Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Alvin Miller    10/08/2015    1 recensioni
[ATTENZIONE - ATTO EXTRA DI FOTK:ER, potete leggerlo anche se NON avete mai toccato con mano la saga!]
Una prospettiva differente dello stesso disastro.
Quando Manehattan ha subito l'assalto da parte di una misteriosa creatura gigante, sbucata dalle profondità degli abissi, la neo-Principessa Twilight Sparkle era già sul posto per investigare sulla vicenda, con il contributo delle sue amiche e degli Elementi dell'Armonia riuniti. Ma quando il nemico è un'entità così sfuggente e ignota, possono i soliti strumenti fare davvero qualcosa? E questa entità, è davvero un predatore solitario, oppure c'è qualcuno, che da lontano amministra la situazione e prepara le sue pedine in vista della guerra che sta per infuriare?
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Le sei protagoniste, Nuovo personaggio, Princess Celestia
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 0.3: Il Sentiero


Non esistevano parole eleganti per descrivere ciò che stavano vedendo dal momento del loro arrivo. Era esattamente quello che sembrava: come se qualcosa di gigantesco avesse attraversato la città scavando una ferita profonda e infetta lungo le sue strade. Ed era incredibile pensando che tutto era stato opera di una sola creatura.

Anche a distanze di molte ore dall’attacco c’erano ancora cose che crollavano e fiamme che lambivano i quartieri sollevando nere volute di fumo attraverso gli isolati, e l’aria aveva l’odore del bruciato e delle polveri che si levavano per unirsi nella danza asfissiante.

Poi c’erano enormi crateri con contorni di artigli, erano le impronte lasciate dal mostro, larghe otto metri e così profonde che se qualcuno non vi avesse prestato le dovute attenzione, sarebbe potuto cadervi dentro facilmente.

Quando le quattro Custodi scesero dalla carrozza, atterrando in un parcheggio della lunga Breedway, la loro prima reazione era stata di bloccarsi sul posto e gemere. Manehattan, seconda città per importanza nel regno e orgoglio della modernità equestre, patria della rivoluzione industriale che stavano attraversando in quegli anni, sanguinava ora da uno squarcio largo decine di chilometri, mentre mezzi di soccorso della protezione civile facevano lo slalom tra le impronte per dirigersi ovunque vi era bisogno del loro intervento. E ovunque era il termine esatto. C’erano carrozze-cisterne rosse dei pompieri che trovavano sosta dovunque era possibile, e intanto le carrozze-ambulanze andavano e venivano a sirene accese, portando i superstiti della tragedia nel più vicino centro ospedaliero. Gli stalloni alle briglie che li conducevano avevano lingue che scivolavano fuori dalle labbra, grondando salive dense che lasciavano scie lungo l’asfalto.

C’erano anche pony in divisa e Guardie cittadine, ai quali si erano aggiunti coraggiosi volontari di tutte e tre le razze, che collaboravano insieme per disseppellire i superstiti dalle rovine dei palazzi. Alcune volte qualcuno veniva estratto vivo, forse tutto intero, oppure con qualche frattura (quelle alla spina dorsale o alla colonna cervicale erano le più difficili da trattare), con il rischio della sindrome da schiacciamento, o con organi lesi ed emorragie interne, ma con i dovuti trattamenti e la complicità di qualche incantesimo, si sarebbero ripresi e avrebbero continuano la loro vita di un tempo. Ma quando le macerie restituivano corpi la cui anima era già spirata da un pezzo, allora il clima si faceva più teso. La morte era un tabù profondo nell’Equestria contemporanea, i progressi nel campo delle magie bianche e le tecniche erboristiche ereditate dalla cultura delle zebre garantivano anche ai più moribondi di ristabilirsi da mali giudicati incurabili un’epoca prima, e persino nell’anzianità un pony poteva assicurarsi una vita lunga e prosperosa grazie a un’aspettativa di vita che saliva sempre di più anno dopo anno, e che ormai garantiva a tutti di superare con abbondanza il secolo di età. Gli incidenti erano cosa rara e saltuaria, e quando avvenivano quasi a nessuno capitava di lasciarci la pelle per davvero. Pertanto, l’idea di un disastro che strappasse dall’affetto dei loro cari così tante esistenze era qualcosa cui nessuno, al lato pratico, era preparato mentalmente. Lenzuoli, sacchi o qualsiasi altra cosa potesse fungere da coperta venivano distesi sui corpi freddi, dove sarebbero rimasti fino a quando qualcuno non avesse impartito il comando di rimuoverli. Talvolta questi mancavano del tutto, e così i cadaveri venivano lasciati esposti, di fronte agli sguardi candidi e fino a quel momento innocenti di chi, attraversando la strada in quel punto, avrebbe potuto vederli. A nessuno passava per la testa di censirli, o anche solo di trovare una collocazione più rispettosa, perché nessuno aveva idea di come comportarsi davanti a loro.

Questo era solo una porzione del reale cataclisma che aveva travolto la città. Un solo chilometro quadrato, contro un intero Sentiero che tagliava a metà la metropoli equestre. Proprio in quel momento, uno squadrone di Wonderbolts passò sopra le teste delle Custodi dirigendosi verso nord. Loro non lo sapevano, ma quei pegasi stavano cercando di redigere un resoconto sull’incidente di quel giorno.


Applejack, che a Canterlot era stata la prima ad avere avuto dei motivi per temere dell’attacco, aveva tirato un leggero sospiro quando, in volo sul trasporto, aveva calcolato che il Sentiero aveva evitato per un soffio il quartiere abitato degli Apple metropolitani. Certo, questo non assicurava che Babs o la sua famiglia fossero sfuggiti alla catastrofe, ma di certo ne elevava di molto la probabilità, e a dispetto di altri, almeno loro avevano una casa a cui fare ritorno.

Il suo sollievo, però, venne meno quando si rese conto di quanti altri stavano soffrendo al loro posto. Silver Sprint aveva lamentato delle vittime, ma neppure nel più pessimistico dei suoi pensieri, la cowgirl poteva immaginare che la verità sarebbe stata così oscura.

Proprio in quel momento un’enorme insegna pubblicitaria si staccò da un grattacelo mentre tre pegasi cercavano di assicurarla ai sostegni con corde e soluzioni di fortuna. Cadendo, rischiò di atterrare proprio vicino a degli stalloni infermieri, che cercavano di portare via qualcuno su una lettiga. Sarebbe successa una catastrofe – l’ennesima di quel giorno – se Celestia non avesse prestato attenzione alla scena e non fosse intervenuta per tempo, fermandolo in volo, evitando così il peggio.

Rarity, intanto, stava affogando nel fiume delle sue lacrime, che in parte erano di dolore, e in larga percentuale di nostalgia; quante volte aveva attraversato quelle stesse strade durante un viaggio d’affari o per presenziare a qualche sfilata di moda? Bridleway, per giunta, era sede di molti teatri di prestigio e via di culto per il turismo equestre, con i suoi negozietti pieni di souvenir ma anche – soprattutto – di boutique d’abbigliamento.

Adorava fermarsi di fronte alle vetrine per ammirare i vestiti in esposizione. Da essi spesso aveva tratto spunto per nuove linee, che poi si erano rivelati uno sfavillante successo, e una spinta per la sua carriera da stilista. Ora quelle stesse vetrine erano a pezzi, con schegge di vetro tagliente che circondavano come denti acuminati le grandi bocche dei negozi. Un abito rosso rubino dall’elegante foggia (assomigliava in modo preoccupante a uno che lei stessa aveva disegnato in primavera) pendeva tutto scarmigliato da un lato di quelle zanne, come una lingua di seta grinzosa.

Vide anche delle gocce di un liquido rosso acceso, che tracciavano rigagnoli scuri sul vetro infranto e che si allargavano in una macchia sul marciazoccoli, ampia come una zampa di pony: era sangue.

La stilista si voltò bruscamente dall’altra parte e strinse i denti mentre cercava di non impazzire. “Non è successo davvero, non è successo davvero, non è successo davvero… ” ripeteva a se stessa, mentre le viscere le si ribaltavano dentro.


Pinkie Pie non poteva credere che tanta sofferenza poteva essere concentrata in un’area così ristretta.

Dovunque posava lo sguardo vedeva solo dolore. La sua visione della realtà era stata sostituita da un paesaggio grigio e privo di calore. Vi erano cumuli di detriti ammassati per strada, alcuni spostati dai volontari al lavoro, che si presentavano “ordinati”, come strutturati in una forma ben precisa, quasi avessero una propria logica armoniosa, mentre altri erano la più banale conseguenza del passaggio della grande creatura. In ogni caso però, entrambi i tipi un tempo erano stati qualcosa di bello e allegro, che oramai non esisteva più.

Tese l’orecchio, captando un suono che le provocò una reazione familiare: un pianto di puledrino. E mentre le altre non la guardavano, si allontanò per seguirne la direzione.

A un lato della strada scorse una carrozza-ambulanza, con uno stallone in divisa da infermiere e una unicorno adulta dal manto prugna, che dal retro del mezzo tenevano compagnia a una coppia di piccoli puledrini. Dietro di loro il Rivergrant Building, progettato cinquant’anni prima dall’omonimo architetto, esponeva il proprio scheletro metallico, come una carcassa sviscerata.

I piccoli sedevano su una lettiga messa a disposizione per loro. Il maschietto, che poteva avere sì e no sette od otto anni, era un pony di terra e aveva il manto verde con una voglia bianca sulla spalla destra, e stava in un angolo, mogio e silenzioso, mentre dall’altra parte c’era invece una dolce bambina dal manto rosa e dalle lunghe treccine gialle, tenute ferme da alcuni nastrini rossi; singhiozzava invocando la sua mamma e il suo papà.

Pinkie sentì un brivido lungo il garrese a vederli così angustiati, quasi che il suo Elemento la stesse incitando ad agire.

Il puledrino maschio teneva la testa chinata in basso, con lo sguardo perso nel vuoto, ignorando le parole con le quali i due adulti stavano tentando di rassicurarlo. Questo fino a quando non vide comparire da sotto le sue zampe un animaletto blu di gomma, che si rivolse a lui con fare curioso. Era un cagnolino di palloncini gonfiato dalla Custode dell’Allegria, che prese a muovere con gli zoccoli, tanto abilmente da farlo sembrare quasi vivo.

I pony intorno presero le distanze, ma solo per ammirare, con occhi strabiliati, il momento in cui il cucciolo rientrava dal suo stato catatonico per sbattere lentamente le palpebre e schiudere un leggero sorriso all’animaletto di palloncini. La sua zampetta si posò titubante e poi più convinta sulla testa di lattice, la quale – ci si poteva giocare la propria criniera – prima scodinzolò dall’estremità opposta e in seguito scandì un verso che fu proprio come il guaito di un cagnolino in carne e ossa.

Pinkie, però, non si limitò a fare solo a questo. La puledrina accanto aveva infatti smesso di piangere, solo per rivolgere a entrambi una smorfia d’invidia, la Custode allora compì un altro dei suoi prodigi facendo comparire, non si sa come, non si sa da dove, un orsacchiotto – vecchio e incartapecorito –  da un luogo nascosto della sua criniera.

«Mr. Tickle!!» Esclamò la bambina, agguantandolo. Era un peluche in tutto e per tutto identico a quello che aveva lei nella sua cameretta. Anzi, era proprio lo stesso, compresi i segni dei morsi sull’orecchio destro, che gli aveva procurato quando era ancora più piccola.

La tristezza si era tramutata in allegria, e ora i due cuccioli giocavano con i doni della Custode, completamente estraniati dall’ambiente circostante.

La giumenta adulta si avvicinò a Pinkie Pie, ottenendo la sua attenzione. «Non so come ci sei riuscita, ma è stato davvero un ben gesto. Grazie.» Disse, poggiando uno zoccolo all’altezza del proprio cuore.

Pinkie Pie, guardandola ora più da vicino, si accorse che la sua chioma grigia era raccolta in uno chignon, e che dall’aspetto in generale era una pony abbastanza in avanti con l’età.

«Non potevo sopportare di vedere questi musini così tristi.» Rispose accarezzando una guancia del maschietto. «Ma che vi è successo esattamente?»

La giumenta di mezz’età rivolse torva uno sguardo alla Custode, chiedendosi se veramente non fosse informata dei fatti avvenuti. Ma capì in un secondo momento quale fosse il senso della domanda. Triste e avvilita, indicò qualcosa che la pony in rosa, concentrata com’era sul fare felici i cuccioli, prima non aveva notato: in mezzo alla strada giaceva la carcassa di una carrozza-autobus, abbandona al margine di un’impronta lasciata dal mostro. La parte frontale del mezzo era accartocciata e  compressa da tonnellate e tonnellate di peso della creatura che aveva attraversato la città.

Pinkie aguzzò la vista, e vide una chiazza tra le lamiere con qualcosa che era stato coperto in maniera precipitosa da una cerata bianca. La puledra gioiosa che c’era in lei avrebbe voluto evitarlo, ma aveva già visto qualcosa del genere nonappena aveva poggiato gli zoccoli a terra, e capì subito di cosa poteva trattarsi. Come Rarity, venne colta da spasmi che le ribaltarono gli organi interni. Il cuore le accelerò, il fiato le si mozzò come se qualcuno le avesse posto un tappo all’imboccatura della trachea, e la sua criniera fu sul punto d’ammosciarsi, come era solito succederle quando la sua ragione perdeva colpi. Paura e angoscia si presero gioco del suo Elemento.


Lì sotto c’era un corpo. Probabilmente, il cadavere del conducente. O dei conducenti, se erano in due…


«Cos’è successo?» Ripeté per la seconda volta. Un tic all’occhio, seguito da alcune contrazioni, allarmarono l’altra giumenta.

«Siamo di fuori città.» Spiegò questa, che a quel punto era chiaro che doveva essere l’insegnante che aveva accompagnato la scolaresca. «Stavamo facendo una visita con tutta la classe quando quella creatura è arrivata. Siamo stati fortunati che non ci sia successo niente, a parte… » fece per indicare la carrozza.

Pinkie Pie dovette respirare a fondo, la puledra gioiosa che viveva dentro di lei era sul punto di mettersi a gridare, farsi travolgere dalla crudeltà di quel giorno, ma lei era lì in veste di Custode, e doveva trasmettere un messaggio di speranza, almeno fin quando aveva gli occhi di tutti puntati su di lei.

«D-dove sono gli altri puledri… ?» Chiese a singulti, augurandosi che la risposta non si celasse tra le lamiere del mezzo. Il suo cuore non lo avrebbe sopportato.

«Sono tornati a casa. I loro genitori sono venuti a prenderli appena gli infermieri avevano accertato che stavano tutti bene. Sono rimasti solo loro due.» Indicò i piccoli con un cenno «La loro famiglia vive in campagna. Temo che non abbiano ancora avuto notizie di cosa sia successo… »

Pinkie annuì.

In effetti, quello delle comunicazioni a grandi distanze era un problema molto importante nell’Equestria contemporanea. Senza il servizio offerto dagli incantesimi del Fuoco Magico, con i quali era possibile trasmettere praticamente ogni tipo di messaggi (se la fiamma era abbastanza grande da avvolgerli) dovunque vi fosse qualcuno pronto a riceverli, i pony non avevano altra scelta che affidarsi agli zoccoli di corrieri erranti, di terra o pegasi, che portassero di persona le lettere da un capo all’altro del regno.

Solo di recente poche aziende avveniristiche avevano cominciato a studiare strumenti elettronici capaci di inviare e trasmettere comunicazioni tramite onde radio a grandi distanze, ma erano tecnologie sperimentali, ancora imprecise e colme di misteriose lacune, poco diffuse perché si potesse sperare di farne un uso sul campo.

Questo significava che i due cuccioli sarebbero rimasti su quella lettiga ancora per chissà quanto, costretti a osservare con i loro occhietti ricolmi di lacrime, soli e spaventati, la morte che serpeggiava per strada. E con solo il sostegno di un’anziana (a sua volta frastornata) insegnante a far loro da compagnia.

Pinkie Pie, purtroppo, aveva degli affari che la attendevano in un’altra sede, e il pensiero di lasciarli nel ventre del caos le caricò l’animo di rimorsi, ma prima di andarsene, promise loro che sarebbe tornata se si fossero trovati ancora lì quando avrebbe concluso, e non se ne sarebbe più andata fin quando i loro genitori non sarebbero venuti a prenderli.


Contemporaneamente, in fondo alla strada e all’inizio dell’isolato successivo, Applejack vide un gruppo di stalloni dirigersi a galoppo spedito verso un edificio in rovina. Erano sia unicorni, che pegasi e pony di terra ben piantati di muscolatura, vigili del fuoco, Guardie e volontari della protezione civile, e sembravano impazienti di arrivare sul posto il prima possibile.

Stava succedendo qualcosa, e data la sua costituzione, si sentì chiamata in causa.

«Andiamo a vedere di che si tratta!» Disse a Rarity, scattando prima che questa avesse tempo di obbiettare. La stilista scambiò un cenno con Princess Celestia lì accanto, e decise di seguire l’amica, con in testa ancora il pensiero di ciò che aveva fatto Pinkie Pie. Se c’era tra loro una che aveva dato il buon esempio più di tutte, da quando erano arrivate, quella era stata senz’altro lei, che da subito aveva messo da parte le proprie emozioni per dare il suo contributo in città. La Custode della Generosità non voleva essere da meno, o non si sarebbe più sentita degna di portare su di sé il simbolo del suo Elemento. Si asciugò le lacrime e sigillò il dolore in uno scompartimento segreto del suo cuore, lanciandosi all’ombra della cowgirl.

L’edificio in cui tutti si erano raggruppati era un negozio di suppellettili e articoli orientali. Chincaglierie di ogni genere e confezioni di cibi con etichette scritte con ideogrammi incomprensibili riversavano a terra cadute da scaffali in legno che erano stati ricoperti da strati su strati di macerie piovute dall’alto. Il soffitto, infatti, e con esso gran parte del piano superiore, erano scesi a piombo al piano terra, e sembrava che tutto fosse pronto a crollare di nuovo non appena qualcuno avesse appoggiato la zampa sul punto sbagliato.

Applejack entrò mentre un unicorno pompiere finiva d’impiegare un incantesimo in mezzo ai resti della merce. Era la “Chiaroveggenza”, uno dei pochi di cui potevano avvalersi per ritrovare i dispersi sotto le macerie, ma che di contro, presentava un difetto che ne limitava l’utilizzo: era fondamentale avere almeno qualche informazione sul soggetto che si stava cercando; nome di battesimo, una fotografia che ne raffigurasse l’aspetto, oppure una descrizione quanto più vicina possibile alla realtà. In casi come questi erano gli stessi parenti (o talvolta amici e vicini) a fornire i dati necessari ai soccorritori, che altrimenti dovevano affidarsi al caso e sperare che le rovine sotto cui scavavano rivelassero qualcuno che aveva bisogno di loro.

Il pompiere all’opera in quel momento nel negozio si arrestò di colpo e puntò lo zoccolo di fronte a una massa informe, costituita da travi, pezzi di cemento, mercanzia e un grande lastrone di soffitto che si accavallava sopra tutto il resto.

«Lì!» Esclamò, e subito la squadra si mise a scavare.

Applejack s’infilò ancora più dentro il negozio, quando fece per avvicinarsi e offrire aiuto con i suoi zoccoli, ma qualcuno le bloccò la strada – una Guardia Cittadina – invitandola con tono professionale ad allontanarsi dall’ambiente. «È pericoloso stare qui. La prego di allontanarsi.»

La squadra, nel frattempo, scavava con dedizione e impegno, completamente estraniatasi da quanto succedeva intorno. A uno sguardo più attento, però, emerse subito che al gruppo mancava una figura di comando. Qualcuno che coordinasse gli scavi e decidesse come proseguire. Ognuno diceva la sua su quali blocchi rimuovere, lasciando che fosse la fretta a parlare per loro.

Nessuno si rese conto della sciocchezza che stavano per commettere.

«Per tutti i torsoli di mele, fermatevi subito!»

L’urlo della cowgirl prese in controzoccolo sia loro che chi cercava di fermarla. Alcuni si voltarono per guardarla. Altri invece continuarono imperterriti, troppo presi dal loro compito per far caso alla sua voce. Un unicorno usava la magia per farsi largo nella nicchia tra i detriti, dove il pony di terra che tentavano di soccorrere giaceva prono con la testa affondata nella merce riversa sul pavimento. Nel frattempo, due pegasi raccoglievano grandi blocchi di cemento e li allontanavano di qualche metro. Tentavano di estrarre una colonna che, una volta rimossa, avrebbe consentito loro di insinuarsi nello spazio per recuperare la vittima.

La Custode dell’Onestà sorpassò il pony all’entrata e s’infilò nel gruppo, spingendo via gli operatori incalliti e frapponendosi fra loro e l’ammasso.

«Basta! Non vi siete accorti che questa colonna è portante?!» Disse, allungando lo zoccolo nel punto indicato. «Avete idea di che cosa succederebbe se la rimuoveste?» Solo allora gli stalloni si misero a ragionare e si resero conto della follia che stavano per commettere, e la loro fretta di portare a termine il compito subì una battuta d’arresto. La colonna in questione sosteneva l’enorme porzione del pavimento-soffitto, che ricopriva il resto del materiale inerte come un tetto pericolante. Rimuoverla avrebbe significato privare la massa dell’unico sostegno che le impediva di crollare su se stessa, seppellendo così il povero pony che stava lì sotto.

I soccorritori si osservarono fra di loro, muti e imbarazzati per la grave inadempienza. I vigili del fuoco, in particolare, avrebbero dovuto prevederlo, dato il loro addestramento nell’intervenire in situazioni d’emergenza, ma la verità era che neppure loro sapevano esattamente come muoversi in quelle rovine. Mai, nella carriera di ognuno di loro, era capitato di vivere una giornata come quella, dove le vite di tanti pony erano in bilico negli zoccoli di pochi operatori inesperti. A Manehattan, in particolare, non era quasi mai successo (eccezion fatta per un caso in particolare…) che una calamità costringesse così tanti organismi della sicurezza pubblica a mobilitarsi per strada. Il corpo dei vigili del fuoco, al massimo, interveniva unicamente quando qualche buontempone dava fuoco ai cassonetti della spazzatura, o quando qualche puledrino pegaso, per vincere una scommessa con gli amichetti, volava fin sulle fronde di un albero, restandovi bloccato, incapace di scendere.

Applejack, resasi conto di essere l’unica in quel momento a sapere cosa fare, fece due passi all’indietro esaminando nell’insieme la massa. Aveva abbastanza esperienza in fatto di costruzioni (con tutte le volte che il suo fienile era stato distrutto e quindi ricostruito) da sapere che per proseguire dovevano individuare un altro punta d’accesso.

Si spostò sulla sinistra, scavalcando una pila di cartoni contenenti del cibo in scatola. «Qui può andare! Forza, datemi una zampa!» Ordinò al gruppo e cominciò a calciare la massa in punti apparentemente casuali.

Volontari, Guardie e pompieri la studiarono dubbiosi, interrogandosi su come dovessero comportarsi.

La Custode colpì un blocco di cemento con una nerboruta zoccolata, ampia non meno di un metro, e incredibilmente riuscì ad aprirvi una rete di crepe che si allargarono fino a portarlo alla completa scissione dei pezzi. Applejack balzò all’indietro per evitare che questi le cadessero sulle zampe, quindi tornò subito alla sua opera.

Un unicorno le andò vicino, rispondendo al suo appello, sollevando con la telecinesi e con grande sforzo il primo blocco di edificio, allontanandolo con un gemito di sforzo.

«Allora, vi volete muovere, o lasciate che siano le signore a fare il lavoro sporco?» Rarity, che era rimasta in disparte fino a quel momento, non aveva certo la prestanza fisica né i relativi attributi magici per sostenere per lunghi periodi lo sforzo dello scavo, ma di certo non avrebbe esitato di fronte alla necessità di aiutare chi ne aveva bisogno.

Sotto la guida delle due nuove arrivate, i soccorritori si riorganizzarono e collaborarono insieme per portare a termine il disseppellimento. S’incitavano a vicenda e si dividevano i compiti come in una catena di montaggio, adempiendo ognuno a un incarico specifico. La stilista, per esempio, che per quanto volenterosa non poteva sostenere come gli altri il ritmo, sfruttava le proprie abilità magiche per sgomberare i passaggi dal pulviscolo e dai detriti più piccoli, che malgrado tutto, potevano rallentare l’avanzata del gruppo; ed era anche l’addetta alla sicurezza, che quando scorgeva un ammasso in caduta, aveva l’incarico di bloccarlo per aria prima che qualcun altro si facesse del male, o di allarmarli qualora il volume fosse stato oltre la sua portata per fermarlo.

Applejack, invece, non aveva alcun tipo di magia, di conseguenza non potevano contare su di lei per la rimozione dei blocchi, aveva però delle zampe d’acciaio, ed era sempre la prima a sferrare un doppio calcio quando c’era da rimuovere una porzione più spessa e compatta.

La principale difficoltà, anche ora che tutto prese una piega più fluida, era l’enorme soffitto che pesava sopra tutto il resto: schiacciava le macerie, che a loro volta tenevano intrappolato il malcapitato, impedendo ai soccorritori di riportarlo alla luce del sole.

Un infermiere venuto sul posto tastò il suo battito cardiaco non appena furono in grado di raggiungerlo, e avvisò la squadra che era ancora in vita, ma privo di sensi. La metà inferiore del corpo ancora incastonata sotto quintali di cemento.

Discussero a lungo su quale fosse l’approccio da adottare, se per esempio era il caso di provare ad estrarlo – ma senza aver verificato prima quale fosse il suo reale stato, era un rischio troppo alto da correre – o scavare ancora di più, fin dove fosse stato possibile, mentre il soffitto incombeva su di loro.

La soluzione si presentò d’improvviso con l’arrivo di Princess Celestia.

«Lasciate fare a me» Disse risoluta, e a quel punto tutti si misero in disparte.

Un’unità della Guardia Cittadina, e insieme a lui un pegaso volontario, si distesero all’ingresso della nicchia, pronti ad allungare le zampe anteriori per afferrare il moribondo. Celestia accese il suo corno, che circondò di magia il soffitto, e lo sollevò con delicatezza, smuovendo pezzi di materiale più piccoli mentre il grande lastrone, gradualmente veniva innalzato.

Si fecero avanti anche altri tre stalloni, che allontanarono i frantumi che ancora restarono, e a quel punto i due pony distesi si diedero il via a vicenda per ghermire il ferito e portarlo fuori.

Quando il corpo fu rimosso, Celestia sibilò tra i denti: «Mettetevi a riparo… » lasciando precipitare il soffitto. La lastra cadde pesantemente sulle rovine sottostanti, e si scompose in parti più piccole, che rotolarono giù sollevando una nube di polvere. L’aria divenne pesante e sporca.

Il moribondo, ricoperto da una patina grigia su tutto il manto, venne adagiato su una barella e poi portato fuori dal negozio. Non sembrava aver subito traumi rilevanti, a parte un lungo taglio sulla fronte che doveva essere stato inferto da un oggetto contundente, quando l’edificio gli era crollato addosso. Osservandolo meglio, si notarono subito i piccoli occhietti a mandorla, e il viso rotondo con una fronte ampia e spaziosa, tipici tratti distintivi dei pony provenienti dall’oriente, da città come Neighgasaki o Tokyoats. Sotto lo strato di polverio che lo ricopriva, aveva un manto color terracotta e una corta criniera nera.

«Pensate che si riprenderà?» Domandò Applejack in trepidante attesa.

I medici lo sottoposero a una visita preliminare, tastandogli il corpo alla ricerca di lesioni interne.

«Difficile a dirsi finché non lo portiamo in un centro d’assistenza. Ehi, signore, riesce a sentirmi?» Mosse lo zoccolo davanti al suo viso e quando mancò una risposta, lo tastò delicatamente un paio di volte.

«Niente, questo qui è fuori combattimento.» Confutò infine.

«Vi spiace se provo io?» Si offrì Celestia, accendendo di nuovo il suo corno.

I due infermieri si spostarono immediatamente per lasciare spazio alla loro regnante. Lei poggiò la punta sul petto del ferito e si servì di un incanto facilmente distinguibile per farlo rinvenire, una magia di guarigione.

Si vide il taglio sulla fronte rattopparsi da sé, lasciandosi dietro solo una crosta, e le ferite più piccole scomparirono del tutto. Anche il manto sembrò riprendere visibilmente colore, che ora divenne di una leggera sfumatura cremisi brillante.

Videro gli occhi scuotersi, le labbra tremolare e incurvarsi in una smorfia.

«AAAAAHHH!!» Sì svegliò di soprassalto, agitandosi sulla barella, tanto che dovettero tenerlo bloccato per evitare che traumi interni non ancora rilevati potessero aggravarsi. Poi cominciò a gridare parole in una lingua incomprensibile. Per i presenti erano vocaboli privi di forma, ma non per Celestia, che durante le sue visite in oriente, aveva imparato il loro linguaggio per facilitare le relazioni diplomatiche con i rappresentanti di quella regione.

«Sono qui… sono qui… sono arrivati… sono tra noi… » ripeteva a intervalli irregolari, senza alcuno schema ordinato.

Gli infermieri lo trattennero scongiurandogli di calmarsi, fino a quando non ebbe più le forza per ribellarsi. A quel punto fu obbligato dalla circostanza a fermarsi per riprendere fiato.

«Lasciatelo.» Ordinò Celestia. Il pony era appena uscito da un incubo, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di risvegliarsi su una barella mentre gente sconosciuta lo tratteneva contro la sua volontà. Aveva bisogno di concentrarsi su di lei, perché ora la Principessa doveva rivolgergli una domanda.

Fece partire un debole fuoco fatuo dalla punta del suo corno, e lo indirizzò di fronte al muso dell’orientale supino, che ne fu attratto come una falena dalla luce del lampione. I suoi occhi spiritati iniziarono a seguire la fiammella mentre questa si muoveva a destra e a sinistra, a destra e a sinistra. Il suo fiato riprese regolarità e ora aveva assunto un aspetto più rilassato.

Celestia fece un passo in avanti e s’inginocchiò di fianco alla barella, piegando il collo in modo che i loro sguardi potessero congiungersi l’uno con l’altra.

«Signore, lei sa che cosa è successo, vero? Mi dica cosa ha visto.» Gli chiese, parlando nella sua lingua.

L’orientale a quel punto smise di seguire la fiamma, riconoscendo nelle parole dell’alicorno del sole qualcosa di familiare, di affine alla sua cultura.

«Kaiju… » disse una volta, poi lo ripeté «Kaiju…» e ancora una volta «Kaiju… » lentamente, come se fosse perfino spaventato dalla sua stessa voce.

Le pupille di Celestia si fecero piccole e increduli, quindi annuì, estinguendo l’incantesimo che teneva in vita il fuoco fatuo.

Le Custodi degli Elementi, nel frattempo, si consultarono con gli altri per scoprire se qualcuno ci stesse capendo qualcosa.

Celestia, ora, riprese a parlare con il ferito, in tono caldo e rassicurante. «Questi pony ti porteranno a medicare adesso, non avere più timore.»

«Tornerà… » gracchiò lui «tornerà… non c’è niente che possiamo fare.»

Celestia chiuse gli occhi annuendo, quindi si rimise dritta sulle zampe. «Portatelo al ricovero… » e aggiunse anche «per favore… trattatelo con riguardo.»

Presa nota dell’indicazione, gli infermieri lo condussero verso la carrozza-ambulanza parcheggiata sul margine della via, e la squadra di volontari e vigili del fuoco si disperse per andare in cerca di qualcun altro da aiutare.

«Andiamo. Non è conveniente far aspettare il sindaco.» Partì spedita, costringendo le due Custodi a trottarle dietro.

«Principessa, sentite… che cos’era quella parola che ha pronunciato… Kaiju?» Le domandò Rarity, affiancandosi alla sua sinistra.

L’alicorno emise un profondo sospiro e si fermò, contemplando velocemente la devastazione in città. «È un termine che viene usato per rimandare a un antico folclore orientale. Sta per “Strana Bestia”, anche se le leggende popolari lo associano a un’altra definizione: “Mostri Giganti”. Secondo questi racconti, i Kaiju erano enormi creature marine che emergevano dagli abissi per portare il Caos nelle terre di quella regione. Erano temuti dalle popolazioni come delle vere calamità naturali, praticamente invincibili e dotati di una forza oltre ogni immaginazione. I pony fuggivano terrorizzati quando uno dei loro regni veniva assaltato da questi mostri, e si rifugiavano in grotte o cavità sotterranee fino a quando la creatura, placata la sua furia, non si fosse allontanata… » mentre spiegava, si domandò tra sé e sé se era mai possibile che le fosse sfuggito qualcosa, perché era assurdo pensare che quelle credenze si fossero concretizzate. Subito dopo, infatti, aggiunse: «… ma in tutti i secoli che ho regnato, non ho mai avuto motivo di pensare che quei racconti fossero veri. Si è sempre trattato di leggende. Miti infondati che nel tempo hanno assunto connotazioni epiche… »

«Ma tutte le leggende hanno un fondo di verità, no?» Disse Applejack, che non voleva abiurare così alla leggera quell’ipotesi. Sapeva bene che tra le credenze popolari che circolano tra i pony di ceto sociale più basso, spesso si nascondono verità che nessun testo storico avrebbe l’ardire di rivelare. «Non è detto che lo sia, ok. Ma se questa creatura lo è veramente, uno di questi Kaiju… cosa dobbiamo fare per affrontarla?»

Celestia evitò di parlare per alcuni secondi. Non voleva darle quella risposta.

Poco dopo Applejack la vide scuotere la testa e mostrarsi scoraggiata. «Forse è meglio augurarsi che non lo sia, mia cara. Perché se il Mito fosse vero, non potremmo fare proprio nulla… vedi, secondo la leggenda: solo un Kaiju potrebbe sconfiggere un altro Kaiju… »


Fluttershy si era isolata dal gruppo quando erano atterrate a Manehattan. La Guardia Reale che le aveva seguite da Canterlot era schizzata via non appena avevano toccato suolo, per cercare notizie sulla propria famiglia. Lei a quel punto, come tutte le altre, era rimasta attanagliata dall’orrore che si presentava nella forma del Sentiero.

Aveva vagato ai bordi della strada per interi isolati, avanti e indietro, allucinata da quanto era costretta a vedere, con gli occhi che per neppure un momento avevano smesso di lacrimare. Quel giorno erano morti centinaia, se non migliaia di pony innocenti, eppure c’era qualcosa in tutto quello che stava vedendo, che non combaciava con le informazioni che le erano state riferite quando si trovava ancora a castello.

Le avevano detto che un mostro aveva attaccato la metropoli, demolendo i palazzi in preda a una furia distruttiva, e uccidendo chiunque si fosse intromesso sulla sua strada. Ma quello che aveva di fronte era uno scenario totalmente differente da quello che si sarebbe aspettata.

C’erano segni di artigli e danni strutturali rilevanti sulla maggior parte dei palazzi del Sentiero, ma il modo in cui si presentavano rivelava molte più informazioni di quante non le dessero le parole dei testimoni. Le vetrate e i bordi degli edifici, per esempio, erano abrasi, sì, ma non sfondati, come sarebbero dovuti apparire pensando a un predatore in cerca di cibo. Il titano in questo caso non aveva tentato di assalire le strutture, bensì di passare lungo uno stretto condotto, troppo stretto rispetto alla sua taglia per evitare di buttare giù qualcosa.

Solo le strutture più basse apparivano divelte, e quando così, erano sempre accompagnate da qualche impronta nelle immediate vicinanze. In quei casi, il mostro doveva averle urtate accidentalmente, nella stessa modalità in cui si sarebbe urtato un ceppo mentre si galoppava nel bosco.

Fluttershy fece grande fatica ad accettarlo, mentre ascoltava le sirene dei mezzi coprire ogni altro suono, e osservare il dolore dei pony in lacrime mentre cercavano di avere notizie sulla sorte dei loro cari, come la Guardia Reale. Il fatto era che conosceva a sufficienza il comportamento animale da capire, in base a quali tracce lasciavano, quali fossero le sensazioni che avevano provato in quei lassi di tempo.

Il mostro di Manehattan non era un loro nemico, ma uno sventurato vagabondo che era approdato sulla costa per sbaglio, e che aveva vagato in un ecosistema sconosciuto fino a quando non aveva trovato il modo di evadervi. Chi poteva sapere quanta paura avesse provato, quanto la confusione lo avesse travolto, mentre tutto intorno i palazzi cadevano e delle piccole creature che forse non aveva neppure mai incontrato, lo attaccavano per qualcosa che alla fin fine si era trattato unicamente di un equivoco.

Più ci pensava, e più i pensieri contrastavano a vicenda, quando rimuginava sulla sofferenza che il mostro aveva seminato, ma  allo stesso tempo che aveva patito a sua volta. Per lei fu come essere testimone nel momento dell’attacco, e assistere con gli stessi occhi ai fatti avvenuti. Era l’influenza del suo cutie mark, l’affinità naturale che aveva con gli animali, che la legava in una maniera indissolubile a loro.

Si stava domandando quanto di ciò che aveva dedotto avrebbe dovuto raccontare alle sue amiche, e se ne sarebbe valsa la pena di farlo. E proprio in quel momento qualcuno le arrivò alle spalle, facendola impennare dallo spavento, ma si distese subito quando vide che si trattava della sua amica cowgirl.

«Applejack? S-scusami… » mormorò arrossendo, imbarazzata per la reazione.

La cowgirl le venne vicino e la cinse in un abbraccio calmante. Ne avevano bisogno entrambe per prendere di petto la giornata.

«Come ti senti, zuccherino mio? »

«I-io… sto solo cercando di trovare un senso a quello che è successo qui. Non è… come… »

«Lo so. Ti capisco bene.» La interruppe con tatto «Nessuno dovrebbe soffrire come sta succedendo ai pony di questa città, oggi.»

Non era esattamente ciò che la Custode della Gentilezza aveva intenzione di dire, ma mentre aspettava di decidere come comportarsi, appoggiò il ragionamento della giumenta arancione.

«Comunque volevo solo avvisarti che Celestia sta per incontrarsi con il sindaco al Municipio. Tra poco ci avviserà di raggiungerla.»

Fluttershy annuì. «Arrivo subito… s-se non ci sono problemi. Vorrei solo prendermi cinque minuti… ecco, per pensare.»

La pony dell’Onestà si sistemò il cappello sorridendole mestamente. «D’accordo, ti aspettiamo lì allora. Non metterci troppo però.» E se ne andò, lasciandola da sola con i suoi pensieri.

“Che cos’è successo realmente qui? Chi è quell’essere?” I dilemmi erano pesanti come macigni e le imponevano di compiere una scelta delicata. “Da quale parte devo schierarmi?”. Era orribile doverci riflettere. La facevano sentire come una traditrice della sua stessa gente, ma allo stesso tempo, scegliere di ignorarli avrebbe significato perpetrare un’ingiustizia nei confronti di quella stessa Madre Natura che da quando aveva scoperto la sua virtù, aveva promesso di salvaguardare come una cara amica. Forse non c’era una risposta corretta, o forse doveva semplicemente schierarsi dalla parte della sua specie. Ma prima d’indirizzarsi verso l’opinione comune, c’era ancora una risorsa su cui poteva fare appello. Doveva solo aspettare l’occasione giusta per metterla in atto.


Il municipio di Manehattan era sopravvissuto al passaggio del mostro, mantenendosi intatto e maestoso, benché non si potesse dire lo stesso dell’ampio parco antistante. Dove un tempo crescevano con fierezza robusti cedri ed altri alberi che dividevano lo spazio con arbusti e aiuole curate, ora c’era solo un campo minato disseminato di enormi zolle di terreno, scavate dalle impronte del mostro. Alcuni lampioni dell’illuminazione stradale erano stati abbattuti – facendo fuggire le lucciole contenute al loro interno – e qualcuno li aveva raccolti e accatastati a lato delle ringhiere che separavano l’erba dal viale asfaltato, lasciando così il passaggio libero per la grande folla di giornalisti e di semplici curiosi che si stava accalcando di fronte alle scalinate del palazzo.

Una reporter, presentatasi come Breaking News, del Foal Free Press, tentò di superare il cordone di Guardie Cittadine per rivolgere delle domande a Princess Celestia, ma era solo una dei tanti che erano accorsi fin lì per intervistare le personalità di spicco presenti all’entrata. Fu spinta via da una coppia di unicorni in armatura e quindi trascinata all’indietro dai colleghi rivali, che occuparono subito il suo posto in prima fila.

Poco dopo gli stessi soldati fecero aprire un varco per permettere a Fluttershy di raggiungere le sue amiche. Sì posizionò accanto ad Applejack, che parve felice di vederla tornare così presto; a quel punto il gruppo delle Custodi – tolte Rainbow Dash e Twilight – era da considerarsi al completo.

Princess Celestia si trovava poco più avanti di loro, e discuteva animatamente con il sindaco Mayor Sue. Questa indossava una gonna e una camicia nera eleganti con un papillon bianco, a coprire un manto rosso acceso contrastato dal nocciola della criniera (corta e pettinata) e della coda. Indossava occhiali dalla montatura rettangolare, che le donavano un aspetto maturo e attento, in netta contrapposizione con il suo fare altezzoso e aspro. «… insomma, qui si sta parlando di milioni di monete di danni! Il quartiere finanziario è andato distrutto, e la Banca Centrale… con tutte le spese che abbiamo avuto nell’ultimo biennio è un miracolo che non siamo ancora con il conto in rosso! Come dovremmo intervenire se non disponiamo più di liquidità?!»

Celestia rispose cercando di preservare la propria compostezza, anche se farlo le risultava difficile, considerati i modi non proprio accomodanti della prima cittadina. «Canterlot vi aiuterà. È nostra intenzione stanziare dei fondi per assistere gli sfollati in città. Ma al momento anche piccole azioni, come mettere a disposizione ricoveri di fortuna, o trovare alberghi disposti a ospitarli, sarebbe già da considerarsi come un atto di carità per molti di loro.»

Fluttershy, che non aveva seguito la discussione fin dal principio, aveva però intuito che il tema cardine dovesse essere il denaro, e questo la fece rabbrividire, come si poteva anche dedurre dagli sguardi nauseati della sue amiche: era davvero questa la preoccupazione principale del sindaco?

«Interverremo con tutte le nostre risorse» continuò a risponderle Celestia, cercando comprensione negli sguardi delle Custodi «faremo di tutto per aiutare le famiglie e le imprese che sono state danneggiate dal disastro. Non dovete preoccuparvi per questo.»

«Lo spero bene, perché con i soldi che ci inviate di solito è già tanto se riusciamo a stipendiare quegli incompetenti perditempo della nostra milizia! Senza contare l’assenza di Princess Twilight, che si è fatta assentare proprio in un momento del genere!»

«Arriverà presto… » fu la sola cosa che riuscì a ribattere la regnante di Canterlot.

«Bah!» Pestò gli zoccoli l’altra. «Stiamo solamente perdendo tempo qui!»

Scese di qualche gradino attirando l’attenzione della stampa. Qualcuno stava già tenendo sollevati i taccuini, e i fotografi riempivano l’aria con i flash dei loro apparecchi, ma ad attenderli c’era solo un’amara delusione. Disse loro che più tardi avrebbero indetto una conferenza stampa, nella quale avrebbero risposto a tutte le domande che volevano porle. Il tono che utilizzò questa volta fu più delicato, forse per non inimicarsi potenziali appoggi alle prossime elezioni, ma anche così, gli inviati che erano in attesa di accaparrarsi la loro fetta di cronaca, si lanciarono in mormorii scontenti e addirittura a lunghi fischi di protesta.

Mayor Sue li ignorò come poteva, chiamando a sé una pony che era presente all’entrata insieme alle altre. «Forza, entriamo. Vieni Time Lapse!»

Time Lapse era la sua assistente, o comunque doveva adempiere quel ruolo, dato che la seguiva ovunque lei andasse. Fluttershy si era accorta di lei solo in un secondo momento, sebbene… non fosse il tipo di puledra che passasse facilmente inosservata. Questa, malgrado avesse l’aspetto di una unicorno normale non troppo in carne, con un manto grigio, tendente al viola, e una folta chioma nera di capelli mossi con un visino dolce e adorabile, era sorprendentemente “alta” per essere una pony qualunque. Non che fosse sproporzionata o di costituzione robusta, semplicemente era più “grande” delle sue simili, come se una lente d’ingrandimento si fosse frapposta tra lei e l’altrui campo visivo restituendo di lei un riflesso zoomato.

«S-sì… » gemette in modo timido e svampito quando fu chiamata, fissando per un momento la Principessa e le ragazze, come per compatirle, prima di trotterellale al seguito di Mayor Sue.

Immediatamente si dimenticarono di lei, e la prima cittadina tornò ad essere il centro dei loro pensieri.

«Ma si è mangiata una mela bacata quella, chi accidenti crede di essere?!» Sbraitò la cowpony, in riferimento alla sua condotta.

«Già, è come se in pasticceria le avessero venduto dei bignè salati!» Si aggiunse Pinkie.

Incredibilmente, l’alicorno prese invece le sue difese. «Siate clementi con lei.» Disse in tono sobrio. «Mi rendo conto che a una prima impressione possa riflettere un’immagine sbagliata di sé. Ma la conosco da molti anni, e posso garantire personalmente per la sua competenza.»

«Beh, è un bel peperino però. Questo non lo potete negare!» Commentò Rarity, dandole il beneficio del dubbio.

«È per colpa della situazione che stiamo vivendo oggi. Ognuno di noi affronta i traumi a modo proprio, questo è semplicemente il suo modo di farlo.»

«Capisco, ma… » fece per aggiungere Applejack, se non che si rese conto che la Principessa aveva ragione. Forse non era il modo giusto di fare, ma come biasimarla ora che sarebbe toccato a lei ricucire le ferite del Sentiero, senza considerare le infinite morti che reclamavano una sepoltura. Essere in apprensione per le casse della città era forse il minimo che ci si poteva aspettare da un sindaco. Almeno questo era il modo di vederla di Princess Celestia.

Con un gesto del capo, mise in allerta il cordone di Guardie, comunicando poi alle Custodi che era il momento di entrare. La schiera di giornalisti eruppe alla notizia, cominciando a spintonare nel verso opposto nel tentativo di abbattere il rango dei militari. Chi tra di loro era dotato di ali, tentò la sorte sollevandosi per aria, cercando si scavalcare i colleghi-rivali, ma incontrò la resistenza dei Wonderbolts appostanti sui balconi proprio per prevenire incursioni del genere, gli unicorni invece non avevano magia sufficiente per opporsi alla resistenza della milizia, sebbene tentassero comunque di teletrasportarsi oltre la fila.

Quello era forse il giorno più importante della storia di Equestria, e nessuno avrebbe rinunciato tanto facilmente ad un boccone di cronaca.


x cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .png


La sala delle riunioni in cui si ritrovarono era un grande stanzone spoglio e austero con un lungo tavolo a forma di ferro di cavallo disposto al centro, un’asta con esposto lo stendardo di Menehattan, e solo un vaso di Ficus Microcarpa a dargli un tocco di colore.

Un grande telo appeso alla parete, con accanto un vecchio proiettore per le diapositive, attendeva il giorno in cui sarebbe potuto essere d’aiuto a qualcuno.

I suoni della metropoli in fermento attraversavano le grandi finestre diffondendo un tema che suonava di soggezione e senso d’impotenza alle orecchie delle presenti.

Mayor Sue, seduta in uno dei posti centrali, a sinistra di Princess Celestia, usò il proprio corno per sistemare una pila di documenti nella sua valigetta personale, quindi alzò un bicchiere ricolmo d’acqua, tracannando con ingordigia.

«Quanto ci vorrà ancora?» Domandò a Celestia, mentre le Custodi, ai due lati, restavano in silenzio.

«Arriverà a momenti. La prego solo di avere ancora un po’ di pazienza.»

Questa fece una smorfia biliosa e tornò alle sue faccende.

Poco dopo, com’era stato promesso, la porta si aprì.

Twilight Sparkle e Rainbow Dash entrarono accompagnate dall’assistente chiamata Time Lapse. In quella cornice formale non ci furono gridolini o aperte manifestazioni di gioia, ma solo calmi sorrisi e saluti d’accoglimento.

Furono invitate a sedersi nelle loro rispettive sedie. Dash prese posto nel ramo sinistro del tavolo, accanto a Fluttershy e Pinkie, mentre per Twilight avevano riservato uno spazio al centro, accanto alla sua ex-Mentore.

Discussero un po’ tra loro, scambiandosi pareri su quanto avevano visto di fuori.

Applejack, dall’altra estremità, pose delle domande alla pegaso arcobaleno, notando nei suoi occhi tracce lucenti di lacrime, come del resto era capitato a tutte loro.

Dash la liquidò con un nitrito e pochi giri di parole, facendole capire che non aveva intenzione di esprimersi. In un altro momento sarebbe stata entusiasta di raccontare le emozioni e la gloria di avere volato a fianco di una leggenda come Silver Sprint. Avrebbe occupato tutto la giornata vaneggiano su quanto fosse stata brava a reggere il suo ritmo, ripetendo i complimenti che aveva ricevuto mentre conducevano Twilight a Ponyville e da lì fino a Manehattan; avrebbe anche voluto proporgli una sfida di velocità al campo d’allenamento dell’Accademia a Cloudsdale, che era sicura di vincere senza alcun impegno. Ma quando si rese conto in quale stato vessava la metropoli… quando allungò lo sguardo sul Sentiero del mostro, che attraversava la città in tutta la sua lunghezza, il suo entusiasmo e il suo spirito combattivo… furono obliterati come pensieri transitori, e la sua sicurezza costretta a rannicchiarsi in un angolino, tremante. Non riusciva a credere che Silver Sprint affrontasse la situazione con tanto distacco.

Erano atterrati nel piazzale del municipio, aiutati dalle Guardie a superare la muraglia di giornalisti in attesa. L’insistente Breaking News tentò nuovamente la sorte, bloccando Princess Twilight sulle scale.

«Cosa farete ora? Intendete utilizzare gli Elementi?» Fu una domanda rapida e strappata con la forza, l’unica che le scaturì in quel frangente, e la Principessa fu sul punto di risponderle, cadendo così nella sua imboscata. In fondo sembrava una domanda così innocente, e rispecchiava appieno la realtà dei fatti.

Twilight fu afferrata appena in tempo dal Luogotenente e portata con vigore oltre il cordone di militari.

Prima che potesse fare lei delle domande, le fu spiegato che se avesse concesso a un solo reporter l’intervista, tutti i restanti le si sarebbero avventati contro come avvoltoi affamanti, per avere ciascuno un proprio assaggio della Principessa dell’Armonia. Era un errore da principiante, che Twilight doveva promettersi di non commettere più.

Silver Sprint a quel punto fu chiamato da parte da un grosso unicorno in uniforme da Capitano. Ci fu una breve discussione, durante la quale il Luogotenente ascoltò e fece dei cenni di assenso, quindi tornò dalle Custodi.

«Per il momento temo di dovervi salutare, Vostra Altezza. Altri incarichi richiedono la mia presenza.» S’inchinò a Twilight, quindi spostò lo sguardo verso Rainbow. «Cadetta Dash, volare con te è stato un vero piacere. Mi assicurerò di farne parola al più presto con i tuoi istruttori.»

Lei arrossì, accogliendo con una certa soggezione i complimenti, in fondo lui non era come gli altri stalloni da cui aveva ricevuto lusinghe. «Dove te ne vai?» Fu la domanda che gli rivolse per distogliere l’attenzione da quei pensieri.

«Mi vogliono fuori città con lo squadrone scelto per andare alla ricerca del mostro. Il piano è di seguire le sue orme per scoprire se porteranno da qualche parte»

«Vai a stanarlo, eh?»

«È l’unico modo. Se non lo rintracciamo prima che cali la notte, rischiamo di perderlo di vista. E altre città potrebbero fare la stessa fine di Manehattan. A proposito» porse a Twilight un portablocco con dentro infilati dei fogli, che gli era stato consegnato dal Capitano delle Guardie poco prima.

«Date questo al sindaco una volta che sarete entrate. È importante.»

Le ragazze si presero del tempo per guardare veloce, e quando alzarono la testa, Silver Sprint non c’era già più. Lo videro volare nel cielo della metropoli, in viaggio per la sua nuova destinazione.


Time Lapse si avvicinò a Mayor Sue e le porse il portablocco. Se ne era fatta carico mentre accompagnava le due Custodi alla sala delle riunioni. «E questo qui che cos’è?» Le domandò il sindaco, come se le fosse appena stata presentata una palla compatta di fango.

Timidamente le risposte: «Uh… è il primo rapporto completo del Capitano delle Guardie sulla situazione in città, pensavo che… sì, che lo volesse esporre alla sala.»

Sentito ciò, in silenzio, le fece segno con la zampa di provvedere da sé.

«I-io?!» Esclamò l’assistenze arrossendo. Vista così, quella pony sembrava persino più timida e goffa di Fluttershy.

Mayor Sue non le concesse ulteriori repliche.

Time Lapse, allora, andò verso il telo per le proiezioni, che era avvolto dentro un cilindro di plastica, con un gancio di metallo che scendeva da sotto. Appoggiò il portablocco sull’angolo del tavolo e fece per tirare giù il telo, per agganciarlo così a un anello inchiodato alla parete, più in basso. Ma poco prima di farcela, perse come la presa con il corno, e il telo scattò in su con uno schiocco, riavvolgendosi tutto d’un colpo. Time Lapse balzò all’indietro per lo spavento, e per poco non combinò un secondo disastro, urtando con il sedere il proiettore delle diapositive.

S’irrigidì sul posto, chiuse gli occhi con forza mordendosi le labbra.

Twilight provò una pena infinita per quella unicorno grigio-violetta dalla taglia superiore. Si sarebbe detto che qualcuno di quella stazza potesse affrontare a testa alta qualunque situazione, ma a quanto pareva non era il suo caso.

E il sindaco, nel frattempo, aspettava impassibile che la puledra finisse, come se fosse già abituata a quel tipo di performance della sua assistente.

L’alicorno viola fece per alzarsi e darle uno zoccolo, quando qualcosa la fece arrestare. Time Lapse aprì gli occhi di colpo, il rossore dalle sue guance era sparito d’improvviso, e le zampe avevano smesso di tremare. Ora studiava il cilindro come se sapesse esattamente come comportarsi, e così fu. Tutto fu sistemato con precisione professionale.

«Ci hai impiegato meno del solito Lapse, brava.» La schernì Mayor Sue, mentre si controllava con uno specchietto il trucco e si rassettava il papillon.

La puledra grigia sfogliò le pagine del rapporto, cercando di orientarsi su come introdurre il discorso. Di nuovo, diede l’impressione di stare andando nel pallone più totale, e di nuovo dopo essersi paralizzata per alcuni secondi, tornò in sé carica come se avesse provato il discorso per mille volte allo specchio.

Era forse questa la sua specialità? Concentrarsi su un compito fino al punto di sapere esattamente come applicarsi? Twilight sbirciò il suo cutie mark, ma rimase delusa quando scoprì che il suo fianco rappresentava un simbolo dal significato del tutto criptico: un puntino nero al centro, e due frecce che puntavano in due direzioni diverse. Cosa  poteva mai significare?

Time Lapse puntò verso il telo un incanto molto semplice chiamato Incanto Riflessione, che era in grado rappresentare su una superficie piana un’immagine di ciò che la unicorno stava immaginando.

Apparve la mappa geografica dell’isola di Manehattan, da cui Lapse prese a esporre ciò che era indicato nel rapporto.

«Dunque, secondo quanto dice la Guardia Costiera, il primo contatto con il mostro è avvenuto qui» indicò il punto sul telone, aggiungendovi un cerchietto rosso «è approdato da Port Horace, arrivando dal Mare del Nord, sulla rotta per Griffonstone. Poi, una volta in città, possiamo immaginare una linea che parte da… ecco, la 27ª strada. Fino a… Columbine Circle. È stato lì che ha cominciato a mostrare i primi segni di comportamento anomalo.»

«Ne siamo informate.» Disse Celestia. «Comunque se siete tutte d’accordo, suggerisco di rivolgerci a esso con l’appellativo “Kaiju” da questo momento in poi, almeno fino a quando non sapremo esattamente con che tipo di nemico abbiamo a che fare.»

Fluttershy sentì scorrerle un brivido lungo il garrese quando udì la parola “nemico”. Twilight, invece, guardò la sua ex-Mentore confusa. L’alicorno del sole le restituì un’occhiata che suonava come “più tardi ti spiegherò”.

Time Lapse riprese il discorso. «Ok… dicevamo. Da qui il Kaiju ha cominciato a… oh!» S’interruppe e guardò con attenzione il rapporto, girandosi poi di scatto verso il sindaco. «S-signora, il rapporto dice che anche la Reborn ha subito ingenti danni, forse dovrebbe… »

«Vai avanti Lapse, non annoiare le Principesse con questi futili dettagli.» Le restituì di risposta, non accorgendosi dell’improvviso movimento di occhi di Princess Celestia. Questa però decise di non interrompere ulteriormente il resoconto.

«Oh… è che pensavo… ok, non importa.» Respirò a fondo Lapse. «Allora, il Kaiju a quel punto ha cominciato a correre sulla Bridleway… c’è una nota del Capitano che ipotizza che lo abbia fatto per sfuggire alle offensive che gli venivano rivolte… il Capitano ipotizza anche che lo ha fatto per via della lunghezza di quel tratta di strada, che gli ha consentito di procedere senza incontrare altri ostacoli. Infatti possiamo dire che da quelle parti i danni principali si sono concentrati principalmente sulla carreggiata… »

«Da dove è uscito dalla città, Lapse?» La interruppe spazientita Sue.

La povera puledra alta si bloccò, meditò per un momento, quindi rispose. «Dynamo Plaza, nella baia di Greensville.»

«Non prima di aver fatto terra spianata del nostro povero parco, però!» Aggiunse l’altra con fare tracotante. «Ci credereste che ero affacciata alla finestra del mio ufficio quando quel maledetto animale mi si è palesato qua davanti? Ci è mancato poco che mi rovesciassi addosso tutto il caffè!»

Di tutto il gruppo, solo Rarity provò un minimo di effetto per quell’affermazione.

Time Lapse girò la pagina nel portablocco, e lesse con rapidità le ultime righe del testo. «Sì, ehm… ed è da qui che hanno perso le sue tracce. Poi il rapporto continua con delle note sui feriti e i dispersi e… ah, ci sono i dettagli della missione di ricerca e i nomi di chi vi ha preso parte… »

«Quello è un compito per le squadre dei Wonderbolts.» Liquidò di fretta il sindaco. «Ma parliamo di questo adesso. Voi dite di avere portato gli Elementi dell’Armonia.» Si mise dritta sulla sedia, puntandole tutte.  «Ma esattamente che cosa ci dobbiamo aspettare? Insomma, la domanda che mi preme farvi è: che effetto avranno sul Kaiju, una volta che lo avrete trovato?»

Fu Princess Celestia a dare una risposta alla domanda. «Tecnicamente, è sbagliato pensare agli Elementi come a una specie di arma. Non lo sono, non in senso lato almeno. Essi sono degli strumenti che assolvono al compito di purificare tutti quei fattori che sono causa di uno stravolgimento dell’Armonia stessa, e lo fanno attraverso un’emissione di energia allo stato puro che risana le discrepanze createsi in essa. Di conseguenza, questo fa sì che i loro effetti varino da fattore a fattore. Quando mia sorella fu liberata dall’influsso di Nightmare Moon, il loro impiego era servito per espellere l’oscurità che albergava dentro di lei. In un’altra situazione, invece, quando sono stati utilizzati per combattere Discord, dato che lui è una sorgente viva di puro Caos, gli Elementi lo hanno rinchiuso dentro un bozzolo di pietra, affinché non potesse arrecare ulteriori squilibri nell’Armonia… »

«Questo è davvero molto interessante, ma il punto è: funzioneranno? Insomma, potete garantire che il loro utilizzo avrà chance di successo al centodieci per cento?»

«In passato ci sono state situazioni in cui non hanno funzionato, è vero. Ma la colpa in quei casi è stata… »

«Quindi ho ragione? Non potete garantirci che funzioneranno per forza?!»

La bocca della Principessa del Sole si strinse. L’atteggiamento di Mayor Sue stava diventando indigesto un po’ a tutta la sala, malgrado in un certo senso avesse ragione a dubitare degli Elementi. Persino Celestia in persona non poteva anticipare quali effetti avrebbero sortito al loro nuovo nemico.

Prima che trovasse la frase per continuare, fu Rainbow Dash a prendere le sue difese.

«Oh, ma la vogliamo piantare! Volete sapere se funzioneranno, certo che funzioneranno, che domande!»

Twilight fu sul punto di richiamarla, ma si ritrovò all’ultimo momento a essere d’accordo con lei. «Uhm. Come rappresentante dell’Elemento della Magia, so che il loro utilizzo potrà fare la differenza. Il vero problema sarà riuscire a trovare il mostro, e poi avvicinarci abbastanza per attivare l’emissione su di lui.» Disse alla sala.

«Questo non mi spaventa! Silver Sprint e il suo squadrone lo staneranno, e poi» si alzò su due zampe «andremo lì e lo prenderemo a calci! Quell’essere schifoso rimpiangerà di essersi messo contro di noi! Forza Fluttershy, diglielo anche tu!»

«A dire la verità… » iniziò flemmatica la pegaso della Gentilezza «non sono sicura che attaccarlo sia la soluzione migliore. Credo invece che dovremmo calmarci tutti e cercare un’altra strada.»

Nella sala divampò una risposta unanime di sgomento e sorpresa, a parte Mayor Sue, che unì gli zoccoli alla bocca, ascoltando curiosa.

Per Fluttershy era il momento di esporsi. Sentiva di doverlo fare, anche se ciò avrebbe significato nuotare contro corrente. «Insomma, non fate che dire che questa creatura sia un pericolo per tutti e che deve essere fermata. Ma cosa sappiamo esattamente di lui? Per esempio, siamo davvero sicuri che il suo intento sia davvero quello di farci del male?»

Fu di nuovo la pegaso arcobaleno a ribattere. «Ma… ma come ti salta in testa di dire una cosa del genere, Shy?! Quel coso ha raso al suolo un’intera città, mi sembra evidente quali sono le sue intenzioni!»

«No, ti sbagli! Non è andata così... » obbiettò tesa «o meglio… pensateci, guardate il suo percorso in città: per tutto il tempo non ha fatto che cercare una via di fuga per uscire dall’isola… ha distrutto i palazzi che si sono frapposti sulla sua strada, e quando qualcuno ha tentato di attaccato, lui ha solo lottato per la sua vita. Quando poi è riuscito ad uscire, se n’è andato, e non abbiamo più avuto sue notizie da allora!» Si fermò per valutare le opinioni dei presenti in sala, anche se fino a quel momento nessuno aveva provato a interromperla o a mettere in discussione la sua tesi. Così decise di continuare: «A questo punto, se lo avesse voluto, non pensate che il Kaiju avrebbe già potuto attaccare Fillydelphia o qualche altra città nelle vicinanze? Invece… i danni a Manehattan sarebbero stati ben più gravi se le sue intenzioni fossero state veramente quelle di distruggerla!»

«Capisco quello che dici, Fluttershy. Anch’io avevo avuto la stessa impressione venendo qui.» Disse Twilight annuendo. Sapeva che in fatto di creature selvatiche, grandi o piccole che fossero, la sua amica era una spanna sopra a tutti gli altri, quindi la sua parola doveva essere trattata con i giusti riguardi, tuttavia: «Questo però non spiega perché abbia attraversato il mare e si sia dato tanto da fare, quando poteva semplicemente evitarlo fin da subito.»

«È quello che vorrei scoprire anch’io infatti. Forse ci troviamo di fronte a un essere unico e speciale, che deve essere scoperto e poi compreso. Non è giusto essere ostili per forza, solo perché diamo per scontato che lo sia stato lui con noi.» Guardò quindi verso la Custode della Lealtà, che le stava restituendo una faccia grezza e contrariata. «Rifletti Dash. Se tu corressi in un prato, e pestassi per sbaglio un formicaio mandando in rovina il frutto del lavoro di un’intera colonia, non sarebbe forse lo stesso per loro? La differenza è che nessuno accuserebbe te di essere una pony cattiva in quel caso.»

L’amica azzurra scosse la testa con fare grave. «No… n-non sarebbe la stessa cosa.» Ma la sua capacità di obbiettare era già stata infranta dalla solidità dell’argomento.

«Invece lo è. Solo che stavolta le formiche siamo noi.»

«Quindi che suggerisci, ragazza?» Intervenne Mayor Sue, calando le braccia sul tavolo. «Lo dobbiamo lasciar scorrazzare in pace per il nostro regno come se nulla fosse?»

«No! No… cioè, non ho detto questo… ma forse potremmo provare a comunicarci. Io potrei tentare d’instaurare un contatto con lui, e chiedergli per quale motivo ha invaso la città!»

«Tu faresti cosa?!» Il sindaco volse lo sguardo verso le Principesse, come a chiedere loro se la pegaso non avesse completamente perso la ragione, ma a giudicare la gravità dei loro visi, dovette ricredersi.

Celestia fece un respiro profondo, rispondendo alla Custode. «Capisco quello che vuoi fare. Tu quindi intendi usare lo Sguardo per costringerlo ad arrestarsi?»

«Oh, no! Assolutamente no! N-non se posso evitarlo, cioè. Vorrei… sì, ecco… vorrei solamente provare a parlarci. Convincerlo a fare ammenda per ciò che ci ha fatto, e quindi assicurarmi che in altre città non accada lo stesso che è avvenuto qui.»

«Sì, e soprattutto che ad altre scolaresche non succeda nulla di brutto!» S’intromise Pinkie Pie, schizzando dalla sedia senza un motivo logico.

Mayor Sue si distese sul proprio posto, rinunciando a capirci qualcosa. «Sappiamo che sei in grado di farlo, zuccherino.» Riprese Applejack. «Ti abbiamo visto piegare Draghi giganti e tenere testa ad ogni genere di creatura, ma adesso… »

«Sarà lo stesso anche stavolta, ve lo prometto!» Disse lei, intuendo il punto. «Fidatevi di me, non chiedo altro!»

Nel frattempo Twilight aveva stabilito che dovevano saperne di più, e c’era un solo luogo in cui era certa di poter trovare tutte le informazioni che abbisognavano. «Magari nell’attesa potremmo fare qualche ricerca negli archivi storici della biblioteca. Cercare degli indizi per scoprire se ci sono stati casi di eventi analoghi in passato. Potrei darti uno zoccolo mentre aspettiamo notizie dallo squadrone di Silver, che ne dici?» Mentre lo proponeva, nei suoi occhi brillava una scintilla di velato entusiasmo.  

«Potrebbe essere un’idea…oh, ahm… sempre se a Mrs. Sue non crea disturbo, naturalmente… »

Mayor Sue sbuffò, rimettendosi composta. «Pff, beh di libri lì non ne mancano di certo. Fate ciò che credete giusto.» Fu la risposta.

«E se poi l’idea di Fluttershy non dovesse dare i suoi frutti, vorrà dire che ci serviremo degli Elementi dell’Armonia per fare quello che deve essere fatto.» S’inserì anche Rarity.

«Invece funzionerà, funzionerà sicuramente!» Ci tenne a ribadire lei. Vederla così determinata era atipico per il suo gruppo, ma allo stesso tempo le caricava di un foga cui non avrebbero mai pensato di poter fare affidamento per la missione che le attendeva.

«Vedo che vi siete fatte un piano. Allora mettetelo in pratica.» Concluse infine il sindaco, sciogliendo la riunione.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Alvin Miller