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Autore: _Riri_Sunflower_    11/08/2015    2 recensioni
«Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho diciassette anni e vengo dal Distretto 12. Sono sopravvissuta due volte agli Hunger Games. Ho ucciso Alma Coin con una freccia che era destinata al Presidente Snow. Mia sorella Prim è morta. Sono tornata a vivere nel 12 con Peeta. Io e Peeta ci sposeremo.»
Katniss vuole costruirsi una nuova vita nel Distretto che l'ha vista crescere e per farlo ha bisogno di Peeta al suo fianco. Nonostante gli Hunger Games siano finiti, la Ragazza di fuoco ha ancora incubi sulla morte dei suoi più cari amici. Con l’aiuto di Peeta, gli Innamorati Sventurati del 12 si faranno forza l’un l’altro per coronare il loro amore e, soprattutto, per rinascere dalle ceneri.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Io e Peeta ricominciamo a crescere insieme. Ci sono ancora momenti in cui lui afferra lo schienale di una sedia e aspetta finché i flashback non sono finiti. Io mi risveglio urlando da incubi di ibridi e bambini perduti. Ma le sue braccia sono lì a darmi conforto. E in seguito le sue labbra.

La notte in cui provo di nuovo quella sensazione, la fame che mi aveva assalito sulla spiaggia, so che tutto questo sarebbe accaduto comunque. Che quello di cui ho bisogno per sopravvivere non è il fuoco di Gale, acceso di odio e di rabbia. Ho abbastanza fuoco di mio.

Quello di cui ho bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una vita che continua, per quanto gravi siano le perdite che abbiamo subito. Di una vita che può essere ancora bella. E solo Peeta è in grado di darmi questo.

Così, quando sussurra: «Tu mi ami. Vero o falso?» io gli rispondo «Vero.»
~
Avevo detto a Peeta che l’amavo. Avevo risposto vero e non potevo rimangiarmi la parola. Ma perché avrei dovuto farlo se iniziavo a nutrire dei sentimenti per lui? Se solo lo avessi capito prima, probabilmente non saremo stati gli Innamorati Sventurati del Distretto 12. O forse sì.
Guardai Peeta: il sorriso che gli era comparso dopo la mia confessione non gli era ancora scomparso e, credo, sarebbe stato così a lungo.

Ero ancora in uno stato pietoso, non ero uscita di casa per molto tempo da sentirmi fuori dal mondo. Rientrai in casa e mi feci un lungo bagno, come se l’acqua potesse lavarmi di dosso tutte le cose che erano successe nell’ultimo periodo. Lo staff dei miei preparatori, visto che non avrei dovuto tornare mai più a Capitol City per gli Hunger Games, mi ha mandato con l’ultimo treno tutti gli abiti che Cinna aveva preparato e che mi aveva fatto indossare in varie occasioni. Feci scorrere le dita su quegli abiti semplici ma fantastici, ricordando con un moto di dolore e rabbia come Snow abbia voluto che io assistessi al pestaggio di Cinna, uno dei pochi che mi piaceva davvero.

Ne scelsi uno a caso, non troppo vistoso e adatto alla mia persona. Quando ero pronta per uscire di casa, Peeta mi scrutò e, vedendomi abbigliata in quel modo particolare, la sua espressione mutò immediatamente.

«Vado a vedere come sta Haymitch. È un po’ che non lo vedo.» mi giustificai e immediatamente il suo volto si rilassa. Ha ancora molto da recuperare da quando è stato liberato da Capitol, il gioco del vero o falso sta funzionando benissimo.

Attraversai il viale che separa la mia casa da quella di Haymitch e bussai forte alla sua porta, sperando di non trovarlo addormentato sul tavolo con una bottiglia di liquore bianco vuota accanto a lui. Dalla casa proveniva solo silenzio, la porta non era chiusa a chiave ed entrai. La cucina era stranamente in ordine –probabilmente qualcuno aveva appena areato la stanza- e di Haymitch neanche l’ombra. Ero sul punto di andarmene quando un rumore di passi mi fece voltare: un Haymitch pulito, profumato e non ubriaco si presentò a me, guardandomi come se fossi un’intrusa.

«Cosa ci fai qui, dolcezza?» Forse dire che non era ubriaco era eccessivo, ma almeno non era addormentato sul tavolo con un coltello in mano.

«Volevo vedere se avevi bisogno di aiuto.» dissi senza pensarci. In realtà volevo vedere Haymitch per un altro motivo. Lui era l’unico che sapeva tutto di me e Peeta, potevo confidargli quello che avevo appena fatto. Se solo Cinna fosse vivo, avrei composto il suo numero e gli avrei raccontato ogni cosa, ma non potevo farlo.

«Sto bene, Katniss. Hai bisogno di altro?» Mi morsi l’interno della guancia, combattuta dal dirgli o meno che cosa avevo appena fatto: lui non era come il pubblico di Capitol City, desideroso di pettegolezzi, soprattutto se questi riguardavano gli Innamorati Sventurati del 12.

«Probabilmente io e Peeta ci sposeremo, e non perché lo chiede Capitol.» Ecco, lo avevo detto. Solo allora mi resi conto di quanto avrei voluto mia sorella accanto a me, soprattutto in questo momento. Prim era diventata la mia confidente, era più coraggiosa di me e lei non c’era più.

Haymitch era sorpreso, non si aspettava di certo una notizia del genere, glielo si poteva benissimo leggere in faccia. Una volta, quando Snow aveva deciso delle mie nozze con Peeta, lui si era offerto di accompagnarmi all’altare, soprattutto perché mio padre non avrebbe mai potuto farlo, o magari lo avevano costretto.

«Katniss, se è uno scherzo, sappi che è di pessimo gusto.»

«Niente scherzi, Haymitch. Stavolta è tutto vero: abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Tu ci conosci e sai che è così.»
Non disse una parola per diversi minuti; aveva capito che non stavo mentendo e stava assimilando la notizia. Si sedette su una delle sedie in cucina e fissò il tavolo, come se un mobile potesse dargli ispirazione. Quando stavo per perdere la pazienza, alzò lo sguardo su di me. Lo vidi sorridere per la prima volta da quando era diventato il mio mentore.

«Va bene, dolcezza. Sono contento per te. E per Peeta, ovviamente. Te la senti di organizzare tutto?» La sua domanda era più che lecita, infatti stavo pensando di chiamare qualcuno che sarebbe stato entusiasta di organizzare un matrimonio, qualcuno che, come Haymitch, conoscesse me e Peeta abbastanza bene: Effie Trinket.

«No. Credo chiamerò Effie. Le farà bene organizzare qualcosa.»

Uscii da casa di Haymitch subito dopo, senza sapere esattamente cosa fare. Avevo detto che avrei chiamato Effie per organizzare tutto, ma sapendo quello che aveva passato, non sapevo quanto della vecchia Effie era ancora in lei.
Peeta aveva finito di piantare i fiori e se n’era andato. Avrei dovuto chiedergli di restare, gli incubi negli ultimi giorni si facevano sempre più frequenti. Salii i gradini che mi separavano dalla porta di casa, quando sentii un rumore provenire dall’interno. Immediatamente pensai a qualche Pacificatore mandato da Snow, ma dopo un secondo mi resi conto di quanto la mia idea fosse stupida. Snow era morto, non rappresentava più una minaccia per me, non lo era più per nessuno. Con mano tremante aprii la porta e mi diressi in cucina senza fare rumore, spaventata dall’idea di trovare qualcuno che volesse farmi del male. Ero pronta a chiamare aiuto, quando un profumo di cibo arrivò dritto alle mie narici. Peeta era ai fornelli che mi stava preparando la cena.

«Mi hai fatta spaventare.» dissi rimanendo sulla soglia della cucina. Si girò verso di me e sorrise appena.

«Scusa, pensavo che ci mettessi di più da Haymitch. Sta bene?»

«Sì, stranamente era pulito, anche se l’alito puzzava un po’ d’alcol.» Peeta si mise a ridere. Da quando era stato liberato non lo avevo ancora sentito ridere. Mi ricordai la sera prima degli Hunger Games sul tetto, quando fuggimmo a una giornata di preparazione. Avrò mai quel Peeta indietro?

«Rimani qui, stanotte.» Le parole mi uscirono di bocca prima che potessi fermarle e istintivamente mi morsi l’interno della guancia. Peeta si bloccò, fissandomi con i suoi occhi azzurri, si avvicinò a me e mi mise le mani sulle braccia, facendomi sussultare appena.

«Speravo me lo chiedessi.» sussurrò un attimo prima di baciarmi. Dall’ultima volta che le sue labbra toccarono le mie, la situazione era cambiata in modo radicale. Rimanemmo in silenzio qualche minuto, le mani intrecciate, prima di essere costretto a lasciare le mie per tornare a cucinare. Non sapevo cosa fare, aiutarlo era fuori discussione. Gli confessai cosa avevo detto ad Haymitch, dandogli così un’idea su cosa avrebbe potuto fare per farci aiutare.

«Chiamerò Effie dopo cena. Nel frattempo decidiamo cosa fare noi.» Avrei voluto mia madre accanto a me, ma adesso abitava nel Distretto 4. Il 12 era diventato un posto troppo doloroso per lei: la sua amica che era stata scelta come tributo per i Cinquantesimi Hunger Games, mio padre e Prim… Tornare al 12 per lei significava soffrire, ma per l’unica figlia rimasta, forse, avrebbe potuto fare un sacrificio, soprattutto se quella figlia stava per sposarsi.

«Dovrò dirlo a mia madre. Anche a Gale.» Peeta non aveva nessuno con cui condividere quella notizia. Con chi avrebbe scaricato la tensione quel giorno? Forse poteva chiamare Beetee, perché in fondo era l’unico amico che era rimasto in vita… Se ci fosse stato Finnick, gli avrebbe chiesto aiuto. Mi ricordai della torta che Peeta aveva fatto per il matrimonio di Finnick e Annie, quel meraviglioso capolavoro che avrei riconosciuto fra mille.

«Certo. Faremo una lista delle persone da chiamare e una per le cose da fare. Immagino che Haymitch ti accompagnerà all’altare.» disse dopo una lunga pausa; probabilmente stava pensando a chi avrebbe dovuto accompagnare lui.

«Sì, me lo ha confermato prima…» risposi, quasi pentita di quella scelta: se fosse stato ubriaco, cosa avrebbe combinato? Mentre pensavo ad Haymitch, mi venne un’illuminazione. «Perché non lo chiedi a Effie?»

«Effie?»

«Sì, Effie. Ne sarebbe orgogliosa.» Lo vidi annuire e capii di avere ragione. Si sarebbe messa una parrucca dal colore sgargiante, un pesante trucco in tinta con la parrucca che avrebbe usato per l’occasione e scarpe altissime.

«Katniss, tu vuoi veramente sposarmi, vero o falso?»

«Vero.» Non mi fece altre domande fino a che non terminammo la cena. Avrebbe potuto chiedermi molte cose che non ricordava perfettamente, aggiustare quei ricordi che Snow gli aveva modificato, ma preferì rimanere in silenzio. Forse stava pensando a cosa chiedere a Effie per il matrimonio, o probabilmente non pensava a niente.
Tenevamo entrambi lo sguardo sul cibo nel piatto, evitando di disturbarci l’un l’altro. Non erano le portate di Capitol City, ma erano decisamente meglio delle razioni che ci spettavano al 13. Solo quando alzai la testa verso Peeta capii perché era stato in silenzio tutto il tempo: stava prendendo nota di qualcosa su un foglio, scarabocchiava e cancellava alcune frasi che non lo convincevano. Appena fu soddisfatto di ciò che aveva scritto, alzò lo sguardo su di me, la stessa espressione che aveva prima che accadesse tutto questo.

«Ho elencato quello che devo chiedere a Effie. Posso?» Indicò con un gesto della mano la postazione del telefono, come se avesse veramente bisogno del mio permesso per chiamare Effie. Feci di sì con la testa, aspettandomi che Peeta chiudesse la porta, invece la lasciò aperta, forse per farmi sentire quello che aveva in mente.

«Effie, sono Peeta.» Anche dalla cucina riuscivo a sentire la voce squillante di Effie Trinket risuonare attraverso la cornetta: a quanto pare, era molto felice di sentirlo. Mi parve addirittura di sentirla piangere, ma da lontano non ne ero del tutto certa.

«Sì, sto meglio. Volevo parlarti di una cosa…» e rimase in silenzio per quella che sembrò un’eternità, fino al momento in cui non iniziò dalla notizia sconvolgente del giorno. Appena pronunciò la frase, Effie smise di parlare, troppo sconvolta o troppo felice per poter riuscire a dire qualcosa, il che non era da lei.

«Sì, niente scherzi. Haymitch è stato avvertito da Katniss oggi pomeriggio. Va bene, te la passo.» Si sporse verso di me, facendomi segno di raggiungerlo alla postazione del telefono. Mi alzai, chiedendomi come mai Effie volesse parlarmi. Non che ci fosse qualcosa di male, ovviamente, ma non ne capivo proprio il motivo. Peeta mi allungò la cornetta e rimase lì accanto a me, mentre io rispondevo alle domande di quella strana capitolina.

«Katniss, ho capito bene? Tu e Peeta vi sposerete?» Ecco, voleva una conferma. Che credesse ancora Peeta non del tutto a posto?

«Ciao, Effie. Sì, hai capito benissimo.» le confermai, un secondo prima di sentire la sua voce già stridula urlarmi nell’orecchio. Allontanai di scatto la cornetta, infastidita da quel suono squillante e vidi con la coda dell’occhio Peeta trattenersi dal ridere. Riaccostai la cornetta al mio orecchio e feci finta di prestare attenzione a quello che mi stava dicendo. Quando finalmente riuscii a interromperla, le feci la domanda che Peeta non era riuscito a formulare.

«Effie, prima di parlare di abiti, cerimonie e tutto il resto, ti andrebbe di accompagnare Peeta all’altare?» Ci fu di nuovo silenzio dall’altra parte dell’apparecchio, come se le mie parole non arrivassero immediatamente ma con qualche secondo di ritardo.

«Dite davvero? Oh, ma certo! Sarebbe un onore per me. A te accompagnerà Haymitch, giusto?»

«Esatto. Dovrò tenerlo lontano dal liquore per un bel po’.» scherzai e ripassai la cornetta a Peeta, dandogli così la possibilità di continuare a esporre ciò che aveva pensato durante la nostra cena silenziosa. Non mi sentivo pronta a organizzare un matrimonio, ma sia io che Peeta avevamo bisogno del sostegno l’uno dell’altra. Dopo la morte di Prim, sentivo la necessità di avere qualcuno al mio fianco, qualcuno che mi capisse davvero, e che comprendesse ciò che avevo passato per due volte di seguito nell’arena degli Hunger Games. L’unica persona che poteva fare questo era proprio Peeta. Ci avevo messo troppo a capire che era realmente di lui che avevo bisogno, e non di Gale come per qualche tempo avevo pensato.

Non potevo parlare neanche con mia madre, se non per telefono: da quando aveva deciso che il Distretto 12 non sarebbe più stata la sua casa, mi sentivo come abbandonata. Pensando a mia madre, mi ricordai di quanto Peeta fosse veramente solo. Probabilmente avrei dovuto chiedergli di trasferirsi in modo definitivo, e non solo per una notte. Haymitch era abituato a stare solo, ma io e lui no. Lo sentii salutare Effie e posare la cornetta sull’apparecchio, prima di fare il suo ingresso nella cucina dove solo pochi mesi fa mia sorella e mia madre curavano Gale per quelle ferite che il nuovo capo Pacificatore gli aveva inflitto.

«Ti sembra troppo presto?» La sua domanda mi spiazzò per un momento, confondendomi. Solo dopo un breve ragionamento capii che si stava riferendo al nostro matrimonio.

«No. Ne hai tanto bisogno tu quanto ne ho bisogno io.» Non so cosa esattamente gli fecero le mie parole, ma l’espressione che si formò sul suo viso mi fece intuire quanto fosse veritiera quella frase.
Peeta si avvicinò a me, con i suoi passi che risuonavano rumorosi sul pavimento, e mi prese la mano, stringendola nella sua. Quel semplice contatto mi fece capire che lui per me ci sarebbe sempre stato, che mi starà sempre vicino, anche quando non glielo avessi chiesto in modo esplicito. Presa da una piccola follia, lo baciai come facevo nell’arena, con la differenza che quei baci non erano per gli sponsor e il pubblico di Capitol City, quei baci erano miei e suoi. Erano i nostri baci.

«Vado a prendere il necessario per dormire e torno, va bene?» e io ero tentata dal dirgli di trasferirsi immediatamente, ma probabilmente aveva bisogno di più tempo per spostare tutta la sua roba a casa mia. Haymitch avrebbe potuto aiutarlo con il piccolo trasloco e, vedendo le lancette dell’orologio scorrere sopra la mensola del soggiorno, rimandai la mia proposta all’indomani, quando tutti saremmo meno su di giri per la novità del nostro futuro matrimonio. 

«Ti aspetto qui.»

Dopo cinque minuti, Peeta era di ritorno con quello che gli serviva per una sola notte. Avevo condiviso il letto solo con mia sorella, quando abitavamo ancora nel Giacimento, prima della mietitura. Dormire con Peeta sarebbe stato strano, perché sarebbe stata la prima volta che avremmo condiviso un letto vero. Dormire insieme nell’arena non era la stessa cosa: in quelle occasioni, tutta Panem aveva gli occhi puntati sugli Innamorati Sventurati del Distretto 12 e facevano a gara per chi dovesse pagarci quello che ci serviva per sopravvivere. Qui, nel Villaggio dei Vincitori, eravamo solo lui e io, nella nostra intimità.

Mentre Peeta era in bagno a prepararsi, fissai il materasso su cui avremmo dormito. Da sola, mi sembrava enorme; ora, invece, mi sembrava piccolissimo per entrambi. Stavo ancora fissando il letto quando entrò nella stanza, sorprendendosi di trovarmi in quella posizione. Si mise al mio fianco e guardò anche lui nella mia stessa direzione, cercando di capire se aspettavo un’ispirazione dalle lenzuola.

«Da che parte preferisci dormire?»

«È indifferente. Tu hai preferenze?» Per tutta risposta scrollò le spalle, come a significare che anche per lui valeva la stessa cosa un lato o l’altro.
Senza dire una parola, ci infilammo tra le lenzuola, la mia schiena contro il suo petto. Mi spaventai appena sentii qualcosa stringermi all’altezza della vita, ma quando mi resi conto che si trattava del braccio di Peeta, mi tranquillizzai all’istante. Il suo respiro regolare mi solleticava il collo e io avevo paura di chiudere gli occhi. Ma il silenzio attorno a me mi trasportò nel mondo dei sogni, costringendomi ad abbandonarmi al sonno.
 
Gli ibridi mi stavano seguendo, avevano gli occhi di Cato, Clove e la piccola Rue. Eravamo nell’arena dei 75° Hunger Games. Continuavo a correre da un settore all’altro, ma loro mi stavano sempre alle calcagna. Ero da sola, non c’erano Finnick, Peeta, Johanna e Beetee: non sapevo dove fossero e non potevano aiutarmi.
Provavo a scoccare diverse frecce, ma non cambiava niente, gli ibridi continuavano a ruggire il mio nome e accorciavano la distanza tra noi. Io correvo e correvo, tentando di distanziarli, ma senza riuscirci. A un certo punto andai a sbattere contro qualcosa, davanti a me c’è Finnick. Non sembrava preoccupato degli ibridi che mi seguivano, era fin troppo calmo con un pericolo intorno a noi. Gli urlavo di scappare, di salvarsi, ma dalla mia gola non usciva neanche un suono. Ero una senza voce.
Provavo a strattonare Finnick e inizialmente mi seguì, ma all’improvviso cominciai a rallentare, e non era per colpa sua: o meglio, lo era, ma non perché aveva rallentato. Qualcosa di caldo scivolava sul mio corpo, eppure non ci trovavamo nel settore della pioggia di sangue. Il sangue ce lo avevo io, addosso: Finnick mi aveva pugnalato con uno dei suoi tridenti, come se fossi io il vero nemico.
 
Iniziai ad agitarmi e a urlare, spaventata dall’incubo che si era appena concluso. Peeta si svegliò di soprassalto, spaventato dalle mie grida. Mi tastai lo stomaco, controllando di non avere realmente ferite o tridenti che mi passavano da parte a parte.

«Katniss, cosa succede?» Nella sua voce era presente una sfumatura di apprensione mista a paura. Le nostre mani si cercarono nel buio, trovandosi e stringendosi. Non ero del tutto convinta di raccontargli cosa la mia mente aveva appena immaginato, ma decisi che, se mi fosse accaduto nuovamente in futuro, avrebbe dovuto sapere cosa mi stava succedendo.

«Ero nell’arena dei nostri ultimi Giochi. Gli ibridi di Cato, Rue e Clove mi inseguivano e non c’era nessuno oltre a me dei tributi. Almeno finché non vado a sbattere contro Finnick, per niente spaventato. Tentavo di persuaderlo a mettersi in salvo, ma ero una senza voce. Finnick e io cominciamo a scappare, ma alla fine mi pugnala con il suo tridente.» Sussurrai tutto in modo rapido, come se raccontarlo velocemente potesse farlo sparire prima dalla mia mente.

Peeta non disse niente, probabilmente perché non si aspettava un tale sogno la prima notta che dormivamo insieme. Nel buio della camera da letto sentii le sue braccia stringermi, facendomi sentire al sicuro, come non mi ero sentita per molto tempo. Le parole non servivano, non avevo bisogno di frasi rassicuranti e inutili contro i miei incubi; non mi sarebbero passati tanto in fretta, tanto valeva abituarsi sin da subito.

«Dormi adesso. Ci sono io a proteggerti.» Queste furono le uniche parole che pronunciò Peeta mentre il sonno si impossessava nuovamente di me. Il sole era già alto quando mi svegliai da sola nel letto, al piano inferiore sentivo diverse voci che non riconobbi immediatamente. Sulla scrivania davanti alla finestra c’era un vassoio con sopra un piatto di biscotti e una tazza: Peeta mi aveva preparato la colazione, prendendosi cura di me come io non avevo mai fatto quando ne aveva bisogno durante i Giochi. Con molta svogliatezza, mi infilai una vestaglia che mi era stata recapitata da Capitol dopo la mia vincita e notai con piacevole sorpresa che i biscotti erano opera di Peeta. A che ora si sarà svegliato per prepararli?

Senza preoccuparmi troppo di chi fosse presente di sotto con Peeta, scesi le scale mangiando quei buonissimi biscotti decorati, gustandoli ad ogni morso. Quando arrivai davanti al soggiorno, notai con chi stava parlando Peeta. Il mio staff di preparatori ed Effie erano arrivati col primo treno da Capitol City e discutevano del mio matrimonio. Lo sguardo di Peeta incontrò il mio, scusandosi per l’invasione dei Capitolini con così poco preavviso. Non appena Effie mi vide, si avvicinò immediatamente a me; i suoi tacchi risuonarono sul pavimento velocemente. Iniziò a blaterare così tante cose che evitai di ascoltarla sin da subito, sebbene tutto quello che mi diceva doveva essermi utile.

«Effie, non cominciare con tutti questi paroloni: sono sicuro che non ascolterà nulla.» Solo allora mi accorsi della presenza di Haymitch in cucina, mentre sorseggiava una bevanda fumante e guardava con aria assente le oche nel suo cortile.

«Katniss, so che vorrai fare qualcosa in linea con il tuo Distretto, ma possiamo farvi usare qualche abito che Cinna e Portia avevano fatto per voi.» Effie neanche ascoltò quello che le aveva appena detto Haymitch, ignorandolo come facevano spesso sul treno che ci portava a Capitol City durante gli Hunger Games e il Tour della Vittoria.

«Potrei usare l’abito bianco che ho usato in un Distretto durante il Tour. Stessa cosa vale per Peeta, se ovviamente non vuole usare altro…» suggerii, ricordando che nell’armadio avevo ancora tutti quegli abiti che non avrei mai più rimesso.
Octavia, Effie e Haymitch si scambiarono un’occhiata di approvazione, soddisfatti della mia idea. Peeta sembrava ancora spaesato da tutto quel caos e ancora non gli avevo chiesto di trasferirsi in modo definitivo nella mia casa. Probabilmente quello non era il momento per farlo, o il mio staff di preparatori avrebbe improvvisato un banchetto del tutto inutile.

«Sì, mi sembra una buona idea.» rispose lui, mettendosi al mio fianco, facendomi sentire meno sola in quella stanza. Decisi di proporgli del trasloco appena saremmo riusciti a rimanere un attimo da soli. Effie riprese a parlare a raffica, gli unici che la ascoltavano erano per l’appunto il mio staff di preparatori; avrei dovuto ascoltare almeno la metà di quelle parole, ma non ce la facevo proprio appena sveglia a seguire i suoi discorsi. Speravo che almeno Peeta lo facesse, ma era palesemente distratto da altro. D’altronde, lui non aveva chiesto qualcosa di capitolino per il nostro matrimonio, voleva qualcosa di semplice, come si era sempre fatto nel Distretto 12.

«Farai tu la torta?» domandai a voce un po’ troppo alta, interrompendo il monologo di Effie Trinket. A parte lei, tutti avevano visto la torta che Peeta aveva fatto per il matrimonio di Finnick e Annie quando eravamo al Distretto 13, pensavo fosse naturale che sarebbe stato lui a prepararla.

«Certo… Ho avuto una sorta di ispirazione questa notte.» confessò abbassando lo sguardo, come se l’idea di decorare la nostra torta fosse motivo di vergogna. Quando Effie si ritirò in salotto con Octavia e gli altri a parlare di cosa avrebbero dovuto fare nei giorni a venire, Haymitch si fermò davanti a noi e, per una volta, non puzzava di alcol. Ci squadrò a lungo, neanche gli stessimo nascondendo qualcosa. Alla fine si arrese, come faceva spesso quando non ascoltavamo i consigli che ci dava per piacere agli Strateghi o per le cose da dire durante le interviste con Caesar.

«Non capirò mai quello che vi passa per la testa, ma in questo momento non mi interessa proprio. Se posso aiutarvi, però, dovete solo dirlo.» e prima di poter fermare la mia lingua, le parole mi uscirono di bocca senza che abbia avuto il tempo di fermarle: «Una cosa c’è: aiuta Peeta a trasferire qui tutte le sue cose.»
Mi morsi l’interno della guancia non appena mi resi conto di cosa aveva detto, ma ormai era tardi. Peeta e Haymitch mi fissarono a bocca aperta, ancora più senza parole per tutte le cose che stavano accadendo da un giorno a questa parte.

«Davvero?»

«Sì. Portate qui tutto e poi ci concentreremo una volta per tutte su questo matrimonio.»
Non se lo fecero ripetere due volte: uscirono dopo neanche due minuti dalla porta e si diressero a casa di Peeta a portare tutto quello che gli era rimasto prima che Snow riducesse in cenere la sua vecchia casa, dove probabilmente aveva ancora qualcosa che gli apparteneva. In poco più di due ore la vecchia stanza di mia madre era diventata quella mia e di Peeta, dove avremmo trascorso molte notti insieme.

Prima e dopo la cena discutemmo del matrimonio, del giorno in cui si sarebbe dovuto svolgere e la modalità. Da quando il Distretto 12 era stato raso al suolo, non avevamo molti posti in cui celebrare le nozze. Chi avrebbe potuto farci diventare marito e moglie? Dove avremmo potuto coronare il nostro amore? Effie sembrava disperata, non sapeva da che parte cominciare; le uniche cose che avevamo certe erano veramente poche: i nostri abiti, i nostri accompagnatori e la data, il primo giorno d’estate. Secondo Effie, avrei dovuto avere un bouquet, qualcosa di semplice come la nostra cerimonia. Stava per suggerire un mazzo di rose, quando notò il mio cambiamento di espressione: le rose significavano Snow, che portava agli Hunger Games, alla pazzia di Peeta, alla morte di Rue, Finnick e Prim. È buffo come un semplice fiore possa portare tanta morte e distruzione. Appena sentii il nome di quel fiore tanto amato dal Presidente Snow, scattai in piedi e mi misi le mani sulle orecchie, isolando ogni rumore intorno a me.

«Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho diciassette anni e vengo dal Distretto 12. Sono sopravvissuta due volte agli Hunger Games. Ho ucciso Alma Coin con una freccia che era destinata al Presidente Snow. Mia sorella Prim è morta per colpa di Snow. Sono tornata a vivere nel 12 con Peeta. Io e Peeta ci sposeremo.»

Ripetevo in continuazione quel piccolo discorso, cercando in tutti i modi di tranquillizzarmi. Sentii le scuse soffocate di Effie per aver dimenticato quel piccolo particolare così importante. Peeta si parò davanti a me, tentando di farmi rimanere calma, inizialmente senza successo, perché la voglia che avevo di urlare era tanta; poi, poco a poco, smisi di ripetere quelle semplici frasi ad eccezione delle ultime due. Quelle due frasi mi diedero la forza per continuare il discorso sui fiori che avrei voluto al mio matrimonio, perdonando Effie per aver citato involontariamente il nome del fiore preferito da Snow.

«Usiamo i fiori che crescono qui nel 12» suggerì Peeta. «Primule e dente di leone.» aggiunse prendendo posto accanto a me, le nostri mani che non avevano il coraggio di lasciarsi, per paura che entrambi potessimo cadere nuovamente nel baratro.

«Ma Peeta, questi fiori non sono adatti a…» cominciò Effie prima di essere interrotta da Haymitch. Lui sapeva il perché delle primule, ma dalla sua espressione si capiva che non gli era chiaro il motivo del dente di leone. Eppure, nonostante la curiosità, non fece domande; anche lui come noi voleva che fosse tutto pronto, evitando così di prolungarci più del dovuto su discussioni inutili. Guardai Peeta e lo ringraziai silenziosamente, per essersi ricordato di quel fiore che era spuntato il giorno dopo che mi aveva dato il pane anni prima, dopo la morte di mio padre.

Mi chiesi quante cosa sapeva Peeta di me che non gli avevo raccontato prima dei nostri primi Hunger Games. Avremmo avuto molto tempo per recuperare tutte le informazioni su di noi e io non avevo fretta. Persi il conto di quante ore parlammo ancora e, non appena nessuno di noi riusciva a formulare un pensiero di senso compiuto, rimandammo al giorno dopo la discussione. Non c’erano più treni per Capitol, così facemmo dormire Effie e il mio staff nella vecchia casa di Peeta nel Villaggio dei Vincitori.

«Effie non lo ha fatto apposta, ha solo avuto un vuoto di memoria.» sussurrò abbracciandomi. Quel semplice gesto mi rilassò, mi faceva sentire al sicuro.

«Lo so. Hai già portato tutto?» domandai cambiando discorso ma senza allontanarmi dal suo corpo. Fece un cenno affermativo con la testa e ne fui estremamente felice, perché finalmente io e Peeta potevamo stare insieme sempre.
Passammo una notte abbastanza tranquilla, anche se appena svegli Peeta mi informò che ero un po’ agitata nel sonno e continuavo a dire “Devo uccidere Snow”, ma non sembrava che avessi avuto incubi. Prima ancora che Effie potesse bloccarlo, Peeta andò al nuovo Forno a preparare il pane per gli abitanti del 12 che stavano ricostruendo con molta pazienza e forza di volontà le loro case.

«Allora, Katniss, hai suggerito di usare quell’abito che hai già usato una volta durante il Tour della Vittoria. Se dobbiamo modificarlo, posso contattare qualche altro stilista…»

«No, Effie. Sarà una cerimonia degna da Distretto 12, non voglio niente di eccentrico. Non dovrà diventare l’abito che mi ha costretta a indossare Snow durante l’intervista dei 75° Hunger Games.» Non volevo sentire lamentele, solo decisioni in cui sia io che Peeta eravamo d’accordo. Mentre aspettavamo il suo ritorno, notai sul tavolino davanti al divano un blocco da disegno aperto su uno schizzo di una torta. Lo studiai attentamente, guardando quei particolari che Peeta aveva scarabocchiato con tanta precisione: era a tre piani e, dall’assenza di colore, sembrava che la glassa fosse bianca; tra un piano e l’altro vi erano disegnate delle primule e dei denti di leone e non capivo se le avrebbe fatte con la pasta di zucchero o sarebbero state una semplice decorazione come fa con i biscotti; nella parte superiore, invece, c’erano un arco con una faretra, delle bacche e una pagnotta di pane tipica del 12. All’inizio non capii cosa significavano esattamente quelle bacche, finché non ricordai i primi Giochi a cui partecipammo: Capitol City inizialmente ci aveva illuso dicendoci che ci sarebbero stati due vincitori, a patto che venissero dallo stesso distretto; poi, appena rimanemmo io e Peeta da soli, ci obbligò a ucciderci l’un l’altro, perché il regolamento prevedeva un solo tributo vincitore. Fu allora che pensai alle bacche velenose, che ci avrebbero ucciso insieme, quando fummo fermati e dichiarati entrambi vincitori. Era bello sapere che Peeta se lo ricordava ancora, o forse gli era stato detto da qualcun altro. Solo in un secondo momento, notai che tutto intorno la base della torta, vi erano delle fiamme: i nostri abiti durante la sfilata nei primi Hunger Games, il mio abito durante l’intervista con Caesar. Quasi nascosto, inoltre, era presente un uccello che teneva nel becco una freccia, le ali spiegate, come se stesse per spiccare il volo. Non solo Peeta mi ricordava come la ragazza in fiamme, ma si ricordava di me come la Ghiandaia Imitatrice.

«Dovremmo far lavare i vostri abiti, basta anche qualche giorno prima delle nozze.»

«D’accordo. Abbiamo deciso di far venire i nostri amici dagli altri Distretti. D’altronde, loro erano presenti al matrimonio di Annie e Finnick.»

«Certamente. Non appena mi darai i nomi, ti farò avere i numeri delle loro abitazioni.» disse senza degnarmi di uno sguardo, lo sguardo perso, la sua mente pensava sicuramente a qualcos’altro. «Katniss,» cominciò a un certo punto, «Caesar ormai vi conosce, si può quasi dire che si sia affezionato a voi. La vostra storia lo ha particolarmente colpito e credo gli farà piacere sapere che state per sposarvi.»

«Effie, ti ricordo che durante l’Edizione della Memoria, Peeta ha mentito a Caesar dicendogli che eravamo già sposati, che lo avevamo fatto in gran segreto per via di una mia gravidanza mai esistita. Non credi si farà qualche domanda appena gli daremo la notizia?»

«Probabile, sì, ma allora Peeta lo aveva fatto per salvarti. Ricordi come gli abitanti di Panem si infuriarono appena scoprirono che avevi un bambino in grembo? Chiesero di annullare i Giochi.»

Effie aveva ragione: Caesar ci era rimasto molto male quando, subito dopo averci salutati come vincitori, ci rivide a Capitol City per la terza Edizione della Memoria. Era stato lui a battezzarci “gli Innamorati Sventurati del 12” appena Peeta confessò a tutta Panem di essere innamorato di me; sempre lui, mi aveva nominato “la Ragazza in fiamme” per via degli abiti che Cinna mi aveva fatto indossare in più occasioni. Avrei dovuto parlarne con Peeta prima di far arrivare la notizia alle orecchie di Caesar. Subito dopo, Haymitch e Peeta entrarono in casa, parlando di come gli abitanti del Giacimento si stavano dando da fare per ricostruire tutto.

«Oh, eccovi finalmente! Peeta, sei d’accordo a chiamare i vostri amici tributi?»

«Certo, è stata la prima cosa di cui abbiamo parlato. Katniss dovrà avvertire anche sua madre e Gale.» puntualizzò guardandomi, prima di ricordarsi che il suo blocco da disegno era ancora lì, sul tavolino, alla vista di tutti.

«Hai visto la bozza della torta?» mi domandò, dimenticandosi che c’erano altre persone con noi nella stanza. Con la coda dell’occhio, vidi Haymitch che prendeva tra le mani il disegno della torta e lo studiava attentamente, facendolo vedere anche ad Effie.

«Sì, è molto bella. Non vedo l’ora di vedere l’opera finale.»
Con la gioia di tutti, finimmo di decidere le ultime cose che mancavano per le nostre nozze. Solo per quel giorno, ci sarebbero stati i cuochi di Capitol a preparare il banchetto. Per una volta nella loro vita, tutti gli abitanti del Distretto 12 avrebbero mangiato il miglior cibo che Capitol City potesse preparare. Una volta d’accordo su tutto, Effie ci salutò e si diresse alla stazione accompagnata da Haymitch, mentre lo staff dei miei preparatori decidevano come truccare me e Peeta per l’occasione. Niente di troppo vistoso, semplicemente qualcosa che richiamasse la nostra semplicità, visto che i nostri abiti sarebbero stati lasciati come Cinna e Portia li avevano pensati originariamente. Una volta che se ne andarono anche loro, Peeta tirò un sospiro di sollievo, sentendosi improvvisamente più leggero.

«Effie mi ha chiesto se vogliamo dirlo anche a Caesar.» gli dissi mentre mi sedevo accanto a lui sul divano. I suoi occhi azzurri mi scrutarono attentamente, le sopracciglia inarcate, l’espressione pensierosa: ci pensò a lungo, prima di darmi una risposta.

«Per me va bene. Ci conosce, gli farà piacere sapere che stiamo per sposarci, questa volta sul serio, e senza gravidanze immaginarie.»

«Te lo ricordavi?»

«Me lo ha raccontato Haymitch. Credo di aver visto anche il filmato dell’intervista.»

Nel pomeriggio Peeta tornò al nuovo Forno, mentre io andai nel Prato a cacciare un po’. Mentre aspettavo che qualche animale mi capitasse a tiro, pensai alle mie operazioni di caccia con Gale prima della Mietitura, a come ci divertivamo. Ma adesso lui abitava nel Distretto 2, aveva altri progetti per il futuro, così come li avevo io. Il mio futuro, ora, aveva un nome e un cognome e stavo per sposarlo.
Cacciai fino al tramonto, scaricando la tensione di questi ultimi due giorni. Tornai a casa con un paio di scoiattoli e un cervo; come facevo sempre in passato, le mie frecce colpirono con precisione l’occhio delle povere vittime. Mentre Peeta cucinava la carne di cervo, il telefono iniziò a squillare: speravo con tutta me stessa che non fosse Effie, perché non avevo per niente voglia di parlare ancora di banchetti, vestiti e di quali fiori fossero più adatti per il mio bouquet.
Svogliatamente, andai a rispondere e, appena alzai la cornetta, mi sorpresi nel sentire la voce di mia madre.

«Katniss, sei tu?»

«Ciao, mamma. Va tutto bene? C’è qualche problema?» Da quando ero tornata ad abitare nel 12, non ci eravamo sentite molto, se non addirittura per niente.

«No, nessun problema. Mi trovo bene qui.» disse, prima di prendere una pausa. La sentii indugiare a lungo prima di confessare il motivo di quella chiamata. «Ho sentito che ci sono delle novità, è vero? Effie Trinket è passata a vedere come stavano Annie e il bambino e ho saputo…»

Scossi la testa: Effie mi aveva assicurato che mi avrebbe fatto avere il numero di Annie e di mia madre, ma a quanto pareva, aveva preferito passare di persona.

«Non sei arrabbiata, vero? Ti avrei chiamato non appena Effie mi avesse dato il numero della tua abitazione.»

«Non devi giustificarti, tesoro. Sono felice per il tuo matrimonio con Peeta. Ci sarò, non preoccuparti. Non posso perdermi un avvenimento così importante.» Era molto raro che mi commovessi, eppure le parole di mia madre scaturirono in me qualcosa che mi costrinse ad asciugarmi ripetutamente gli occhi.

«Grazie, mamma. Ci sentiamo presto.» Posai la cornetta e tornai da Peeta in cucina. Mi sentivo gli occhi leggermente gonfi per il breve pianto e lui se ne accorse immediatamente.

«Katniss, va tutto bene?» domandò allarmato. Si era già fiondato al mio fianco, abbracciandomi dolcemente nel caso volessi sfogarmi nuovamente.

«Era mia madre: ha visto Effie e le ha detto del matrimonio.» Rimanemmo in quella posizione per diversi minuti, un attimo prima che si allontanasse per togliere la carne di cervo dal fuoco, senza dimenticarsi di regalarmi un dolce bacio. Mi tornarono in mente le parole che aveva detto Finnick nell’arena, dopo che aveva rianimato Peeta: credeva che fingessimo la nostra relazione, cosa che inizialmente era vera, ma quando vide la mia paura di perdere il ragazzo che si era offerto volontario al posto di Haymitch per proteggermi, si era reso conto che si era sbagliato, che io amavo già da tempo Peeta e non lo volevo ammettere a me stessa.

Con un gesto automatico, portai la mano alla tasca dei pantaloni in cui avevo messo la perla che mi aveva regalato. L’avrei portata sempre con me, come promemoria di quello che avevamo passato insieme. Estrassi quel piccolo regalo dalla tasca e la tenni nella mano; non gli avevo ancora detto che, quando era prigioniero di Capitol, quella perla era la mia ancora di salvezza, l’unica cosa che mi dava la forza di andare avanti. Non me ne sarei separata mai, per nessuna ragione al mondo.

Dopo cena Peeta aveva ancora molte cose da chiarire riguardo la sua vita nel 12, quello che accadeva dentro l’arena e altro. Gli promisi che gli avrei fatto vedere i filmati riguardanti i nostri Giochi, il Tour della Vittoria e le intervista con Caesar. Quando avevamo cominciato a scrivere il libro, aveva ricordato parecchio, anche se non tutto era perfetto nella sua mente. Ma il vero problema venne durante la notte: entrambi eravamo agitati, consapevoli che tutto questo, sebbene in un altro modo, lo avevamo già vissuto.
 
Era il giorno del nostro matrimonio: Johanna, Beetee, Annie, Gale e mia madre erano arrivati col treno del mattino al Distretto 12; ci spiegavano come avevano ricominciato a vivere dopo l’uccisione della Coin e di Snow, senza la paura che qualcuno di loro conoscenza potesse essere scelto alla Mietitura degli Hunger Games. Peeta era già pronto e stava parlando con Effie, ripassando alcune cose basilari che avrebbe dovuto fare una volta che saremmo diventati marito e moglie. Io, invece, avevo appena finito di prepararmi e stavo scendendo le scale, cercando di avere un passo abbastanza fermo per non risultare agitata. Annie mi trascinò in cucina, elencandomi tutto quello che dovevo tenere a mente per quel giorno particolare. Diede un rapido sguardo alla torta, riconoscendo immediatamente l’opera d’arte di Peeta e, appena sentì suo figlio lamentarsi nell’altra stanza, mi lasciò un momento da sola. Guardai anche io la torta nuziale, semplice eppure carica di significato. Ma qualcosa cominciò a mutare: i disegni delle primule e dei denti di leone si trasformarono in rose bianche, la glassa divenne rosso sangue, la freccia che la Ghiandaia Imitatrice teneva nel becco la trafisse, ferendola a morte. Dalla porta della cucina entrarono diversi Pacificatori che tentarono di portarmi via e, seppure io urlassi con tutto il fiato che avevo in gola, nessuno venne in mio soccorso. Due Pacificatori mi portarono fuori dalla mia casa di peso, facendomi vedere che tutti i miei amici erano morti, il loro sangue si era mischiato in un’unica pozza di un colore scuro e dall’odore nauseante.
 
Cominciai a urlare, il corpo madido di sudore; Peeta era dietro di me, le mani sulle spalle nel tentativo di farmi smettere di tremare. Lacrime amare scesero fino alle mie labbra, incapace di fermarle. Sentivo la voce di Peeta farfugliare qualche parola, ma ero talmente scossa da non riuscire a capire esattamente cosa mi stesse dicendo. Smisi di tremare e cominciai a respirare a fondo, scacciando dalla mia mente il nuovo incubo. Questa volta non mi chiese cosa mi aveva spaventata a tal punto da mettermi a piangere, perché anche lui non era del tutto calmo e sentire cosa avevo sognato non gli sarebbe stato di certo d’aiuto.

«Stai meglio?» mi domandò dopo circa dieci minuti da quando mi ero svegliata urlando. Le lacrime si erano arrestate e iniziavo a sentirmi meglio. Mi voltai verso di lui, i nostri volti illuminati dalla luna; feci un cenno affermativo con la testa e mi sembrò di scorgere un sorriso sulle sue labbra. Mi venne automatico rivolgergli la stessa domanda, che lo fece rimanere senza parole per qualche secondo. Poi, anche lui, fece di sì con il capo, e fui io a sorridere.

«È la seconda sera di fila da quando dormo qui che hai incubi. Sicura che non sia colpa mia?»

«Tu mi aiuti a liberare la mia mente da questi orrori. Ho ancora bisogno di tempo.» Senza dire una parola di più ci rimettemmo a dormire, questa volta avvinghiati l’uno all’altra come facemmo nell’arena quando lui era ferito e non poteva muoversi. Prima di cadere entrambi in un sonno profondo, ci scambiammo diversi baci che ne chiamavano sempre di nuovi. Avevo capito troppo tardi che lo avevo sempre amato, ma non volevo ammetterlo. I baci che ci scambiavamo nell’arena per gli sponsor potevano risultarmi inizialmente falsi, ma per lui non lo erano mai stati. Solo quella notte capii che non lo erano neanche per me.
~
L’inverno finì e arrivò la primavera. Il Distretto 12 era quasi del tutto ricostruito: Peeta lavorava duramente ogni giorno, io andavo più volte al Prato per cacciare quanto più potevo. Vendevo la maggior parte degli animali che riuscivo a uccidere; mi era anche stato offerto di insegnare ai bambini a riconoscere le piante velenose da quelle commestibili, cosa che mi riuscii abbastanza bene con l’aiuto dei disegni che Peeta aveva fatto per il libro che avevamo completato solo poche settimane prima insieme ad Haymitch. Capitol era disposto a stamparne più copie, da diffondere nei vari distretti per non far sì che le generazioni future non dimenticassero cosa molti di noi aveva passato sulla propria pelle.

Sia io che Peeta avevamo sempre meno incubi, facendoci dormire notti tranquille. Una delle poche volte che Peeta si svegliò nel cuore della notte, era per un bel sogno che aveva appena fatto, così realistico che dovette svegliarmi per essere del tutto sicuro che non era solo frutto della sua immaginazione. Le settimane passarono troppo velocemente e, in pochissimo tempo, mancavano solo sette giorni al nostro matrimonio. Avevamo cominciato a ricevere chiamate dai nostri amici, i quali ci avvertivano che sarebbero arrivati al 12 o la mattina stessa o il giorno prima, in modo da poterci aiutare nelle ultime faccende riguardanti le nozze.

La sera prima del matrimonio, Peeta corse a chiamarmi a casa, sul suo volto c’era una strana eccitazione che, in qualche modo sconosciuto, fece diventare anche me euforica. Mi trascinò in tutta fretta al nuovo Forno e mi portò nel laboratorio: ogni ripiano della stanza era pieno di vassoi di biscotti da infornare e pagnotte lasciate a lievitare. Aprì una porta secondaria e tirò fuori un carrello su cui era poggiata la nostra torta nuziale. Rimasi completamente senza parole nel vederla: era davvero perfetta, esattamente come l’aveva disegnata mesi prima. L’aveva appena completata e il suo primo pensiero era stato quello di farmela vedere.

Quella notte cercammo di dormire senza riuscirci, troppo agitati per la giornata che si sarebbe svolta il giorno seguente. La prima persona che bussò alla nostra porta il mattino delle nozze fu il nuovo sindaco del Distretto 12, che era venuto con la moglie a portarci un piccolo dono e ci assicurarono che li avremmo visti più tardi ai festeggiamenti. Verso le dieci, il salotto cominciò a riempirsi di amici e conoscenti del Giacimento, e quando arrivarono i nostri amici tributi dagli altri Distretti, la casa era piena di felicità e gioia che non potevi non esserlo anche tu.

Johanna, Beetee e Gale arrivarono insieme al Villaggio dei Vincitori, tutti e tre vestiti in modo elegante. Non avevo visto mai nessuno di loro abbigliato così perfettamente, ma tutti non facevano che parlare di quanto saremmo stati meravigliosi io e Peeta. Mia madre arrivò insieme ad Annie e al bambino, riducendo la lista delle persone che dovevano ancora arrivare dagli altri Distretti.

Caesar ed Effie Trinket fecero il loro ingresso verso mezzogiorno, al loro seguito un Haymitch pulito, profumato e sobrio, pronto ad accompagnarmi all’altare. Con mia grande sorpresa, si presentarono anche Cressida e Pollux, che non si sarebbero persi per nulla al mondo la trasformazione della Ghiandaia Imitatrice in sposa. Come regalo di nozze avrebbero filmato l’intera cerimonia e il banchetto, perché secondo loro un giorno del genere non va mai dimenticato.
Il mio vecchio staff di preparatori stava rendendo Peeta perfetto, come se si potesse migliorare qualcosa che era già ottimo. Non appena fu pronto, chiamarono me al piano di sopra; il mio abito era stato lavato e stirato da risultare nuovo, il bouquet proveniva dai giardini più belli di Capitol City. Venia chiese a mia madre se poteva prepararmi la stessa acconciatura che avevo il giorno della Mietitura, in modo da risultare la sposa più semplice del mondo. Li sentivo parlare tra di loro del matrimonio, nonostante non si fosse ancora svolto.

Avevo paura a scendere le scale, non tanto perché non volevo sposarmi, ma perché avevo paura di non riuscire a camminare. Eppure, appena Peeta si presentò in fondo alle scale e i nostri sguardi si incontrarono, non esitai un minuto a raggiungerlo. Quando fui dinanzi a lui, le mie labbra incontrarono le sue, facendomi dimenticare che non eravamo soli in casa. Johanna dovette farsi sentire più volte prima che io e Peeta ci ricordassimo anche degli altri. Cressida e Pollux si scambiarono diverse occhiate e non ci misi molto a capire che avevano già cominciato a filmare. Eravamo pronti a uscire e dirigerci al municipio, quando qualcuno bussò alla porta. Haymitch, che in quell’occasione si stava comportando in modo impeccabile, andò ad aprire, credendo di trovare qualche abitante del Giacimento che portava qualche dono e i suoi migliori auguri a Peeta e me. Rimanemmo tutti sorpresi quando vedemmo Plutarch e la Presidentessa di Panem sorridenti ed eleganti davanti a noi.

«Sbaglio, o qui oggi c’è un matrimonio?» domandò Plutarch dando ad Haymitch una scatolina scura. Cosa c’era dentro? La Paylor mi guardò quasi emozionata e accorciò la distanza che c’era tra noi.

«Se non è un problema, vorrei essere io a ufficiare le vostre nozze.» Io e Peeta ci guardammo sbalorditi, senza capire se quello che stavamo vivendo era la realtà o un sogno. Senza troppi indugi, accettammo di buon grado e finalmente ci incamminammo verso il municipio. Poco prima di arrivare lì, Effie fermò Haymitch, me e Peeta, lasciando andare avanti gli altri così che potessero prendere posto.

«Mi sembra soltanto ieri che vi ho incontrato per la prima volta.» mormorò con voce strozzata, sicuramente prima della fine della cerimonia sarebbe scoppiata in lacrime.

«Effie, niente discorsi strappa lacrime. Non voglio che la mia futura moglie venga fotografata con gli occhi gonfi.» Il mio cuore esplose di gioia sentendo Peeta pronunciare quelle parole. Avevo fatto la scelta migliore quando decisi di sposarlo e stavamo perdendo troppo tempo, a mio parere. Effie prese Peeta sottobraccio e si incamminarono sugli scalini del municipio, facendo il loro ingresso sotto lo sguardo dei presenti. Haymitch era al mio fianco, pronto ad accompagnarmi da Peeta.

«Pronta, dolcezza?» sussurrò prima di salire i gradini che mi separavano dal mio futuro marito.

«Sono nata pronta.» Appena misi piede all’interno del municipio, tutti gli invitati si zittirono e mi seguirono con lo sguardo, affascinati da qualcosa che non sapevo esattamente cosa potesse essere. Pollux e Cressida erano di fronte a me ed Haymitch con la video camera, per non perdere neanche un secondo.
La Presidentessa disse qualcosa sul nostro conto, ma ero troppo occupata a guardare Peeta negli occhi da non riuscire a sentire cosa stesse dicendo; la stessa cosa valeva per lui, concentrato a ricordare ogni minimo particolare del mio abito, dell’acconciatura, del trucco e del bouquet. Solo quando la Presidentessa cominciò a ricordare gli amici che avevamo perso per colpa di Capitol City e degli Hunger Games, cominciai ad ascoltare le sue parole.

«Sono certa che, se potessero, Finnick, Rue, Cinna, Portia, Darius, Prim e i genitori di Peeta, sarebbero qui con noi a festeggiare questa giovane coppia. Sarebbero orgogliosi di vedere quanto sono andati avanti, aiutandosi l’un l’altro per tornare a una vita normale, che in ogni caso, del tutto normale non sarà mai più. Ma adesso dobbiamo festeggiare i vivi, e quale modo migliore se non con un matrimonio?»
Con la coda dell’occhio vidi Haymitch avvicinarsi alla Presidentessa e porgerle la scatolina che gli aveva affidato Plutarch. La Paylor l’aprì e diede a Peeta un piccolo anello che, confuso, prese tra le mani e lo fece scorrere sul mio anulare.

«Ho passato quasi tutta la mia vita ad amarti in silenzio, adesso voglio urlarlo a tutta Panem che sei mia moglie. Perché tu mi ami.» Niente “vero o falso?”. Questa volta era davvero sicuro che lo amavo, ed era così. Presi dalla scatola l’anello di Peeta e, lasciandomi guidare dal cuore, confessai per la prima volta davanti ad altri i miei sentimenti per lui.

«Ti ho sempre trattato male, fino a quando non ho rischiato di perderti per sempre. I nostri amici mi hanno aperto gli occhi su quello che provo per te e sono felice che lo abbiano fatto. Sono tua moglie e tu mio marito. Questa è l’unica cosa che importa.»
Era fatta: io, Katniss Everdeen, ero la moglie di Peeta Mellark. E lui non perse un attimo a darmi il suo primo bacio da sposati. I nostri amici si misero a gridare di gioia, applaudendo e fischiando la loro felicità. Tutto il Distretto 12 era in festa; Johanna ballò con Gale per ore, mia madre danzava con Plutarch e Beetee con Annie. Quando Annie era impegnata nelle danze, facevano a turno per accudire il figlio di Finnick. La coppia più strana che vidi ballare fu Haymitch ed Effie, cosa che fece ridere molto me e mio marito. Nonostante fosse bizzarro vederli scatenati in diverse danze, sembravano così affiatati che per un momento ero quasi certa ci stessero nascondendo qualcosa. Peeta non sembrava mai stanco e io non volevo stare con nessun altro, anche se qualche ballo con gli altri fui costretta a farlo. Danzai con Plutarch, Beetee, Haymitch, Pollux e Gale, ridendo e scherzando come se non avessi mai partecipato a uno show in cui la gente moriva. In un momento di euforia ballai anche con Cressida, mia madre e Johanna. Tentai di far trascinare anche Effie a ballare con me, ma a quanto pare era troppo stanca dopo tutti le danze che aveva concesso ad Haymitch. Dopo ogni ballo tornavo sempre da Peeta: quando non ero impegnata con lui, lo vedevo cullare il figlio di Annie. Sapevo che avrebbe voluto dei figli, ma io non mi sentivo pronta e non credevo lo sarei mai stata. Forse in un futuro lontano avrei potuto averne, ma ero troppo spaventata dagli orrori del passato per permettermi di passare una gravidanza serena. Avevo molto fuoco che bruciava dentro di me, con molta forza di volontà potevo fare qualsiasi cosa, ma dei bambini non erano la mia priorità. Ne avevo già parlato a lungo con Peeta, e sebbene io fossi fermamente convinta di quanto fosse sbagliato vivere nella paura di possibili futuri nuovi Hunger Games, Peeta era dell’idea che mi avrebbe fatto cambiare idea, prima o poi.

Era appena spuntata la luna in cielo, ma noi continuavamo a cantare, ballare e divertirci. Peeta non faceva il gioco del “vero o falso” perché gli sembrava fuori luogo. A un certo punto, Effie mi ordinò di mettermi al centro della piazza e di lanciare il mio bouquet verso le donne presenti. A quanto pare, era una tradizione che si usava fare già nel passato. Effie si allontanò, come se quella strana usanza non la riguardasse, ma la costrinsi a mettersi in prima fila. Sbuffando, si posizionò accanto a Johanna e Cressida e, con enorme sorpresa da parte di tutti i presenti, fu proprio la Capitolina Effie Trinket a prendere al volo il mio bouquet. Tutti la incitavano a seguire alla lettera la tradizione del bouquet preso al volo, ovvero di sposarsi al più presto. Proprio quando stava per ricordarci che non era fidanzata, un Caesar un po’ brillo le suggerì di buttarsi tra le braccia di Haymitch. Tra risate e altri balli, gli invitati iniziavano a far ritorno alle loro case, fatta eccezione per quelli provenienti dagli altri distretti, che sarebbero stati nostri ospiti per la notte.

Senza smettere di sorridere, Peeta ed io arrivammo nella nostra casa e appena chiudemmo la porta, ci liberammo di quelle scarpe scomode che avevamo indossato per tutto il giorno. Cercando di fare il più silenzio possibile, andammo nella nostra stanza, pronti a dormire per la prima volta insieme da sposati. Nessuno dei due riusciva a pronunciare la parola “nostra”: ci risultava ancora difficile condividere ogni singola cosa, ma presto ci avremmo fatto l’abitudine, al punto da non accorgerci quando l’avremmo pronunciata. Ci mettemmo a letto, finalmente da soli e sposati, e potevamo fare quello che volevamo senza dare conto a nessuno se non a noi stessi.

Per quello che rimaneva di quella magica notte, Peeta e io passammo ogni singolo istante a coccolarci e baciarci come avremmo dovuto fare parecchio tempo fa, come avevamo finto di fare per soddisfare le folli idee di Snow. Le nostre labbra sembravano ansiose di incontrarsi, bramavano i nostri baci, senza mai risultare soddisfatte. Ogni singolo bacio di Peeta ne chiamava di nuovi e non potevo non ascoltare quello che il mio corpo voleva da mio marito.

Quando il giorno cominciò a rischiarare il cielo, ci addormentammo esausti e nessuno ebbe il coraggio di venire a disturbarci. In quelle ore che dormii sonni tranquilli, feci un sogno molto strano. Non era un incubo, era uno dei sogni più belli che potessi fare.
Stavo per sposarmi con Peeta, ma ad accompagnarmi da lui non c’era Haymitch, bensì mio padre. Anche Peeta aveva un accompagnatore diverso da quello che aveva avuto realmente: i suoi genitori erano vivi e sua madre continuava ad asciugarsi gli occhi, troppo emozionata dall’imminente matrimonio del figlio. Tra le file degli invitati scorsi la piccola Rue, Finnick, Darius e il fratello di Pollux. Il mio abito però era diverso da quello che avevo appena usato: era lungo fino a metà gamba, la gonna un po’ ampia e il corsetto più stretto. L’intero abito era ricoperto di perle, come quella che Peeta mi aveva regalato durante i Settantacinquesimi Hunger Games. Persino l’abito di Peeta era diverso: al contrario da quello bianco che aveva usato per le nostre nozze, indossava un completo scuro dal taglio semplice, una cravatta bianca che risaltava nel nero del suo abito e dal taschino faceva capolino un dente di leone.

Non era la Paylor a sposarci, ma il padre di Madge, il sindaco del Distretto 12 prima degli Hunger Games miei e di Peeta. Sae la Zozza era riuscita a rimediarci degli anelli uguali, niente fede nuziale in arrivo da Capitol City. Anche Rue era presente: era arrivata quella stessa mattina dal Distretto 11 e indossava un semplicissimo abito color pesca che faceva risaltare la sua carnagione scura. Accanto a lei, c’era Prim, con uno degli abiti migliori di mia madre. Erano seduti tutti e quattro in prima fila dietro di me, dall’altra parte c’erano i genitori di Peeta, Effie Trinket e Haymitch. Solo quando iniziò il banchetto notai che tra gli invitati c’erano Cinna e Portia. Erano stati loro a cucire i nostri abiti, rendendoci meravigliosi come avevano fatto in passato con la sfilata dei tributi e le interviste nello studio di Caesar. Proprio quest’ultimo era in disparte, davanti a una telecamera, a descrivere minuto per minuto il matrimonio degli Innamorati Sventurati del Distretto 12.

Quando finalmente aprii gli occhi, Peeta dormiva ancora. Per paura di svegliarlo, rimasi il più possibile ferma a letto, ammirando la fede nuziale che ci era stata donata meno di ventiquattro ore prima. Se avessimo dovuto comprarcele, probabilmente non avremmo potuto permettercele, nonostante vivessimo ancora della rendita dei vincitori. Dovevo abituarmi a quella nuova vita: non abitavo più nel Giacimento, potevo permettermi diverse cose, eppure continuavo a cacciare nel Prato. Guardai l’abito che avevo lanciato in fretta sulla sedia davanti la finestra, constatando quanto avesse cambiato di significato in poco tempo: da semplice abito che avevo indossato durante il Tour della Vittoria era diventato un abito da sposa. La stessa cosa valeva per il vestito che Peeta aveva sfoggiato per tutto il giorno. Ripensai alle parole di Effie prima di entrare nel municipio. Tutti quanti avevamo passato dei momenti che, per quanto ci sforzassimo di dimenticare, facevano parte del nostro essere. Effie non aveva mai avuto il coraggio di raccontare quello che aveva subito da parte di Capitol nel periodo che era stata tenuta prigioniera, probabilmente non ci sarebbe riuscita tanto facilmente.

Sulla scrivania era in bella vista il libro che, con molta sofferenza, Peeta, Haymitch ed io avevamo scritto riguardo gli Hunger Games. Dopo un lungo ragionamento, avevamo deciso di farne stampare più copie, così che nessuno potesse dimenticare quello che per settantacinque anni il nostro popolo fu costretto a sopportare. L’unica cosa che speravo di non fare, era di girare per ogni Distretto a parlare di una cosa che volevo dimenticare.

«Da quanto sei sveglia?» La voce di Peeta mi fece tornare in me e mi voltai verso di lui, rituffandomi tra le lenzuola per dargli il buongiorno.

«Solo qualche minuto. Buongiorno, Peeta.» sussurrai contro il suo collo, un attimo prima che le sue labbra ricominciarono a baciare le mie. Ogni mattina sarebbe stata così: uno dei due si sarebbe svegliato prima dell’altro, un attimo dopo avremmo cominciato a baciarci, per poi ricordarci che avevamo delle faccende da compiere. Eppure tutto questo non mi dava fastidio. Mi sarei svegliata ogni giorno col sorriso, accanto all’uomo che amavo. Avremmo affrontato ogni giorno insieme, superando ogni avversità che si sarebbe interposta tra noi e la nostra felicità. Avevo come modelli di riferimento i miei genitori, che si sono amati in ogni istante, prima che la morte li separasse. Avrei continuato a cacciare nel Prato e avrei insegnato ai bambini della scuola l’importanza di conoscere tutti i tipi di piante. Un’altra cosa che non potevo di certo non menzionare, era il canto: avevo constatato in passato che Peeta aveva ragione quando mi disse che tutti si zittivano quando io cantavo. Le Ghiandaie Imitatrici che avevo incontrato vicino al lago con Cressida, Pollux e altri si erano zittite mentre ripetevo le strofe di quella macabra canzone.

«Mi risulterà strano presentarti come mia moglie.» disse all’improvviso Peeta. I nostri occhi si incontrarono, catturando lo sguardo e le emozioni dell’altro.

«Non presentarmi come “la signora Mellark”, perché non mi ci abituerò mai. Io sono semplicemente Katniss, tua moglie.» suggerii sorridendo.
Per chissà quanto tempo, avremmo avuto entrambi incubi riguardanti i nostri amici e gli Hunger Games. Ci saremmo aiutati a vicenda per superare ogni singolo istante di terrore. Anche se non lo dava a vedere, Peeta stava recuperando alla grande tutto quello che Capitol gli aveva fatto credere falso. Era più forte di quanto sembrasse e ne ero fiera. Per quanto riguardava me, avrei superato anche io tutte le avversità che la vita mi avrebbe posto, soprattutto perché al mio fianco adesso c’era mio marito Peeta, l’uomo più importante della mia vita, colui che mi avrebbe aiutato a rinascere dalle ceneri.
   
 
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