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Autore: ellyb1611    06/08/2015    5 recensioni
Nina ritorna dopo cinque anni al Picco del Diavolo, la montagna che le ha portato via tutto, amico, fratello, persino se stessa.
Ma qualcosa sta tramando alle sue spalle, qualcosa che vuole rimettere le cose a posto.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Picco del Diavolo
 
«Avanti pigrona!», mi canzonò Rafael mentre a fatica arrancavo per l’ultima salita. «Non avrai perso l’abitudine vero?», continuò con lo stesso tono.
Lo guardai senza fiatare; un po’ perché non mi andava di incoraggiarlo, un po’, perché di fiato non ne avevo davvero più.
Erano passati ormai cinque anni da che avevo messo piede in montagna per l’ultima volta. Cinque anni da quando era accaduto l’incidente. Cinque anni di incubi, notti insonni e di terapia.
Scossi la testa e strinsi gli occhi per scacciare tutti quei ricordi da me.
Non è stata colpa tua. È stato un incidente.  Ripetei come un mantra mentre, tendendo la mano al mio compagno, compii l’ultimo sforzo.
Mi ci volle un po’ per raddrizzarmi.
Le mani appoggiate lungo le cosce non ne volevano sapere di staccarsi, la testa girava, non so ancora se per la fatica e la mancanza di ossigeno o per la gioia di essere tornata ai miei monti dopo così tanto tempo.
La mano di Rafael si appoggiò sulla mia schiena e piano piano la sensazione di vertigine sparì. Sollevai il capo ed aprii gli occhi.
Quanto mi era mancato tutto ciò. Quanto mi era mancata la sensazione che, solo quando giungi in cima, riesci a provare. Il cielo sopra la tua testa e tutt’intorno massicce montagne che ti fanno sembrare così piccolo ed insignificante ma, allo stesso tempo, ti accolgono come una madre fa col proprio figlio.
Solo ora, che potevo nuovamente vederlo con i miei occhi e provarlo nuovamente sulla mia pelle, mi resi conto di quanto io appartenessi a questo mondo.
Alejandro sarebbe stato orgoglioso di me.
«Andiamo Nina», mi destò Rafael, «dobbiamo riposare un po’ prima di proseguire».
Annuii e seguii Rafael all’interno del rifugio.
Don Pedro, come si faceva chiamare il proprietario del rifugio, era un uomo di grande mole che si muoveva leggero all’interno della sua baita. Di poche parole, ci fece accomodare nell’unica stanza nella quale avremo potuto passare la notte.
«Tra mezz’ora si cena!», tuonò l’omone uscendo dalla stanza.
Due file di cinque letti, una di fronte all’altra, un piccolo bagno senza doccia e una sala comune dove consumare i pasti.
Tutto qui. Solo lo stretto necessario.
Rafael mi guardò sogghignando.
«Confessa che era questa la cosa che ti mancava di più?», disse incrociando le braccia al petto.
Sorrisi.
Sì, anche questo mi era mancato.
                                                                             
Mezz’ora più tardi, dopo esserci rinfrescati alla meno peggio, eravamo seduti al grande tavolo al centro della sala.
Un piccolo fuoco, all’interno di un altrettanto piccolo camino, scoppiettava allegramente riscaldando l’ambiente circostante.
In quell’istante non potei fare a meno di pensare a lui.
Una lacrima mi scese controvoglia e Rafael se ne accorse subito perché si avvicinò a me cingendomi le spalle con il suo braccio protettivo.
«Manca a tutti quanti», sussurrò al mio orecchio.
Annuii, perché altro non usciva dalla mia bocca. Il senso di colpa ancora non mi aveva ancora abbandonata del tutto e forse accettare di accompagnare Rafael in quest’avventura non era stata una grande idea.
«So a cosa stai pensando.», continuò il mio compagno, «ma devi smetterla di sentirti in colpa per quello che è accaduto. Sarebbe potuto succedere a chiunque. Quindi adesso asciugati quelle lacrime e gustiamoci quella meravigliosa minestre che Don Pedro ci sta portando», concluse strizzandomi l’occhio.
Inspirai tutta l’aria che potei e in silenzio iniziai a mangiare.
La minestra calda offerta da Don Pedro non faceva rimpiangere quella di mia mamma; certo al suo interno le verdure non erano di una gran varietà, ma il sapore non era davvero niente male e man mano che il liquido scendeva nello stomaco, anche il mio umore iniziava a sentirsi meglio. Forse dovevo iniziare a dare retta a Rafael, quello che era successo ad Alejandro poteva accadere a chiunque.
Inspirai nuovamente mentre alla fine della cena, ci spostammo tutti attorno a quel camino per raccontare, come d’abitudine, alcune storie.
Di fianco a me una giovane donna bionda, probabilmente alla sua prima arrampicata, attendeva con ansia tipicamente infantile quel momento.
«Allora Don Pedro …», attaccò non appena l’uomo prese posto all’interno del cerchio, « … è vera la storia che si racconta in giro?»
«Sono molte le storie che si dicono in montagna!», comunicò annoiato mentre sorseggiava il liquore alle erbe.
Don Pedro doveva essere ormai stanco di tutti quei novelli turisti, alla ricerca di qualche leggenda, infondata, che mettesse paura.
«Avanti Don Pedro», continuò la donna con tono di sufficienza, «sto parlando del fantasma del Picco del Diablo*?»
Sollevai lo sguardo verso la giovane donna straniera.
Il Picco del Diablo.
Ancora quella montagna e solo a sentirne il nome, mi faceva venire i brividi.
Don Pedro inspirò, posando a terra il bicchiere con la bevanda alcolica.
«Non so cosa sia …», rispose fissando lo sguardo sul fuoco crepitante, «… ma da qualche anno un anima in pena si aggira per quelle zone. Si racconta che sia lo spirito di un alpinista che ha ancora qualche conto in sospeso con la montagna. Di certo qualcosa deve esserci perché il rifugio vicino al Picco è stato abbandonato dagli stessi proprietari.»
«Lei sa se si può comunque passare la notte in questo rifugio?», continuò la donna curiosamente
«Se fossi in lei non farei arrabbiare gli spiriti, intromettendosi nei loro affari … a meno che non sia lei che stanno aspettando!», concluse l’uomo fissando lo sguardo su di me, dandomi la sensazione di volermi dire qualcosa.
Che sapesse dell’incidente? Che credesse davvero alla presenza di qualche spirito con un conto in sospeso? Che fosse Alejandro quello spirito?
Mi portai le mani sopra la testa e la scossi violentemente, quasi a voler allontanare quei terribili pensieri dalla mia mente.
«Non volevo spaventarla!», sussurrò la bionda notando il mio fare irrequieto. La guardai con un sorriso tirato e mi alzai da quel cerchio che mi era diventato ormai troppo stretto.
«Giuro che non volevo …», la sentii cercare di giustificarsi con l’uomo di fianco a lei che la stava rimproverando.
Non me ne ero andata perché avevo paura, ma perché una strana sensazione si era impadronita di me, come se qualcosa che aveva detto Don Pedro mi avesse scosso nel profondo.
O forse era solo stanchezza. L’essere tornata alle mie care montagne dopo così tanto tempo, poteva di certo giocarmi dei brutti scherzi.
Aprii il mio sacco-lenzuolo adagiandolo sul tavolato che formava i nostri letti e mi ci infilai. Mi rannicchiai su me stessa e, mentre Rafael prendeva posto accanto a me, il mio ultimo pensiero andò, come ogni notte da cinque anni a questa parte, ad Alejandro.
 
                                                                              *****************
La mattina arrivò presto e quando mi svegliai la testa sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro. Aprii gli occhi lentamente. Rafael aveva già sistemato il suo sacco e, solo la bionda ed il suo compagno erano ancora addormentati nei loro letti di fortuna. Mi stiracchiai e presi una pastiglia per il mal di testa. Oggi ci aspettava una arrampicata di tutto rispetto e non mi andava di rinunciarvi, non ora che avevo ritrovato il coraggio di tornare in montagna.
Uscii dal rifugio ancora mezza addormentata e socchiusi gli occhi godendomi quel panorama. Rafael si avvicinò a me con una tazza fumante di caffè e, lasciandomi un delicato bacio sulla guancia, me la porse.
«Sei pronta per oggi?», disse il mio compagno con voce squillante.
Annuii.
«Ottimo, perché ti aspetta una sorpresa!», esclamò alzando lo sguardo verso un punto dietro le mie spalle.
Lo guardai stupita e, subito dopo girai la testa verso la sua stessa direzione e per poco non mi mancò la terra sotto ai piedi.
Era dal funerale di Alejandro che non vedevo più Diego, dal quel giorno era uscito per sempre dalla mia vita e non vi aveva fatto più ritorno.
Vedevo lo sguardo di Diego incupirsi sempre più mentre metteva a fuoco che la persona accanto al suo amico Rafael, ero io.
Deglutii ed iniziai a sudare, nonostante l’aria fosse abbastanza fresca.
«Rafael …Nina», salutò a denti stretti il nuovo arrivato.
Non era cambiato per niente in questi anni. Lo sguardo era sempre quello di un tempo anche se forse, la tragedia che lo aveva colpito, che ci aveva colpito, lo aveva reso ancora più duro.
«Se siete tutti d’accordo, possiamo partire», comunicò Rafael mettendosi lo zaino in spalla.
Diego annuii ed io lo seguii subito dopo. Chissà cosa era saltato in testa a Rafael? Aveva intenzione di fare una riunione di famiglia? Mi sentivo in un certo senso tradita da lui, se Diego non si era più fatto vivo dopo quello che era accaduto forse le cose dovevano restare così. Punto.
Infilai lo zaino e iniziai a camminare lungo il sentiero. Alla spedizione si erano accodati i due novelli alpinisti, la bionda ed il compagno. Non appena erano venuti a conoscenza della nostra meta lei aveva letteralmente pregato di poter venire con noi e nessuno di noi glielo impedì.
Ogni tanto ci fermavamo per bere un sorso d’acqua o per riposare un po’. Man mano che ci avvicinavamo al Picco la strada si faceva sempre più impervia e i due nuovi aggiunti non avrebbero retto per molto tempo senza una sosta.
Diego non disse nulla e si mantenne a distanza debita per tutto il tragitto. Lo guardavo da lontano senza farmi vedere.
«Ma quello scorbutico chi è?», disse la bionda avvicinandosi a me mentre tentava di togliersi lo scarpone per massaggiare i piedi dolenti.
«Mio fratello», risposi sottovoce mentre la donna, stupita, lasciò cadere la calzatura a terra.
So a cosa stava pensando. Non sembravamo due fratelli, nessuno ci avrebbe creduto.
«Abbiamo avuto qualche incomprensione.», mi giustificai.
«I litigi tra fratelli accadono sempre, qualsiasi cosa sia successa sono certa che la risolverete.», mi confortò la donna.
Scossi la testa e mi alzai dalla roccia.
«Non credo mi perdonerà mai di aver ucciso l’amore della sua vita», dissi prendendone piena consapevolezza e allontanandomi dalla bionda prima che avesse modo di aggiungere altro.
Passai accanto a Diego che, come al solito, evitò di guardarmi e ricominciai il cammino.
Mentre mi allontanavo a passo spedito attraverso i boschi, non so come, ma sentii qualcosa sfiorarmi la schiena provocandomi una scossa che pervase tutto il mio corpo. Mi fermai senza riuscire a dire nulla poi, scuotendo il capo, ricominciai il mio cammino.
 Non mi importava se gli altri erano rimasti indietro, volevo raggiungere il prima possibile la meta e ritornarmene nel mio appartamento a Siviglia.
Sentii le voci dei miei compagni avvicinarsi sempre più e questo mi fece aumentare il passo nuovamente.
Improvvisamente, accadde qualcosa di totalmente inaspettato.
Sentii su di me la stessa mano che mi aveva sfiorato la schiena pochi minuti prima, ma questa volta, al contrario, la sentii premere con vigore fino a farmi perdere l’equilibrio e farmi ritrovare appesa sul ciglio di un burrone aggrappata ad un ramo che sporgeva dalla terra.  Le gambe erano a penzoloni  ad un’altezza di almeno trenta metri e in cuor mio pregavo che quel piccolo ramo fosse abbastanza forte da reggermi. Non so per quanto tempo rimasi in quella posizione, forse pochi minuti ma sembravano di certo un’eternità. Le braccia mi dolevano e le forze iniziavano a venire meno ero quasi certa che sarei morta anch’io su quella montagna. Forse dovevo rassegnarmi al mio destino.
«L’HO TROVATA!», urlò una voce sopra la mia testa. Una voce familiare che non sentivo da anni. Diego mi stava tirando su con la sola forza delle sue braccia. Mi aiutai con le ultime forze rimaste per evitare di peggiorare la situazione e, in pochi istanti le mie gambe toccarono nuovamente il suolo.
«Tutto bene?», domandò mio fratello con un tono di voce così dolce che quasi me ne stupii.
Annuii cercando di riprendere fiato. Rafael si avvicinò preoccupato e mi abbracciò forte senza parlare.
«Ora possiamo anche andare», disse Diego alzandosi e riprendendo il solito sguardo duro.
«Grazie Diego», mormorai non appena riuscii nuovamente ad esprimermi.
Lui non disse nulla, si limitò ad abbozzare un finto sorriso e si rimise lo zaino in spalla, proseguendo lungo il sentiero seguito dalla giovane coppia.
«Cosa è successo Nina?», chiese Rafael non appena anche il nostro cammino riprese.
«Non me lo so spiegare …», dissi ripensando alla sensazione che avevo avuto,« … lo so che è stupido, ma è come se qualcuno mi avesse spinto»
«Diego no l’avrebbe mai fatto, non ti odia fino a quel punto …», si affrettò a comunicarmi
«Non parlavo di Diego ma …», mi fermai perché le parole che stavo per dire mi procuravano un senso di irrequietezza, «… di qualcuno di non umano.»
Rafael si bloccò.
«Non crederai alla storia di quella donna?», chiese prendendomi il braccio.
Forse la mia era stata solo una suggestione. Forse ritornare nel luogo dove Alejandro aveva perso la vita cinque anni fa, mi giocava davvero brutti scherzi.
 Inspirai profondamente.
«Davvero una cosa stupida!», ribadii cercando di sorridere, con la sensazione che comunque quello che avevo sentito era molto più che una semplice suggestione.
Continuammo a camminare per qualche ora. Margot, la bionda, non aveva più detto una parola da quando ero quasi precipitata cosa che, tutto sommato, aveva portato i suoi vantaggi. Diego era davanti al gruppo e in solitaria proseguiva per il suo cammino senza curarsi di chi era con lui.
Anni fa non si sarebbe mai comportato così, era sempre il primo ad aiutare gli altri in difficoltà, a fermarsi per far riposare chi, poco allenato, decideva di scalare qualche montagna. Quell’incidente aveva cambiato tutti noi. Diego era diventato quel burbero insensibile che non ha mai perdonato la sorella per ciò che era accaduto ed io, io ero diventata la ragazza complessata ed in preda ai mille incubi notturni e diurni. La ragazza che non sarebbe mai più riuscita a dormire col cuore leggero.
«Sta arrivando un temporale», esclamò Diego fermandosi di colpo.
Margot lo guardò impaurita e subito si avvicinò al marito nella speranza di essere protetta.
«Dobbiamo cercare un riparo al più presto!», esortò Rafael procedendo a passo spedito verso una direzione ben precisa.
No mi ero resa conto del luogo in cui ci stava portando fino a quando non lo vidi con i miei occhi.
Il  Rifugio “ultima noche” era lì, davanti a me.
L’ultima notte. Un nome che aveva qualcosa di spettrale se ripensavo che proprio lì, Alejandro aveva trascorso la sua ultima notte prima di lasciare questo mondo e, quello, era anche il posto dove noi avevamo trascorso l’ultima notte spensierati prima che le nostre vite cambiassero per sempre.
Non riuscivo a muovermi di un passo ma Rafael mi strattonò per un braccio e mi spinse dentro.
«Sai che non abbiamo scelta», disse infine guardandomi negli occhi.
Annuii, ancora.
«A quanto pare Margot sei stata accontentata, passeremo la notte nel rifugio abbandonato e se saremo fortunati riceveremo qualche visita», disse ironicamente il compagno della donna mentre appoggiava il suo zaino sul pavimento in legno.
Lei gli sorrise, ma la spavalderia e la curiosità della sera prima l’avevano abbandonata.
Mi guardai attorno.
Tutto era rimasto uguale in questi anni, a parte per il fatto che i due proprietari non erano più presenti.
L’ambiente, nonostante avessero avuto la premura di coprire tutto on dei lenzuoli, era completamente ricoperto di polvere, il che dava a tutto l’insieme un aspetto che mi faceva venire i brividi. In silenzio iniziammo a sistemarci alla meno peggio e piano piano quel posto riprese un po’ di vita.
Nella dispensa non era rimasto un granché, qualche scatola  di minestra forse lasciata lì per le emergenze come questa e, fortunatamente, non ancora scaduta. Per questa sera avremmo dovuto accontentarci.
Guardai fuori dalla finestra mentre posavo il barattolo sul tavolo della cucina e vidi i cielo che ormai era completamente ricoperto da enormi nuvoloni che, minacciosi si avvicinavano velocemente. Da lì a poco saremmo stati al centro di una terribile tempesta.
Diego entrò in cucina, senza guardarmi e senza parlare. Non sopportavo tutto questo, mi mancava e non capivo perché avesse chiuso completamente il suo cuore a me, o meglio lo capivo, se non fosse stato per me Alejandro sarebbe ancora vivo, ma avevo bisogno di un suo perdono, forse era quello che aspettavo, forse era quello di cui avevo bisogno per ritornare la Nina di un tempo. Cercai di prendere coraggio e di dirgli qualcosa, ma poi le parole mi caddero in bocca.
Avevo ucciso l’amore della sua vita, non mi avrebbe mai perdonato, pensai mentre la finestra si spalancò all’improvviso spaventandomi a morte e facendomi urlare terrorizzata.
Rafael comparve sulla soglia della cucina allarmato dal mio urlo e mi guardò attendendo una risposta.
«La finestra si è aperta e mi sono spaventata tutto qui!», mi affrettai a dire, i miei nervi erano davvero tesi.
«Forse non avresti dovuto accettare», esordì Diego chiudendo i vetri.
«E perché?», chiesi indispettita
«Perché questo non è più un posto per te!», rispose fissando i suoi occhi neri nei miei.
Abbassai lo sguardo e non feci nulla per ricacciare indietro la lacrima che mi scese sul volto. Non mi avrebbe mai perdonata e forse non lo avrei fatto neppure io.
«ADESSO SMETTETELA!», tuonò Rafael. Era la prima volta che lo sentivo alzare la voce, «Non vedete quanto siete ridicoli? Siete fratelli e questo non potete cambiarlo.»
Aveva ragione, ma quello che era successo non si poteva cambiare. Diego fece per dire qualcosa poi scuotendo la testa uscì dalla stanza.
Rafael guardò verso l’amico e poi rivolse la sua attenzione a me.
«Non guardarmi cosi», mi giustificai, «Non è colpa mia, è lui che non vuole più avere nulla a che fare con me e se questo è quello che desidera …ben venga! Io posso vivere anche senza di lui, come ho fatto in questi ultimi cinque anni. Non ho bisogno di lui. Non ho bisogno di nessuno!», conclusi incrociando le braccia al petto.
«Sei una stupida se la pensi così», mi rimproverò Rafael bonariamente.
«Ma l’hai visto?», ribattei, «Non posso certo obbligarlo a parlarmi!»
Rafael mi guardò ancora, poi uscendo dalla cucina sibilò qualcosa che giunse nitidamente alle mie orecchie: Tu no, ma qualcuno lo farà di certo.
Non significava nulla se non fosse che pochi istanti dopo, la stessa sensazione che avevo provato nei boschi quella mattina si fece nuovamente viva. Ancora una volta scossi la testa per allontanarla da me.
Mi voltai per prendere le scatole di minestra dal tavolo dove le avevo lasciate poco prima ma, con mio grande stupore, non erano più lì. Cosa strana perché mi ricordavo esattamente di averle posate sul tavolo prima che la finestra si spalancasse.
Forse erano solo cadute con la folata di vento, guardai a terra ma non trovai nulla.
Quando riemersi da sotto il tavolo il mio cuore si fermò. Davanti a me una figura che conoscevo bene mi stava fissando; una figura che negli ultimi anni accompagnava i miei incubi notturni e diurni: Alejandro.
Cacciai nuovamente un urlo cadendo rovinosamente all’indietro e andando a sbattere violentemente con la testa sopra al mobiletto del lavello.
Questa volta a comparire sulla soglia della cucina fu Margot che, allarmata, si precipitò verso di me.
«Ti sei fatta male?», chiese apprensiva
«Dimmi che l’hai visto anche tu?», domandai terrorizzata
«Visto cosa?», domandò ancora mentre mi solleva da terra
«Lui …Alejandro …», balbettai
Margot mi guardò sorridendo gentilmente.
«Tesoro, qui non c’è nessuno a parte noi.», disse in modo molto materno, probabilmente mi stava prendendo per pazza, ma io ero certo di quello che avevo visto.
«Ma io … i barattoli non c’erano più … e poi lui … mi guardava…», farfugliai senza senso
«Tesoro calmati, sei solo stressata, insomma come darti torto, tuo fratello si sta comportando da vero stronzo!», disse cercando di tranquillizzarmi.
«No, no, lui era lì, l’ho visto!», proferii ancora terrorizzata.
«Lui chi tesoro? Non sai di cosa stai parlando …»
«ALEJANDRO!», urlai senza quasi rendermene conto dirigendomi verso la sala comune.
Lì tutti mi stavano osservando incupiti e come dar loro torto, iniziavo a sentire voci e presenze e persino a vedere fantasmi.
Cercai nel mio zaino qualcosa che potesse aiutarmi. Gettai all’aria tutto il suo contenuto mentre tutti mi guardavano stupiti e tirai fuori le gocce di Lexotan per calmarmi.
Mi lasciai cadere sul divano pieno di polvere e mi misi le mani tra i capelli.
«Non sono pazza … non sono pazza … lui era lì davvero», cominciai a ripetere, rendendomi subito conto che era proprio quello che in realtà sembravo.
Margot si avvicinò a Diego con fare minaccioso.
«Non vedi come l’hai ridotta col tuo comportamento?», disse puntandogli l’indice contro, «Qualsiasi cosa sia successa è sempre tua sorella, non puoi essere cosi stronzo con lei!»
«Smettila Margot», la rimproverò Santiago, il marito.
«No caro, non merita di essere trattata così neanche avesse fatto qualcosa di ignobile. Lui dovrebbe perdonarla. Non vedi come si è ridotta? Vede persino i fantasmi!»
Nello stesso istante in cui Margot pronunciò quella frase, un altro evento inspiegabile avvenne all’interno di quella casa.
La lampadina della sala scoppiò improvvisamente, lasciandoci completamente al buio. Margot iniziò ad urlare e Santiago la illuminò con la torcia. Il suo viso era completamente ricoperto di sangue, probabilmente i vetri della lampada le erano scoppiati in faccia.
«Oh mio Dio, dobbiamo cercare un dottore», sbraitò Santiago allarmato.
«Ma fuori sta per iniziare il finimondo», sentenziò Rafael accorrendo verso la donna.
«Come diavolo è potuto accadere?», domandò ancora Santiago. Di certo era qualcosa di inspiegabile, ma cominciavo a credere che forse la leggenda dell’alpinista non fosse solo una leggenda.
Mi alzai dal divano e delicatamente feci coricare Margot, mandai Santiago a cercare qualche benda nell’armadietto del bagno e, prendendo il disinfettante dalla mia sacca, inizia a ripulire il volto della donna. La situazione non era grave, ma una scheggia le era finita in profondità e solo un arnese chirurgico avrebbe potuto rimuoverla. Diedi alla bionda alcune delle mie gocce ed infine si addormentò mentre Santiago le teneva delicatamente la mano.
Armandomi di coraggio rientrai in cucina. Trovai i barattoli lì dove ero certa di averli lasciati e senza farmi altre domande iniziai a scaldare la minestra.
Fuori la piaggia aveva iniziato a cedere copiosamente. Gli alberi ondeggiavano con fare terrificante e ogni tanto, tra le ombre che si formavano a causa dei lampi,mi pareva di scorgere la figura di qualcuno. Fortunatamente le gocce di Lexotan stavano facendo il loro dovere lasciandomi una sensazione di tranquillità.
«Davvero hai visto Ale?», domandò Diego comparso accanto a me e facendomi trasalire.
Annuii.
«Forse è tornato per chiedere giustizia!», disse con fare strafottente.
Inspirai profondamente. Non avevo bisogno che lui mi ricordasse quello che da cinque anni provavo ogni singolo minuto.
«Se fossi morta io quel giorno sui monti, forse saresti stato più contento! Mi spiace averti scombinato i piani. Io sono qui e Ale non c’è più ma non c’è un giorno in cui non pensi a lui.», dissi iniziando a piangere.
«Se tu non fossi stata così testarda, lui ora ci sarebbe ancora. Nulla sarebbe cambiato.», disse tra i denti.
«Tu proprio non capisci vero?», ribattei scuotendo la testa
«Cosa c’è da capire? Che per evitare che ti ammazzassi ha perso la vita lui.», constatò con rammarico.
Perché non riusciva a comprendere il motivo di quello che avevo fatto.
«Ammettilo che avresti preferito che morissi io quel giorno!», dissi carica di odio.
Diego mi guardò e non pronunciò parola.
«Avanti ammettilo.», dissi ancora con più enfasi, mentre il pensile con i bicchieri si aprì improvvisamente lasciandone cadere alcuni accanto a me. Non mi colpirono solo perché Diego, prontamente, mi tirò a sé.
Cosa diavolo stava succedendo? Prima il burrone poi la mia visione, la lampada ed ora questo.
C’era davvero qualcosa di strano.
Silenziosamente ritornammo nella sala comune, restando nuovamente senza parole.
La lampada scoppiata poco prima ora era intatta e dei nostri compagni non vi era più traccia.
Diego si precipitò alla porta d’ingresso.
«È chiusa!», sentenziò dopo aver provato a strattonarla.
«Diego cosa sta accadendo?», dissi in preda al panico.
«Non lo so Nina… non lo so. Ma la cosa non mi piace.», confessò avvicinandosi a me.
Restammo in silenzio per qualche minuto. Sembrava che nessuno dei due avesse più il coraggio di parlare. La sensazione che qualcuno, o qualcosa, fosse presente nella stanza si faceva in me man mano più forte.  Mi avvicinai a Diego e timidamente appoggiai il capo sulla sua spalla. Dapprima restò fermo poi, ricordandosi di quello che avevo fatto mi scrollò via.
«Non ci riesco Nina … tutte le volte che ti guardo è come se vedessi lui. E lui non c’è più …», disse portandosi le mani davanti agli occhi.
Solo in quel momento capii realmente il suo dolore.
Il vento fuori sibilava e i vetri alle finestre tremavano ogni volta che un tuono faceva sentire il suo rombo.
Una voce nella mia testa mi diceva che lui non conosceva la verità, che era giunto il momento di liberarmi da quel peso che mi attanagliava.
«All’inizio ero gelosa lo sai? Non volevo credere che ti eri innamorato per davvero e che te ne saresti andato con lui. Non credevo al vostro amore.», confessai
«Cosa ne potevi sapere tu», disse evitando di guardarmi in faccia.
«Hai ragione, non ne sapevo nulla. Ero solo una stupida ragazzina gelosa di suo fratello.»
«L’hai fatto apposta?», chiese infine titubante
«No Diego», lo rassicurai, «Quel giorno mi resi conto che il vostro era un amore autentico. La sera prima ne parlai con Alejandro, mi scusai con lui per aver dubitato dei suoi sentimenti e gli confessai, come avevo già detto a te, di voler andare a raccogliere la Stella del Paradiso** per donarvela come regalo di nozze.»
Diego sollevò lo sguardo. I suoi occhi non erano più duri come poco prima, iniziavano a farsi più dolci, iniziavano a ritornare quelli che erano un tempo. Questo mi diede il coraggio di proseguire.
«Fu in quel momento che gli chiesi di accompagnarmi. Lui accettò subito e ti confesso che fu la giornata più bella della mia vita. Alejandro era un ragazzo splendido e quello che più contava era che ti amava alla follia, fino a mentirti.»
«Mentirmi?», domandò stupito
«Sapeva quanto tu amassi la montagna e lui disse di essere un alpinista esperto … purtroppo non era così. Quella era la prima volta che infilava un paio di scarponi. Me ne accorsi quando ormai era troppo tardi. Avrei dovuto insistere di più e tornare indietro ma lui mi pregò di non farlo e mi fece promettere di non dirtelo mai, aveva paura che tu lo avresti lasciato se lo avessi saputo. Ed io acconsentii, non potevo immaginare che da lì a poco una tempesta ci avrebbe colto alla sprovvista. Lui precipitò da quel burrone e io non sono riuscita a tenerlo. Mi è scivolato via ed io non ho potuto fare nulla.»
Gli occhi di Diego si riempirono di lacrime. Mi si avvicinò e mi strinse forte a sé.
Dopo cinque anni arrivò il perdono che avevo sempre aspettato. L’unico in grado di farmi tornare ad essere quella che ero.
«Perché non me l’hai detto prima?», sussurrò al mio orecchio.
«Non me ne hai dato la possibilità … ed io non credevo di meritare il tuo perdono»
«Scusami Nina», disse infine mentre le lacrime scendevano sui nostri visi.
Un soffio lieve mi scompigliò i capelli e subito dopo la tempesta cessò. Così come era iniziata terminò.
Il cielo si rischiarò lasciando spazio ad un sole brillante. Anche la porta si aprì subito non appena cercammo di aprirla.
Non parlammo per il resto del cammino. Non c’era bisogno di farlo. Arrivammo al rifugio di Don Pedro dopo poco ore.
Lì  trovammo Rafael, Santiago e Margot la quale non aveva alcuna cicatrice sul viso.
«Dove eravate finiti?», domandai andando incontro a Rafael.
«Non ci siamo mossi da qui!», rispose stupito
«Ma il rifugio … Margot…», farfugliai, davvero non capivo cosa stesse succedendo.
Rafael sorrise e mi abbracciò.
«L’avevo detto che qualcuno vi avrebbe aiutato», disse staccandosi da me e rientrando nel rifugio.
Guardai Diego che come me osservava i nostri compagni stupito. Non era possibile che avessimo sognato. Volgemmo lo sguardo verso il Picco. Il cielo era totalmente sgombro dalle nuvole, ma qualcosa sembrava comparire lassù.
 Qualcosa di familiare che, ancora oggi, non dimenticheremo mai.  Qualcosa che aveva usato tutte le sue forze per permettere a me e a Diego di ritrovarci.
 
                                                                               ********
*il nome è totalmente inventato. Ho immaginato una montagna nella Sierra Nevada al Sud della Spagna.
**il fiore non esiste. Ho voluto contrapporre il nome della montagna con un fiore che evocasse pace e serenità. Lo immagino simile ad un fiore di passiflora.
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Consegna.
Storia con eventi paranormali, fantasmi, cose strane che accadono in una casa in montagna.
Questa storia che partecipa al Contest  “mettiamoci in gioco” e devo confessare che  mi ha messo in gioco veramente. Ho provato a scrivere in un settore che solitamente non mi appartiene, non so quanto ci sia riuscita ma spero  in ogni caso di aver lasciato lasciato qualcosa di me.
Grazie a tutti coloro che lasceranno una loro impressione a questo “esperimento”.
Baci Elly

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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