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Autore: Antys    12/08/2015    4 recensioni
«Non darmi il contentino, Stiles. Dovresti sapere di cosa parlo» esordì con accusa il licantropo dall’altra parte della telefonata, profondamente offeso da quella mancanza di comprensione nei propri confronti.
«Stai parlando con il re degli sfigati. La ragazza dei miei sogni ha regalato il suo cuore a qualcun altro» gli ricordò vivamente il castano, come se ne avesse bisogno e non fosse evidente quanto detto. «Quindi no, non ho la più pallida idea di cosa parli» marcò con fluidità, nascondendo quella nota cinica che stava premendo in tutta la sua stazza, mostrando la parte sfinita di lui.
[Frammento estratto da The only sound you'll hear is the breath we're taking, ma cammina benissimo anche da solo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Don't Speak '
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Titolo: Anything you say can and will be held against you

PersonaggiDerek Hale, Stiles Stilinski, Scott McCall

Pairing: DerekxStiles [Sterek]

Rating: Verde

GenereIntrospettivo, Slice of life, Sentimentale

Avviso: One Shot, Slash, Missing Moments, What if?

Note: Consideriamolo un frammento estratto da The only sound you'll hear is the breath we're takingUn momento tutto suo che mostra qualcosa che era stato nascosto.

Collochiamolo tra la fine dell’ottavo capitolo e il nono.

Ambientata, di conseguenza, dopo la seconda stagione.

 

 

 

 

 

 

Anything you say can and will be held against you

 

 

 

 

 

 

«Sì, Scott, hai ragione, ma-» fu interrotto da un fiume in piena che lo esortava ad ascoltare meglio, pretendendo tutta la sua attenzione e comprensione.

«È vero. Ma, Scott-» fu messo a tacere nuovamente dall’altoparlante stridulo del suo Lumia, immergendolo in una nuova raffica di parole che potevano fargli concorrenza.

Stiles sbuffò esasperato, stanco di quelle continue interruzioni che non gli permettevano di dare le proprie risposte quando venivano richieste. O almeno, era quello che credeva.

Era una mattina particolarmente soleggiata, calda e umida perfino per gli standard di una giornata a cavallo tra la primavera e l’estate ed il figlio dello sceriffo si era ritrovato a rigirarsi nel letto vuoto dalle prime luci dell’alba, senza trovare piacere in alcun modo e cacciando le lenzuola per terra con i piedi, maledicendo quella temperatura terribile. Sembrava che ogni sforzo per ricadere tra le braccia di Morfeo fosse vano e si stava arrendendo esausto ad abbandonarle, finché il cellulare non aveva iniziato a squillare insistentemente, reclamando la propria persona. Non aveva neppure guardato chi fosse l’interlocutore che con smania lo esigeva ed era stato incastrato in una chiamata interminabile. Di Sabato.

Era immerso in quella contrattazione con il suo migliore amico da così tanto tempo che si era dimenticato ogni proposito autoimposto, perdendo la cognizione del trascorrere delle ore.

«Sai benissimo che la penso come te, ma sei stato proprio tu ad acconsentire alle sue richieste» disse con schiettezza in quella finestra minuscola che si era aperta per lasciarlo parlare, rigirandosi tra le dita l’evidenziatore verde bosco che teneva sul comodino, quello che rimaneva sempre a portata di mano e con cui si impegnava a giocare in qualsiasi situazione di noia e ozio, perché non riusciva mai a stare fermo.

Stiles lo adorava, lo adorava davvero tanto, ma a volte la sua controparte era davvero ottusa, portandolo a chiedersi, spesse volte, come avesse fatto ad uscire illesa e vincitrice ad ogni situazione lupesca in cui si erano imbattuti.

Il padrone di casa sospirò sommessamente, ascoltando la controbattuta che gli veniva inferta, allontanando di poco lo smartphone azzurro dall’orecchio e prendendo un respiro profondo.

Un’ombra scura si presentò davanti alla finestra a ghigliottina, oscurandogli la camera, che il castano ignorò prontamente. «L’hai lasciata andare, Scott. Devi solo aspettare che torni».

Una nuova tempesta alfabetica si abbatté su di lui e Stiles si sentì svuotato di ogni energia, perché erano ore che giravano intorno a quell’argomento e non riuscivano a venirne a capo.

Si girò appena verso la nuova figura che rimaneva seduta composta sul davanzale della finestra, guardandolo di sottecchi e rimanendo concentrato sulla telefonata. «Lo so che ti manca» pronunciò al suo interlocutore con tutta la comprensione del mondo, trattenendo quel nuovo sospiro affranto in fondo alla gola.

«Sì, Scott» asserì asciutto, voltando le spalle all’Alpha che continuava a guardarlo imperterrito dalla sua posizione assoluta, senza lasciarsi sfuggire alcun movimento. «Conosco l’entità del vostro amore immenso» proferì con sarcasmo tagliente, roteando gli occhi verso l’alto e ticchettando con le dita, sul retro del cellulare, un ritmo sconosciuto.

«Non darmi il contentino, Stiles. Dovresti sapere di cosa parlo» esordì con accusa il licantropo dall’altra parte della telefonata, profondamente offeso da quella mancanza di comprensione nei propri confronti.

«Stai parlando con il re degli sfigati. La ragazza dei miei sogni ha regalato il suo cuore a qualcun altro» gli ricordò vivamente il castano, come se ne avesse bisogno e non fosse evidente quanto detto. «Quindi no, non ho la più pallida idea di cosa parli» marcò con fluidità, nascondendo quella nota cinica che stava premendo in tutta la sua stazza, mostrando la parte sfinita di lui.

Gli mancava soltanto qualcuno che gli facesse tornare alla mente l’immagine di Lydia e Jackson che si ritrovavano e spezzavano la maledizione del Kanima con il loro grande, burrascoso ed infinito amore.

Un’immagine che gli era quasi costata la perdita di Derek.

Che vita ingrata.

Dall’altra parte della chiamata il Beta rimase in silenzio per alcuni momenti e Stiles poteva quasi vederla l’espressione turbata e rammaricata che adombrava il viso olivastro, mordendosi appena l’angolo della bocca per il terribile errore che aveva commesso. «Mi dispiace».

Ahi, ora era lui a sentirsi totalmente in colpa e cavolo, nessuno ci riusciva così bene come Scott McCall. «Va tutto bene, semplicemente non sono in possesso delle nozioni che potrebbero aiutarti» proferì pacato e con dispiacere premente per quel difetto che proprio non poteva colmare. «Non so nulla sull’amore, sull’amore corrisposto – esiste, ci crederesti mai? – e sull’amare incondizionatamente» dichiarò senza riserve e con voce limpida che annunciava il piccolo sorrisetto che gli colorava le labbra, togliendo e rimettendo al suo posto il tappo del pennello, producendo piccoli schiocchi di incastro. «In compenso sono un vero esperto sull’amore non corrisposto, quello che si guarda da lontano e che non si avrà mai. Ma non è quello che ti serve».

Scott esitò, respirando piano sul microfono ed umettandosi la bocca. «Non è sempre così evidente. A volte è così nascosto che si fatica a percepirlo, eppure è il più rumoroso di tutti».

La gola di Stiles si seccò all’improvviso, faticando immensamente a ritrovare l’ossigeno per respirare e scacciando con tutto se stesso quella nuova immagine che stava affiorando nella sua mente. «È una bella fregatura».

«Vale la pena aspettare qualcosa di così grande» annunciò pragmatico il messicano, investendolo completamente con la sicurezza delle sue parole e con la speranza che viveva nel suo cuore puro.

«Forse. Se esistesse» asserì poco convinto il figlio dello sceriffo, passandosi una mano tra i capelli un po’ più lunghi al taglio a cui era abituato e sospirando silenziosamente.

«Non hai mai provato qualcosa che andasse oltre la tua comprensione brillante? Non ti sei mai soffermato, senza rendertene conto, su un dettaglio particolare, ricercandolo dappertutto?» chiese in una cantilena infinita il lupo, assordandogli l’udito e catturandolo in quelle domande senza fine. «Non hai mai inseguito quella sensazione, reclamandola ed esigendola, che ti faceva sentire vivo sopra ogni cosa?».

Le iridi ambrate corsero automaticamente alle falangi che stringevano il pennarello con cui si teneva impegnato, richiamando la sua attenzione e spostando lo sguardo, colto da un flash altisonante, verso il libro abbandonato aperto sulla scrivania – uno che nemmeno gli serviva –, dove troneggiava in tutta la sua interezza l’evidenziatore verde smeraldo e in cui faceva bella mostra di sé quell’identico colore sulle parole inglobate, riempiendo le pagine in bella vista e chissà quante altre.

Dov’erano finiti tutti gli altri colori? Tutti quelli sgargianti ed accecanti? Stiles ne possedeva talmente tanti che a volte lui stesso si incartava nel loro utilizzo.

Quand’era accaduto che li aveva messi da parte per renderne protagonista soltanto uno?

Strinse il cellulare a tal punto che la pelle chiara raggiunse le tonalità di rosso sangue, surriscaldando l’oggetto già bollente di suo. L’aria divenne pesante e rarefatta, un rospo in gola si agitò eStiles stava per annaspare come non gli succedeva da tanto tempo.

Sentì Derek muoversi dietro di lui e lo vedeva quel dannato sguardo di giada che lo scrutava da dietro la schiena con attenzione quasi maniacale e con il compito gravoso di doversi sempre accertare che non gli capitasse nulla, subentrando ogni qualvolta avvertisse anche soltanto il fiato rallentare per attimi minimi.

Come poteva un ragazzetto insignificante come lui sopravvivere a quello?

«Sì, è capitato» proferì nefasto e assoluto, invadendo le mura di una consapevolezza che avrebbe preferito non arrivasse mai, colpendo in pieno viso chi lo circondava e chi era dal lato opposto della chiamata.

Un suono nitido e abbagliante perforò il nervo acustico dell’Alpha, destabilizzandolo così tanto da impiegare diversi secondi per individuare la fonte da cui era prodotto.

La melodia si concretizzò in un ritmo discontinuo e troppo veloce, prendendo la forma concreta di un chiaro e limpido battito cardiaco.

Era impreciso e categorico. Seguiva una musica tutta sua, ignorando tutti gli spartiti esistenti e le regole ferree di un corpo umano.

Era qualcosa che non aveva mai ascoltato prima e che non credeva potesse esistere.

Era qualcosa che regnava esclusivamente nel cuore di Stiles.

Derek si immobilizzò, fermando la sua avanzata e rimanendo esattamente dov’era da quando era arrivato, quando vide un cenno di ammonimento da parte della mano del ragazzo in cui era stretto qualcosa e la forza che si diede per riprendere possesso della facoltà di respirare con regolarità.

La sensazione che gli trasmise era quella di un netto e chiaro rifiuto. E l’umano non l’aveva mai fatto.

Dall’altra parte del telefono il messicano era caduto in un silenzio quasi tombale, espirando lentamente ed immerso in chissà quali pensieri che avrebbero potuto illuminargli la giornata. E qualche tassello mancante. «E cosa hai fatto?».

Il figlio dello sceriffo strabuzzò gli occhi, senza capire cosa volesse dire e dove stessero arrivando con quella conversazione sconclusionata che stava mettendo più a nudo se stesso che il suo interlocutore. «In che senso?».

«Per tenerla con te» proferì accecante il Beta, accarezzandogli il timpano con la voce profonda, portandolo ancora una volta alla realtà. «Chiunque sia questa persona va trattenuta. Quindi, cosa hai fatto per tenerla con te?».

«Niente» rispose il castano con bocca asciutta, trovandola completamente svuotata dalla propria salivazione, interrompendo un silenzio così denso e pesante da sovrastarlo in ogni modo. «Non ho fatto proprio niente».

Scott esitò ancora una volta, colpito come non mai da quella rivelazione e profondamente turbato da essa, come se il dolore e il rincrescimento – si stava scusando per qualcosa? – che avvertiva nella voce del suo migliore amico e fratello appartenessero anche a lui, investendolo completamente. Se fosse stato lì con la sua controparte cosa avrebbe percepito? Quale sarebbe stato l’odore delle sue emozioni? «Mi dispiace, Stiles. Non immaginavo che-».

«Ehy, frena» lo ammonì prontamente l’altro e poteva quasi sentirlo quell’accenno di riso che illuminava tutta la camera. «Non farla più grande di quanto non sia. Va tutto bene».

Il lupo mannaro rimase a fissare il cellulare che si era scostato dall’orecchio, guardandolo dubbioso come se avesse il viso contratto del ragazzo davanti e potesse leggervi dentro.

Accidenti, avrebbe dovuto fare quella conversazione rivelatrice faccia a faccia, senza inganni e strumenti che avrebbero potuto nasconderlo e plasmarlo; Stiles era troppo furbo e scaltro per lasciarsi scoprire in quel modo, rivelando ogni suo pensiero e svelando i suoi segreti, soprattutto se non poteva usare le doti da mutaforma che aveva acquisito. «È importante, Stiles».

«No, non lo è» negò vivamente e con vigore il minore di casa Stilinski, stringendo maggiormente ai lati del cellulare azzurro e picchettando con le punta delle unghia sul bordo.

L’umano espirò stremato sul microfono, grattandosi distrattamente la nuca con fare nervoso. «Scott» chiamò piano e con morbidezza, curvando appena le labbra e osservando poco lontano il tappeto di ogni tonalità di verde esistente, adagiato su un altro libro vicino al precedente – altro che molteplicità di colori improbabili. Da quand’è che ne aveva così tanti? «Fidati di me, non allarmarti per qualcosa che non esiste. Va tutto a meraviglia».

Il messicano rimase ad ascoltarlo per un po’, senza interromperlo e sommergerlo con parole che controbattevano ognuna delle sue, mettendolo davanti a qualcosa che non poteva più negare. «Farò finta di crederti» annunciò accondiscendente, dandogli un leggero contentino che gli lasciasse abbassare la guardia per diverso tempo. «Ma non pensare di farla franca».

Stiles sorrise da parte a parte, scuotendo la testa e regalandogli una leggera risata melodiosa, alleggerendo l’anima del suo interlocutore. «Come vuoi. Sei tu il capo».

Scaltro, furbo e adulatore. Stiles Stilinski sapeva sempre come vincere senza perdere mai una partita.

Scott annuì, approvando le parole del suo migliore amico con un mormorio vivace, congedandosi e mettendo fine a quella chiamata interminabile e disastrosa.

L’abitante residente tra le quattro mura chiuse completamente la telefonata, fissando lo schermo che andava perdendo luminosità e senza rendersene conto lo spinse verso il petto, premendo appena con la punta – poco importava se era troppo vicino al cuore – e fissando l’evidenziatore verde che faceva ancora bella mostra di sé.

Espirò a corto di forze, ammutolito e smarrito, fermo ed immobile al centro della camera da letto e improvvisamente non la riconobbe più come il proprio porto sicuro.

Era una testimone vigile ed attenta di tutto quello che era accaduto intorno a lui, aveva assistito a ogni loro approccio e ad ogni cambiamento, era stata spettatrice della futilità del modo in cui si erano legati e incastrati, creando qualcosa che non sapevano come spezzare e che, probabilmente, non volevano nemmeno. E adesso, proprio quando tutto appariva più calmo – Scott, hai davvero un pessimo tempismo –, era stata resa partecipe del momento esatto in cui Stiles aveva compreso cosa provasse realmente.

Ed era il più grande segreto che aveva precluso perfino a se stesso.

Un segreto che aveva sommerso sotto ogni cosa possibile e inutile, riempiendolo di significati senza importanza e immergendolo in qualcosa che avrebbe fatto di tutto per disperderlo.

Disperdere tutto quello che aleggiava nei riguardi di quel lupo musone e brontolone. Qualcosa che superava le sue aspettative, perfino le più enormi.

Andava così lontano che si chiese come avesse fatto a perdersi in quel modo, ad andare oltre tutto quello che comprendeva e sorpassare tutte le sue conoscenze.

Stiles era in trappola e in un mare di guai.

«Stiles» lo chiamò all’attenzione l’ospite alle sue spalle, con l’intento evidente di farlo uscire da quel vortice di pensieri da cui l’aveva tagliato fuori, emarginandolo.

Il ragazzo sobbalzò al suono della sua voce, irrigidendo la schiena e contraendo le vertebre, voltandosi verso di lui, guidato da una forza estranea e sussultando nel vederlo dinnanzi a sé.

Soltanto in quell’istante si rese conto che Derek era rimasto nella stessa posizione per tutto il tempo della conversazione, ascoltando parola per parola e percependo ogni tipo di emozione fosse stata emanata.

Arretrò d’istinto, guardandolo come se fosse la prima volta e comprendesse a pieno che cosa rappresentasse.

Sei davvero nei pasticci, Stiles, pensò nell’immediato, osservando la figura del mannaro con le sopracciglia aggrottate a pochi passi da lui.

Come aveva fatto a dimenticarsi della sua presenza nella stanza, quando quell’Alpha scorbutico condivideva quotidianamente il suo stesso letto, intrufolandosi senza alcun problema e vivendo quasi in quella casa. «Pene d’amore» proferì in una giustificazione illuminante, indicando fermamente il cellulare ancora stretto al petto, trasformandolo nel simbolo che rappresentava tutto ScottMcCall e le sue disavventure, facendo emergere il duro lavoro che racchiudeva essere il fratello designato e lo scendere a patti per la sopravvivenza reciproca.

«Le sue o le tue?» domandò con scaltrezza il lupo mannaro, curvando le labbra in un ghigno allargato e perforandogli il timpano con una voce affilata e suadente.

Il figlio dello sceriffo rabbrividì vistosamente, aumentando la pressione della punta del Lumia sul cuore. «Non ho pene d’amore» rispose con tutta la sicurezza di cui era in possesso, regalandogli un sorriso sapiente e sincero.

«E come la mettiamo con la tua preziosa ragazza?» chiese allusivo l’uomo, perfettamente preparato su ciò che viveva attorno alla vita dell’altro.

Stiles l’aveva notato, anche se probabilmente non avrebbe dovuto, ma per lui era davvero difficile controllare quella sua parte sempre attenta agli indizi e soprattutto a Derek – benissimo, quello l’aveva colto soltanto in quel preciso momento –, ma il lupo non pronunciava mai direttamente il nome di Lydia e lo lasciava sempre sospeso in aria, facendolo dissolvere. Doveva classificarlo in qualche modo o poteva smettere di scavarsi la fossa da solo? «Quella è una condizione di vita».

Derek abbozzò un sorriso perfettamente conscio della realtà espressa ed era incredibilmente allarmante come il minore riuscisse a cogliere ogni aspetto di lui. «Quindi, nessuno?».

Il suo cuore si fermò per un istante per poi ripartire e Stiles pregò con tutto se stesso che avesse un’andatura il più regolare possibile, senza che potesse tradirlo in qualche modo, senza che svelasse la verità che lo impregnava in ogni sua essenza.

Respirò a fondo dentro di sé e le labbra si curvarono in una piega sbieca e furba, di chi la sapeva piuttosto lunga. «Nessuno minaccia il tuo territorio, Derek» non esisteva alcuno più territoriale dell’Alpha e l’umano conosceva perfettamente la sua possessività ed ogni sfumatura che l’accompagnava. Era un gioco che avevano inventato senza neppure rendersene conto, prendendo completamente piede in loro.

Gli occhi del mannaro lo scrutarono con attenzione asfissiante, scavando nei suoi e disegnando un ghigno da vero predatore sul viso. «Ti senti braccato, Stiles?».

Il ragazzo tremò internamente, bloccando quel brivido profondo che prendeva tutta la lunghezza della colonna vertebrale, procurandogli una vistosa e impossibile da ignorare pelle d’oca. «Non lo sono, forse?».

L’uomo lo stava già baciando, divorandolo completamente e cibandosi totalmente della sua bocca, sottraendogli la linfa vitale e legandolo ulteriormente a sé, impedendogli qualsiasi possibile fuga che sarebbe potuta subentrare in ogni momento, prendendogli il cellulare dalle mani e il pennarello, lanciandoli sul letto sfatto e tenendolo fermo da uno di quegli stessi arti che aveva appena liberato.

In quell’istante tutta la sua spavalderia sparì all’istante, perché i gesti del mannaro avevano un solo significato e lui era fregato per sempre. «Derek» soffiò sulle sue labbra, destabilizzato ed avvolto da una patina annebbiata, incapace di sottrarsi alla sua morsa, quella stessa che gli dedicava in particolari situazioni.

Derek si abbandonò alla fronte dell’altro, investendolo completamente con la sua temperatura corporea, respirandogli sulla bocca e bevendo la sua stessa aria. «Proprio nessuno?».

«No» Stiles non riusciva a capire perché il moro perseverasse tanto su quel punto – un punto maledetto –, insistendo così tanto per strappargli una risposta che non sarebbe giunta. «Proprio nessuno» e lo disse con una voce così suprema ed intensa che ebbe paura di se stesso.

L’Alpha lo guardò soltanto una volta, prima di tornare a sfamarsi con le sue labbra, e vi vide riflessa una completa consapevolezza, così certa che gli fece tremare il cuore.

«Che cosa desideri?» domandò ad un tratto il lupo mannaro nel bacio, con una voce talmente profonda e sorda da accecargli l’udito.

Il figlio dello sceriffo si staccò nell’immediato, ponendo una minima distanza tra loro, scrutandolo nelle perle di giada senza riuscire a cogliere nulla che potesse aiutarlo. «Desiderare?».

«Sì, Stiles» proferì come unica risposta, lasciandola risuonare come ogni spiegazione possibile, senza l’utilizzo alcuno di parole.

Il ragazzo era in un limbo senza uscita, dove nemmeno la sua parlantina più fluida e insensata avrebbe potuto correre a soccorrerlo.

Si scostò da lui quasi scottato dalla sua pelle olivastra, riprendendo possesso dell’arto di cui si era impossessato il maggiore. «Sto bene così come sono, Derek».

Derek si sporse verso di lui, annullando la distanza che si era creata, imponendosi in lui così com’era abituato a fare. Gli leccò con la punta della lingua il labbro superiore, percorrendolo da un’estremità all’altra, assaporando tutta la sua corposità.

Stiles sentiva perfettamente, percorrergli tutto il corpo, la carica di cui era intriso quel singolo gesto e la bocca si mosse di conseguenza, schiudendosi per accoglierla dentro di sé.

L’uomo sorrise avveduto, lasciando scivolare la lingua dentro il suo antro caldo ed impossessandosene completamente, incontrando vogliosa quella dell’altro intrecciarsi alla propria. «Non vuoi proprio nulla?».

Quello sì che era un gran colpo basso, l’umano ne era talmente conscio che avrebbe voluto colpirlo. Accidenti, avrebbe dovuto cominciare ad avere una scorta illimitata di Strozzalupo a portata di mano per fargliela pagare. «Derek» pronunciò con tremenda difficoltà, mentre l’altro continuava a baciarlo imperterrito, godendosi quella situazione di continuo scacco matto.

«Puoi dirmi ogni cosa, Stiles» dichiarò il mannaro con tono premente, lambendogli le labbra e respirando il suo stesso ossigeno, purificandolo dall’anidrite carbonica. «Cosa vuoi?».

Lo stava torturando, era così lampante da far male agli occhi. Perché avrebbe dovuto rispondere ad una domanda di cui conoscevano entrambi la sentenza?

Era così ingiusto, così scorretto e così da Derek che avrebbe desiderato odiarlo, eppure, mentre si specchiava nelle sue gemme boscose, poteva vedere perfettamente quello sguardo intenso e così pieno di lui che gli dedicava in esclusiva, perché nessuno aveva mai avuto modo di vederlo ed era certo che esistesse soltanto in sua presenza. Ed era destabilizzante, sconveniente e irregolare. E lo amava immensamente. «Voglio te» soltanto quando quelle parole e quel desiderio malsano ed egoistico presero vita dalla bocca, si rese conto di quante volte le avesse ripetute. Quante volte gliele avesse rivolte e sussurrate tra le lenzuola, nudi e ricoperti di sudore, con il fiatone e con le labbra che ancora si cercavano.

Soltanto in quel momento si accorse delle molteplici volte in cui gliele aveva donate nelle situazioni di crisi estrema, quando tutto stava crollando e non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Quando Derek si struggeva e toccava proprio a lui mettere insieme i pezzi ed incollarli, aggiustandolo ed aggiustando se stesso.

Era l’unico modo che aveva per confessargli tutto senza che nulla potesse toccarlo, senza che potesse rompersi e sbriciolarsi tra le sue grandi mani da uomo fatto e finito.

Come aveva potuto non notare quante volte gli avesse comunicato, confessandolo a cuore aperto, di amarlo – era mai esistita la fase dell’innamoramento? –, ingannandosi deliberatamente?

«Bene» soffiò categorico l’Alpha, circondandogli il viso con le dita e riprendendo possesso di quel bacio che era stato interrotto, abbandonato ad un desiderio inconfessabile.

Quando le labbra tornarono a contatto, scontrandosi tra di loro e reclamando ciò che gli apparteneva, quel suono che aveva preso dominio dei suoi timpani durante quella telefonata tempestiva, si ripresentò più forte e struggente della prima volta, invadendogli tutto il nervo acustico e richiamandolo all’attenzione.

La melodia lo sovrastava ad ogni nuovo bacio, ogni volta che la trama diveniva più presente ed universale, accentuando la morsa che li legava ed ancorava sempre di più.

Quando un nuovo battito si infranse sul timpano, lo riconobbe.

Era lo stesso identico battito che Stiles produceva per lui ogniqualvolta lo baciava in modo particolare, invadendogli l’anima. Quello stesso ritmo che prendeva vita quando rimanevano per troppo tempo separati e correva per placare la distanza; quello che soffriva ogni volta che si urlavano contro, creando una catastrofe che li avrebbe portati ad ignorarsi per un tempo incalcolabile e quello che accelerava quando il loro egoismo prendeva il sopravento, sotterrando tutto il resto. Ed era lo stesso che impazziva quando si lasciavano andare a promesse mute e fin troppo rumorose.

Derek l’aveva sempre ascoltato, quasi ammaliato, ma cercava con tutto se stesso di dimenticarsene e discioglierlo nella mente, smembrandolo e nascondendolo nella nebbia più fitta, dove gli era impossibile avere accesso.

Quando lo sentiva arrivare doveva sempre far di tutto per soffocarlo e renderlo sordo alle proprie orecchie, sovrastando la bocca dell’altro e impadronendosi totalmente delle sue membra, giusto per avere l’illusione di potergli sfuggire. Ma diveniva mano a mano più difficile e sapeva che non l’avrebbe mai avuta vinta.

Ma adesso, quando i pezzi combaciavano completamente e si incastravano magnificamente, dove la consapevolezza di entrambi era entrata ad invaderli, non poteva farsi violenza dal privarsi di ascoltarlo.

Stiles lo amava sopra tutto e non era mai esistito qualcuno che provasse un sentimento così immenso verso di lui.

Era estremo e soltanto suo.

E non gli importava di nulla se non di quello.

Ma se Stiles avesse avuto la capacità di ascoltarlo, avrebbe compreso per cosa battesse il suo cuore di lupo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ebbene, è una piccola toccata e fuga che non ha alcuna pretesa, ma voleva il suo spazio ed era nei miei archivi da un po’ troppo tempo – creata poco dopo la storia originale – e forse potrebbe alleggerire un pochino gli animi che crollano ad ogni puntata della nuova stagione di Teen Wolf. I perché sono tanti e non necessitano di essere elencati, ma non bisogna abbattersi finché abbiamo ancora la nostra fantasia ed incredibile immaginazione.

Questo piccolo estratto è stato affrontato in modo diverso volutamente e niente, la mia mente pensava che fosse giusto, ad un certo punto, mostrare quand’è che Stiles avesse capito di amare Derek la prima volta e come si fosse comportato quest’ultimo davanti quel momento. Siete dei bellissimi rompicapi.

Stringiamo i denti per le prossime due settimane e poi vedremo i danni che dovremo sanare. Per poi ricominciare in primavera, perché alla sofferenza non c’è mai fine.

Alla prossima,

Antys

 

 

   
 
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