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Autore: Leccalecca    10/08/2015    1 recensioni
Una olandesina appena arrivata in una grande città e un parigino troppo abituato a sé stesso.
Rose e Francois.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Francois non credeva agli oroscopi, e quello era un dato di fatto. Non li ascoltava la mattina se li davano alla televisione -le volte che la accendeva-, mentre seduto al tavolo della cucina o in piedi di fianco alla finestra del salotto beveva la sua tazza di caffé, né tantomeno li leggeva su qualche insulso giornaletto di quelli che sempre spuntavano come funghi sui marciapiedi o nelle piccole edicole della sua strada.
Quindi quando un ragazzino improponibile si avvicinò a lui un freddo, uggioso Venerdì mattina di Ottobre, mormorando con fare lugubre che aveva l'essenza tipica dell'ariete, lui gli lanciò semplicemente un'occhiata semi-nauseata di diffidenza. Avrebbe voluto superarlo e proseguire, ma il bastardello gli si era parato davanti e gli aveva sussurrato a distanza ravvicinata che avrebbe incontrato una persona speciale (e presto, aveva aggiunto con fare sornione, prima di tossicchiare). Francois aveva alzato gli occhi al cielo e l'aveva scansato di lato con una spallata, imprecando e raggiungendo un buon punto per accendersi una sigaretta e andare avanti con quella giornata.
Non che le sue giornate fossero impegnate, o lo portassero a fare granché.
Scendeva dal suo appartamento al numero venti di Rue Houdon tra le nove e mezza e le dieci ogni mattina, sbuffando mentre raggiungeva Rue des Abbesses, col monotono strusciare delle suole delle sue scarpe sul selciato ad accompagnarlo fino al Coquelicot. Lì prendeva un croissant, magari si faceva un altro caffè, guardava come la gonna fasciasse bene il didietro alla nuova cameriera che era appena arrivata.
Usciva e si faceva una passeggiata per Montmartre, o si lasciava trascinare dalla linea blu da Pigalle fino alla stazione di Stalingrad, dove avrebbe preso la coincidenza sulla linea 7, decidendosi a scendere dal sedile solo alla fermata dell'Opéra. Nelle giornate buone si faceva un pezzo a piedi fino al Louvre, per vedere se riusciva a prendere per il culo qualche turista, in una specie di crudele soddisfazione, una delle poche cose ormai che riusciva a trasparire dalla sua solita apatia.
In altri momenti si sedeva semplicemente sui gradini davanti al Palais Garnier, reclinando la testa all'indietro o appoggiandola su un polso con ciuffi di capelli biondi che sfuggiti alla coda gli ricadevano ai lati del viso, mentre constatava di essere già arrivato alla quarta o alla quinta sigaretta, e pensava a niente. O cercava di non pensare.
Dopo aver lasciato scorrere la mattina mangiava in un ristorante o bistrot qualsiasi. Qualsiasi, ma mai scadente, perché anche se lui non l'avrebbe mai ammesso, era alquanto schizzinoso riguardo al cibo. Se qualcuno gliel'avesse fatto notare avrebbe di sicuro mugugnato una frase di un certo sarcasmo in risposta, lanciando al malcapitato un'occhiataccia, probabilmente non colta, considerato il cipiglio che Francois portava quasi come la maschera che un famoso personaggio di Carnevale porta come segno di riconoscimento.
Il pomeriggio fino alle quattro era un continuo girovagare per la città dissimile dalla mattinata solo per la presenza di qualche conversazione sporadica con delle sue conoscenze, appoggiato al muro di nessun edificio in particolare o a un muretto, di solito a occhi chiusi, come se parlare gli costasse la fatica di tenerli aperti.
Verso le quattro quindi tornava a casa propria, per darsi una sistemata per l'unica cosa di vagamente eccitante che trovava nelle sue giornate. Le prove del teatro.
Arrivava al numero 42 di Rue Pierre Fontaine alle cinque in punto, e nonostante la sua aria disinteressata tirava sempre un po' il fiato quando si trovava davanti alla facciata della Comédie de Paris, l'unico posto che aveva permesso al capo della loro compagnia di sfruttare il palcoscenico.
Le prove erano a giorni alterni, Lunedì, Mercoledì e Venerdì, e duravano dalle tre alle quattro ore. Negli altri giorni Francois rimaneva nel suo appartamento, concedendosi il primo goccio di vino della serata, che sarebbe continuata, a seconda dell'umore e conseguenti pulsazioni, in un locale di strip-tease di Boulevard de Clichy, godendosi appieno il sapore dell'alcool di qualche superalcolico che gli scendeva in gola e la sensazione di un corpo caldo e sodo sulle gambe fasciate da jeans che diventavano stretti all'altezza dell'inguine, per poi trovare sollievo in un altro locale, dopo qualche altro cocktail e un braccio avvolto attorno alla vita della conquista serale, con la quale avrebbe salito le scale del suo palazzo incespicando mentre con gesti meccanici le sollevava il vestito o si liberava di quel tanto di tessuto che bastava a lasciarlo fare. Negli altri casi la serata si sviluppava nel suo salotto, dopo un accurata selezione dalla sua cantina armadio, costruita da lui partendo da un vecchio guardaroba riconvertito allo scopo e accuratamente posizionato in un angolo fresco del suo appartamento, e perfezionata nel corso degli anni, nei quali aveva rivestito le pareti interne di materiale isolante e aggiunto scaffali con supporti per tenere le bottiglie in orizzontale.
La sua mano pallida poteva rimanere immobile per diversi minuti prima che le sue dita si chiudessero finalmente sul collo di una bottiglia.
Si limitava poi a sorseggiare il vino in un calice di vetro davanti alla televisione o alla finestra, mentre guardava i tetti e le luci di quella parte di Parigi che è il nono arrondissement.

Questa era la vita di Francois, e non avendo sogni, non sperava di cambiarla.
 

~

 

La sorpresa gli arrivò un Mercoledì come un altro, quando alle cinque in punto fece il suo ingresso nella minuscola hall, foderata di moquette, della Comédie de Paris ed entrò nel dietro le quinte. Sorpresa mista ad una rabbia insolita e fulminea che era montata nel giro di qualche secondo.
Appena arrivato, reduce da lunghe ore pomeridiane, fredde e particolarmente noiose, era stato accolto dalla briosa presenza in fuseaux neri attillatissimi di Thécle Pomeroy, una delle ballerine della loro eterogenea compagnia teatrale.

- Ah, Francois! -

Usciva per prendere degli snack, ma nel frattempo gli aveva comunicato la decisione del loro direttore, Maxence Adnet, di illustrare loro la nuova idea di spettacolo su cui aveva lavorato, mettendo in pausa per qualche mese la loro iniziale rappresentazione.
Abituati alle scelte impulsive del loro capo, tutti, diceva lei, avevano avuto una reazione abbastanza accomodante.

Lui si limitò a sbuffare.
E “Oh!” esclamò con voce nasale, era anche arrivata una nuova ragazza, che aveva scoperto Maxence. Le piaceva e voleva usarla come protagonista della nuova sceneggiatura.
A seguire fu un discorso (o monologo ) di circa dieci minuti accompagnato da sbattimenti nervosi di ciglia su come a lei non andasse giù il fatto che una novellina si prendesse la parte principale, che Francois finse di ascoltare mentre si accendeva un'altra sigaretta. Maxence non aveva mai fatto storie sul fumo, a meno che non fosse nel mezzo di una crisi isterica – bisogna dire che Maxence perdeva totalmente la ragione poche volte, allo stesso modo per motivi esageratamente stupidi ( Mon Dieu, le tue unghie, Iris! ) o molto seri ( come sarebbe a dire lo spettacolo è cancellato?! A chi vuole che interessi della sua improvvisazione del cazzo?! ) e poteva essere spettacolare - che significava il confronto con un omino dai pantaloni luccicanti schiumante di rabbia che minacciava di ficcargli il mozzicone su per il culo.
Thécle uscì, seguita pigramente con lo sguardo da Francois, che poi attraversò la platea buia e il palco costeggiando il muro senza far rumore per arrivare dietro le quinte senza essere notato. Entrando vide che la maggior parte della gente si era stravaccata su sedie pieghevoli, pile di costumi o oggetti di scena, oppure appoggiata al muro e agli armadi, col viso rivolto verso Maxence, che in piedi su un cesto per cosmetici rovesciato stava parlando con il suo consueto sorriso soddisfatto, come sempre quando gli veniva un'idea e gli altri (pensava lui) pendevano dalle sue labbra.
Francois spostò lo sguardo sulle facce conosciute della compagnia, prestando attenzione solo blandamente al discorso di Maxence. Secondo lui, non c'era molto da dire su nessuno di loro. L'unico che riuscisse a sopportare i suoi continui silenzi, i commenti sarcastici, la natura scostante amalgamati a un forte sentore di fumo e alcool, era Jean-Pierre, con il quale accettava ogni tanto di andare a farsi una birra insieme.
Fu proprio Jean-Pierre il primo a notarlo e si avvicinò discretamente a lui, passandosi una mano ad accarezzarsi la testa rasata. Si sistemò al suo fianco e riprese ad ascoltare Maxence.
Riguardo le ragazze, avevano visto quasi tutte il suo appartamento, e anche se lui non faceva molto caso agli sguardi che gli lanciavano quando non era dell'umore -quando lo era era tutta un'altra storia- e le ignorava, sapeva che molte si sarebbero fatte volentieri un secondo giro.

 

- E comunque mi trovo contento di non aver sentito lamentele! Ora, se volete farmi il piacere di spostare gli occhi su questo bocciolo...-

Maxence allargò le braccia come un predicatore, un po' come faceva quando presentava gli spettacoli.

- Sono lieto di presentarvi madamoiselle Rose de Weterling, la nostra olandesina -

Tese galante il braccio a una ragazza seduta accanto al cesto e la tirò su di scatto, facendola barcollare e ridere.
La ragazza si sistemò dietro le orecchie alcune ciocche di capelli castani che le erano finite sugli occhi, salutando con una mano, imbarazzata ma divertita.

Francois le diede un'occhiata, alzando un sopracciglio e storcendo la bocca.
Jeans sbiaditi di una taglia o due troppo grandi, t-shirt blu e lunghi capelli castani un po' spettinati.
La vide unire le mani dietro la schiena e sorridere, mentre accarezzava con lo sguardo tutti i ragazzi della compagnia e si presentava brevemente, con un leggero rossore euforico a colorargli le guance. Non aveva un minimo di trucco.
Sentì distintamente la risatina di compatimento di Desireé Gaubert, che al momento si stava lisciando i capelli rossi, e si limitò ad alzare gli occhi al cielo, anche se sembrava che la ragazza l'avesse ignorata, o più probabilmente non l'avesse del tutto udita.

Non gli sembrava nulla di speciale.

- E quindi non avrei mai pensato di trovarmi qui...-

- Farò del mio meglio e...-

- Beh spero di poter instaurare dei buoni rapporti con voi!-

Perché era così entusiasta? Non aveva senso. Avrebbe voluto farle ripetere qualsiasi discorso stesse biascicando in un bisbiglio, com'era giusto che fosse, almeno per le sue orecchie.
Lei continuò a far guizzare eccitata gli occhi grandi, color castagna, da una parte all'altra del dietro le quinte, quasi bevendo ogni dettaglio, mentre Maxence riprendeva la parola e parlava dello spettacolo, della trama e del come Thécle sarebbe dovuta tornare a momenti con qualcosa di buono e oh cielo ma dov'era finita?
Francois la fissò per un po', prendendo nota dei polsi sottili, le ciglia lunghe e le labbra piene. Le leggere rotondità dei seni sulla maglietta che si alzavano e abbassavano ad ogni suo respiro, accelerato dal nervosismo, la curva dei fianchi, il sorriso agitato, i piedi piccoli in un paio di ballerine.

Quando incrociò i suoi occhi scuri, la sua memoria, per qualche motivo sconosciuto -l'aveva per sbaglio incrociato qualche giorno prima senza prestargli attenzione? era forse colpa dello Château Branaire Ducru di ieri sera?- ritornò al Venerdì di qualche settimana prima e al ragazzino. Una persona speciale.

E a parte il trovarsi scombussolato dallo sguardo della ragazza (non lo sapeva ma il suo cipiglio era sparito, e Jean-Pierre se ne era accorto), il fatto di aver istantaneamente ripensato a una stupida previsione fatta da qualcuno che probabilmente era in botta forte, sommato al fatto che se la ricordasse alla perfezione -perché nella mente di Francois questo risultava come un tradimento al suo modo di pensare (l'oroscopo era una pratica insulsa e chiunque gli desse retta era un idiota) e di agire (non era lui quello che disprezzava apertamente gli astrologi mentre parlava accanto agli altri su quel muretto parigino?), e lui voleva rimanere una persona che per quanto apatica, depressa e sprezzante del mondo in cui viveva, fosse coerente- lo portò a sentire la rabbia dentro di lui. Come acqua in una pentola sul fuoco che arriva in un crescendo al punto di ebollizione, con piccole scintille a esplodere sulla superficie, insieme al costante borbottio di grosse bolle ingombranti.
Voltò di scatto la testa verso il sipario, prendendo un abbondante tiro dalla sigaretta come fosse un sorso d'acqua fresca.
Presto.
Stronzate.
Per il resto delle prove fu più scostante del solito, cercando di stare alla larga il più possibile dalla nuova arrivata, anche se sia Maxence che Jean-Pierre avevano provato ad avvicinarlo.
Ne andava di quel minimo di rispetto di sé che gli era rimasto.
Tuttavia non poteva evitarsi di seguirla distrattamente nei suoi spostamenti, con gli occhi che si posavano su di lei come attirati da un magnete.


~


Rose nel frattempo si sentiva circondata.
Il braccio di Maxence non l'aveva mai abbandonata nelle prime due ore, avvolgendola come una barriera protettiva e rendendola disinvolta nel ricambiare i commenti e le battute delle sue nuove conoscenze, ma appena lui aveva sciolto la stretta che li legava per allontanarsi un attimo, lei aveva perso un poco la sua baldanza, replicando debolmente e cercando in tutti i modi di tenere viva la conversazione con quelle ragazze dal trucco impeccabile, la parlantina strascicata e le sopracciglia arcuate e tutte così più alte di lei.
Si toccava nervosamente i capelli mentre proseguiva presentandosi con gentilezza agli altri attori e ballerini.
Lei e Maxence si erano conosciuti qualche settimana prima.
Era arrivata a Parigi ottimista e fornita di ‘‘un buon karma” (nel quale credeva fermamente), sistemandosi in un comodo hotel low-cost nel quartiere della Salpêtrière, per cercare di realizzare quella sua fantasia disperata di bambina e recitare. Una nuova città per partire da zero e battere una pista diversa per raggiungere il suo sogno, e quale migliore di Parigi? La città delle luci, così tanto amata e desiderata quando era un' adolescente e mordicchiava il legno di una matita ad occhi chiusi.
Le era capitato di rovesciargli addosso il suo caffè espresso una mattina in cui era particolarmente stanca (la giornata precedente era stata interamente dedicata ai musei parigini), e sorpresa ed enormemente sollevata si era resa conto di trovarsi davanti a uno dei pochi francesi (era lì da solo sette giorni e le sue esperienze con i locali non erano state delle migliori) che non le avrebbe rivolto uno sguardo disgustato o mormorato qualcosa di offensivo prima di alzarsi e andarsene. Maxence ci aveva scherzosamente riso sopra e aveva iniziato una conversazione che l'aveva messa a proprio agio e l'aveva fatta sospirare di sollievo, regalandole una sensazione simile a quella che si prova a scampare per il rotto della cuffia a un'orribile interrogazione. Come quando il professore scorreva il dito sul registro (se lo vedeva ancora, chiaro e nitido, il suo vecchio insegnante di matematica, il signor Braake e i suoi basettoni) e pensava che chiamasse proprio lei, e si sentiva così mortalmente sicura che ne sarebbe svenuta perché non aveva studiato nulla, perché il giorno prima era andata a pattinare nel canale, perché l'ultima volta che aveva preso un'insufficienza la reazione dei suoi genitori era stata pari a quella di presentar loro un bel test di gravidanza positivo sotto al naso, perché non poteva permettersi un brutto voto, perché avrebbe fatto la figura peggiore davanti a tutta la classe e...e poi l'insegnante pronunciava il cognome del compagno subito dopo di lei, lasciandola senza fiato ad accasciarsi sulla sedia in truciolato e plastica.
Quando lui le aveva raccontato della sua compagnia Rose si era sentita scoppiare di gioia. Un'opportunità così perfetta! Ed era lì da solo una settimana!
Gli aveva raccontato di sé e delle sue esperienze, ammettendo con aria imbarazzata che i club che aveva frequentato all'università non erano andati da nessuna parte, terminando ogni volta con un buco nell'acqua e lasciandola con l'amaro in bocca.
Lui le era sembrato comunque consenziente, ed era con un brivido di eccitazione che aveva annuito alla proposta di scambiarsi i numeri di telefono.
Solo un paio di giorni dopo l'aveva richiamata, entusiasta, e le aveva parlato di un'idea che le era venuta dopo aver parlato con lei, l'aveva totalmente ispirato e cosa ne diceva della parte da protagonista? Le poteva interessare?
La sera stessa Rose aveva festeggiato concedendosi una cena in un ristorante di lusso, uno di quelli che aveva costantemente sbirciato con la coda dell'occhio mentre si faceva le sue passeggiate serali sugli Champs Elysees, innamorandosi di quell'atmosfera così raffinata e speciale. Neppure le strane occhiate e i sopraccigli alzati dei camerieri in elegante uniforme di fronte al suo francese scolastico erano riuscite a scalfire il suo umore. Aveva bevuto il calice di vino che le era stato fatto apparire come per magia sul tavolo -non aveva dovuto nemmeno chiedere!- e aveva posato la testa sui dorsi delle mani, guardando sognante fuori dalla finestra con la cornice bianca, e la prospettiva di quello che stava andando a fare le era sembrata ancora più meravigliosamente rosea.

Adesso a teatro, dopo una ventina di minuti di conversazioni standard aveva incontrato un paio di ragazze e ragazzi che le sembravano gentili, e si era accostata a loro per il resto della serata. Erano tutti più o meno della sua età, e quasi tutti erano entrati di recente nella compagnia, a parte un cordiale ragazzo con degli elaborati orecchini argentati di nome Jared. Si erano sistemati su un lato del dietro le quinte, e da quella posizione Rose poteva osservare con calma tutti gli altri elementi del gruppo, almeno una trentina, senza sentirsi in imbarazzo (sembrava che ci trovassero gusto a lasciarsi ammirare), lasciandosi colpire da alcuni in particolare.

Aveva creduto che Maxence fosse un ottimo esempio di eccentricità, ma qui trovava della vera concorrenza. Tutti sembravano avere un proprio stile, ed era favoloso. Prese mentalmente nota di comprare qualcosina per sé.
Sorrise tra le chiacchiere rilassate e si appoggiò con le spalle al muro, rispondendo, sentendosi finalmente a suo agio, alle domande che le venivano poste e ricambiando con curiosità. Alcune volte si sentiva un po' spiazzata (era vero che in Olanda si poteva ricostruire l'imene?? La domanda le fece affluire il sangue al viso nel giro di un nano-secondo), ma per il resto si accorse con soddisfazione e sollievo di essere perfettamente in grado di confrontarsi con i suoi nuovi conoscenti parigini.
Un'oretta più tardi Maxence ritornò per mandare tutti a casa, anche se molte persone erano già uscite dal teatro. Rose salutò con un po' di impaccio Jared e le ragazze di cui si ricordava il nome con un bacio sulla guancia, poi Maxence la fermò per comunicarle la scaletta dei prossimi ritrovi. Il Venerdì avrebbero scelto gli altri ruoli, non doveva mancare!
Ridendo, Rose uscì nella frescura della sera, lo sguardo alzato al cielo stellato.
Ce l'aveva fatta, ce l'aveva fatta, ce l'aveva fatta.
Avete presente quegli assurdi momenti nella vita in cui si arriva a un traguardo, e tutto quello a cui riusciamo a pensare sono quelle tremende difficoltà che sembravano volerci schiacciare, tutte le parole accuratamente scelte dagli altri per farci desistere, tutti quei piccoli fatti, minimi, insulsi, ma che accumulati dentro di noi a un certo punto ci avevano fatto piangere e urlare di dolore, tutti gli esempi di sfortuna che avevano potuto farci pensare che anche l'universo fosse contro di noi, ogni sguardo compassionevole e scettico, ogni scuotimento di testa? Quei momenti sono i migliori, perché nella nostra mente tutti quegli attimi si dissolvono in un solo favoloso crescendo, come se a un certo punto qualcuno avesse svuotato nella nostra testa piena di lacrime amare una bustina effervescente alla fragola che aveva depurato e convertito ogni tristezza in un cocktail fruttato di euforia.
Rose lo stava appunto sperimentando, e non si sarebbe potuta sentire meglio di così.
Era così impegnata ad abbracciarsi mentalmente che non si accorse di essere andata a sbattere contro qualcuno.

Si voltò velocemente per scusarsi, arrossendo, pronta per l'ennesima figuraccia in territorio francese (ormai si stava abituando).
Il ragazzo che aveva urtato camminando all'indietro era alto, molto più alto di lei, e stava fumando. La piccola brace rosso ardente della sigaretta illuminava il suo volto pallido, accentuando le leggere occhiaie sotto gli occhi blu notte e l'ombra di una mal tenuta barba bionda che gli cresceva sul mento e sulle guance. Il viso era incorniciato da ciocche di capelli biondi ondulati lunghi fino alle spalle, e contratto in un'espressione che certo non si poteva dire essere gioviale, che la scoraggiò un po'.
In un certo senso faceva colpo, con quell'aria trasandata e misteriosa, ma, pensò Rose a quel punto, tutti i parigini che aveva incontrato le avevano fatto davvero un certo effetto.

Ora che ci pensava, l'aveva già visto. Era nel teatro pure lui, ne era sicura, ma probabilmente non aveva avuto occasione di presentarsi. Beh, potevano rimediare subito!
Tese la mano in avanti e sorrise imbarazzata, presentandosi e scusandosi per non aver prestato attenzione al marciapiede e a chi ci camminava sopra.

- A volte riesco ad essere veramente maldestra, mi spiace...e tu invece sei? Mi pare di averti visto dentro -

Il ragazzo tenne le mani nelle tasche dei jeans neri, non dando alcun segno di voler ricambiare la stretta di mano, semplicemente guardandola dall'alto in basso con aria stizzita. Capendo l'antifona, Rose lasciò cadere il braccio, ma continuò a sorridergli, cercando di non lasciarsi abbattere, dopotutto stavano per diventare colleghi!
Il ragazzo si allontanò la sigaretta dalla bocca e buttò fuori il fumo prima di rispondere, quasi con rassegnazione.

- Francois -

- Oh, Francois Bonnet? Maxence mi ha parlato di te! -

Ed era abbastanza vero. Durante la loro prima chiamata, che era iniziata per discutere di come arrivare al teatro per le prove, (data la scarsa conoscenza della città di Rose, magari era meglio che qualcuno l'accompagnasse la prima volta, cosa che Maxence aveva fatto), avevano finito col chiacchierare degli spettacoli precedenti che avevano messo in scena, raccontandosi ognuno delle gaffe più divertenti e delle persone più talentuose che avevano conosciuto. Era solo uno degli altri nomi che aveva sentito uscire dalla bocca dell'ometto, mentre in un caffé, con la testa appoggiata sulla spalla per tenere fermo il telefono e le mani impegnate a tentare di aprire una rigida e caparbia bustina di zucchero (ma di cosa erano fatte esattamente?) cercava di non sembrare una completa idiota, ma se lo era ricordato.
Era uno degli elementi della compagnia che preferiva, anche se, per usare le parole di Maxence, era “una rappresentazione umana della sbronza depressa”.


- Mh -

A quanto pare non era un tipo di molte parole. Non si presentava un problema comunque, avrebbe parlato lei.

- Sì, mi ha detto che sei stato fantastico e l'hai sostenuto in molti dei suoi progetti! Sono contenta di conoscerti!-

Stavolta Rose poté chiaramente vedere un lampo di sorpresa apparire e scomparire negli occhi del ragazzo, che, quasi come se sentisse improvvisamente caldo, con due dita andò a slacciare il terzo bottone della sua camicia grigio scuro, guardando da un'altra parte.
La ragazza s'intenerì un poco, pensando che magari non sapesse bene come gestire i complimenti, come se non fosse abituato a riceverne, con una spiccata sensibilità per la quale doveva ringraziare la signora Rost, la dolce infermiera della sua vecchia scuola che aiutava nelle ore pomeridiane della sua infanzia.

Per evitare di imbarazzarlo ulteriormente quindi, decise di cambiare argomento.

- Sarà un piacere lavorare con te, ti è piaciuta l'idea per il nuovo spettacolo?-

 

Francois annuì, ritornando all'espressione infastidita di poco prima.

- Sarà un successone, ne sono convinta -

Rose guardò di nuovo verso il cielo, sentendo la precedente sensazione di euforia tornare a galla e farsi strada dentro di lei, riempirle il petto e gli occhi di scintille. Sorrise alla brezza della sera. Non ci poteva ancora credere. Ce l'aveva fatta!
Percependo lo sguardo dell'altro addosso, ritornò a guardarlo, arrossendo e scusandosi di nuovo.
Il ragazzo continuò a fissarla per un qualche secondo, poi, come risvegliandosi da uno stato di trance scosse la testa, sbuffò e le voltò le spalle, mormorando un cupo “a Venerdì”, che Rose fu felice di ricambiare con un suo allegro e ottimista “ci vediamo qui allora!”.
Cominciò poi a camminare di buona lena, sapendo (Maxence aveva anche insistito per farglielo scrivere come memo sul cellulare) di dover fare un buon pezzo a piedi prima di raggiungere Chaussée d'Antin - La Fayette, la fermata della linea 7 che l'avrebbe portata fino a Place D'Italie, nel quartiere del suo hotel.
Francois non sembrava molto propenso a collaborare, rifletté mentre teneva d'occhio i nomi delle stradine che attraversava, ma sentiva che fosse una brava persona, se presa per il verso giusto. Avrebbe potuto recitare tranquillamente con lui, con tutti i ragazzi della compagnia.
Quella sera tornando in albergo sembrava determinata a schivare ogni genere di nervosismo (di solito per lei onnipresente), camminando a ritmo con i suoni della città, perdendosi ad ascoltare il violino di qualche artista di strada una via più in là.
Avrebbe fatto un buon lavoro e si sarebbe trovata nuovi amici.
Avrebbe recitato su un palcoscenico di un vero teatro. A Parigi.
Sì, bastava che pensasse positivo, e tutto sarebbe andato per il meglio.

 




 

 

 





Angolo dell'autrice mentalmente disturbata:

E' la prima volta che scrivo di qualcosa ambientato a Parigi, e mi sto divertendo un sacco ^w^
Allora, questa in teoria (forse) diventerà una long (dio la sola parola mi spaventa quindi non contateci troppo). Era partita come una cosa cortissima, davvero, ma pian piano che la scrivevo mi accorgevo che come one-shot sarebbe stata troppo, troppo, troppo lunga.

Per ora quindi sarà segnata come completa (e il rating come ancora arancione), ma modificherò le caratteristiche se il secondo capitolo prenderà forma c:

Quindi...uh. Sì. Spero che tutto vada per il meglio eheh c: grazie per aver letto ^^”

Addio :3

 

   
 
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