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Autore: hinata 92    11/08/2015    3 recensioni
Chi non ricorda Jack-Jack Parr, il neonato dotato di capacità straordinarie? Sarà destinato a seguire le orme paterne, avrete pensato tutti. E se invece durante la crescita avesse perso ogni potere? Come potrà affrontare da solo un'impresa molto più grande di lui?
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edna Mode, Jack-Jack Parr, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Supereroe per caso

Normale e fiero di esserlo

 

La donna bussò delicatamente alla porta: «Jack-Jack?»

Nessuna risposta, ovviamente, da parte del figlio, ma un rumore ritmico fece intuire a Helen che il ragazzo stava ascoltando musica a tutto volume con le cuffie. Sospirando, la donna allungò un braccio sotto la porta, lo fece scorrere silenziosamente all’interno della stanza, che conosceva come le sue tasche, e staccò il jack delle cuffie dal lettore mp3.

Jack-Jack, coricato sul letto mentre leggeva, protestò: «Mamma!»

La donna ritirò il braccio e aprì la porta: «Non mi rispondevi, che altro potevo fare?»

Il ragazzo sbuffò: «Fare come tutte le mamme di questo mondo, chiamare più forte! Oppure accorgerti che la porta era aperta...»

Helen alzò gli occhi al cielo. I figli adolescenti, che problema! Ci era già passata due volte, ma era sempre una nuova avventura. Jack-Jack, poi...

«La cena è pronta.»

Il quattordicenne buttò via cuffie e rivista di evidente malavoglia: «Sì, arrivo, arrivo...»

Rimasto da solo, sospirò, come faceva sempre da quanto poteva ricordare. Jack-Jack, o J.J. come lo chiamavano tutti, scontava una condanna, una maledizione per la quale ogni giorno della sua vita si chiedeva cosa avesse fatto di male per meritarsela. Una famiglia di supereroi, una famiglia piena di assurde stranezze. Insopportabile per chi, come lui, di superpoteri non ne aveva neanche un po’.

Oh, li aveva avuti. Come gli raccontavano da sempre, da bebè aveva dei poteri straordinari. Narravano le leggende familiari che lui, indomito, da solo, avesse sconfitto un super-cattivo, là, dove tutta la sua famiglia aveva fallito. Le cronache descrivevano un bambino vivace, dotato di capacità incredibili persino per un supereroe, che nonostante non sapesse dire più di qualche verso incomprensibile sgominava criminali nelle pause fra un sonnellino e una poppata al biberon. Poi, evidentemente, sua madre insieme all’ultimo pannolino doveva aver gettato nel cestino anche quegli strani poteri, perché da allora Jack-Jack non era più stato in grado di fare nulla di straordinario. Suo padre, che già l’aveva immaginato come il supereroe più superlativo mai esistito, l’aveva portato da ogni medico specializzato nel settore, ricevendo da tutti una spiazzante diagnosi di perfetta normalità. Suo figlio non era malato, semplicemente non era super. E allora come spiegarsi le sue straordinarie imprese, degne di un eroe della mitologia nordica, almeno a giudicare dai toni con cui venivano narrate?

Le ipotesi erano state le più varie: dai poteri a scadenza, a quelli intermittenti, fino all’ipotesi a cui Bob Parr si era aggrappato con tutte le sue speranze: i poteri di Jack-Jack forse erano così potenti da interferire con la normale crescita del bambino, e il suo corpo era stato costretto a metterli “in stasi” fino a che non avesse raggiunto un livello di sviluppo tale da permettergli di utilizzarli di nuovo.

Qui era nata la personale tragedia della cena di J.J.: ogni singola sera, da quando il ragazzo aveva memoria, suo padre lo interrogava per chiedergli se per caso quel giorno fosse successo qualcosa di straordinario. Da piccolo era felice di avere sempre un momento tutto per lui con il suo papà, in cui raccontargli cosa aveva fatto nella giornata, ma non ci mise molto a notare l’aria sempre delusa di Bob alla fine del suo resoconto e a giungere a una logica conclusione: a suo padre, di lui, non importava poi molto. Gli interessavano solo i suoi poteri fantasma, che neanche ricordava di aver mai avuto e che gli sembravano sempre più una favola o una leggenda. E a quel punto Jack-Jack si era chiuso in una riservatezza sempre più stretta, rispondendo giusto quando era necessario e sviluppando una profonda e radicata antipatia per tutto quello che era strano, assurdo, super o con qualsivoglia nome lo si chiamasse.

Lui era normale, l’unico normale in una famiglia di supereroi. Ed era fiero di esserlo, qualunque cosa ne pensassero gli altri.

 

«Ciao, J.J.»

«Ciao, papà.»

Il ragazzo si guardò intorno: «Flash?»

La madre gli rispose dalla cucina: «È fuori per lavoro.»

Jack-Jack sbuffò. Lavoro? Flash era un supereroe con orario d’ufficio, se dopo le sette di sera diceva di essere al lavoro, in realtà era fuori con una ragazza, ormai lo conosceva bene. Il ragazzo non stimava molto il fratello maggiore: borioso e megalomane, al punto da aver usato come nome da supereroe quello reale. Per quella scelta J.J. si era arrabbiato parecchio con lui: già che c’era, voleva mettere scritto sulla tuta anche l’indirizzo di casa, così i super-cattivi lo venivano a prendere direttamente a domicilio, mettendo in pericolo tutti?

Decisamente Violetta era la sua sorella preferita, e rimpiangeva i tempi in cui abitava ancora con loro. Lei, a differenza del resto della sua famiglia, aveva vissuto gran parte della sua vita in una forzata normalità ed era la persona che lo capiva di più. Apprezzava, inoltre, la sua scelta di non fare la supereroina. Violetta aveva infatti deciso di diventare giornalista. E chi meglio di lei e della sua tendenza a rendersi invisibile, in tutti i sensi, poteva carpire i segreti più scottanti della società?

Ma quella sera erano solo lui e i suoi genitori.

Bob lo guardò con una luce raggiante negli occhi: «Steve mi ha detto della tua impresa!»

J.J. alzò gli occhi al cielo: «Steve esagera sempre, papà...»

«Hai salvato una macchina!»

«Suo padre ha avuto un colpo di sonno e io mi sono limitato a tirare il freno a mano. Non lo definirei esattamente un “salvataggio” da supereroe...»

L’uomo insistette speranzoso: «Ma per intervenire al momento giusto servono nervi d’acciaio! Riflessi pronti! Tempismo preciso!»

Jack-Jack ridacchiò: «Che ti devo dire? Sarà stato un piccolo guizzo del vostro gene del supereroe silente nel mio DNA...»

«Poca ironia, J.J.! È  un segno! Sta per giungere anche per te il momento di dedicarti alla nobile attività di salvare vite innocenti!»

Il ragazzo ringraziò mentalmente di non avere ereditato la super forza del padre, o la forchetta che stava stringendo con più forza del necessario si sarebbe già piegata fra le sue dita: «Io non posso fare il supereroe, papà, quante volte te lo devo dire?»

«Se solo lo volessi, tu...»

«Io non ho superpoteri, papà. Non è una questione di volontà. Non ce li ho. Fine della questione! Perché non lo accetti?»

Bob si alzò in piedi: «Perché non è vero! Io ho visto con questi occhi cosa sei in grado di fare, Jack-Jack!»

Il ragazzo tenne per sé la battuta di farsi prescrivere un paio di occhiali migliore: «Cosa ero in grado di fare. Senti, mi dispiace che sia andata così, ok? Ma perché a questo punto non posso farmi la mia vita?»

L’uomo batté un pugno sul tavolo, rischiando seriamente di sfondarlo: «Perché non posso accettare che mio figlio voglia fare l’odontoiatra invece che salvare la vita delle persone!»

Il ragazzo non poté non notare che il padre aveva pronunciato il mestiere con un tono che sapeva d’insulto: «Salvare anche i denti delle persone mi sembra un’onesta occupazione con un’utilità sociale, al pari del supereroe. Anche Violetta non fa la supereroina, ma di lei non ti lamenti mai!»

«Lei non era dotata come te!»

J.J. sospirò, alzandosi dal tavolo: «Inutile, con te non si può ragionare. Mi è passata la fame, me ne vado in camera mia. Buonanotte.»

Era un copione frequente in casa sua. Probabilmente i suoi ora avrebbero litigato, ma lui non sarebbe rimasto ad ascoltarli. Se ne sarebbe tornato in camera sua, dalla sua musica e dalla sua normalità, in pace.

 

«Hai di nuovo litigato con i tuoi, vero?»

Jack-Jack fece una smorfia: «Si vede così tanto?»

Melanie gli sorrise: «Quando lo fai non alzi gli occhi dal pavimento per tutta la giornata.»

Steve gli diede una pacca sulla spalla: «Su con la vita, amico! Sempre la solita questione?»

J.J. sorrise. Melanie e Steve, i suoi migliori amici. Squisitamente normali, come piaceva a lui. Amici con cui poteva nascondere le sue stranezze familiari, amici con cui poteva parlare di musica, di film e di tutte quelle cose normali da adolescenti. Era felice di poter passare quel pomeriggio d’estate con loro, con tutta la casa a disposizione.

«Sì. Non vuole proprio accettare che non voglia continuare... l’attività di famiglia!»

Steve si aggiustò gli occhiali: «Come non capirti? Nemmeno io vorrei passare la vita dietro una scrivania a occuparmi di assicurazioni...»

Jack-Jack sorrise tristemente. Non era arrabbiato con Steve per aver detto a suo padre del freno a mano. Dopotutto era stato anche un aneddoto divertente, di quelli che si ricordano per anni e su cui ci si fa una risata. In situazioni normali.

Melanie prese lo zainetto da dietro il letto di J.J.: «Massì, non pensarci...»

La ragazza dai capelli neri rovistò per un po’ all’interno, facendo uscire di tutto: l’immancabile rossetto nero che si metteva sempre sulle labbra, fazzoletti, libri... fino a trovare quel che stava cercando, un flauto traverso, strumento che suonava fin da bambina. Quanto stonava quel suo hobby con il suo stile rockettaro di vestirsi! Ma dopotutto difficilmente avrebbero mai associato a Steve, biondo, con le lentiggini, gli occhiali, magro come un chiodo, con quell’aria seria da signorino e l’onnipresente camicia bianca, la chitarra elettrica e, soprattutto, l’heavy metal... era quasi come se avessero entrambi una doppia identità musicale, diversa da quella che mostravano invece nella loro vita normale.

Jack-Jack, invece, non suonava nulla, ma si riteneva un buon ascoltatore.

Melanie si pulì il rossetto, per poi intonare qualche nota. Steve, invece, tirò fuori l’altra sua grande passione oltre la musica, l’unico vero difetto che Jack-Jack rimproverava all’amico.

«Stai ancora dietro a quelle sciocchezze?»

Steve si sistemò gli occhiali: «Proprio non capisco questa tua antipatia per i fumetti sui supereroi...»

J.J. sospirò. E come gliela poteva spiegare senza passare per pazzo?

Melanie finì il pezzo che stava suonando, poi disse: «Non sono sicura di essere pronta per l’esame di ammissione al conservatorio...»

Jack-Jack le sorrise: «Io invece penso di sì. Sei bravissima!»

Steve annuì senza alzare gli occhi dall’albetto: «È vero, fidati.»

Il giovane Parr fece una piccola smorfia: «Forse però hai steccato un po’ nell’ultima parte... fischiavi...»

Melanie lo guardò inorridita: «Davvero?»

«Non ne sono sicuro, in realtà... aspetta...»

Il ragazzo si avvicinò alla finestra della sua camera e la spalancò, aguzzando l’orecchio. Poi sorrise, voltandosi verso gli amici: «Tutto a posto, scusa! Era un rumore che proveniva da fuori, non eri t...»

I loro sguardi si erano fatti improvvisamente vacui e confusi.

«Ragazzi?»

J.J. si avvicinò preoccupato, passando loro una mano davanti agli occhi: «Ragazzi? Mi sentite?»

I due amici di tutta risposta si alzarono e si diressero verso la porta.

«Dove andate? Ragazzi!»

Jack-Jack era fuori di sé dall’ansia. Non gli piaceva per nulla quella situazione e quell’insistente ronzio sembrava volergli perforare le orecchie e il cervello non lo aiutava certo a concentrarsi...

La sua testa fece una strana quanto azzardata associazione mentale. Prima di quel misterioso fischio, i suoi amici erano normali, invece in quel momento sembravano quasi in trance... o sotto ipnosi...

Pensando a come poter tappare loro le orecchie in modo efficace, li seguì per le scale, che avevano entrambi iniziato a scendere in fila indiana, con passo lento e cadenzato. Jack-Jack li superò e cercò di trattenerli per le maglie o d’impedire loro il passaggio in ogni modo.

«Ragazzi! Ragazzi, per favore, smettetela, non è affatto divertente!»

Con la coda dell’occhio guardò fuori dalla finestra e l’ipotesi di uno scherzo di cattivo gusto iniziò a crollare come un castello di carte. Molte persone si stavano riversando in strada, con lo sguardo perso nel vuoto, come se un misterioso pifferaio di Hamelin li stesse attirando con il suono.

Approfittando di quel momento di distrazione, Steve e Melanie, con un’agilità inaspettata, si lanciarono contemporaneamente giù dalla rampa di scale, lasciando interdetto il ragazzo. Si affrettò a seguirli, senza mai smettere di chiamarli, notando però che la loro velocità era aumentata e che si dirigevano senza ombra di dubbio verso la porta di casa, diretti anche loro in strada. Non riuscendo a fermarli, J.J. fece per seguirli, ma giunto sull’uscio si fermò di colpo.

Cosa stava facendo? Si stava buttando dritto dritto nei guai, come un supereroe di terza categoria, di quelli dei fumetti di Steve. Proprio lui, poi! Quella storia aveva l’aria di essere maledettamente pericolosa e lui era completamente disarmato. Cosa pensava di fare, di salvare i suoi amici? E da cosa, poi? Quello era lavoro per Flash, non per lui! Che gli era preso? Forse, di nuovo, quel maledetto gene silente del supereroe che aveva deciso di dargli un segnale di vita, giusto il tempo di metterlo nei guai. Non lo sapeva con sicurezza, ma non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di dover andare. Flash stava tardando ad intervenire e questo era tutto fuorché normale. E se anche lui fosse stato ipnotizzato?

Il ragazzo scosse la testa. Perché improvvisamente era diventato così ansioso nei confronti del fratello? Lui era un supereroe, sapeva certamente come cavarsela meglio di quanto avrebbe potuto mai fare lui!

Però...

Indugiò ancora un momento sulla porta di casa. Non riusciva a togliersi di dosso l’opprimente sensazione, quasi un presentimento, che se fosse uscito, non ne sarebbe più rientrato.

Ma era inutile ripensarci, Melanie e Steve si erano già avviati e lui non poteva fare altro che seguirli.

 

E rieccomi qua, con un’altra storia sugli Incredibili, tutta incentrata su un piccolo (qui non più, in realtà) eroe che mi ha sempre affascinato, Jack-Jack. A quanto pare continuo ad essere l’unica scrittrice della sezione, ma pazienza…

Sperando che a qualcuno interessi questa storia e abbia la pazienza di seguirla, e magari di lasciare un commentino, vi aspetto al prossimo capitolo!

CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Hinata 92

  
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