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Autore: but honestly    10/08/2015    0 recensioni
| I personaggi sono due OC | Ma il suo discorso non era terminato. Prese di nuovo fiato, quelle ultime parole le uscirono dalla gola dolorosamente, raschiandola come fossero state ferri arroventati: «La cosa che odierò di più sarà non potervi più guardare negli occhi. Né te, né Baelfire, né Antares. Resterete tutti delle ombre su uno sfondo sfocato per il resto dei miei giorni, ammesso che non perda del tutto la vista.». Terminato quanto aveva da dire, prese un lungo respiro e riempì i polmoni d’ossigeno, cercando di cancellare con quella pausa tutto ciò che aveva ammesso e, quindi, implicitamente reso reale. Era quello il suo timore in fondo, sì, e questo la rendeva probabilmente debole, più fragile agli occhi di Tares di quanto avrebbe mai voluto apparire: ma, in fondo, non c’era altra persona al mondo alla quale avrebbe voluto confidare qualcosa del genere.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di leggere: piccola contestualizzazione per permettervi di capire meglio ~ sebbene si muovano nel contesto delle trilogie create da Licia Troisi, i personaggi sono stati inventati da me ed un'altra ragazza (e i l e su forumfree). Si tratta di due ex assassini che si sono ricostruiti una vita e una famiglia. Non è necessario conoscere il loro background per capire questo racconto - ecco perchè l'ho pubblicato - ma in caso vogliate sapere di più a loro riguardo, troverete tutto su forumfree, cercando Mondo Emerso Forum & GDR. Tenete solo a mente che Elea sta per affrontare una situazione dura - sta gradualmente diventando cieca - e che il suo consorte ha appena appreso la notizia. Grazie dell'attenzione, spero che la lettura vi sia gradita!

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Quella sera non ci furono litigi, inutili discussioni, né baci provocatori. Restarono stretti nel soffice tessuto delle lenzuola bianche, l’uno nelle braccia dell’altro, immersi in un silenzio così profondo e pacifico che nessuno dei due osava fiatare, per paura di poterlo rompere irrimediabilmente.
Fu solo dopo un’interminabile manciata di minuti che Elea si decise a dire qualcosa. Non aveva parlato per dire una singola parola, dal momento in cui Tares aveva svelato quella sua nuova, palese debolezza che la rendeva sempre più prossima alla completa cecità. Era rimasta immersa nei suoi pensieri, a riflettere su cosa avrebbe dovuto fare a partire da quel momento, come avrebbe potuto affrontare la faccenda, in che modo avrebbe dovuto parlarne ai suoi figli. Ed, infine, era giunta ad un’unica, semplice quanto terribile conclusione: «Sai…» mormorò, con il capo ancora adagiato sulla spalla di lui, che si voltò quasi impercettibilmente «…il bello di tutto questo  è che non è l’idea di avere difficoltà a combattere che mi disturba. Posso imparare a gestire questa situazione, imparare modi nuovi e diversi di muovermi.» spiegò con una calma quasi glaciale, che stupì perfino lei stessa «E non è neanche il timore di diventare un peso,  perché non resterò con le mani in mano.». Si  fermò; Tares doveva aver sorriso – forse addirittura soffocato una risata – perché aveva avvertito il suo sterno, dove aveva adagiato la mano sinistra, sollevarsi sensibilmente. In fondo, doveva essersi aspettato una reazione simile da parte sua: Elea non si era mai fermata di fronte agli ostacoli della sua vita, fin da bambina. Era nata per combattere, aveva sempre lottato contro tutto e tutti: perfino le occasionali malattie non riuscivano a tenerla a freno dal suo lavoro, quando ancora era tra le schiere della Gilda, dunque – e probabilmente, per quanto ne sapeva lei dei suoi pensieri - non vedeva come poteva quell’ostacolo rappresentare un problema insormontabile per una donna con il suo carattere.
Ma il suo discorso non era terminato. Prese di nuovo fiato, quelle ultime parole le uscirono dalla gola dolorosamente,  raschiandola come fossero state ferri arroventati: «La cosa che odierò di più sarà non potervi più guardare negli occhi. Né te, né Baelfire, né Antares. Resterete tutti delle ombre su uno sfondo sfocato per il  resto dei miei giorni, ammesso che non perda del tutto la vista.». Terminato quanto aveva da dire, prese un lungo respiro e riempì i polmoni d’ossigeno, cercando di cancellare con quella pausa tutto ciò che aveva ammesso e, quindi, implicitamente reso reale. Era quello il suo timore in fondo, sì, e questo la rendeva probabilmente debole, più fragile agli occhi di Tares di quanto avrebbe mai voluto apparire: ma, in fondo, non c’era altra persona al mondo alla quale avrebbe voluto confidare qualcosa del genere. Fin dall’alba dei suoi ricordi tra le masse anonime di confratelli della Gilda, lui c’era sempre stato: con il suo sorriso e i suoi modi di fare che erano penetrati nel suo cuore come nessuno aveva fatto prima di allora. Amava la sua espressione, il modo che aveva di mordersi le labbra quando gli urlava contro, il verde acceso dei suoi occhi che si aprivano sui suoi di prima mattina, quando la svegliava con un bacio. L’idea di poter perdere di vista – e, di conseguenza, dimenticare – tutti piccoli, preziosi dettagli della loro vita quotidiana la faceva letteralmente impazzire. Perché sarebbe accaduto, era inevitabile. Gli anni sarebbero trascorsi, i ricordi sarebbero sbiaditi e i tratti del volto che aveva amato per anni – come quelli dei suoi adorati figli, quegli stessi giovani uomini che non avrebbe visto crescere più di così – si sarebbero fatti mano a mano più incerti, fino a confondersi in una macchia scura e informe, rendendola incapace, finalmente, di riconoscerli.
 
Fu mentre rifletteva su  questo che suo marito le prese la mano che aveva adagiato sul suo petto, con una delicatezza che non gli era propria. Lasciò scivolare i polpastrelli lungo il dorso dell’arto, fino a raggiungere il polso. Poi, con gentilezza, lo trascinò verso l’alto, fino a raggiungere il suo volto.
Elea si voltò, perplessa. C’era troppa poca luce per riuscire a capire cosa stesse facendo. «Cosa c’è?» domandò con naturalezza. Ma Tares non rispose. Raggiunto con la mano  il proprio volto, adagiò le proprie dita sulle sue, spostandole alternatamente verso destra e sinistra. Elea avvertì l’indice e il medio scavalcare il naso, fino a tastare un rigonfiamento che avrebbe dovuto essere la palpebra; avvertì le ciglia di lui solleticarle la pelle.
«Questi sono i miei occhi.» esordì poi l’uomo, con un tono di voce incredibilmente più calmo del solito. Poi la mano si spostò verso il basso, verso una sporgenza più pronunciata. «E questo  è il mio naso,» ancora più giù: due spicchi di Luna, soffici al tatto, appena un po’ umidi «le mie labbra» e poi di lato, un velo di barba gli pizzicò i polpastrelli; avvertiva il contorno netto della sua mascella marcata, stava ripercorrendo i tratti di  quel viso che conosceva a memoria «la mia guancia.».
Ancora  una volta, Elea rimase interdetta; avrebbe voluto scrutare Tares per capire dal suo sguardo cosa aveva in mente, ma tutto ciò che probabilmente le riuscì fu un’occhiata vacua, vuota, diretta verso un punto indefinito dello spazio  che la circondava. Eppure lui non si arrese; con altrettanta calma e delicatezza, le prese entrambe le mani e ne baciò la punta delle dita. «Riesci a vederlo, ora?»
Vedere… cosa? Non capiva, non riusciva a vedere, non… poi lo avvertì. Quel movimento  leggero delle labbra di lui, un’increspatura appena percettibile sotto le sue dita. Stava sorridendo. Non poteva dirlo  attraverso la vista, certo, ma in un certo senso lo sentiva. Improvvisamente, era come avere il suo volto davanti: con quella bocca fina incurvata verso l’alto, pronta a pronunciare qualche parola di troppo che l’avrebbe fatta saltare su tutte le furie.
«Il mio viso. Riesci a vederlo?»
Ancora una volta, Elea rimase senza parole, con le labbra – stavolta le proprie – schiuse in una muta sorpresa. Incredibilmente, Tares le stava mostrando qualcosa che, da un uomo diretto e forse scabro come poteva essere lui, non si aspettava affatto: stava guidando la sua mano sul suo volto, le stava insegnando a vederlo di nuovo.
 
L’unica reazione possibile  ad una realtà simile fu un sorriso commosso. Chiunque altro, in quella situazione, avrebbe probabilmente mantenuto un rispettoso silenzio; avrebbe detto qualcosa di momentaneamente efficace, magari, ma che con il tempo sarebbe stato lavato via esattamente come una vecchia macchia su un tessuto e, mano a mano, sarebbe svanito, lasciandola sola con quella triste verità che poteva solo accettare.
Ciò che Tares le stava dando, invece, era molto di più. Le stava restituendo un ricordo prezioso, mostrandole quanto infondati potessero essere i suoi timori, in fondo.
«Lo vedo.» rispose, accarezzandogli la guancia che aveva appena sfiorato ancora una volta. Lui sorrise: poteva sentirlo dalla sua pelle tirata nel movimento, dallo zigomo che vi scivolava sotto.
«Non cambierà niente.» la sua voce si fece più forte e sicura, quasi avesse voluto essere un appiglio per evitarle di cadere; lo avvertì avvicinarlesi per baciarle la fronte, quindi scostarsi ancora da lei «Non c’è niente di tutto questo che possa fermarti. Tu resterai  la donna impossibile che ho sposato. Non hai bisogno degli occhi per vedere. So che puoi farlo, dolcezza, me l’hai appena dimostrato.».
 
Elea rimase a fissare il volto di Tares per un lungo minuto. Sì, forse i suoi occhi non riuscivano a captare quell’immagine sfuggente: eppure, le sue mani che vi scivolavano sopra con delicatezza ne disegnavano il ritratto perfetto e fedele. E lo proiettavano direttamente nella sua mente: l’uomo che amava, che aveva al suo fianco da sempre e che non aveva smesso mai di sostenerla. Perfino ora era riuscito a trovare le parole più giuste per tranquillizzarla.
Forse erano stati gli anni di esperienza come suo marito a parlare, o forse ancora Danae l’aveva istruito a riguardo… ma in fin dei conti non le interessava. Si sentiva meglio, ed era  solo grazie a lui. Si sporse in avanti, cercando le sue labbra con le proprie per schioccarvi un breve, delizioso bacio. «Ti amo.» sussurrò, a un soffio dal suo respiro.
«Solo un bacio?» protestò lui, probabilmente fingendosi imbronciato, mentre le passava le mani attorno ai fianchi per issarsela sul busto e stringerla in un abbraccio «Tutta qua la mia ricompensa? Mh?».
In un’altra situazione, Elea probabilmente si sarebbe irritata e gli avrebbe rifilato il solito schiaffo in pieno viso per rimetterlo in  riga. Ma in quel momento non potè fare a meno di scoppiare a ridere. «Imbecille…» commentò, avvicinando la sua fronte a quella di lui, mentre quel contatto disegnava un’immagine perfetta di quella che avrebbe dovuto essere la sua espressione.
Era lì, vicina e sua. E non se la sarebbe fatta scappare mai più.
   
 
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