di fatto che si ricordava tutto.

E cercava anche di conservare le abitudini che per lui erano più importanti, come quella della Vigilia.

Alzò improvvisamente lo sguardo, era arrivato davanti alla casa senza quasi accorgersene.

Guardò l’orologio della chiesa che sorgeva poco distante: 19.27.

Era un po’ in anticipo, avrebbe dovuto aspettare un poco.

Si avvicinò all’inferriata della casa dirimpetto alla sua, mimetizzandosi un poco accanto ai rami di un sempreverde lì accanto: era una postazione perfetta per vedere e non essere visti.

Aguzzò la vista e riuscì a vedere attraverso le tende leggere della finestra la tavola apparecchiata in salotto.

Alle 19.30 precise l’orologio della chiesa scoccò un rintocco e nello stesso momento una macchina arrivò sulla strada e parcheggiò di fronte alla casa che Marluxia stava spiando.

Dalla macchina scesero un uomo sui trentacinque anni, i capelli neri accuratamente pettinati con la riga in mezzo, due bambini che dimostravano al massimo otto anni ed una donna sui trent’anni, i capelli castani con sfumature rosse legati in una coda.

Marluxia sorrise: sua sorella era sempre bella ogni volta che la vedeva.

I quattro si avvicinarono all’uscio e bussarono; la porta fu aperta subito da una coppia di anziani.

I due gruppetti si salutarono calorosamente, scambiandosi auguri e complimenti.

Marluxia li guardò in silenzio, senza sapere esattamente cosa doveva provare.

Vedeva i suoi genitori e sua sorella solo una volta all’anno, praticamente di nascosto, in teoria avrebbe dovuto mettersi a piangere per la gioia.

“Non fare l’idiota! – pensò – Sai perfettamente che non puoi piangere.”

Sussultò quando sentì che il gruppo cominciava a rientrare in casa per il cenone: avrebbe dovuto muoversi anche lui, non aveva voglia di sorbirsi il paternale da Xaldin.

Stava per allontanarsi quando notò sua madre ancora sulla porta: fissava con gli occhi chiari la strada, come se aspettasse qualcuno.

< Tesoro, vieni dentro o prenderai freddo!> esclamò l’uomo anziano appoggiandole una mano sulla spalla.

< Sì... scusa, è l’abitudine...> fece lei con l’aria più triste che Marluxia le avesse mai visto addosso.

Il volto di suo padre si scurì.

< Non può venire, lo sai. Sono anni ormai che non può più venire.>

La vecchia annuì piano, alzando lo sguardo quando un fiocco di neve le si posò sulla guancia.

< Coraggio, è meglio rientrare.> insistette l’uomo e sparì dalla porta.

La donna rimase ancora qualche istante a guardarsi attorno, nel tentativo di scorgere una figura familiare nel buio della notte; Marluxia si appiattì istintivamente all’inferriata, pregando che non lo scorgesse, ma la donna, dopo un lungo e sofferto sospiro, rientrò in casa chiudendosi mestamente la porta alle spalle.

Marluxia si lasciò andare in un sospiro di sollievo.

Cominciava a nevicare fitto fitto, i fiocchi ricoprivano velocemente le strade spalate con tanta cura.

Il numero XI si strinse nel cappotto, aprendo un varco oscuro.

< Buon Natale.> bisbigliò rivolto alla casa.

Lentamente si lasciò scivolare nel varco, senza una parola.

 

{*-¯-*}

 

Roxas si raggomitolò meglio sotto le coperte nell’inutile tentativo di sopportare di più il freddo: anche se il cibo preparato da Xaldin gli aveva lasciato un piacevole tepore nello stomaco, l’aria fredda attorno si faceva comunque sentire.

La cena era andata bene, il cibo era ottimo come sempre e Demyx, nonostante fosse un po’ giù di morale per l’assenza di Zexion, aveva chiacchierato tutto il tempo col numero XIII.

Roxas si era divertito in fin dei conti, seduto com’era tra il numero IX e Naminé, gli era parso di essere veramente a casa.

Ora, con tutta l’adrenalina che gli scorreva in corpo, non riusciva a chiudere occhio: si chiedeva se Babbo Natale sarebbe veramente arrivato, se sarebbe successo tutto come gli aveva raccontato Demyx.

Aveva ancora qualche dubbio sul fatto che un uomo tanto grasso e tanto vecchio potesse passare per il piccolo camino della loro sala, ma in fondo, pensava, avrebbe anche potuto rompere una finestra ed entrare: sarebbe stato molto più facile, anche se probabilmente né Xemnas né Vexen sarebbero stati molto contenti.

“Forse è già arrivato” si disse e controllò l’orologio.

Era l’una e un quarto, era il giorno di Natale da più di un’ora e lui non se n’era neanche accorto!

Ricominciò a fantasticare su come sarebbe stato guidare una slitta trainata da renne.

Comunque, nel caso il vecchio Babbo Natale non fosse arrivato, Roxas si era attrezzato perché almeno Naminé avesse il suo regalo: ne aveva comprato uno pochi giorni prima e non vedeva l’ora di darglielo.

Si agitò ancora un poco sotto le coperte.

“Chissà gli altri cosa stanno facendo.” pensò.

Un po’ si vergognava di non riuscire a dormire, gli sembrava decisamente infantile, ma d’altro canto il Natale per lui era sempre un fatto elettrizzante.

Non ne era sicuro, ma aveva la netta impressione di aver sempre adorato il Natale, anche prima di diventare un Nessuno.

Si mise seduto appoggiando la schiena sulla testata del letto e guardò fuori: Kingdom Hearts emanava come al solito la sua luce tenue e delicata come quella della luna.

“Chissà se Naminé sta dormendo…” si chiese.

Si sdraiò nuovamente, serrando le palpebre per non far filtrare la luce.

Doveva dormire, doveva assolutamente dormire.

Lui e Naminé avevano promesso a Xaldin che lo avrebbero aiutato a preparare il pranzo l’indomani, non poteva permettersi di restare sveglio, doveva recuperare le energie.

Provò a contare le pecore, come gli aveva insegnato Axel, ma dopo poco le pecore si trasformarono in renne.

Roxas non poté trattenere un sorriso, il Natale era persino lì.

Continuò a contare e ricontare fino a che, senza neanche accorgersene, scivolò in un sonno leggero.

 

{*-¯-*}

 

Ormai erano le due e mezza di notte, in tutto il castello regnava un silenzio di tomba; solo ogni tanto si sentiva un leggero russare dalla camera di Xigbar.

All’improvviso si aprì un varco oscuro nel corridoio principale e Zexion, il cappuccio che nascondeva il volto, fece il suo ritorno a casa.

Era stanco morto: la missione non era stata troppo difficile, ma decisamente stancante.

Mentre rifletteva che forse sarebbe stato meglio partecipare al cenone piuttosto che imbarcarsi in una missione così, passò per la sala dove era stato messo l’albero.

Si bloccò a guardarlo: le luci intermittenti illuminavano i mobili lì attorno con colori strani, dando al tutto un’aria molto strana… sembrava quasi che emanassero calore.

Zexion non riuscì a trattenersi.

Si avvicinò lentamente all’albero e guardò verso la base: c’erano dei pacchetti incartati.

Si chinò a contarli.

Erano tredici e tutti con i rispettivi bigliettini con scritto il nome del destinatario.

Zexion li lesse uno per uno: in teoria avrebbero dovuto essere quattordici contando anche la piccola Naminé…

Alla fine si alzò: mancava quello di Demyx.

Zexion non capiva perché, non sapeva nemmeno chi avesse messo quei regali sotto l’albero, ma nessuno sarebbe stato così crudele da lasciare proprio Demyx senza il suo.

Sorrise: per fortuna, per una buona volta, aveva la possibilità di fare una buona azione.

Tirò fuori dalla tasca un pacchettino avvolto in carta blu e, presa una penna e un foglio di carta da un cassetto di un mobile lì vicino, si sedette sul divano.

Scrisse in fretta il nome di Demyx con la mano sinistra, in modo che non si riconoscesse la sua calligrafia, e, dopo aver piegato il foglio, mise il pacchetto accanto a quello degli altri.

“Dovresti ringraziarmi, Demyx – pensò sorridendo – Non sai quanti pensieri amari ti ho appena risparmiato.”

 

{*-¯-*}

 

La mattina dopo Zexion venne svegliato da un incessante bussare alla sua porta.

Aprì gli occhi maledicendo ogni essere vivente e non, ma li richiuse quasi subito: la luce lo stordiva e aveva talmente tanto sonno in corpo che non trovava proprio un valido motivo per alzarsi.

< Lasciatemi in pace…> bofonchiò quando sentì che continuavano a bussare.

Era talmente tanto addormentato che non notò nemmeno la porta che si apriva, ma si accorse fin troppo bene che qualcuno era entrato quando un peso non esattamente piuma gli cadde addosso.

< Ma che diamine..!>

< Zexion!>

Zexion guardò con aria assonnata e piuttosto instupidita il biondino che lo abbracciava tutto contento.

< Che succede, Demyx?>

< Sono arrivati i regali! Vieni a vederli?>

Zexion sbadigliò e guardò l’orologio.

< Demyx, sono a malapena le otto! Ho sonno io, ieri sono tornato tardi…>

< A proposito, dove sei stato ieri sera?>

< In missione.>

< Avevi detto che avresti partecipato al cenone!>

< Vabbé, scusami, è stata una cosa piuttosto improvvisa… e poi cosa cambia, tanto oggi a pranzo ci sono.>

Zexion si alzò maledicendo le missioni notturne e i biondini esagitati: poco più di cinque ore di sonno per lui non erano affatto sufficienti!

Dieci minuti dopo camminava verso la sala con Demyx che gli saltellava accanto.

Il numero VI guardò il biondino di soppiatto: come avrebbe reagito se non avesse trovato alcun regalo per lui? Forse sarebbe finalmente cresciuto? O avrebbe avuto altre reazioni più imprevedibili?

Arrivarono dopo poco alla sala: i regali rimasti sotto l’albero erano pochi, c’era l’abitudine di prendere ognuno il proprio regalo e di aprirlo in camera da soli.

“Probabilmente – pensò il numero VI – prima di venire a svegliare me Demyx ha gettato giù dal letto tutta l’Organizzazione…”

Zexion si avvicinò e raccolse da terra il pacchetto col suo nome: era bello pesante e molto spesso.

Sorrise e si voltò verso Demyx che fissava con un misto di stupore e di incredulità il pacchettino col suo nome.

Non aveva mai visto un’espressione tanto strana sul suo volto, non era felicità, era solo puro e semplice stupore.

< Che succede, Demyx?> gli chiese, ma quello scosse la testa.

< Nulla, tranquillo!> rispose sorridendo.

< Ehi, Demyx!>

Zexion e il numero IX si voltarono verso Xigbar che ghignava dalla porta.

< Xaldin ti vuole, ha bisogno di una mano in cucina!>

< Sì, digli che arrivo subito!> rispose in fretta Demyx rigirandosi fra le mani il regalo, tremando leggermente.

Fissò ancora incredulo il pacchetto che reggeva.

< E’ meglio se lo apri più tardi. – suggerì sorridendo Zexion – A Xaldin non piace aspettare…>

Fu come se il biondo si svegliasse improvvisamente da uno strano torpore: annuì in fretta e, con un distratto “Ci vediamo dopo”, corse verso camera sua per appoggiare il regalo.

Zexion continuò a pensare alla strana reazione di Demyx mentre tornava lentamente verso camera sua, scartando soprappensiero il suo regalo.

Un sorriso che andava da un orecchio all’altro apparve sulle sue labbra quando si trovò in mano una copia nuova fiammante de “Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer.

Durante il tragitto incrociò Roxas che, con due occhiaie che facevano invidia a quelle di Zexion, si dirigeva verso l’albero fischiettando allegramente, le mani in tasca.

Si salutarono con un cenno del capo e ognuno proseguì per la sua strada.

Arrivato di fronte all’albero torreggiante, Roxas diede un’occhiata ai regali rimasti: c’erano ancora quelli di Xemnas e Saïx (che probabilmente Demyx non aveva avuto il coraggio di svegliare) e quello suo e di Naminé.

Il ragazzino prese il suo pacchetto con mano tremante: allora quel vecchio con la tuta rossa era arrivato sul serio!

Diede un’occhiata al caminetto, ma quello non era cambiato di una virgola, ancora con tutta la fuliggine del giorno prima e stretto come al solito.

Lo sguardo saettò verso le finestre, ma tutti i vetri erano intatti.

Roxas non riusciva proprio a capire, ma era troppo stanco per perderci troppo tempo.

Stava per allontanarsi quando vide di sfuggita il regalo per Naminé: se Babbo Natale si era ricordato anche di lei, il regalo che Roxas aveva preparato non serviva più...

Si sentì un poco abbattuto, gli sarebbe davvero piaciuto darle il suo regalo.

Si guardò intorno: non c’era nessuno in vista.

Estrasse dalla tasca il pacchettino che aveva preparato in precedenza per la ragazzina e, afferrato un pezzo di carta, scrisse il suo nome e lo mise accanto all’altro sotto l’albero.

Nessuno si sarebbe accorto che Naminé aveva due regali, in fondo erano quasi tutti passati a prendersi il proprio, chi avrebbe controllato nuovamente i regali?

Ed era da escludere che la piccola potesse vantarsi con gli altri, quella ragazza era l’incarnazione della modestia.

Sì, se tutto fosse andato bene la piccola aggiunta di Roxas sarebbe passata inosservata e lui avrebbe avuto la coscienza a posto.

 

{*-¯-*}

 

Roxas e Naminé sistemarono accuratamente i tovaglioli alla destra dei piatti, poi le forchette a sinistra e i coltelli e i cucchiai di nuovo a destra. Il cucchiaino per il dolce stava in alto, tra i due bicchieri (quello da vino e quello da acqua) e il piatto.

Mancavano pochi minuti al pranzo di Natale e Xaldin stava finendo di prodigarsi in cucina mentre Demyx portava in tavola i vassoi con gli antipasti e Xigbar si occupava dei vini.

< Ehi, Xaldin, hai finito con quegli arrosti?> chiese Xigbar mentre posizionava in alcuni punti strategici della tavola le bottiglie di vino.

< Sì, ormai sono pronti. Quanti minuti abbiamo ancora?>

< Zero, oserei dire.>

Tutti si voltarono verso Zexion che era apparso all’improvviso sulla porta, seguito dal resto del gruppo.

< Allora abbiamo un ottimo tempismo. – fu il solo commento del cuoco – Accomodatevi pure in tavola, ora passo con l’arrosto!>

Zexion non fece neanche in tempo a sedersi che si trovò accanto Demyx che sembrava aver ripreso il solito buon’umore.

Il numero VI continuò ad interrogarsi su cosa potesse significare la reazione di quella mattina di fronte al regalo: sembrava come se fosse stata l’ultima cosa che si era aspettato, eppure era lui quello che metteva più ardore nel festeggiare il Natale.

Perché avrebbe dovuto credere di non ricevere regali?

< Zexion, vuoi un po’ di radicchio cotto?>

< Sì, grazie Xaldin.>

Roxas e Zexion non erano gli unici ad avere delle occhiaie spaventose: Xaldin sembrava stesse per cadere con la faccia nel piatto da un momento all’altro e Demyx nascondeva continui sbadigli dietro al tovagliolo.

Xemnas si alzò sollevando il bicchiere colmo di vino scuro.

< A questo punto direi di poter augurare a tutti voi un buon Natale!> esclamò con uno dei rari sorrisi che gli si vedevano in volto.

Gli altri sollevarono i bicchieri pieni imitandolo e ad una sola voce esclamarono “Buon Natale!”.

Zexion bevve tutto d’un fiato il liquido scuro del suo bicchiere mentre Demyx andava avanti a succo di frutta come Roxas e Naminé: ai più giovani era severamente proibito bere alcolici.

< Hai già aperto il tuo regalo?> chiese piano il numero XIII alla ragazzina, ma quella scosse la testa.

< Volevo aprirlo con te... tu l’hai già aperto?>

Anche Roxas scosse la testa: la tentazione era stata fortissima, ma aveva deciso che avrebbe scartato il regalo insieme a Naminé.

< Allora dopo vengo in camera tua, così li apriamo insieme. Che ne dici?>

< Va bene.>

Zexion sorrise ascoltando quella conversazione e si rivolse verso Demyx.

< E tu?>

< Io?>

< Hai già aperto il tuo regalo?>

Demyx fece di no col capo.

< Non ho avuto tempo, ho dato una mano in cucina a Xaldin per tutta la mattina. Lo aprirò questa sera probabilmente.>

Zexion sorrise ancora.

Il pranzo, come ogni pasto fatto in compagnia che si rispetti, andava per le lunghe: si erano messi a tavola all’una e mezza, ma le ore scivolavano una sopra l’altra e Demyx si sentiva sempre più pesante.

Ad un certo punto guardò l’ora e sobbalzò: erano le cinque e mezza.

Un pranzo di quattro ore era più di quanto chiedesse.

Lentamente tutti si alzarono da tavola e scomparvero ringraziando Xaldin per il pasto.

Anche Demyx aveva tutta l’intenzione di sgattaiolare via, ma il numero III lo afferrò per la collottola insieme a Xigbar e li trascinò entrambi in cucina a lavare i piatti.

< Sempre la solita storia – brontolò Xaldin mettendo i piatti sporchi uno sopra l’altro – Tutti a fare complimenti per il cibo, tutti amiconi, ma poi neanche uno che si fermi un istante a dare una mano a riordinare...>

Demyx sbuffò: non che gli dispiacesse aiutare il cuoco, ma il pensiero del suo regalo ancora incartato in camera e del fatto che doveva ancora mostrare il vero regalo ad una persona lo rendeva decisamente impaziente.

Dopo un’altra ora spesa a lavare piatti, scrostare teglie e lucidare nuovamente la cucina e la sala da pranzo, finalmente Demyx poté lasciare il suo superiore.

Era tardi ormai, le sette erano passate da un pezzo.

 

{*-¯-*}

 

Axel stava ammirando il suo nuovo set di accendini quando qualcuno bussò alla sua porta ed entrò improvvisamente Demyx.

< Ehilà, Demyx! Come stai?>

< Bene, grazie. – sorrise l’altro – Disturbo?>

< No, affatto.>

Demyx sospirò: aveva aspettato da molto quel momento e neanche il pensiero del regalo incartato in camera sua poteva distoglierlo dal farlo.

< Ti va di venire fuori con me? Devo mostrarti una cosa.>

Axel strabuzzò gli occhi e gettò una rapida occhiata fuori dalla finestra: il cielo sembrava addirittura più scuro di quanto non fosse di solito e il gelo penetrava attraverso le finestre.

< Ma... adesso?!>

Demyx annuì.

Axel non sapeva che pesci pigliare.

Ci pensò su un attimo, indeciso sul da farsi, deglutì un paio di volte per farsi coraggio, ma poi si decise e si alzò afferrando il cappotto.

< Ok, andiamo.>

I due percorsero i corridoi già deserti ancora rallegrati dalle decorazioni, proseguirono fino al portone d’ingresso e uscirono nel Mondo Che Non Esiste, che mai come in quel momento era sembrato tanto freddo ed inospitale.

Camminarono per le vie buie e sporche brulicanti di heartless che, nonostante sembrassero avere solo l’istinto, avevano anche abbastanza spirito di autoconservazione da non attaccarli.

Axel alzò lo sguardo sulla struttura che troneggiava davanti a lui: il Grattacielo della Memoria.

< Che ci facciamo qua?> chiese battendo i denti.

< Dobbiamo salire. Vieni.>

< Salire? Dobbiamo farci tutte quelle rampe di scale?!> brontolò incredulo Axel, ma Demyx già non lo ascoltava più, era entrato nel grattacielo e stava salendo le scale interne.

Continuando a borbottare e a maledire per la mancanza di ascensori, Axel lo seguì controvoglia.

Arrivati in cima, al numero VIII cominciarono a lacrimare gli occhi per il freddo, lì il vento sferzava senza pietà sui loro volti.

Axel guardò con aria interrogativa Demyx che stava ammirando il piazzale sotto di loro.

< Allora?> chiese impaziente il rosso.

< Io... volevo mostrarti questo.>

Axel seguì la direzione verso cui puntava il dito di Demyx e voltandosi rimase stupefatto: no, quello proprio non se lo sarebbe mai aspettato.

Era un pupazzo di neve, ma non era di neve e, a dir tutta la verità, non era neanche un pupazzo... era un orso.

Sì, con quelle orecchiette tonde in cima alla testa e il naso fatto con una castagna era proprio un orsacchiotto.

Ma il corpo non era fatto di neve come avrebbe dovuto: era in ghiaccio.

La superficie liscia e lucida rifletteva come in un sogno la luce pallida di Kingdom Hearts, la curva della bocca aveva un che di malinconico e gli occhi, fatti con due sassolini colorati, erano la cosa più bella e più triste che Axel avesse mai visto.

Gli ricordava molto uno dei suoi primi accendini su cui era disegnato un orsetto con un bersaglio disegnato sulla pancia: una delle cose decisamente più tristi e tenere allo stesso tempo che lui avesse mai visto.

< Scusa se ti ho trascinato fin qui – mormorò Demyx – ma per far gelare l’acqua e fare in modo che non si sciogliesse dopo poco ho dovuto cercare un posto molto freddo... ci tenevo a mostrartelo prima che fosse troppo tardi. Sai, dopo, con l’arrivo della primavera, non resisterà di certo a lungo.>

< E’ bellissimo.> disse con voce roca il rosso, senza trovare parole migliori per esprimere quel concetto.

< Sono contento che ti piaccia... l’ho fatto per te. Una sorta di... statua commemorativa della nostra amicizia.> continuò il biondo.

Axel sorrise.

< Sono io che dovrei ringraziarti, sei un ottimo amico.>

< Lo sei anche tu e mi hai aiutato tantissimo al mio ingresso nell’Organizzazione. Ti sarò per sempre debitore, sappilo.>

 

{*-¯-*}

 

Roxas e Naminé erano seduti sul letto, i loro rispettivi regali ancora incartati appoggiati sulle ginocchia. Roxas non aveva fatto commenti riguardo al fatto che lei aveva due regali invece che uno soltanto e la ragazzina non poteva che essergli grata: ancora non capiva cosa avesse fatto per meritarsi un simile trattamento di favore.

< Chi comincia a scartare?> chiese Roxas: non vedeva l’ora di guardare la faccia di Naminé mentre apriva il regalo che lui le aveva fatto.

< Comincia tu... io mi vergogno.>

Roxas annuì: fece passare un dito sottile lungo la carta da pacchi verde chiaro, togliendo man mano che li incontrava tutti i pezzettini di scotch che fissavano meglio la carta.

Era un pacchetto molto piccolo, il suo, ma era abbastanza pesante ed il ragazzo fremeva comunque di curiosità.

Scartò con impazienza delicata il regalo e rimase a guardare a bocca aperta il contenuto: era un minerale, uno di quelli che gli piaceva tanto fissare per minuti e minuti.

Lo sollevò all’altezza del viso con una mano e si voltò verso Naminé.

< Cosa ne pensi?> le chiese sorridendo.

< Molto bello! – rise lei – Ha lo stesso colore dei tuoi occhi...>

Roxas sorrise di nuovo e poi appoggiò il minerale sul letto.

< Ora tocca a te!>

Naminé cominciò a scartare uno dei regali, precisamente quello che stava sotto l’albero fin dall’inizio, e ben presto ne estrasse un nuovo album da disegno e un pacchetto di pastelli, con tanto di temperino.

Sorridendo raggiante appoggiò il contenuto sul letto accanto al minerale di Roxas e prese in mano il pacchettino più piccolo.

Il ragazzo accanto a lei fissava con grande attenzione ogni minimo cambio di espressione.

Dopo un tempo che a Roxas parve infinito, finalmente la carta fu abbandonata al suolo: Naminé teneva in mano una scatolina blu di quelle abbastanza rigide.

Con grande curiosità aprì la scatolina e rimase a bocca aperta: all’interno c’era un braccialettino, non di quelli che costavano un occhio della testa, ma lo stesso molto bello, grigio argento con delle perline azzurre.

< E’ bellissimo...>

< Ti piace sul serio?> chiese Roxas senza riuscire a frenare l’emozione.

< Sì... sai, è la prima volta che ricevo un gioiello, o almeno per quello che riesco a ricordare...>

Roxas prese il braccialetto e glielo agganciò al polso: le stava davvero bene, si intonava perfettamente con la sua carnagione.

Naminé sorrise, intuendo qualcosa.

< Me l’hai regalato tu?>

Se Roxas avesse potuto, sarebbe arrossito violentemente.

Annuì piano, distogliendo lo sguardo.

Naminé sorrise ancora di più.

< Grazie mille, Roxas!>

< Naminé... mi prometti che lo terrai? Per ricordarti di me...>

< Roxas, non potrei dimenticarmi di te...>

< Non è detto! Guardami, io ho dimenticato tutto ciò che riguarda la mia vita precedente da quando sono diventato un Nessuno... se un giorno noi diventassimo qualcos’altro, potremmo non ricordarci più l’uno dell’altra. Almeno, con questo braccialetto, spero che tu riuscirai a non dimenticarmi mai.>

< Tranquillo – sorrise la ragazzina – Non succederà, te lo prometto!>

 

{*-¯-*}

 

Demyx rientrò in camera, stanco morto.

Era stata una giornata impegnativa, molto più impegnativa di quanto non avesse creduto possibile.

Senza neanche guardarsi attorno si tolse il cappotto e si gettò sul letto: aveva i muscoli a pezzi e sentiva il corpo pesantissimo.

Lo sguardo gli cadde sul pacchetto appoggiato sopra il comodino e senza pensarci due volte lo afferrò: era leggero e di forma quadrata.

Strappò l’involucro e si lasciò scappare un “oh” di sorpresa: era un cd.

Sorrise e, messosi sotto le coperte, aprì il contenitore ed infilò il cd nel lettore.

Si raggomitolò nel suo letto mentre le prime note del cd raggiungevano le sue orecchie.

Lasciò che le note riempissero il vuoto che si portava nel petto e, all’improvviso, cominciò a piangere.

Perché gli sembrava tutta una gran farsa, perché si sentiva un idiota e perché era terribilmente contento di aver ricevuto il suo primo regalo.

Tutti gli altri anni si era sempre occupato lui di procurare i regali per tutti, di incartarli e di metterli sotto l’albero di notte, mentre gli altri dormivano.

Preparava il regalo anche per se stesso.

Aveva fatto così anche quest’anno, ma non aveva avuto abbastanza tempo e non era riuscito a comprare qualcosa da regalarsi da solo.

Per quello aveva avuto quella reazione esagerata di fronte al pacchetto, era certo che non avrebbe ricevuto regali, per quell’anno... ma in fondo chi voleva prendere in giro?

Si sentiva uno stupido.

Il suo Natale era tutta una stupida finzione, la finzione di un ragazzino immaturo che passava la notte della vigilia a incartare cose da regalare a se stesso.

Ma quale Babbo Natale?

Non ci credeva più da tempo.

Ma soprattutto... ma quali sentimenti?

Lo ammetteva, gli piaceva far finta di averne ancora. Di poter provare un’emozione, una qualsiasi gli andava bene. Gli piaceva continuare in qualche modo con il suo comportamento all’apparenza così naturale a far credere che i Nessuno come lui potessero provare sentimenti.

Non era vero.

Lui non sentiva niente, assolutamente niente.

Si strinse il petto con una mano, come a cercare un battito che era certo non sarebbe arrivato in risposta.

Ascoltò le parole della canzone che stava ascoltando mentre continuava a piangere come un disperato.

 

In space the stars are no nearer
They just glitter like a morgue
And I dreamed I was a spaceman
Burned like a moth in a flame
And our world was so fucking gone

But I'm not attached to your world
Nothing heals and nothing grows

Because it's a great big white world and we are drained of our colors
We used to love ourselves, we used to love another
All my stiches itch
My prescription's low, I wish you were queen just for today
In a world so white what else could I say?

And hell was so cold
All the vases are so broken
And the roses tear our hands all open
Mother marry miscarry
And we pray just like insects
The world is so ugly now

 

“Chi lo sa? – pensò rabbiosamente continuando a piangere – Se Xigbar e gli altri vedessero che sono diventato come volevano loro, un disilluso, sarebbero felici?”

 

Because it's a great big white world and we are drained of our colors

 

Come aveva iniziato, così smise all’improvviso di piangere.

Raccolse con un dito una lacrima rimasta sulla guancia e la guardò sorpreso.

Avrebbe voluto portarla sempre con sé, mostrarla agli altri che sì, anche i Nessuno potevano piangere per la rabbia e lo sconforto, che forse sotto sotto avevano ancora qualcosa di umano.

Ma la lacrima svanì in fretta dal dito, cadde sul cuscino e ne venne assorbita.

Demyx sorrise mesto, stringendosi spasmodicamente alle coperte: se non si può dimostrare che qualcosa esiste, tanto vale stare in silenzio e fare finta che non sia mai esistita, no?

Con ancora il cuscino bagnato di lacrime e il cd che continuava ad andare, Demyx si addormentò.

Il giorno dopo si sarebbe svegliato come se niente di nuovo fosse successo, si sarebbe comportato come tutti gli altri giorni.

Avrebbe cercato in tutti i modi di scoprire chi gli aveva regalato il cd e lo avrebbe ringraziato.

Ma togliendo le decorazioni di Natale, probabilmente, non avrebbe sorriso come gli altri anni.

 

Because it's a great big white world and we are drained of our colors

we are drained of our colors

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Salve! Ebbene sì, ho finalmente fatto la mia prima fan fiction su KH non yaoi/shonen-ai *w* Ne sono felicissima, è una liberazione per me, non ne potevo più di dover scrivere sempre d'amore X°D Comunque volevo dire solo un paio di cosucce ai lettori che seguono la mia fan fiction Emo and Flower: intanto non sono morta X°D mi è semplicemente passata un attimo l'ispirazione a causa della maratona che ho fatto per scrivere e consegnare questa storia in tempo e siccome non avevo voglia di rimettermi a scrivere prima di aver saputo il risultato della gara, la stesura di EaF è stata ancora posticipata, ma non temete X°D mi sono già rimessa al lavoro e si spera che in un ritaglio di tempo io riesca a postare il nuovo capitolo. Vi prego di commentare, ci tengo moltissimo a questa fan fiction, che dedico al mio fratellone Matteo (quel povero cristo costretto a fare metà beta-reading xD)!

Bacioni, a presto!

Nezu

   
 
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