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Autore: emmegili    11/08/2015    4 recensioni
Dovrei voltarmi ed andarmene, ma mi accorgo che accanto a Danny c’è qualcun altro. Quando mi accorgo che è Eric, dentro di me il cuore salta un battito.
Mi ricordo. Mi ricordo e mi sento morire dentro.
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Semplice One-Shot, perchè l dolcezza e il romanticismo vanno pari passo.
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Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Loro sono la mia classe. Sono gli amici, le amiche, le persone con cui ho condiviso e trascorso dieci anni della mia vita. Li conosco come le mie tasche, e voglio loro troppo bene.
Come ha preferito fare la professoressa, sono tutti in fila, e li ho abbracciati tutti, salutati. Mi è pure scappata qualche lacrima.
Ora tocca a Danny. Gli sorrido e gli do un pugnetto amichevole sul braccio.
- Ciao, Bugs Bunny –sorrido prendendolo in giro per la sua somiglianza al coniglio dei Looney Toones.
Dovrei voltarmi ed andarmene, ma mi accorgo che accanto a Danny c’è qualcun altro. Quando mi accorgo che è Eric, dentro di me il cuore salta un battito.
Mi ricordo. Mi ricordo e mi sento morire dentro.
Essendo nella mia stessa scuola, lo conoscevo di vista. Ma iniziammo a frequentarci quando mi aiutò quando mio fratello cadde con la bicicletta.
Indossavo un vestitino estivo, bianco a fiorellini. Eravamo andati al bar perché a mio fratello servivano due quaderni per la scuola. E venne in bici. Il problema fu che i freni non funzionarono e lui finì addosso ad un tavolino pieno di boccali di vetro vuoti, che si ribaltò cadendogli addosso e frantumando i bicchieri in milioni di schegge di vetro.
Eric, che era nel tavolo accanto con i suoi amici, scattò verso mio fratello e fece quello che io, essendo troppo turbata, non feci.
Chiamò i soccorsi, perché il vetro era ovunque, gli aveva procurato tagli ovunque, spesso anche profondi. Per non parlare dei danni causati dall’impatto col tavolo.
Quando poi raggiunsi l’ospedale, lui era sempre con me, a farmi forza. Era un presenza silenziosa, la presenza silenziosa che mi aiutò tanto.
Quando mio fratello venne dimesso e poté tornare a casa, la prima cose che Eric fece fu chiedermi di uscire con lui.
Accettai di buon grado, elettrizzata. Insomma, era di due classi più grande di me, era contrassegnato da tutti i professori come quello che non studiava mai, ma perlomeno era divertente e aveva sempre la battuta pronta, ti salutava anche se ti conosceva solo di vista. E poi era bello da far paura, la pelle abbronzata, i capelli scuri corti, un bellissimo viso.
Nonostante ciò, ero cosciente che alcune delle sue amicizie non erano etichettate come le migliori dell’anno, e di questo avevo paura. Si diceva che uno spacciasse droga, che qualcun altro fosse un vandalo e correva il presentimento che anche Eric potesse diventare così, a meno che non lo fosse già.
Al nostro primo appuntamento andammo al parco, ci sedemmo all’ombra di un albero e cominciammo a parlare.
Il suo telefono vibrò e quando mi resi conto che a chiamarlo era il ragazzo sospettato di spaccio, risposi io, rubandogli il cellulare con uno scatto felino. Troncai sul nascere le proposte di vendita e gli promisi che le sue chiamate così come i suoi messaggi sarebbero state registrate e che sarei anche potuta andare dalla polizia. Più tardi scoprii che smise di chiamare Eric per un bel pezzo.
Già il giorno dopo il nostro primo appuntamento mi scoprii a fantasticare su Eric, a tal punto che dovetti fermarmi un attimo per tornare alla realtà.
Il pomeriggio passavo ore con lui al bar del paese dove abitavamo, a chiacchierare con lui, con i suoi amici –quelli buoni- e con qualche mia amica che già aveva rapporti con Eric o con i suoi amici.
Ridevo per ore, a tal punto di dovergli tappare la bocca con una mano per non vomitare il pranzo, perché se avesse continuato l’avrei fatto sul serio.
Una volta smise di parlare appena gli toccai le labbra, cosa che non faceva mai. Si voltò a guardarmi, benché fossi seduta accanto a lui. Era uno sguardo dolce, che mi fece arrossire per la prima volta davanti a lui.
Abbassai lo sguardo e gli tolsi la mano dalla bocca. Mi sentivo gli sguardi di tutti addosso, ma Eric fu tanto gentile da riprendere a sparare cavolate appena scostai le dita dalle sue labbra.
Quella sera stessa ne parlammo e lui mi spiegò che, per la prima volta, quando l’avevo toccato aveva sentito un brivido lungo la schiena. Decidemmo di comune accordo di continuare come se non fosse mai accaduto niente, perché la nostra, più che una relazione amorosa si era trasformata in un’amicizia che non volevamo rovinare.
Un pomeriggio arrivai al bar che Eric ancora non c’era e, parlando con Albert, uno dei suoi amici, scoprii che la mia migliore amica, dopo anni che mi aveva fatto patire, si era decisa ed ora usciva con Albert. Infatti, poco dopo, arrivò al tavolo e si sedette tra me e Albert, ma era più propensa verso il suo nuovo fidanzato. Ne fui contenta, ma le dissi chiaro e tondo che avrebbe dovuto dirmelo. Proprio mentre mi assicurava che per il matrimonio mi avrebbe avvisata, Eric arrivò portando al guinzaglio Spot, il suo cagnone peloso. Come sempre si sedette accanto a me, e io presi a giocare con il suo cane.
Ero talmente assorta da quel cucciolo peloso che non mi resi conto di essere al centro dell’attenzione, anche perché, Alex, da brava migliore amica, continuava a parlare come se stessero conversando senza badare a me.
Fu lei stessa, quando se ne furono andati tutti, a dirmi che Eric non mi aveva tolto gli occhi di dosso un solo istante, mentre giocavo con Spot. Aggiunse che nel suo sguardo c’era una luce particolare, che non aveva mai visto prima.
Pian piano mi resi conto che ogni pomeriggio ero sempre più vicina a Eric, e me ne accorsi quando Alex mi fece notare che per tutto il pomeriggio era stato con il braccio sullo schienale della mia sedia.
Un giorno Alex mi mandò un messaggio, scrivendomi di aspettare ad arrivare al bar. Dieci minuti dopo mi mandò una registrazione che aveva fatto di nascosto.
Quasi come se Alex fosse un ragazzo e non la mia migliore amica, gli amici di Eric continuavano a fargli domande, a tal punto che Eric, ad un certo punto, confessò di essere innamorato di me. Non era una cotta, diceva, ma un innamoramento vero e proprio, di quelli che ti tengono sveglio la notte.
Arrivai al bar in fetta e furia, in preda alle emozioni. Mi inventai una scusa per il ritardo e mentre mi sedevo lanciai un’occhiata ad Alex, che sorrise dispiaciuta, consapevole della posizione in cui mi trovavo ora.
Quel pomeriggio osai un po’ di più, accovacciandomi a ridosso di Eric, mentre il suo braccio era costantemente sullo schienale della mia sedia. Appena mi avvicinai sentii il  cuore accelerare, ma sapevo che continuava a parlare per non attirare l’attenzione.
Qualche sera dopo mi invitò a fare un picnic. Raggiungemmo una collina, e lì stese la  coperta, sotto le stelle.
Mi confessò ciò che aveva detto ai suoi amici. Ma lo fece in modo così rude che ci rimasi male per giorni. Appena terminò la frase raccolsi le mie cose e, senza dire nulla, me ne andai. Per la settimana successiva non lo chiamai, non risposi ai suoi messaggi e nemmeno andai al bar.
Era stato più romantico quando l ‘aveva detto ai suoi amici. A me, invece, si era limitato a dire: “ I miei amici mi hanno detto che provo qualcosa per te”. Innanzitutto, i suoi amici gli avevano fatto dire, non gli avevano detto. In secondo luogo, aveva addirittura organizzato un picnic sotto le stelle, possibile che non fosse capace di una dichiarazione perlomeno decente?
Passai molto tempo con Alex, quella settimana. Mi aiutò e mi supportò, ma soprattutto mi fece capire che Eric meritava una seconda possibilità.
Le diedi ragione e ripresi a frequentare Eric. La prima volta che tornai da lui mi presentai al bar come facevo abitualmente prima. Appena mi vide il suo viso si illuminò.
Parlando scoprii che era male coi voti a scuola, così decisi di usufruire della mia bella media per aiutarlo, e due volte a settimana lo aiutavo coi compiti.
La sera del mio ritorno al bar, lo trovai fuori casa con tre rose rosse. Si scusò e dichiarò di essere innamorato di me. Lo abbracciai e passammo la sera a guardare le stelle.
Per le successive due settimane tutto procedette alla normalità, eccezione fatta per il rapporto tra noi due. Eravamo più affiatati, anche se di poco.
Poi venni a sapere dai miei genitori che per la fine della scuola era previsto un trasferimento in una lontana città, a tre ore e mezza dal mio paese. Ci stetti male per settimane intere, fino a che comunicai a Eric che dovevamo interrompere i rapporti. Non gli spiegai nulla, lo facevo per lui, perché non soffrisse.
Più volte cercò di farmi cambiare idea, ma ero irremovibile. Quando andavo in giro con Alex e, per caso, lo incontravamo, lo ignoravo deliberatamente, fingendomi contenta e serena. Ma dentro di me stavo crollando.
Avrei voluto solo stare ancora tra le sue braccia, avrei voluto avere un suo bacio, che mai mi diede. Il nostro contatto fisico maggiore era stato un abbraccio.
Stavo male, stavo malissimo. Continuai gli studi tentando di non rovinare la media, ma non avevo più voglia di far niente.
Lentamente mi accorsi che anche Eric sembrava riprendersi, come gli avevo dato l’illusione di fare io.
Vedendolo più sereno cercai di riprendermi, e ci riuscii, anche se non del tutto.
Oggi è l’ultimo giorno di scuola. Stavo salutando per l’ultima volta i miei amici, anche perché non li avrei mai più rivisti, quando mi accorgo di Eric.
Gli sorrido, avvicinandomi.
Lui ricambia, ma il suo sorriso è triste, rassegnato, deluso.
- Ehi… -sussurro –Cosa ci fai qui? Mi pare tu sia due classi più avanti…
Lui sorride. Mi rendo conto che ha gli occhi lucidi. Ha sempre cercato di tenersi i suoi sentimenti per sé, lo so bene. Anche quando stava male non te ne accorgevi, perché indossava la sua maschera. Ma ora, ora mi sembra proprio che quella maschera se ne sia andata.
- Sono venuto a salutarti. E non c’è differenza, dato che, come loro, nemmeno io ti vedrò più… -sussurra amareggiato, distogliendo lo sguardo da me e rivolgendolo alla parete.
Sospiro.
- Tuttavia, dovevo dirti ancora qualche cosa –riprende prendendomi le mani. Deglutisco.
- Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. Sei stata un fulmine a ciel sereno, che ha rischiarato la mia vita. Tu mi hai reso migliore. Mi hai tenuto lontano dai guai, mi hai aiutato quando ne avevo bisogno. Mi hai aiutato a capire la differenza tra bene e male, tu mi hai reso la persona che ho sempre voluto essere. –la sua voce trema – La mia vita non ha senso senza di te, Julia. Io non posso vivere senza di te, sei la mia unica ragione di vita. Ho dovuto venirlo a sapere dalla tua migliore amica che ti trasferivi, e lì ho capito perché avessi voluto lasciarmi. Non perdo l’occasione per comunicarti tutto il mio disappunto.
Sorrido. E, poco lontano da me, so che la mia professoressa di italiano, che caso strano lo è anche nella classe di Eric, sta facendo lo stesso.
- Sei la luna in un cielo di stelle.  –continua mentre le lacrime prendono a rigargli il viso e il suo sorriso si trasforma in una smorfia di dolore – Sei la mia luna. Senza di te io non sono nessuno.
Dietro di me sento qualche mia amica dire “Ohhhhh!”, in commento a tutta la sua dolcezza. E so anche che se fossimo in una sitcom americana al posto delle risate i commentatori farebbero lo stesso.
Inizio a piangere e gli salto al collo. Lui mi stringe a sé con forza, come se avesse paura di lasciarmi andare. Gli carezzo la nuca mentre vengo scossa dai singhiozzi. Non voglio andarmene, voglio restare qui con lui. Ma non posso. So che non posso. E questo mi fa male.
Le sue mani calde mi carezzano la schiena. Vorrei restare abbracciata a lui per sempre, ma non si può. Mi separo lentamente da lui, gli carezzo una guancia umida. Mi asciugo gli occhi velocemente, ricordandomi mi poco distanti da noi ci sono i miei compagni di classe e le mie professoresse.
Arrossisco, sorrido e mi guardo attorno. Qualche mia amica piange commossa, la mia insegnante di italiano si asciuga gli occhi con un fazzoletto.
E mi rendo conto che, per quanto dolce possa essere stato questo momento, è l’ultimo che passerò con Eric.
Gli lancio un’ultima occhiata, voglio ricordarmelo bene. Mi volto e mi avvio verso la porta d’ingresso della scuola, determinata ad andarmene.
Ma una mano calda mi pende il polso, bloccandomi. Mi volto, sapendo già chi è e pronta ad urlargli di lasciarmi andare, consapevole che, per quanto doloroso possa essere, sarà l’unico modo per farglielo fare.
Ma non faccio in tempo, perché appena mi volto Eric mi attira a sé, la mano che aveva sul mio polso la sposta su un mio fianco, mentre l’altra prende ad accarezzarmi il viso. Ho una frazione di tempo per capire cosa sta accadendo, poi Eric posa le sue labbra sulle mie. Mi sento rabbrividire, il suo tocco mi fa rabbrividire.
Mi stringe a sé, deciso a ricordare questo momento. Veniamo avvolti da una campana di vetro, tutto quello che è fuori non ha importanza.
Quando le nostre labbra si separano, rimango con la fronte appoggiata alla sua, le lacrime che mi solcano il volto. Eric mi prende il viso tra le mani.
- Ti amo –sussurra. Sono solo due parole, ma dentro di me scatenano una tempesta. Sto per rimettermi a piangere, ma mi rendo conto che anche io devo dirgli una cosa.
- Ti amo anch’io, Eric –singhiozzo. Lui sospira. Adesso mi abbraccerà, poi sarò costretta ad andarmene.
Dolcemente, con il tocco morbido delle sue mani, mi asciuga il volto. Restiamo a fissarci per qualche secondo.
Poi, con uno scatto felino, mi prende il viso tra le mani e mi bacia di nuovo.
 

NOTA AUTRICE:

*si asciuga e lacrime* Ehm, salve a tutti!
Non è la mia prima storia romantica, bensì la mia prima One-Shot. Che ne dite? Gradirei se inseriste una recensione! 
Grazie mille a tutti quelli che la leggeranno!
Un bacio, emmegili

 
   
 
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