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Autore: AthinaNike    09/08/2015    1 recensioni
Oscar accoglie nella sua casa Rosalie e si accorge che questa ragazza ha molto da offrirle dal punto di vista umano
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ho sempre avuto un rapporto strano nei confronti delle donne. Le uniche donne che vedevo, a parte mia Madre e Nannì erano le dame di corte: inutili parassiti che cercavano di appropriarsi indebitamente del denaro strappato alla povera gente; arrampicatrici sociali, ecco cosa erano! Infide, velenose, assassine. Questa visione del mondo femminile non mi ha fatto rimpiangere le scelte di mio padre, d’altronde mi è stata data la possibilità di essere più forte di loro, di non dover usare mezzucci per la mia realizzazione professionale e umana. Mi è stata data la possibilità di essere uomo. Non fraintendetemi, non ne ho mai abusato né ho mai ritenuto le donne - io stessa sono donna, d’altronde - inferiori. E se mai l’avessi pensato, una persona mi ha cambiata. Rosalie La Morlière mi ha cambiata.

Quando in quella fredda notte mi offrì il suo corpo, come una comune prostituta era ancora giovane, confusa e senza via d’uscita. E poi quando scambiò mia madre per la donna che aveva lasciato morire la sua… beh, totalmente smarrita.

Quella notte non riuscii a dormire. Visitai la sua stanza più volte, guardando lei, che sembrava più un gattino che una ragazza in quel letto così grande per lei.

Degno gliglio di Francia. Si spezza ma non si piega, risoluta e sinceramente bella. Ecco chi era Rosalie, la donna per cui persi totalmente la testa.


La mattina successiva andai io stessa ad aprire le tende della sua camera. Sul corridoio mi fermò André che mi disse “Oscar, ma hai dormito stanotte?”. Non seppi cosa rispondere. “Non molto bene, forse Nannì ha esagerato ieri sera”

“Oh certo”. Scusa poco credibile. Gli lanciai un’occhiata paralizzante, così lui si fece da parte dicendo soltanto “Non essere dura, moderati con lei”.

Come se dovesse dire a me come si tratta una donna. Entrai piano nella stanza e scostai piano la tenda, lasciando entrare i caldi raggi del sole. Guardai fuori dalla finestra prima di avviarmi verso il fianco del letto per guardarla meglio. Il seno saliva e scendeva al ritmo del suo flebile respiro. Era curiosità la mia? Ma curiosità per cosa? Per quel corpicino, per quella ragazzina che dormiva o per lo strano senso di serenità che mi dava osservarla mentre dormiva? La tentazione di sfiorarla era tanta ma venni interrotta da un suo debole gemito. Si stava svegliando. Scappai da quella stanza per ripiegare in quella di mia madre, che era già sveglia e mi salutò con calore chiedendomi di Rosalie. Al che mi resi conto che non sapevo come comportarmi con lei. Cosa si dice a una ragazzina che aveva perso la madre per colpa di una megera? Io sono solo un Comandante. L’unica cosa che potevo fare per quella ragazza era insegnarle a maneggiare propriamente quel pugnale che la notte prima tremava nelle sue mani come fosse una foglia in autunno.

Scesi le scale a quattro a quattro per prendere cavallo e spada per schiarirmi un po’ le idee. Tornai dopo mezz’oretta di cavalcata nei giardini vicini e trovai Rosalie affacciata al balconcino della sua stanza. Uno strano senso di calore mi pervase mentre un sorriso si aprì tra le mie labbra. Stavo per fare una cosa che raramente avevo fatto: pavoneggiarmi. Feci impennare il cavallo e ripartii subito al galoppo verso la stalla.

“Fortuna che André non mi abbia visto, altrimenti mi avrebbe preso in giro tutto il giorno. Ma è stato divertente!”. Ero totalmente inebriata dall’adrenalina e dall’emozione che mi scorreva nelle vene. Tornata dalla stalla Rosalie mi aspettava sul porticato di casa. Appena mi avvicinai a lei, subito fece un imbarazzato inchino e mi sorrise “Buongiorno Comandante”

“Buongiorno a te Rosalie. Dormito bene? Ah Nannì ti ha dato i miei vestiti femminili. Per fortuna mio padre non li ha buttati tempo fa!” risi e rise di rimando anche lei.

“V-volevo ringraziarLa per l’aiuto che mi ha dato e per il sostegno…” disse con sguardo basso prima che la interrompessi: “Vuoi vendicarti vero?”

Lei alzò la testa con gli occhi fieri e decisi.

“Ti insegnerò a tirare di scherma, e appena sarai pronta ti porterò a Versailles. Sono proprio curiosa di sapere chi è questa Dama”. Ci guardammo per istanti che parvero ore e poi lei si inchinò di nuovo e disse “quando cominciamo?”. Sorrisi.

 

Gran bel tipo Rosalie. Le bastò prendere il ritmo per acquisire un buon livello con la spada. Andrè la batteva con molti problemi. E intanto diventava sempre più bella e serena.

“Dai Oscar! Combatti tu che io sono distrutto!” diceva spesso André e Rosalie rideva e lo punzecchiava con la punta del fioretto. Al che prendevo il suo posto e cominciavo a rincarare la dose alla povera Rosalie, che indietreggiava. Una volta riuscì a tenermi testa, così alzai il livello del combattimento… Se non che sbagliai e le tirai un fendente un po’ troppo difficile da parare, convinta che si sarebbe spostata, ma proprio prima di infliggerle il colpo ci fissammo negli occhi e lei rimase… impietrita. Io ormai avevo già i muscoli in fase di rilascio e non potei fermare il fendente che le tagliò la camicia lungo il fianco sinistro lasciando la pelle nuda: sembrava quasi un petalo coperto dal tessuto, un petalo che volli toccare.

Appena mi accorsi di aver esagerato la presi tra le mie braccia e la strinsi forte, mi inginocchiai e guardai la lacerazione, appurando che non ci fosse neanche una goccia di sangue; ma c’era. Era piccola, come il taglietto che c’era sulla camicia. Gettai la spada a terra.

“Dio Rosalie… perdonami. Perdonami io non sono…”, ero sconvolta, non riuscivo neanche a parlare senza che la mia voce fosse roca e quasi soffocata. Lei posò una mano sulla mia testa e mi tolse i capelli dalla fronte. Mi stava sorridendo. “Capita quando si ha a che fare con una rosa”. Le sue mani gentili carezzavano il mio sudore, i miei capelli, i miei sbagli. Ne ebbi in qualche modo paura: scattai in piedi, arretrai, ma André mi tenne per il polso e gli occhi di Rosalie mi incatenarono alle sue labbra.

“Oscar non le hai fatto niente!” disse lui preoccupato per la mia reazione. Mi rivolsi a lui e liberai il mio polso. Ad un certo punto mi riebbi e cercai di riprendere le redini della situazione che mi era chiaramente sfuggita di mano. Strappai un lembo della mia camicia e lo immersi nella fontana vicina, tornai da Rosalie e lo poggiai delicatamente sul suo fianco. Lei, nel modo di tenere da sola il fazzoletto sfiorò la mia mano e io la tirai via come scossa da una forza sovrumana.

La ragazzina di fronte a me fece un’espressione stupita e affranta. -Ma che diamine mi prende?!- pensai. Fortuna che André per rilassare la situazione disse a Rosalie “Scusala, ma Oscar non è abituato al contatto umano!”e si fece una grossa risata mentre la tensione sui nostri volti spariva.

Quando lei andò a farsi disinfettare la ferita da mia Madre André mi prese in disparte e ci sedemmo sotto l’albero dove giocavamo da piccoli.

“Mi hanno detto che hai impennato il cavallo davanti al portico stamattina”. Presi un filo d’erba e cominciai a torturarlo per l’imbarazzo.

Lui rise. “Certo sarà divertente quando le dame di corte scopriranno che hai perso la testa per una poverella!”. Scattai in piedi e feci per andarmene, e lui sempre molto diverito mi urlò “Beh guarda che ci avevo fatto un pensiero anche io!”. Feci finta di non sentire e tornai a casa stringendo i pugni.

 

Quella stessa sera andai nella camera da letto di Rosalie e la trovai seduta sulla poltrona a leggere. Bussai piano sulla porta e lei si alzò e fece per inchinarsi ma la pregai di non farlo più. Le scostai la poltrona e la invitai a sedersi. io mi appoggiai alla scrivania accanto la finestra che dava sul giardino illuminato dalla luna. Lei mi guardò con occhi dolci e mi disse “Posso fare qualcosa per lei Comandante?”. La fissai in silenzio.

“Chiamami Oscar” e lei con un piccolo sussulto posò il libro accanto a me. Al che presi un bel respiro e continuai: “Raccontami la tua storia Rosalie, se ti va”

“Solo se poi mi racconterà la sua”. Annuii e lei assunse un’espressione triste ma cominciò a raccontarmi della sua infanzia, della sorella e della malattia di sua madre. Parlammo per tutta la notte, e io le raccontai di mio padre, e di come fui nominata Capitano della Guardia e poi Comandante, del mio rapporto con la Regina. Parlammo della Francia, della povertà che la attanagliava e dell’assenza di consapevolezza nei sovrani. Alla fine sbadigliò delicatamente e capii che era il momento per me di congedarmi.

A quel punto mi alzai, le rimboccai delicatamente le coperte e provai un irresistibile desiderio di carezzarle il volto. Non lo feci, ma fu lei a prendermi la mano con quel suo tocco delicato e mi guardò con gli occhi lucidi per il sonno “Buonanotte Oscar”. Le sorrisi e uscì dalla stanza. Appoggiai la schiena contro la porta e tirai un gran sospiro.

 

Lentamente il tempo passava, quando non dovevo andare a palazzo rimanevo con Rosalie a insegnarle tutte le arti femminili, come il canto, la musica, la tessitura e il ballo. L’idea era quella di renderla abile nella battaglia e fare di lei anche un’ottima dama per poterla farla accedere al palazzo, così avrebbe potuto incontrare la dama che aveva ucciso la madre adottiva. Notai poi che André tendeva a lasciarci da sole più spesso, la cosa aveva il doppio effetto di turbarmi e tranquillizzarmi al contempo.

Un pomeriggio di Maggio andammo a fare una lunga passeggiata a cavallo per il boschetto attorno casa Jarjayes. I primi profumi della primavera ci avvolgevano, e il sole filtrava attraverso gli alberi frondosi. Ogni tanto la guardavo: i capelli biondi rilucevano sotto quella sparuta luce, e gli occhi azzurri erano così freddi che quasi mi ristoravano dalla calura. Ma ciò che di lei mi aveva sempre lasciata senza fiato era il suo collo quasi scolpito nel marmo. Lei parlava, sorrideva e gesticolava teneramente. Ad un certo punto fermò il cavallo e io la guardai con aria interrogativa

“Signor Oscar, la prego, fermiamoci per un po’ all’ombra, sono un po’ stanca”. Sorridendo smontai da cavallo “Hai ancora molto da imparare Rosalie…!” le dissi aiutandola a scendere di cavallo. Lei così cadde praticamente tra le mie braccia e mi fissò con le labbra socchiuse. Poi sorrise e prendendomi per il polso mi portò vicino ad una fontanella poco distante da lì. Ci sedemmo sul bordo e cominciammo a parlare. Rosalie si era presa molta più libertà riguardo la scelta degli argomenti da quella notte in cui ci confidammo parecchi pensieri, e io non mi sono mai pentita di averle dato quella libertà.

“Non l’è mai pesato vestire i panni d’uomo?” mi chiese quasi con imbarazzo.

“Si ha più libertà ad essere sinceri. Non avrei mai potuto tirare di scherma, cavalcare o esercitarmi alla pistola. Non sarei mai diventata Guardia Reale. No, non mi è mai pesato molto” risposi io, forse non dicendole tutta la verità, ma non volevo metterle tristezza, non volevo che quello splendido sorriso si tramutasse. Poi la guardai e per un istante persi come possesso del mio corpo, mi alzai e mi posi davanti a lei guardandola dritto negli occhi le carezzai il collo. Lei aveva uno sguardo quasi liquido, come se potessi bere quell’acqua azzurra incastonata nei suoi occhi. Poi socchiuse piano gli occhi e come per incanto il legame si spezzò e mi accorsi di qualcosa che non mi era mai capitata in vita mia. Imabarazzata le feci cenno di risalire a cavallo e lei ubbidì, senza più avere quello splendido sorriso.

Sulla strada del ritorno cercai di spezzare il ghiaccio un paio di volte ma non ebbi che monosillabi come risposte.

Provai ancora: “Preferisci Parigi o stare qui?” le chiesi forse troppo seria, perché notai che lei sbiancò, allora mi corressi subito “Non è una domanda seria, ma giusto per parlare!” continuai sorridendole. Allora lei si rilassò e si guardò attorno.

“A parigi c’era la mia famiglia… mia madre, Jeannie, ma ormai se ne sono andate entrambe. Adesso siete voi la mia nuova famiglia. Questo è un luogo magico per me, poter respirare l’aria degli alberi, il profumo dei fiori, e giocare sotto la neve candida d’inverno… Parigi non era più un luogo sicuro, nemmeno per chi ci viveva da generazioni” e quando finì seppi esattamente a cosa alludesse. Come avrei voluto dirle che facevo pressioni ogni giorno sulla regina affinché visitasse Parigi, affinché prendesse coscienza della fame che imperava nei suoi vicoli e nei suoi arrondissements. E invece stetti in silenzio, muta nella mia triste e crudele impotenza. In più questo nuovo fuoco che mi pervadeva quando la vedevo, quando la sfioravo, mi terrorizzava. Avevo paura che potessi un giorno legarmi a lei più di quanto non avrei dovuto.

 

Arrivammo a casa e mandai Rosalie di sopra a cambiarsi per la cena mentre con André portavo i cavalli nella stalla. Lui incalzava facendo parecchie domande

“Beh come è andata?” . A quel punto non avevo molta scelta. Dovevo parlarne con lui, di sicuro mi avrebbe dato qualche consiglio. D’altra parte era l’unica persona di cui mi fidassi ciecamente con cui avrei potuto confidarmi.

“André, cosa devo fare?”, mi voltai verso di lui con espressione decisa. Probabilmente lo spiazzai perché rimase a bocca aperta.

“Cosa vuol dire che devi fare?” chiese lui quasi balbettando.

“Con Rosalie” risposi io sottovoce.

“Oscar, devi lasciarti andare. Per una volta, cerca solo di essere felice senza pensare al resto” rispose con un lieve sorriso mentre finiva di togliere le redini al cavallo di Rosalie. Beh, non aveva torto, ma come avrei potuto fare? Cosa si prova a lasciarsi andare? E proprio mentre me lo chiesi, qualcosa dentro di me mi disse che la risposta Rosalie la conosceva perfettamente. In silenzio finimmo di togliere la sella ai cavalli e ci ritirammo in casa.

Salendo le scale mi accorsi che Rosalie mi stava aspettando in cima, sul piccolo balconcino che dava al piano terra. Allora mi fermai e la guardai. Si era messo l’abito da cerimonia che tempo prima nannì aveva cercato di farmi indossare. Aveva i capelli raccolti più o meno alla moda di Versailles. Le cadevano sulle spalle nude un paio di ciocche dorate. Era radiosa. L’abito era bianco e azzurro con varie decorazioni a fiocchi e merletti. E quel corsetto era così… Scacciai il pensiero di slacciarle quelle stringhe e mi resi conto che anche André era entrato in casa, persino mia madre la stava ammirando e cominciarono tutti ad applaudire, mentre io ero ancora immobile. Nannì si affacciò e disse “La piccola Rosalie è diventata una vera dama!” e le fece segno di andare a vanti e scendere le scale. Lei voltò la testa verso Nannì sorridendo, mostrando il lungo collo pallido. Poi si girò ancora e cominciò a camminare verso di me. Qualcosa cominciò a bruciare dentro di me quando lei mi si avvicinò e mi tese la mano. Con un sorriso mi inchinai e gliela baciai, e la accompagnai giù dalle scale.

André la abbracciò complimentandosi “Gli insegnamenti cominciano a dare i propri frutti!”, allora Rosalie lo ringraziò chinandosi.

Per tutta la cena non si fece che parlare della bellezza ed eleganza di Rosalie, e non mi intromisi mai nel discorso, fino a quando la mia stessa madre non cghiese la mia opinione. Guardai prima mia madre poi Rosalie, lievemente rossa per il vino.

“Rosalie era un fiore prima che la incontrassimo, ma adesso è sbocciata in tutta la sua bellezza” dissi cercando di mantenere un certo distacco apparente, ma mia madre capì subito e rispose “Sei molto dolce Oscar”. Le indirizzai uno sguardo quasi duro, e per evitare l’imbarazzo mi scusai con i convitati e mi alzai per prendere un po’ d’aria in balcone. Tornata a tavola mi resi conto che Rosalie cominciava a ridere in modo un po’ esagerato e sguaiato: capì che era brilla. Allora mi incaricai di portarla nella sua stanza.

Una volta sole dietro la porta lei si sedette sul letto e si sciolse i capelli biondi.

“Hai alzato troppo il gomito Rosalie, e non è un comportamento che si addice ad una dama” dissi piano mentre le toglievo le scarpe. Lei allora si fece scura in volto e rispose “Come se lei non si fosse mai ubriacato in una taverna”. Mi si raggelò il sangue. Questo doveva essere stato André. Le indirizzai un occhiata terribile e lei si scusò immediatamente, dicendo che era l’alcol a parlare. Le feci segno di spostarsi e mi sedetti accanto a lei slacciandole il corsetto e mi accorsi di quanto fosse stresso. Lei aveva alzato i capelli con le mani e ora avevo davanti la sua schiena nuda. Mi fermai. Dopo qualche minuto lei si girò portandosi le braccia al seno per guardarmi. Allora la vidi la risposta. Nei suoi occhi c’era un qualcosa di diverso. “André mi ha detto di lasciarmi andare” dissi io con voce roca, totalmente disarmata. Per la prima volta nella mia vita realmente nuda e indifesa davanti a qualcuno. Lei sorrise e si girò dall’altro lato dicendo “Mi slacci il corsetto per favore”. Allora lo feci. “Chiamami Oscar” dissi sempre con voce rauca.

Una volta che il corsetto fu tutto aperto lei si alzò in piedi e mi fece segno di mettermi davanti a lei. Allora mi spiegò brevemente come aprire l’intelaiatura della gonna che portava, continuai a fare tutto ciò che mi diceva senza obiettare una parola. Minuto dopo minuto il mio cuore andava sempre più veloce fino a quando il telaio fu asportato, lo posai nell’angolo e voltandomi per guardarla mi resi conto che anche il vestito era caduto a terra. Le mie guance avvamparono. Lei si spostò e io raccolsi imbarazzata il vestito e lo sistemai nel manichino poco distante. Quasi indugiai anche troppo sul manichino perché avevo una certa paura a girarmi. Dopo un po’ sentì le sue mani sui miei fianchi. Allora mi girai e la guardai dritta negli occhi a qualche centimetro dai miei. Provai a ripetere quello che dicevo prima, perché il mio cervello non riusciva a ragionare bene: “André mi ha det…” lei mi interruppe appoggiando l’indice sulle mie labbra. “Di lasciarti andare, lo so”. Mi avvolse il collo con le sue braccia. Qualcosa nella mia mente si annebbiò e la baciai, poi scesi sul collo, le baciai le spalle e poi di nuovo il collo. Lei fece un sospiro più forte degli altri quando le sfiorai il petto con le labbra. La mia testa pulsava, e sentì i miei muscoli muoversi, sollevarla in braccio, avvicinarmi al letto e adagiarla piano sulle lenzuola. Lei mi baciò il ventre e sollevò piano la blusa da dentro i pantaloni e li sbottonò lentamente. La spinsi piano fino al centro del letto e continuai a baciarle il collo e il seno mentre lei mi sfilava piano la camicia. Poi mi fermò e sorridendo mi disse all’orecchio che avevo ancora gli stivali addosso. Allora qualcosa nella mia testa andò più lentamente, sorrisi anche io e mi sedetti sul letto per toglierli. Allora si mise seduta anche lei con la schiena appoggiata ai cuscini, si portò le ginocchia al petto. Le mie mani tremavano ancora e lei ne rise piano. Una volta finito la guardai e le carezzai piano le gambe. A quel punto lei le distese piano e mi chiamo a sé e io non potei far altro che obbedire ancora. Lei tolse anche i miei pantaloni e mi strinse a sé baciandomi sulle labbra.

 
  
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