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Autore: _endlessly_    11/08/2015    1 recensioni
"Subito rimase gelata al suo posto. La pochissima luce che proveniva dalla tromba di scale dalla parte opposta del corridoio unita alla luce della torcia permetteva alla ragazza di vedere quasi chiaramente l'interno della stanza. Il piccolo cucinino che aveva visto prima illuminato, un frigorifero, un tavolo di legno al centro della stanza con sei sedie intorno, due piccole dispense e un lume che pendeva dal centro del soffitto fin sopra la tavola. Ma non era stato lo scarso arredamento della stanza a far spaventare la ragazza. Infatti, dall'altra parte del tavolo, rigidamente seduto, c'era un ragazzo.
E che ragazzo!
Amice riusciva a scorgere i suo lineamenti affilati e la sua mascella leggermente squadrata senza sforzarsi più di tanto, con un po' più di fatica capì che aveva dei folti capelli castani, un naso pronunciato e delle labbra rosse perfettamente disegnate. Aveva una mela in mano, e si era fermato con il braccio a mezz'aria quando aveva visto la porta della cucina aprirsi e una ragazza apparire sulla soglia."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Amice aveva fame.
Era in quel maledetto collegio da una settimana e aveva mangiato solo una mela e un piatto di spaghetti. Si potevano dire un sacco di cose belle sulle suore del "St. Maryline College": che fossero buone, amorevoli, generose e disponibili era noto a tutti, ma, purtroppo, non eccellevano per quanto riguardava l'arte culinaria. Certo, avrebbero potuto assumere dei cuochi! Ma la regola numero uno delle suore era: chi fa da se, fa per tre. Infatti, loro si occupavano di tutto, aiutate ovviamente dalle loro giovani protette.
Le ragazze del collegio, che erano circa una cinquantina, avevano un'età compresa dai dodici ai diciassette anni. La più vecchia di quel gruppo si chiamava Kim, ed era nel collegio da quando aveva undici anni. La penultima arrivata, prima di Amice, si chiamava invece Selena, ed era nel collegio da tre mesi. Quindi, se tutte le altre ragazze avevano imparato ad accontentarsi delle scarse capacità culinarie delle suore, Amice non si era ancora abituata a quelle frittate annacquate e alla pasta cruda.
Dannazione, lei proveniva da una ricchissima famiglia del Michigan, era abituata a colazioni con salsicce, pranzi sontuosi e cene a base di pesce!
Non sarebbe resistita un mese con la dieta ferrea delle suore.
Per questo, già dal primo giorno, la diciassettenne aveva cercato di sgattaiolare, nel ben mezzo della notte, nelle cucine della struttura. La prima volta che ci aveva provato era stata sfortunata: era appena uscita dalla sua stanza che aveva rischiato di trovarsi faccia a faccia con Suor Carmelita. Così aveva scoperto che le suore facevano anche turni di guardia fuori dalle stanze delle ragazze. Per la paura di essere scoperta, e magari rispedita ai suoi genitori, quella notte non era più uscita. La seconda e la terza notte le aveva passate spiando i movimenti delle suore di guardia dal piccolo buco della serratura della porta della sua stanza; aveva così scoperto che Suor Carmelita staccava alle due, e prima dell'arrivo di Suor Angela c'era un intervallo di circa dieci minuti. Sufficiente tempo per permettere alla ragazza di scendere nelle cucine con tutta la calma del mondo.
La quarta notte era riuscita ad eludere la sorveglianza delle due suore, ma aveva passato quasi mezz'ora cercando di orientarsi all'interno di quella struttura immensa che non conosceva ancora bene, e quando finalmente era riuscita a trovare la cucina era stata costretta a nascondersi in un ripostiglio perché Suor Carola e Suor Cecilia stavano amabilmente conversando alle tre di notte davanti ad una tazza di tè fumante. Senza nemmeno accorgersene, Amice aveva finito per addormentarsi in quel ripostiglio.
La quinta notte l'aveva passata a dormire. Quella mattina aveva attirato non pochi sguardi curiosi per via della sua espressione stravolta e delle sue occhiaie. Tutte però, sia le suore sia le altre ragazze, avevano pensato che si trattasse di incubi, molto ricorrenti nei primi mesi al collegio, e non le avevano fatto domande. Amice però aveva preferito non rischiare ed aveva deciso di concedersi almeno una notte di sonno.
La sesta notte aveva ripreso la sua escursione ma, arrivata in prossimità della cucina, aveva trovato di nuovo la luce accesa, e la direttrice del collegio che dormiva con la testa appoggiata al tavolo. Non volendo rischiare di svegliare l'anziana donna, si era rassegnata a passare un'altra notte nel ripostiglio.
Adesso, alla settima notte, si sentiva stranamente euforica ed eccitata, e, non appena Suor Carmelita scomparve dietro l'angolo, uscì in fretta dalla sua stanza e si diresse verso le cucine. Attraversò il corridoio del terzo piano in punta di piedi, quasi si aspettasse di veder comparire qualche suora da una delle numerose porte di legno scuro, scese le scale fino al secondo piano che poi attraversò con un ritmo molto più incalzante. Arrivò al piano terreno senza incontrare ostacoli, poi però si affrettò a nascondersi dietro una colonna di marmo e si costrinse ad aspettare. Contò fino a venti, prima di vedere la figura familiare di Suor Isidora, la sua insegnate di cucito, attraversare il corridoio diretta al secondo piano, dove doveva fare il turno di guardia. Quando la figura della suora fu scomparsa su per la rampa di scale, uscì dal suo nascondiglio e riprese la sua discesa alla volta del sotterraneo, dove si trovava la cucina.
Il corridoio dei sotterranei era buio e umido e, lungo tutto il corridoio, si trovavano solo due porte: il ripostiglio e la cucina. Se il ripostiglio era delimitato da una sottile porta di legno marcio, la cucina faceva bella mostra di una porta di metallo, che non faceva passar il freddo e l'umido.
Certo che i soldi non mancavano a quelle suore!
Amice si mosse silenziosa come una gatta fine alla porta, sbirciando poi dalla piccola finestrella trasparente che si trovava su di essa.
Stava quasi per aprire la porta, convinta dal buio della stanza che al suo interno non ci fosse nessuno, quando la fioca luce di una torcia illuminò il cucinino che si trovava dalla parte opposta della stanza. Spaventata dal fatto che potesse essere una suora, la ragazza si abbassò per non essere vista e si impose di restare calma. Di sicuro non era una suora quella in cucina, se fosse stata una suora avrebbe acceso la luce. Quindi, data la mancanza di inservienti e di personale, quella nella cucina poteva esser solo una delle altre ragazze.
Rinfrancata, Amice aprì la porta senza indugi.
Subito rimase gelata al suo posto. La pochissima luce che proveniva dalla tromba di scale dalla parte opposta del corridoio unita alla luce della torcia permetteva alla ragazza di vedere quasi chiaramente l'interno della stanza. Il piccolo cucinino che aveva visto prima illuminato, un frigorifero, un tavolo di legno al centro della stanza con sei sedie intorno, due piccole dispense e un lume che pendeva dal centro del soffitto fin sopra la tavola. Ma non era stato lo scarso arredamento della stanza a far spaventare la ragazza. Infatti, dall'altra parte del tavolo, rigidamente seduto, c'era un ragazzo.
E che ragazzo!
Amice riusciva a scorgere i suo lineamenti affilati e la sua mascella leggermente squadrata senza sforzarsi più di tanto, con un po' più di fatica capì che aveva dei folti capelli castani, un naso pronunciato e delle labbra rosse perfettamente disegnate. Aveva una mela in mano, e si era fermato con il braccio a mezz'aria quando aveva visto la porta della cucina aprirsi e una ragazza apparire sulla soglia.
Anche lui fissava la ragazza con interesse. Era in appostamento nei giardini antistanti il collegio da settimane, e non l'aveva mai vista. Uno sguardo ai suoi capelli,  biondi sicuramente e perfettamente curati e raccolti in una coda alta, e al suo viso che pareva scolpito tanto era perfetto, bastò a fargli capire perché. Quella era, con tutta probabilità, una delle classiche ragazze dalla puzza sotto al naso.
I due ragazzi rimasero a squadrarsi per minuti interi, prima che Amice si riscosse e fissasse le sue iridi color caramello in quelle scure e ordinarie del ragazzo.
-Chi sei?- gli chiese Amice, sforzandosi di apparire più sicura di quanto fosse in realtà.
Jonathan, da parte sua, sbarrò gli occhi. La voce di quella ragazza era quasi del tutto uguale a quella di sua madre! Fresca, limpida, come una secchiata di acqua gelida che ti riscuote da un torpore. Certo, sua mare possedeva un tono di voce leggermente più carezzevole della ragazza che gli stava di fronte, ma l'effetto era quello. La calma glaciale prima della tempesta.
-Chi sei?- chiese di nuovo la ragazza, vedendo che lui non si era mosso ne aveva aperto bocca, la mela ancora stretta in pugno.
Sembrò riscuotersi a questa sua seconda domanda e posò la mela sul tavolo, mosse poi la mano in direzione della ragazza, in un chiaro invito ad accomodarsi. Vedendo però che lei era intenzionata a non muoversi si decise a parlare.
-Sono Jonathan, madame- disse con un sorriso sghembo ad incorniciargli il viso -E saresti così gentile da chiudere la porta, vorrei evitare di essere visto dalle suore-
Amice si girò solo un attimo per chiudere la porta, per poi tornare a guardare quel ragazzo, Jonathan, preoccupata di esporre le spalle  alla sua mercé.
-E cosa ci fai qui?- gli chiese poi, spostando il peso da una gamba all'altra.
-Non mi hai ancora detto il tuo nome, ragazza- disse lui ignorando volutamente la domanda e osservando divertito il suo disagio.
-E non ho intenzione di farlo-
Amice si stupì del suo stesso coraggio. Per quanto ne sapeva, quel ragazzo sarebbe potuto essere un ladro, un assassino, un serial killer venuto per uccide tutte. Ma la verità era che il suo sguardo, quel viso ordinariamente perfetto, era del tutto amichevole e per niente ostile, come se al ragazzo facesse addirittura piacere averla lì. Spinta da chissà quale forza invisibile, si sedette proprio di fronte a lui, che nel frattempo aveva ripreso a mangiare la mela. Quando fu arrivato più o meno a metà della mela, Amice rincarò la dose.
-Non mi hai ancora risposto-
-Nemmeno tu- rispose prontamente lui, fissandola ancora con quegli occhi da volpe che la mettevano a disagio.
-Amice- disse alla fine sconfitta. Lei era un tipo molto curioso, e voleva veramente sapere cosa ci facesse lì quel ragazzo.
-Avevo fame-
La risposta diretta del ragazzo la mandò un attimo in confusione, di che cosa stava parlando? Poi si ricordò della domanda che gli aveva fatto e sorrise.
-Anch'io-
Jonathan le lanciò una mela che lei prese al volo, fissò il frutto rosso e rotondo prima di abbandonarlo sul tavolo e alzarsi sotto lo sguardo curioso del ragazzo. Si diresse verso la prima delle due dispense della stanza e la aprì, cercando di trovare al suo interno qualcosa che le avrebbe riempito lo stomaco.
-Come sei entrato?- continuò a chiedere al ragazzo che, nel frattempo, seguendo il suo esempio, si era diretto verso il frigo e l'aveva aperto.
-Come credo sei entrata anche tu. Aspettando che le vecchiette si allontanassero e sgattaiolando dalla porta principale-
-Ma io non sono passata dalla porta principale, cioè io vivo qui- la ragazza lo fissò confusa per alcuni attimi prima di prendere dalla dispensa una barretta di cioccolato e cominciare a scartarla.
-Ma davvero?-
Ovviamente Jonathan sapeva che viveva lì, ma, già che c'era, voleva divertirsi un po', e quale modo migliore di far arrabbiare quella bellissima ragazza?
-Mi stai prendendo in giro?- chiese Amice fissandolo incuriosita.
-Non mi permetterei mai- rispose il ragazzo trattenendo le risate mordendosi il labbro.
Amice lo fissò spezzante da sopra la spalla prima di rinunciare definitivamente.
-Credevo che le suore dessero da mangiare alla loro protette- esordì il giovane, in un disperato tentativo di fare conversazione, almeno secondo il punto di vista di Amice.
-Se per mangiare intendi un uovo crudo e della pasta dura! Sono qui da una settimana e sto praticamente a digiuno!-
Jonathan non riuscì a evitarsi di ridere davanti al tono concitato della ragazza.
-Scommetto che un'aristocratica come te è abituata a pasti ben più regali- la stava facendo innervosire, lo capiva da come le sue spalle si erano irrigidite e dalle mani strette in pugno. La vide girarsi e si ritrovò a fissare i suoi occhi quasi come fossero due calamite.
-E tu che ne sai? Mi conosci per caso?- quell'aria di sfida stava tentando Jonathan più di qualsiasi altra cosa, posò lo yogurt ai mirtilli che aveva trovato sul tavolo e si appoggiò alla superficie dura con un sorriso divertito ad incorniciargli il viso.
-No. Ma conosco le persone che vengono in questo posto. Tutta gente ricca, con la puzza sotto il naso; i genitori le mandano qui per insegnarle le buone maniere e poi se le rivengono a riprendere, trovandole ancora più saccenti di prima- aveva usato un tono duro e Amice ne fu profondamente colpita, che sapesse di cosa stava parlando?
-Probabilmente io sarò l'eccezione alla regola- la ragazza rise dopo aver detto queste parole, una risata fredda e senza allegria.
-Che intendi dire?-
-Oh, andiamo! Ho praticamente detto ai miei genitori che non ho intenzione di sposare il damerino che hanno spacciato per ventenne! Mio padre mi ha mandata qui immediatamente, ha cambiato il mio nome in municipio e probabilmente sta aspettando solo che compia diciotto anni per eliminare sua figlia dalla faccia della terra!- altra risata.
Amice era esausta. Le piaceva la vita che faceva a casa sua, essere servita, essere accettata da tutti; ma non si sarebbe sposata contro la sua volontà, con uno sconosciuto per di più. E quando aveva detto tutto questo a suo padre.....si era vista la vita strappata via. Mandata a marcire in un collegio in attesa che tutti si dimenticassero di lei. Avrebbe compiuto diciotto anni tra un mese, e allora sarebbe stata libera di cambiare vita. Voleva andarsene, dall'America. Probabilmente avrebbe svolto qualche lavoro part time per un paio di anni, in attesa di guadagnare una somma ingente di denaro, poi avrebbe preso il primo volo per la Francia, sperando di riuscire a sopravvivere là.
-Io vivo praticamente da eremita da quando è morta mia sorella- rispose il ragazzo. Il suo viso era duro, irrigidito. Quasi si aspettava che Amice se ne uscisse con un "mi dispiace" come facevano tutti. Rimase abbastanza sorpreso quando la vide sedersi, la tavoletta di cioccolata ancora in mano, come per incitarlo a continuare.
-Un po' di tempo fa veniva anche lei qua..- iniziò Jonathan ma fu subito interrotto dall'altra.
-Un po' di tempo fa?-
-Otto anni- sorrise quando la vide sgranare gli occhi incredula.
-Ma tu quanti anni hai?- gli chiese allora curiosa.
-Ventisette-
Quando si fu assicurato il silenzio da parte della ragazza ricominciò a parlare.
-Ci eravamo appena trasferiti qua, insieme a nostra madre. Lei è morta dopo un anno, io non sapevo come fare per occuparmi di lei e l'ho mandata qui. Forse sarei dovuto essere più presente, sarei dovuto andare a trovarla di più. Si è uccisa dopo un paio di mesi, troppo stress.-
-Com'era tua sorella?- gli chiese Amice, stupendo anche lei. Insomma, era impazzita? Non si sarebbe stupita se Jonathan le avesse tirato un pugno!
-Si chiamava Amy- sorrise nostalgico mentre si perdeva nei ricordi fissando quella minuta ragazza che lo stava stupendo sempre di più con i suoi modi di fare -Era molto alta per la sua età, aveva capelli nerissimi  occhi grandi azzurri. Era veramente bellissima, come mia madre. Tu un po' me la ricordi sai? Mia madre-
Lei parve stupita e lo guardò intensamente, spronandolo a continuare.
-Anche lei era un tipo curioso, quell'aria da gelida gattina pronta a diventare una tigre- spiegò sorridendo davanti alla ragazza.
-E questo è un bene o un male?- chiese Amice incerta, timorosa di rompere quell'atmosfera di confidenza che li avvolgeva.
Lui inclinò la testa da un lato: -Bene, credo-
-Quindi che lavoro fai?- continuò il suo interrogatorio Amice, più che mai interessata alla vita del ragazzo.
-Lavoro in un bar, ma con un guadagno così pessimo che riesco a mala pena a pagarmi l'affitto di casa, quindi diciamo che ogni tanto entro qui dentro e prendo un po' di roba da mangiare- spiegò lui alzando le spalle.
Rimasero per un po' in silenzio, assorti nei loro pensieri, senza smettere di scrutarsi un secondo e con la fame dimenticata.
-Mi hai fatto l'interrogatorio!- esordì ad un certo punto Jonathan ridendo. Amice si unì a lui dopo poco.
Rimasero a sghignazzare per minuti interi riprendendo appena i loro occhi si incontravano di nuovo.
Amice era stupita da se stessa: raccontare tutta la sua vita ad un ragazzo conosciuto appena pochi minuti prima, un ragazzo che sarebbe certamente passato per un ladro. Anche Jonathan era sorpreso: stava ridendo con una ragazza che avrebbe potuto denunciarlo da un momento all'altro. Sapeva che doveva andarsene adesso, che non aveva manifestato ancora cattive intenzioni, ma uno strano senso di oppressione gli attanagliava lo stomaco quando lei spostava lo sguardo, un vuoto che si colmava solo quando i loro occhi si incontravano. Ma che gli stava succedendo? Non la conosceva nemmeno da un'ora! Sempre che conoscere fosse la parola giusta.
Amice si alzò all'improvviso, le era venuta sete, la bocca era diventata improvvisamente asciutta. Si avvicinò al frigo, dando le spalle a Jonathan, non più preoccupata di quello che poteva farle. Ad un certo punto sentì il rumore della sedia che strideva sul pavimento ed un attimo dopo si trovava stretta tra il corpo di Jonathan e l'anta del frigorifero.
Così vicini, che solo un paio di centimetri li separavano, Amice si accorse di non arrivargli nemmeno al mento, piccola com'era. Si fissarono negli occhi per minuti interminabili e poi le loro labbra si incontrarono con uno schiocco.
Si baciarono, un bacio che sapeva di sconfitta, di resa, disperazione. Amice si aggrappò a Jonathan come se fosse la sua ancora, e Jonathan toccò con le mani la pelle di quella ragazza, come per accertarsi che fosse vera, e non un frutto della sua immaginazione.
Il ragazzo deviò il percorso della labbra per dirigerle verso il suo collo, lasciandole una scia di baci infuocati che fecero fremere Amice. Jonathan continuò fino ad arrivare alla spalla nivea, che espose completamente spostando il sottile tessuto dl pigiama. Le diede un morso leggero che la fece urlare sorpresa. Riprese a baciarla, una mano tra i suoi capelli e un'altra impegnata assaggiare la morbidezza della sua pelle.
Quando si staccarono si fissarono negli occhi, ancora stretti.
-Se vuoi- disse Amice, spinta da un coraggio che non credeva di avere -Vengo con te.-
Jonathan la guardava sorpresa, stava dicendo quello che pensava?
-Intendo, io compirò diciotto anni tra un mese, poi sarò praticamente sola, e tu sei l'unica persona che è riuscita a capirmi e, insomma, mi sembra una buona idea....- il suo monologo fu interrotto da un nuovo bacio bollente, ancora più bisognoso del primo.
-Vieni con me- le sussurrò Jonathan a fior di labbra, prima di prenderla per mano e trascinarla fuori dalla cucina.
Corsero, senza fermarsi e senza incontrare nessuno. Quando arrivarono al portone avevano entrambi il fiatone, ma a nessuno dei due importava. Jonathan lo aprì con un calcio e uscì fuori precedendo la ragazza.
E mentre al collegio una sorpresa Suor Angela si accorgeva dell'assenza della nuova ragazza, la suddetta correva felice per i prati verso la sua nuova vita.
  
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