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Autore: FlyingTrain    08/08/2015    0 recensioni
Lui alzò le spalle, e mi sembrò in un baleno di tuffarmi ad esplorare gli abissi della sua anima, e di svelare quella che era ormai a tutti gli effetti la sua autentica natura. Una natura selvaggia. La natura di un mostro. "Può darsi, ma forse non sei nella posizione giusta per giudicare male la mia indole oscura. Dato che io mi gongolo, e mi godo la vita, da questo lato delle spranghe, mentre tu..." il suo dito si affilò malizioso puntando proprio me. "ops." mostrò i denti in un finto sorriso innocente e canzonatorio.
Genere: Fantasy, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pan, Wendy, Darling
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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MONSTER







Sollevai pigramente le palpebre ancora impastate dal sonno, ma il mio campo visivo era un via vai caotico di chiazze sbiadite, allora le richiusi automaticamente. Tuttora pesava sulla mia testa, lo schiacciante capogiro che poco prima di riaddormentarmi aveva fatto sì che assistessi a un vortice luminoso di stelle.
Incredibile, come anche in pieno giorno, il sole non inveisse contro le mie iridi con i suoi raggi accecanti.

Ripresi coscienza lentamente, e così anche memoria. Ora ricordavo meglio dove fossi finita.
Si, perché quell'isola - quella che riuscivi a raggiungere solo grazie all'intervento dei fagioli magici, o come me, volando aggrappata ad un'ombra che agiva alla stessa ora in cui il sole calava - era per inciso il ritratto di uno sputo di terra dimenticata da Dio, e che anche nel più remoto degli angoli in capo al mondo, vantava -si fa per dire- la fama di portare unicamente guai.

E io sapevo solo che volevo, e dovevo, squagliarmela da quel postaccio il più in fretta possibile. Ma ogni istinto di sopravvivenza faceva a pugni con l'ottica razionale del mio cervello. E quest'ultimo mi suggeriva invece quanto ciò fosse in pratica impossibile. Neanche cento anni mi sarebbero bastati per compiere un'impresa tanto intrepida. Per mia sfortuna, e di chiunque altri ci fosse incappato prigioniero, non si poteva sfuggire alle grinfie dell'isola che non c'è, e ne tantomeno ricatapultarsi alla realtà di tutti i giorni. Non senza che fosse Lui prima, a concedertelo.

Avevo sentito delle voci girare, tra i miei coetanei, in merito all'esistenza di nuove spiagge, dove neanche lì, tu avresti potuto scampare all'insidia inevitabile di quella perfida canaglia. Non esistevano dunque, luoghi sicuri.

Anche perché era proprio quello, il nessun luogo.

Quel delinquente mi aveva fatta sequestrare, aveva fatto sì che i suoi tirapiedi mi strappassero al comfort di casa mia, alla mia famiglia, senza mostrare alcuna pietà. Non si era preso nemmeno la briga di provvedere da sé, o per lo meno farsi avanti, rivelandosi e scoprendo così finalmente le carte in tavola.

E con tutta l'esperienza, e l'ascendente di cui si serviva per giostrare i bambini a suo completo piacimento, senza dubbio si sarebbe facilmente spinto oltre, fino a stanarmi dispersa chissá dove. Solo per il gusto perverso di dimostrare qualcosa di cui ero all'oscuro.

Ovunque, disperata, fossi corsa a cercare un rifugio per me, se solo avessi potuto, Lui mi avrebbe vinta d'astuzia, soprattutto perché conosceva l'isola come le sue tasche.

C'era poi la banda dei bimbi sperduti. Ma non erano altro che delle povere vittime, preda di quel gioco malsano e privo di controllo. Giovani pedine manovrate inconsciamente da uno psicopatico represso.
A nessuno saltava mai in mente di correre il rischio di allontanarsene.

Proprio per questo, l'avevo piantata col proiettare fiducia sulle mie forze, se -ahimè - non disponevo dei mezzi necessari ai quali aggrapparmi.


Mi caddero le braccia a terra alla fine, quando realizzai che fosse tutta fatica sprecata, tentare di sciogliere il nodo che qualcuno aveva stretto con cura maniacale intorno ai miei polsi, ammanettati e talmente indolenziti da indurmi a mugugnare lamenti.

Piuttosto mi ingegnai per mantenere la calma e non dare di matto proprio adesso, dopo che avevo resistito a lungo per un intero giorno, sorbendo senza fare storie -probabilmente perché non si faceva avanti anima viva, nei paraggi - la fame, la sete, e tutto il resto. Ma purtroppo l'imminente consapevolezza che qualcosa di brutto, o forse di tragico, mi stesse per accadere, mi aveva sfiancata ancor di più fino a indebolirmi. E io non potevo che odiare Lui terribilmente di questo, nonostante ne avessi conosciuta solamente l'ombra - letteralmente l'ombra.


Ero stramazzata a terra, accasciata come un peso morto, distrutta pur sempre fisicamente, e non mi sentivo neanche più padrona di emettere un fiato. Ovunque posassi lo sguardo, vedevo soltanto sporco e cumuli di paglia sparsi.

Intanto le mie domande erano una sfilza stilata all'infinito: avrei mai rivisto Baelfire? Sarebbe stato arrabbiato con me per quello che gli avevo fatto passare, da ché si era sacrificato al posto dei miei fratellini, per un mio errore, ed una pena che spettava soltanto a me? Oppure era già morto? E se mi fosse toccata la stessa fine…

La svolta accadde in quel conciso battito di ciglia. Rizzai le orecchie non appena percepii un calpestio via via sempre più approfondito.
Attesi un momento ad ascoltare. Poi lo vidi. Sollevai la testa, e incontrai un ragazzino dai bei capelli ricci e biondi, celati sotto ad un oscuro mantello nero.

Egli si accostò alle sbarre in procinto di aprire la cella di legno. Istintivamente, scattai all'in piedi, reggendomi anche a stento, in un primo affaticato momento. Il mio cervello era esploso in brandelli di emozioni che non erano assolutamente interessate a riappacificarsi con l'equilibrio. Se d'un canto potevo dirmi risollevata, perché finalmente, e con ogni probabilità, sarei uscita allo scoperto. Dall'altra, annegavo nel panico più totale, perché non ero sicura di cosa diavolo mi attendesse esattamente dietro quella porta, ne con chi avrei avuto a che fare.

Entrò prendendosela piuttosto comoda, ma poi avanzò dritto verso di me, il tutto senza degnarmi di uno sguardo, nemmeno di sfuggita. Sembrava aver calcolato, con estrema abilità, ogni mossa studiata, prima di arrivare.
Ma ciò che mi stupì profondamente fu l'atto seguente.

Mi offrì con fare grezzo, un tozzo di pane, che comunque era già mordicchiato ai bordi. Più che di un gesto di gentilezza però, ebbi come il sospetto che si trattasse di un modo arrangiato per tenermi buona, e magari prepararmi all'inevitabile sofferenza successiva.

Inalai una fonte smisurata di aria nei polmoni, per alleviare il bruciore innescato dalle lacrime. Solo allora ebbi il coraggio di azzardare per pregarlo, con ogni fine di risvegliare in lui la sua coscienza sopita, e ciò che di buono ancora tesseva la sua anima. “Voglio andare via di qui, ti prego, non puoi portarmi da Lui…”

Nessuna risposta mi rese ben nota quale sorte stesse per incombere sul mio destino, e questo fece sì che piano piano la verità cominciasse ad assemblarsi davanti ai miei occhi, più triste e ricca di certezze che mai: sono spacciata.

“Tu chi sei?” ritentai, e mi vergognai di come la mia voce vibrò disperata, ma non mi importava. Anche se, chiunque avrebbe potuto stuzzicare, magari anche per sfacciato egoismo, la mia paura, con una sola parola. Senza volerlo, avevo garantito libero accesso alle mie debolezze.

Il biondo trasse un lungo respiro, poi finalmente alzò lo sguardo indurito sul mio. “Quello che ti serve sapere di me, è che sono il Suo luogotenente, e ho quindi anche il permesso di ucciderti, se mi sarai d'intralcio.”

In quel momento capii che erano l'arroganza e la decisione il suo jolly, e intanto a me avevano iniziato a tremare addirittura le ginocchia. Mi succedeva soprattutto quando apriva bocca. O solamente quando mi avvolgeva, senza prima darmene preavviso, una benda intorno agli occhi, proprio come ora.

Sarebbe stata una grossa perdita di tempo, chiedere ulteriori spiegazioni. Eppure, conoscendomi, non sarei mai riuscita a fare piazza pulita, nella mia testa, di tutta quella curiosità prorompente. Era come se mi urlasse da dentro di essere tirata fuori, non potevo zittire lei, e ora nessuno avrebbe potuto zittire neanche me.“Cosa sta cercando? Giuro, non gli ho fatto nulla, non so nemmeno chi sia!”

Non mi premurai affatto di poterlo irritare.

Fortunatamente però non sfogò la sua rabbia sulla stoffa che stava stringendo contro i miei capelli, ma se la prese piuttosto con il muro che gli faceva da visuale, incenerendolo con gli occhi. “Vuoi stare un po’ zitta? Mi ha affidato l'incarico di condurti a lui, tutto qua. Pertanto vedi di non rendermi le cose più difficili di quanto non sembrino.”

Come era evidente che fosse, quell'indisponente non aveva tutta l'aria di essere un prode cavaliere accorso a galoppo del suo cavallo bianco per offrirmi il suo generoso aiuto. Pur nonostante i boccoli color cenere gli incorniciassero il volto come ogni principe azzurro che si rispetti.

Nessuno mi avrebbe dato una mano, questo era certo. Sapevo benissimo di essere sola e senza scampo.

Colsi l'attimo opportuno in cui il braccio destro di Lui levò le sue dita sgraziate dalla mia nuca, e immediatamente mi opposi sulla difensiva ad ogni sua altra intenzione, dimenandomi e scalciando ribelle. “Non ci vengo con te, lasciami stare!”

Per sbaglio, con le unghie gli lasciai anche un graffio sulla pelle. Beh, ben gli sta, pensai soddisfatta, ma senza dirlo ad alta voce, ovviamente. Non ero così temeraria da sfidarlo, come sembrava.

Tentò insistentemente di acciuffare i miei polsi una volta per tutte, e con tutta destrezza, ci riuscì pure facilmente. “Mocciosa, impertinente e-”

“Felix.”

Il mio cuore, che un attimo prima martellava come una furia all'impazzata, perdette un battito brevemente, quando entrambi, io e il suo scagnozzo, ci voltammo verso di Lui.

Io non riuscivo a vederlo per via della benda, ma lui era lì, immobile e inflessibile. Lo avvertivo da come il respiro della sua autorevolezza gli alleggiava intorno e gli restituiva valore, giungendo sino a sfiorare la mia pelle. “Ormai credevo di averti insegnato le buone maniere, e come trattare gli ospiti.” Lo sentii mormorare quasi fra sé e sé. “In particolar modo quelle più carine. Ah e, toglile immediatamente quello straccio dal volto, con me non ce ne sarà alcun bisogno.”

Felix si accigliò, una smorfia contrariata, e poi insistette a metter bocca infastidito:“Si è comportata da insolente, merita di essere giustamente punita.” Contestò, rivalutando soprattutto il modus operandi del suo leader.

“Oggi è giorno di festa, a nessuno verrà inflitta una pena di nessun tipo, a meno che, come al solito, non sia io a stabilirlo.” Lo mise nel sacco. E a questo giro la sua voce si colorò di un non so che di…duro e spietato. Come qualcuno che non regge il peso delle obiezioni, e che nella peggiore delle ipotesi, umilierebbe con la morte, pur di venire assecondato nei suoi piani dissennati.

Gli occhi di Felix crollarono fino a schiantarsi sul terreno, e seccato, si rimise a trafficare di nuovo con quell'affare per slegarlo grazie agli ordini indiscussi del tizio sconosciuto. Appena la benda scivolò giù lungo le mie guance, allora potei finalmente incrociare i suoi occhi verdi con i miei. Studiai a fondo ogni fattezza di quel volto e, diamine!

Ero sbalordita. Lui era niente di meno che un ragazzino! Proprio come me e Felix del resto.

Nessun uomo sulla trentina, tutto muscoli, la barba, e lo sguardo minaccioso di chi fa fortuna con la vita degli altri, come mi ero immaginata.

Lui allora ridacchiò, e tese aperte in aria le sue braccia.“Sei fortunata, oggi ti faremo omaggio della nostra ospitalità! Io ti consiglio di abbandonare quell'atteggiamento restio e disubbidiente. Perché d'altronde, un biglietto da visita dettato direttamente dalla mia gentilezza, non è proprio all'ordine del giorno, vero?”

Felix confermò allusivo, con un cenno affermativo del capo.

Inizialmente risi beffarda, poi lo fulminai con lo sguardo.“Da te non voglio niente!” tuonai a tutto spiano furiosa, una volta perse completamente le staffe.

Di risposta, annuì saccente e allo stesso modo divertito, quasi come se si fosse già aspettato quella risposta a nome mio. “E ne sei sicura? Non vorresti, tanto per cominciare, uscire fuori da quella gabbia? Inizia a puzzare di morto questo posto.” Mise in scena un sorriso misto tra il compiaciuto e il perverso. “Sai, dopo che molti dei miei prigionieri catturati dall'ombra non se la sono cavata affatto bene con la storia del ‘teniamo duro, e vedrete che ci libereremo presto, prima o poi..’ mi sembra logico che si respiri ancora il loro fetido ricordo qui dentro.”

Scrollai il capo inviperita. “Tu sei pazzo!”

Lui alzò le spalle, e mi sembrò in un baleno di tuffarmi ad esplorare gli abissi della sua anima, e di svelare quella che era ormai a tutti gli effetti la sua autentica natura. Una natura selvaggia. La natura di un mostro. “Può darsi, ma forse non sei nella posizione giusta per giudicare male la mia indole oscura. Dato che io mi gongolo, e mi godo la vita, da questo lato delle spranghe, mentre tu…” Il suo dito si affilò malizioso puntando proprio me. “ops.” mostrò i denti in un finto sorriso innocente e canzonatorio,

Cercai in tutti i modi possibili e immaginabili di convincermi, dentro di me, che non commettere follie come per esempio saltargli addosso per staccargli la testa, o provare a dargliene di santa ragione, fosse la conseguenza più saggia per cui optare.

“Felix non startene lì impalato. Puoi andare, non ho più bisogno del tuo aiuto.” sentenziò infine piatto, senza però mai togliermi di dosso quegli occhi magnetici, e quell'espressione ambigua che sembrava preannunciare "Non immagini nemmeno quale piega prenderà la tua vita d'ora in avanti."

Felix a ruota eseguì gli ordini, e si separò da terra dove si era chinato svogliatamente per occuparsi di me. Dovevo almeno ammettere però, che fosse tremendamente carino, se non si prendevano in considerazione i suoi atteggiamenti oserei definire bastardi. E poi c'era Lui..

Non era niente male, anzi, mi costava anche solo tollerare di doverne formulare il pensiero: ma era dannatamente bello.

Oddio, ci mancava solo che cominciassi a seminare apprezzamenti su quei famigerati stronzi.

Ora basta!

Pertanto chiamai all'appello tutte le mie risorse, e la buona volontà, per non cominciare a strillare come una bambina capricciosa. O a piangere, o addirittura a invocare invano il nome di mia madre… In quel caso avrei ribaltato la situazione a mio svantaggio, ma avrei reso le circostanze ancora più propizie agli occhi di Lui. Per cui, a nervi saldi, mi astenni dal cedere ad ogni prossima tentazione superflua.

Con un ultimo passo deciso, e da me inaspettato, Lui allungò il braccio sinistro e mi offrì la mano. “Non ci siamo ancora presentati. Io sono Peter, Peter Pan.”

Spadroneggiò il proprio nome come fosse un'opera d'arte di cui andarne intensamente fiero, o un'arma tagliente da cui apprestarsi a parare.

Come se in un altro contesto si sarebbe ritrovato faccia a faccia con uno squalo, gli sarebbe bastato identificarsi, e neanche la più temibile e pericolosa delle specie nell'oceano, si sarebbe più affaticata tanto per la briga di torcergli la sola doppia punta di un capello.

Sbattei ripetutamente le palpebre, incredula di ciò a cui avevo appena assistito, ragione in più per porgli, di scatto, e adirata, l'altra guancia.

“Che fai, non ti presenti?” sogghignò per puro divertimento.

Non emisi un fiato, tuttavia mi limitai a scrollare ancora una volta la testa.

“Come vuoi, ma.” una pausa. L'ultimo fugace intervallo di tempo che sfruttò per allargare maggiormente le sue labbra delicate e rosee..
Giurerei di aver sentito scivolare dalla mia schiena una folata gelida di brividi.

Tutt'a un tratto era come se l'espressione sulla sua faccia stesse reclamando a sé la mia attenzione, persuasiva, e io la percepivo forte e chiara, mentre le mie difese si sgretolavano lentamente. Forse fu per questo motivo che voltai di poco la testa, sbuffando.

“Coraggio, non devi temere piccola Wendy, qui sarai al sicuro.”


****

Strabuzzai gli occhi. “Come fai a-?”

Ma Peter mi bloccò. “Io so tutto, Darling.”

Cominciavo a sentire un senso di profonda inquietudine, e per giunta non era quello il punto: cos'altro sapeva di me? Per quanto a lungo mi aveva spiata?

Era quasi come se si nutrisse di ogni briciolo di paura che invano avevo provato a celargli.

Il leader dei bimbi sperduti curvò prepotente un sopracciglio. “Allora, ti andrebbe di lasciare questa prigione, si o no?”

“Si..” acconsentii, quasi timidamente.

****

Mentre camminavamo, l'uno di fianco all'altro, lo sguardo di Peter era assente, assorto in chissà quali ispirazioni, e macchinazioni.

“Sai, ti ho vista poco prima, insieme a Felix. Hai avuto un gran fegato con lui.” disse con calma, dopo che si era messo da parte per farmi procedere oltre l'uscita.

“..Non è un tuo amico?”

“Se me ne intendessi almeno la metà, di tutte le nozioni che possengo già sull'suo della magia, allora molto probabilmente ti direi di si, che lo sarebbe. Ma piuttosto preferisco aspirare a chi come te ha la grinta giusta per sfidare il mondo. Questo fa di te un'ottima combattente su cui poter fare affidamento...E non se ne vedono molte, di ragazze del tuo calibro intendo."

A quelle parole, guardai dentro di me come si guarda una sconosciuta. Come se in tutti questi anni trascorsi, della mia esistenza, non avessi mai avuto realmente il modo di conoscermi a fondo.
Oppure, forse Peter si stava inventando tutto per farmi cadere più facilmente nella sua trappola.

Si voltò nella mia direzione, e a quel punto mi riuscì impossibile non fare lo stesso.
Tese un mano sulla mia guancia e l'accarezzò delicatamente, con leggerezza.

Avvicinò le labbra alle mie, e spontaneamente serrai gli occhi perdendo di vista ogni filo di ragione che mi aveva sorretta e tenuta all'in piedi finora.

I miei pensieri sfumarono, divennero vapore che fuoriuscì dalle mie orecchie abbandonandomi definitivamente, e consegnandomi direttamente nelle mani di Lui.

Giunse il contatto.
All'inizio sembrava quasi inesistente, ma subito dopo divenne come difficoltoso, faticoso, infattibile, pensare di tirarmi indietro.

Non avevo mai provato una sensazione così delicata e ricca di passione allo stesso tempo. Era un gesto che crescendo avevo imparato a sottovalutare, forse perché ne avevo sentito parlare talmente tanto, da sembrarmi banale. In più, quella era la mia prima volta.

E quelle labbra poi, iniziavano a piacermi sul serio, mi sentivo in paradiso....

NO!

Finalmente mi staccai da lui con decisione.

"Ei ma che ti prende? Credevo ti piacesse.." aveva uno sguardo confuso, che lasciava intendere un non so che di smarrito.

"Come ti permetti?" fu il ricordo di dove mi trovavo e di chi fosse lui, a tenermi a bada dal mollargli un ceffone che speravo gli avrebbe lasciato il segno rosso e indelebile della mia mano.

"Forse sono stato troppo avventato?" continuò come nulla fosse.

"Ma si può sapere cosa diavolo vuoi da me?!"

Il suo sguardo riprese a torturarmi con la stessa aria saputella che aveva esposto all'inizio. "Oh, ma è molto semplice. Pensaci: qual è l'unica cosa che non potrei mai ottenere, nemmeno con l'aiuto della magia?"

Come una sciocca, la prima cosa che mi venne in mente fu "l'amore". 

Mi sforzai di riflettere, ma era difficile riordinare i pensieri dopo quanto accaduto. "Non ne ho idea."

Peter Pan allungò la mano verso la mia, si soffermò ad accarezzarla, ma a un tratto le sue dita vagarono alla cieca, in cerca di qualcosa, e quando la trovarono, vi si intrecciarono. Mi sorrise qualche istante prima di parlare. "La redenzione, piccola Wendy."








 

   
 
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