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Autore: marinrin    09/08/2015    1 recensioni
{ one-shot } { Au Storica/Era Meji } { prima fic su questo fandom ♥ spero di fare tante nuove amicizie }
{ giallo - anche se è più sul verde- but security is security(?) } { drammatico-sentimentale }
{ Partecipa al contest 'MakoHaru in Au's land' indetto da Rota}
Per un attimo il mondo sembra scomparire: niente più pianti, né rumori stridenti di armature né cariche o onorifici.
Solo loro due.

Solo Haruka e Makoto

hope you like it ♥
_ Timeless
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Autore: _Timeless
-Titolo: Sakura to Tsubaki
-Personaggi: Makoto Tachibana, Haruka Nanase. ( Accennati: Gou Matsuoka, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki, Goro Sasabe, Sousuke Yamazaki, Rin Matsuoka )
-Pair secondari (eventuali): Accenno talmente velato da essere praticamente invisibile, NagiRei.
-Generi: Romantico, Storico, sentimentale
-Avvertimenti: nessuno ( credo di non aver toccato l'OOC, ma boh- forse sono insicura in un’unica parte… I bambini a cinque anni non sono apatici totali eh  oVo)
-Au prenotata: Storica ( Epoca Meji )
-Note autore:
Ringrazio quella santa della mia beta, Zeeta_, che ha dovuto sopportare i miei incubi lamentosi senza wi-fi.
SONO 3 GIORNI CHE TENTO DI MANDARE QUESTA FANFICTION.
La mia gratitudine va anche a chi ha indetto questo meraviglioso contest MakoHaru in Au's land’, di cui mi sono praticamente innamorata ;;
 
Comunque, è ambientata nell'epoca Meji, un'era tutt'altro che facile da fare.
Ho dovuto documentarmi tantissimo, quasi non posso crederci di avercela fatta!
In realtà come contesto, mi ha sempre affascinata, con i suoi pregi e difetti.
L'epoca dei samurai viene sempre descritta come romantica, ma ho avuto modo di scoprire che rimane impressa anche come una delle più sanguinose.
Basti pensare che proprio in questo periodo il valoroso guerriero, Shi ( altro termine per definirli ), scompare, tramutandosi ( i pochi sopravvissuti s’intende) in militari dell’esercito Giapponese.
Ho scovato molti termini e simbologie; comunque andrà, mi sono divertita, e ho avuto anche la possibilità di scoprire cose nuove e di allenarmi.
Grazie di cuore.
Molti, penso, avrebbero affiliato ad Haru il ciliegio e a Makoto la camelia.
Io credo sia il contrario, leggendo si scoprirà perché. (Botanica PowaH)
Avrei davvero voluto scrivere di più, ma ho concordato con me stessa che se avessi rallentato troppo e/o accelerato esageratamente, avrei combinato uno schifo, perciò mi sono permessa di spiegare, mantenendo un ritmo intermedio di narrazione (quindi con eventi significativi), l’evoluzione del rapporto di questi due.
Partirò dal presente, che si collega poi con l’ultima parte, mentre per il centrale sarà una sorta di Flashback totale-
C’è una nota  a fine fiction che spiega una cosa fondamentale del finale.
 
PS: Ci sono alcuni termini giapponesi all’interno, a fine della one-shot c’è una piccola legenda.
PPS: Non fatemi domande del perché ci sia Gou e non la Sensei, la mia testa è a se, ed è vagamente malata-
PPPS: Si, nella mio cervello Nagisa è OP.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sakura to Tsubaki 

 - 桜と椿
 

Il vero significato del termine samurai è:
Colui che serve e osserva il potere dell’amore.
 
-Morihei Ueshiba
 
 
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Il vento soffia leggero, scuotendo appena le fronde dei grandi alberi che ricoprono quel piccolo angolo di montagna; il contatto con la pelle, invece, è pungente. 
 
 
Freddo. 
 
 
Camminano, l’uno accanto all’altro, continuando quella mera scalata verso il tempio: quella strada che tante volte, da piccoli,  hanno sognato di seguire, investiti di fama e gloria, come dei veri bushi del Daimyo. 
 
Proseguono insieme, passo dopo passo, sguardo dopo sguardo. 
Respiro dopo respiro. 
 
 
La cittadina di Tabaruzaka, con le sue case, scompare man mano, lasciando il posto alle erbe incolte delle alture, ormai fonte d’un color verde tanto brillante da parer vivo.  
I loro corpi si fanno pesanti, forse perché carichi di tensione, forse per la stanchezza, dato l’orario; manca poco ormai.  
Al loro arrivo, il sole è ancora dormiente, rannicchiato nella sua coperta trapuntata di stelle.  
La luna, silente, ha osservato tutto, simile ad un occhio che scruta la verità, come una madre impotente di fronte ad un’ingiustizia sanguinosa verso i propri figli. 
Le iridi verdi si posano sulla struttura che si trova davanti a loro, stupefatte difronte allo sfarzo delle rifiniture e della qualità del dettaglio: non vi rimangono incantate a lungo. 
Occhi color del mare le chiamano, un lamento disperato nascosto da un diaccio strato d’orgoglio le teneva fisse, al sicuro dalla vista degli altri. 
Il castano si volta indietro e capisce. 
Nell’ombra, gli prende la mano, inaspettatamente. 
Il corvino sussulta appena, ma non si ritrae, stringendo, impercettibilmente quella dell’altro; sussurra una preghiera al cielo affinché quel contatto possa durare per l’eternità. 
Nell’aria un profumo dolce inebria le menti. 
 
 
 
Per un attimo il mondo sembra scomparire: niente più pianti, né rumori stridenti di armature né cariche o onorifici.
 
Solo loro due.
 
 
Solo Haruka e Makoto
 
 
 

 
 
 -------  Hana wa sakuragi…
 
 
 
 
§ ° §
 
 
 
 
Pioveva molto forte, e non erano certo una novità le piccole trombe d’aria nella periferia di Kyoto: dopotutto era pur sempre la stagione delle piogge. 
Quell’anno poi i danni erano raddoppiati, soprattutto per quanto riguardava i fattori dell’agricoltura e dell’allevamento, chiavi dell’intera economia del paese. 
In altre parole, i prezzi erano nuovamente aumentati. 
Ecco il motivo dell’agitazione della proprietaria dell’orfanotrofio, Gou-sama, quando si ritrovò davanti un bambino di cinque anni, fradicio, seduto sugli scalini dell’abitazione, proprio sotto il buco della tettoia esterna ( come se volesse prendersi l’acqua di sua spontanea volontà ) che la guardava in modo apatico. 
Insomma, un’altra bocca da sfamare e pochi soldi: non proprio il massimo in tempi di crisi. 
In più, il ‘nanerottolo’ non era esattamente lo spirito del gruppo. 
Per i giorni a seguire era rimasto chiuso, per i fatti suoi, rifiutandosi di parlare, tant’era che anche gli altri bambini avevano iniziato ad evitarlo. 
 
 
 
§ ° § 
 
 


Sembrava una giornata serena, ispirava pace; il tempo pareva essersi calmato un po’ rispetto alla settimana precedente, cosa abbastanza inusuale dato il periodo. 
Il corvino se ne stava solo appoggiato alla parete, annoiato, guardando i coetanei giocare. Il bimbo sospirò e fece per tornare in casa finché non sentì qualcuno sederglisi accanto. 
Il ragazzino in questione aveva gli occhi color smeraldo ed i capelli nocciola; a giudicare dalla faccia, era visibilmente imbarazzato. 
Un ‘come ti chiami’ venne urlato dal nuovo arrivato solo dopo diversi secondi di silenzio passati a fissarsi a vicenda, in tensione. 
Le iridi oltremare si puntarono contro quelle dell’altro che, a tentoni, cercavano di nascondersi fissando il pavimento. 
 
 
« Pioverà. » 
 
 
Lo sussurrò, indicando al castano il cielo; l’altro lo guardò contrariato. 
Pochi minuti dopo, nuvole grigie apparvero all’orizzonte, mentre piccole gocce di pioggia iniziarono a scagliarsi copiose contro il tetto, provocando un rumore metallico. 
Gli occhi prato si spalancarono per la sorpresa, increduli di fronte allo scroscio lungo i canali secchi. 
 
 
 
« Come hai fatto? » 
« Magia. » 
 
 
 
 
 
§ ° §
 
 
 
 
 
Osservarono il temporale dalla finestra, in silenzio, mentre le gocce d’acqua premevano contro le inferriate di legno, talvolta bagnandoli. 
« Haruka. » 
Pronunciò poi, sommessamente, continuando a fissare fuori. 
«  È un nome da ragazza, ma alla mamma piaceva tanto. » 
Il castano si voltò verso il coetaneo, un po’ sbalordito, ma allo stesso tempo contento. 
« Io sono Makoto…  Anche il mio è un nome da femmina. » 
Si scambiarono delle occhiate fugaci, per poi tornare a fissare i fulmini in lontananza. 
« Posso chiamarti Haru?» aggiunse poi, timidamente. 
« … Come vuoi. » 
L’altro lo squadrò nuovamente, ridendo a fior di labbra. 
Fu la prima volta delle tante, che il corvino gli sorrise. 
 
 
La pioggia intanto continuava a cadere…
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
 
Il tempo insegna molte cose, in particolare pone le basi su uno dei principi fondamentali degli esseri umani: la conoscenza reciproca. 
Makoto, ora, sapeva che al corvino piaceva tantissimo l’acqua, a tal punto che non poche volte si era ritrovato in guai per ‘la tendenza’ di Haru nel buttarsi in ogni fonte disponibile. 
D’altro canto, quest’ultimo aveva fatto spesso i conti con l’insolita paura del castano per i fantasmi –  che si tramutava sempre in fughe pazze, a perdifiato, verso l’orfanotrofio -, con come unico risultato la signorina Matsuoka (il cognome della proprietaria), visibilmente preoccupata, a calmare il bambino in questione con zucchero o stuzzichini vari. 
Haruka andava pazzo per lo sgombro, così spesso finivano a doverlo pescare appositamente per lui; Makoto invece adorava i parchi giochi, in particolare quando con lui c’erano i suoi amichetti. 
Eppure la cosa che li accumunava di più rimaneva sempre quel libro strano, rilegato, che agli occhi dei due sembrava sempre preziosissimo; apparteneva ai genitori di Kisumi, che spesso, da quando avevano iniziato a studiare nella piccola scuola a cielo aperto, si univa a loro –rimanendo attaccato a Makoto fin troppo, a parer di Haruka. 
Il famigerato tomo parlava del Bushido. 
Fin dalla prima lettura, all’età di otto anni, le arti marziali e gli insegnamenti lì riposti li avevano lentamente ossessionati. 
Non era raro trovarli a sognare un’arma con cui lottare e difendere il proprio imperatore, ricevendo così il Ko On, simbolo del loro essere adulti e il Chu. 
Ogni pagina era davvero meravigliosa, scritta e curata nel minimo dettaglio. 
E mentre la neve cadeva, segno dell’arrivo di un nuovo inverno, i cuori battevano colmi di ammirazione nel sapere che, presto, il grande Damiyo avrebbe fatto la sua entrata trionfale passando proprio lì. 
 
 
 
§ ° § 
 

 
 
Negli ultimi tempi, Haru aveva notato uno strano fastidio nel vedere così tante persone girovagare intorno al castano.  
Non era una novità, fin dall’inizio delle lezioni aveva provato questo sentimento così odioso, orribile, ma non ne aveva fatto parola con nessuno. 
Quel bambino, Kisumi, lo odiava. Sempre intorno a Makoto, attaccato come una cozza; non riuscivano più neanche a stare insieme: si vedevano a mala pena la sera, prima di andare a dormire – e la maggior parte delle volte crollavano senza neanche dirsi una parola. 
Aveva finito per allontanarsi anche dall’amico, perché vedere quel sorriso così, regalato a tutti, gli sembrava un abominio. 
Tutto ciò lo fece sembrare egoista. Smise di aspettarlo, e iniziò a tornare all’orfanotrofio da solo. 
L’altro lo notò immediatamente, e lasciando i suoi compagni, partì subito alla sua ricerca. 
Lo trovò a pochi passi dal parco, vicino al piccolo laghetto, accovacciato, intento a fissare il nulla. Lo ignorò palesemente. 
« Haru, se ho fatto qualcosa di male, mi scuso con te » pronunciò poi veloce; senza dare il tempo di reagire all’altro, spostò le mani del corvino dal suo viso, porgendogli un meraviglioso fiore rosso. 
Il castano arrossì, accovacciandosi accanto al coetaneo, ammutolito. 
Non disse niente, rimase in silenzio. 
E bastarono solo le mani, che timidamente si incrociarono, a narrare il resto della storia, insieme ad un indelebile spettacolo di ciliegi in fiori. 
Sorrisero; non avevano bisogno d’altro. 
 
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
 
Il Daimyo sarebbe dovuto venire in visita alla capitale; tutto era stato addobbato per la grande festa, dalle case più ricche a quelle più povere. 
Eppure quel mattino di giugno inoltrato non vi rimase niente se non distruzione e sangue: abitazioni in pezzi, alberi incendiati. 
I soldati dello Shougun non avevano lasciato nulla, avevano portato via tutto. 
Ricordava solo urli e strilli, panico generale, e Haru che lo trascinava via, per mettersi al sicuro. Era praticamente paralizzato di fronte a quell’orrore. 
Quei guerrieri che aveva da sempre ammirato erano lì ad uccidere innocenti, persone innocue che non avrebbero fatto del male a nessuno. 
Le immagini scorrevano veloci e poco nitide, mescolandosi al rosso delle fiamme e all’odore pungente di carne bruciata. 
Trovarono un riparo: fu inutile. 
In pochi istanti Makoto si vide portar via tutto: la famiglia, l’onore, il suo villaggio, Haruka. 
Lo aveva protetto, nascondendolo dietro di sé ed era stato fatto prigioniero.  
Si sentiva un codardo ma non poteva infrangere quel giuramento. 
 
 
« Promettimi che vivrai. » 
 
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
 
Cinque anni dopo… 


 
‘Il lavoro nei campi fortifica non solo lo spirito, ma anche il corpo’. 
La famiglia che lo aveva accolto lo ripeteva in continuazione, quasi come una litania. 
Ormai ci aveva fatto l’abitudine: i Tachibana erano persone di buon cuore ma molto diligenti per quanto riguardava il lavoro. 
Quando Makoto aveva riferito loro, all’età di quattordici anni, che sarebbe voluto diventare un samurai, la loro reazione non era stata delle migliori. 
In quei cinque anni passati, non aveva mai visto il padre adottivo così infuriato alla notizia che lo stesso maestro Goro Sasabe, insegnante d’arma imperiale, aveva espressamente richiesto la presenza del giovane nel suo dojo. 
Il motivo era semplice: il figlio di un contadino aveva letteralmente tenuto testa ad uno dei suoi allievi prediletti, il figlio di una delle case d’arme più potenti della nazione, Nagisa Hazuki.  
Il bello è che il giovane in questione aveva preso il tutto come un gioco. 
L’incredulità del quattordicenne aveva così costretto l’uomo a parlare faccia a faccia con la sua famiglia; seguirono litigi non proprio pacati, ma di fronte alle autorità ed all’ostinazione non c’era molto da fare. 
All’alba dei suoi quindici anni, Makoto Tachibana impugnò la sua prima vera Katana con l’unico obbiettivo di vendicare le persone che più amava al mondo. 
 
 
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
 
 
Finalmente poté aprire nuovamente quel tomo, insieme ai suoi nuovi compagni d’arme; rispetto agli altri era piuttosto grande come età: solitamente la spada si otteneva ai tredici anni, con un dovuto addestramento alle spalle. 
Il Bushido si fonda, in particolare, su ben sette concetti fondamentali, ai quali il samurai deve attenersi fedelmente, come una religione, con la stessa intensità dell’amore per l’imperatore. 
 
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
Gi: Onestà e Giustizia 
 
 
La prima lezione l’avevano imparata andando al mercato, nel quartiere buio di Otsu, rinomato per la propria criminalità. 
Avevano osservato con occhio attento la fame, la malattia; al momento del pasto, erano tutti finiti in una locanda appartenente alla famiglia Ryuzaki (il cui discepolo era praticamente occupato a  ridere/lottare contro Nagisa). 
Makoto aveva lasciato il luogo con il piatto, donandolo poi ad un’anziana lì vicino che chiedeva elemosina. 
Venne rimproverato e gli venne inflitta una dura punizione. 
Tachibana semplicemente sorrise. 
 
«Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell'onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. » 
 
 
Nessuno osò parlare.
 
 
 
Yu: Eroico Coraggio 
 
 
Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere.
Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso.
L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.’ 
 
 
 
 
Il secondo insegnamento fu difficile da attuare: si trattava di prendersi cura della propria lama, limandola, pulendola e rendendola più lucida possibile. 
Pioveva e ciò rasserenò il suo spirito.
Chiuse gli occhi, e rimembrando la sua voce, prese ad affilare la sua spada, restando alzato tutta la notte. 
La vera casa del Samurai non è tanto un posto caldo e vivibile, ma solo e unicamente la sua spade. Senza quella, non ha onore. 
 
 
 
 
 
 
 
Jin: Compassione 
 
 
‘L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte.
È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune.
Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.
La compassione di un samurai va dimostrata soprattutto nei riguardi delle donne e dei fanciulli.’
 
 
 
Makoto guardò in silenzio i bambini che nella cerimonia solenne gli avevano lanciato il pallone di stoffa dritto sulla testa. 
Avrebbe dovuto arrabbiarsi, eppure rise, e, sorridendo li saluta, premurandogli di non mettersi più nei guai; sentiva che Haru avrebbe fatto così. 
Ritornò a casa, completamente in disordine, e riposò sul letto, sognando quel mondo perfetto, irraggiungibile da sembrare fatto di vetro: i quattro precetti della ‘Nobiltà di Spada’ che il maestro tanto elogiava, ora erano finalmente in lui. 


 
 
 
§ ° §

 
 
 
La Katana affondava velocemente, come un fulmine che squarcia la notte. 
Penetrava nel corpo, mirando precisa, trapassandolo da parte a parte, così rapida da essere indolore: neanche una yoroi robusta sarebbe in grado di resistere sotto ai suoi colpi.
Leggera, maneggevole, svelta. 
L’arco era ancora più temibile, nelle sue mani; l’elasticità della corda e la durezza della fattura permettevano tiri a lunga distanza.  
Se mirato bene, bastava un singolo colpo per distruggere in mille pezzi i sogni degli esseri umani, trascinandoli verso il baratro della morte. 
La lancia non era da meno, soprattutto in combinazione con la fanteria: squarciava e infilzava un corpo aprendolo a metà quasi come una lama di fronte a vile carne. 
 
 
 
 
 
« , Rei: Gentile Cortesia. 
 
I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza.
 Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale.
Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.
Il miglior combattimento è quello evitato. » 
 
 
 
 
Ripeté sommesso, apatico, continuando quella lotta senza fine con il manichino in sala; doveva ripassare quei precetti ogni giorno. 
Un Samurai veniva addestrato prima della guerra, all’amare la morte. 
Questa veniva vista come un peso che impediva all’uomo di ergersi, come a testimoniare la sua supremazia verso il mondo reale. 
Nanase non era d’accordo. La vita era un bene preziosissimo che, pensò, andava protetto a tutti i costi.  
 
 
 
 
 
 
名誉Meiyo: Onore 
 
 
‘Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso.
Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà.
Non puoi nasconderti da te stesso.

 
  
Haruka sospirò, prendendo in mano l’arco, concentrandosi e ripetendolo ancora sommessamente, incurante del vociare di Sousuke e Rin, i suoi colleghi d’arme. 
Scoccò, e fu centro perfetto. 
 
 
 
 
 

 
 , Makoto: Completa Sincerità 
 
 
‘Quando un Samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa.
Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere.
Parlare e agire sono la medesima cosa.’ 
 
 
 
Ed ogni volta, era sempre come la prima: il fiato si strozzava, e non sapeva andare avanti. 
Bastava il suo nome a ricordargli di quella notte, a fargli venir voglia di pregare per quelle persone, per le tragiche perdite. 
E il cuore batteva forte, a tal punto da spingerlo a sedersi. 
Non voleva dimenticare quegli occhi, l’unica memoria che ormai era rimasta. 
Sentì un rumore metallico protrarsi: pioveva. 
Appoggiò la testa al vetrato dei disegni variopinti.  
Chiuse gli occhi e si domandò se, magari, lui stesse vedendo la stessa cosa. 
Sorrise, più a se stesso che per altro, dandosi dello stupido. 
 
 
 
 
 
 
 
, Chugi: Dovere e Lealtà 
 
 
‘Per il Samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue.
Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura.
Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.
 
 
 
 
« Sicuramente ti salverò. » 
 
 
 
 
 
~ §°§
 
 
 
Ancorato ad una tradizione millenaria, il paese orientale si presentava agli occhi degli occidentali molto arretrato.  
L'imperatore Mutsuhito optò così per una politica di rinnovamento che toccava tutti i settori della cultura e delle istituzioni.
Queste riforme trovarono la dura resistenza delle caste tradizionaliste, in particolare quella dei samurai, poco d’accordo ad abbandonare i propri costumi. 
L'imperatore decise di destituire questo antico ordine di guerrieri, da sempre considerati i più efficienti al mondo. 
Iniziò così una rivolta da parte dei samurai del feudo di Satsuma. 
Molti esponenti dei clan della provincia erano entrati a far parte del nuovo governo Meiji, contribuendo a rafforzare la politica riformista con la loro tenacia.  
Takamori Saigo fu uno dei ministri Meiji e il primo a manifestare dubbi sul rispetto della casta samurai.  
La modernizzazione inevitabilmente avrebbe portato ad abolire un reggimento antiquato per le future guerre che il Giappone aveva in mente di intraprendere, specie contro la Corea. 
Saigo a tal proposito creò una serie di campi di addestramento dove giovani aspiranti samurai venivano allenati a questa antica arte.
I ministri dell'imperatore non gradirono tali propositi volendo al contrario creare un esercito su modello di quelli occidentali.
L’uomo allora non nascose i suoi propositi sovversivi nei confronti di un governo che sembrava corrompere la moralità e il costume tradizionale.
Per impedire tali atti di ribellione e per indagare sui piani di Saigo, il governo organizzò una spedizione di spie nel dicembre del 1876.
Il piano venne scoperto e le spie imprigionate e torturate.
Questo fu il casus belli: la ribellione sarebbe divampata per difendere il Giappone tradizionale da quello moderno e corruttore.  
 
 
 
 
~ §°§
 
 

 
 
Le armate delle due fazioni contavano una forte differenza di potenza. 
Kumamoto era una vera e propria fortezza inespugnabile e le truppe a sostegno di Saigo non erano in eccellenti condizioni da combattere selvaggiamente. 
I due Daimyo della provincia, intanto, non sapevano come agire, o meglio dire, in che fazione schierarsi; temendo una ribellione tra i paesi vicini si organizzò, così, uno scontro tra i migliori discepoli. 
Chi avesse vinto avrebbe deciso le sorti. 
 
 
 

 
 
§ ° § 
 
 
 
 
 
 
Come vuole la tradizione, gli sfidanti avevano il dovere di incontrarsi il giorno stesso, di sera, onde dimostrare il proprio rispetto verso il nemico. 
L’aria era secca, segno di estate inoltrata: neanche un alito di vento; aveva fatto estremamente caldo negli ultimi tempi, e la stagione delle piogge era durata meno del previsto. 
Sospirò, fissando ancora una volta il suo kimono bianco. 
Doveva solo uccidere il suo avversario, in modo poi da poter ottenere il via libera per Kyoto. 
 
‘Uccidere’.
 
Una parola orribile con cui temeva sempre di avere a che fare. Aveva scelto la sua strada, diventando uno dell'élite.  
Era troppo tardi per tornare indietro.  
Si domandò che aspetto avesse il suo rivale: inaspettatamente il pensiero di perdere non lo sfiorava minimamente. Ce l’avrebbe fatta, lo sentiva. 
Sarebbe poi riuscito a cercare Haru, non gli importava quanto tempo ci sarebbe voluto. 
 Sospirò pesantemente, cercando di distrarsi, dando uno sguardo alla piccola radura in cui si trovava; non riuscì a completare un’analisi del posto perché un rumore di passi lo richiamò alla realtà. 
Finalmente, il combattente si mostrò a lui, fermandosi a pochi passi da Tachibana. 
Il viso illuminato dalla pallida luna e quel colore azzurro indescrivibile. 
Non una parola. Era come se il mondo si fosse fermato. 

 
 
§ ° § 
 
 
 
« Haru…? » 
 
Si era paralizzato sul posto. 
Fissava il castano incredulo, incapace di muoversi; d’altro canto, la reazione del samurai di fronte a lui fu la stessa: tutte le certezze crollarono in pochi secondi. 
Una leggera brezza scosse i capelli del corvino; solo allora, si accorse di una lacrima che ne solcava il volto. E l’istinto reagì prima della ragione: gli corse incontro, e lo abbracciò impedendogli di compiere qualsiasi altra azione. 
Era la prima volta che vedeva Haru piangere. 
Nanase si strinse a lui, inaspettatamente, ricambiando quell’abbraccio; finalmente poteva sentire di nuovo quel calore: sebbene fossero cambiati, sebbene i loro corpi fossero finalmente maturati, con lavoro e fatica, nel cuore erano gli stessi di prima. 
 Ringraziò il cielo per la grazia di aver ritrovato lo stesso ragazzo di otto anni prima. 
Tachibana continuò a stringerlo in quel caldo contatto; incredulo di fronte al fatto che il famigerato figlio del Daimyo fosse proprio lui. 
Era incapace di pensare che l’indomani si sarebbero sfidati a colpi di spada. 
Il respiro spezzato di Haruka gli fece intuire che anche l’altro aveva capito. 
L’onore e i sentimenti. 
Come samurai erano vincolati a servire il loro signore, a rispettarne i principi, come suoi amanti, stretti nelle catene di ‘un amore incondizionato’ verso la giustizia. 
Dall’altra parte, invece il cuore, i sentimenti: così disprezzati dalla verità perché spesso nascondono menzogne e bugie, allo stesso tempo erano invidiati, per la loro purezza nella sincerità. 
Era uno scontro di coscienza a tutti gli effetti, tanto importante quanto inutile. 
Conoscevano la risposta, anche se ne avevano paura. 
Nessuno dei due sarebbe stato capace di uccidere l’altro, finendo per creare un diverbio ancora più grande tra i vari clan. 
 
 
« Haruka, scappiamo insieme. » 
 
 
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
 
 
Fin dalla tenera età, il piccolo Nanase, giocando con Tachibana, aveva notato quanto l’altro amasse i fiori.
Non era una cosa da tutti i giorni; forse un hobby un po’ femminile, pensava.
Solo dopo che l’amico ebbe spiegato la loro presenza nell’Hanakotoba, il libro dei significati, il corvino capì.
Iniziò a studiare le varietà di piante, tentando di trovare quella che più si addicesse al castano, ma solo dopo quella piccola litigata, vicino al parco, intuì di quale si trattava.
 
 
 
 
Per Nanase, Makoto era come un fiore di ciliegio. 
Puro, delicato, bellissimo anche quando cade, quando i suoi petali si staccano creando una pioggia di colori meravigliosa; il significato attribuitogli era ‘gentilezza’ e rispecchiava a pieno la bontà d’animo che sempre aveva caratterizzato il giovane; la voglia di proteggere le persone che amava lo faceva apparire ai suoi occhi come l’unico ramo di salvezza a cui aggrapparsi nei momenti cupi, risvegliandolo sempre con quella sua aura quasi eterea. 
 
 
 
 
 
Per Tachibana, Haruka era come la camelia. 
In giapponese, Tsubaki, veniva scritto secondo due kanji che significavano ‘albero’ e ‘primavera’. Subito notò la meravigliosa affinità. 
Come Haru, questo fiore amava l’acqua, tanto da essere per la maggior parte delle volte trovato vicino alla riva dei fiumi. 
La varietà che più somigliava al giovane corvino, a parer suo, era quella rossa, segno di passione e inesorabile bellezza. 
Un fiore così fine da essere da sempre il simbolo della dignità e della gloria stessa dei samurai, che tanto si erano impegnati a diventare. 
Era una pianta all’apparenza dura, forte, ma che in realtà mostrava la sua infinita tenerezza in quei boccioli così morbidi da cadere al minimo tocco. 
L’onore che tanto amava il giovane Nanase era possibile rivederlo nello stesso. 
Eppure, questo fiore nascondeva anche un altro significato. 
Ricordò quando lo porse al corvino, durante quel loro litigio, e alla faccia impercettibilmente rossa del compagno. 
Nell’Hanakotoba, il suo significato era anche quello di ‘amore’, di promessa eterna e di sacrificio per la patria; niente di più giusto che potesse caratterizzarlo. 
 
 
 
 
 
§ ° § 
 
 
 
 
 
Quando vennero sorpresi dalle guardie, Haruka intuì che ormai non c’era nulla da fare se non combattere per la propria salvezza, spada a spada, schiena contro schiena. 
Makoto era diventato davvero bravo nell’arte della spada. 
I suoi movimenti erano fluidi e delineati, mentre quelli di Nanase erano precisi e ben definiti. 
Un’accoppiata perfetta sui campi di battaglia. 
Ma i nemici aumentavano, e da una decina, erano ora ad una ventina, senza contare che altre truppe stavano per arrivare. 
Con un ultimo sforzo, il corvino riuscì a trascinare il castano dietro un albero lì vicino, al riparo dalle frecce. Poi un tocco, uno schioccare leggero di labbra che si posano l’una sull’altra; gli occhi si chiusero simultaneamente, spegnendo la furia della battaglia, le orecchie invece rimasero attente, sull’allerta. 
Le labbra di Haruka erano morbide, melliflue… Sembrava di baciare dell’acqua fresca. 
E, in quel momento, Makoto finalmente capì le intenzioni dell’altro: addossarsi tutta la colpa dell’accaduto da solo, pagandone le conseguenze. 
Lo strinse a sé, impedendogli di lasciarlo. Nanase provò a divincolarsi, ma Tachibana rimase silente. 
 
« Se cadiamo Haru, lo faremo insieme. » 
 
E il corvino non seppe più che fare, smise di opporre resistenza, e lasciò che i suoi compagni lo accerchiassero, puntandogli le armi contro. 
 
« Va tutto bene. » 
 
Poggiò il volto contro la spalla di Makoto, lasciandosi cullare dalla sua voce; socchiuse le palpebre. 
 
 
 
 
 
 
-------- …  hito wa bushi  
 
 

 
 
 
 
 
Il vento leggero scuote le loro chiome, Haruka si lascia cullare da quella pace momentanea, rapito dall’orizzonte di fronte ai suoi occhi. 
L’alba. Il sole finalmente si è risvegliato dal suo sonno, tingendo il firmamento di colori tenui e delicati che man mano, si scuriscono diventando più brillanti. 
In lontananza, scorge un filo di azzurro; le acque del lago sono calme, ma entrambi, nonostante l’altezza, distinguono il muoversi di piccole onde sul pelo dell’acqua. 
Sospira. Makoto lo ha percepito. 
 
 
 
 § ° §
 
 

 
« Hai paura..? » domanda, ricercando le iridi dell’altro, confuso. 
«Sai benissimo che i samurai non temono nulla, men che meno la morte.» 
Abbassa lo sguardo, ponendolo poi nuovamente davanti a se. 
 « In momenti come questi... il tuo orgoglio da shi viene fuori come al solito. » 
Tachibana gli sorride, imitandolo. 
«Siamo cresciuti entrambi… In fondo siamo adulti, ormai guardiamo in faccia la realtà...» 
Passa un buon minuto, prima che l’altro posi nuovamente i suoi occhi prato contro quelli di Nanase.  
« È un bel paesaggio, vero? Credo dovrei ringraziarli, per questo. Grazie a loro, non ho rimpianti. » 
Sospira poi, alzando gli occhi al cielo, mentre due figure si avvicinano a loro, rapide. 
« Makoto... » 
Sussurra il suo nome, il corvino, e si svolta finalmente a guardarlo; il castano è radioso come sempre, e il suo cuore si incrina; vorrebbe piangere, ma non lo fa. 
Nel rispetto per il suo migliore amico, per la stessa spada con cui è stato onorato, per il suo stesso amore, deve essere forte.  
Vuole essere di sostegno per una volta, il suo appiglio. 
« Non esiste posto per me migliore di questo, se posso avere l’onore di restarti accanto in un momento come questo...» 
Makoto lo ha battuto di nuovo; cade il silenzio, rotto soltanto dalle campane che segnano lo scoccare della settima ora. 
Un rumore così acuto e forte, in grado di coprire tutti gli altri suoni. 
Si scambiano sguardi fugaci. Makoto pronuncia qualcosa, e gli occhi del corvino si abbassano repentini, rispondendo silenziosamente. 
Nessuno capì. 
I due uomini si posizionano dietro i due ventenni mentre un corteo di grida si erge, chiedendo pietà per i ragazzi. 
Ma, ormai, entrambi hanno annullato tutto il mondo circostante, non esiste più nient’altro dietro di loro se non il paesaggio che si affaccia su tutta la città. 
 
 
« Haruka, i ciliegi stanno per sbocciare.» 
 
 
Lo sussurra a fior di labbra ma l’altro lo sente nitidamente. 
Chiude gli occhi, stringendo ancora quella mano che gli è rimasta attaccata per tutto il tempo, poi guarda gli alberi di fronte a sé e sospira. 
Si volta verso Makoto e sorride. 
 
 
 
 
 

 
« Pioverà. » 
« Come fai a dirlo? » 
« Magia. » 
 

 
 
 
 
È come simultaneo, ad entrambi viene in mente la stessa cosa. 
Haru alza le iridi verso il cielo, godendosi le prime gocce d’acqua. 
E Tachibana sorride, ricambiando quella stretta, con l’immagine di Haruka ancora nitida. 
 Chiude gli occhi; non li riaprirà più
 
 
 
 
 
 
 


« Aishiteru. »

« Watashi mo.»
 
 
 
 
 
 
 
 
~ §°§
 
 
La prima grande battaglia che si combatté contro l'esercito imperiale, fu l'assedio del castello di Kumamoto tra il 14 febbraio e il 12 aprile 1877.  
Era uno dei più resistenti in Giappone; la guarnigione che vi  albergava era tra le maggiori.  
Gli assedianti circondarono la fortezza per diversi mesi sperando che i soldati si arrendessero per  la fame.  
Le truppe imperiali resistettero e riuscirono persino a creare una breccia tra la cortina d'attacco per ricevere aiuti dall'esterno.  
Il 12 aprile i rinforzi, tra cui anche i Kamiyo provinciali - schierati dalla parte dell’imperatore-, arrivarono copiosamente dalla capitale e dintorni, mettendo in fuga ciò che rimaneva dell'esercito ribelle, decimato dalle potenti armi da fuoco nemiche. 
 
 
 
Il resto, è storia.
 
 
 

 
 
Tra i fiori, il ciliegio…
Tra gli uomini, il guerriero
( credo dei samurai )
 

 
 
 
 
 
 
Nota: Haru e Makoto stanno eseguendo il Seppuku, suicidio rituale per purificarsi; questo perché il loro amore è più forte della devozione verso i propri signori feudali, atto non consentito per un uomo che deve essere disposto a sacrificare la propria vita per il Daimyo.
 
Legenda:
  • Bushi: Sinonimo di Samurai.
  • Daimiyo: Alta carica, simili ai ministri. Il termine vuol dire ‘grande nome’.
  • Shougun: Massima carica militare, equivale a generale dell’esercito; in totale sono 41.
  • Bushido: ‘La via del samurai’, i fondamenti della vita del guerriero.
  • Ko Oh: Diritto alla cittadinanza e alla partecipazione attiva nella società.
  • Chu: Titolo conferito dall’imperatore che riconosce i meriti di coloro che servono la patria.
  • Yoroi: Armatura.
  • Hanakotoba: Linguaggio dei fiori
   
 
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