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Autore: Adeia Di Elferas    12/08/2015    0 recensioni
Cesare arriva in Egitto per recuperare Pompeo, un tempo alleato ed amico, ora traditore in fuga. Quello che trova, una volta giunto alla corte di Tolomeo XIII, però, è tutto fuorché ciò che avrebbe voluto. L'ira ed il desiderio di vendetta lo fanno propendere per una risoluzione drastica della situazione. Tuttavia un incontro inaspettato con la sorellastra di Tolomeo porterà Cesare a cambiare i suoi piani in modo radicale, trascinandolo in scelte che spesso lo costringeranno a rimettere in dubbio alcune delle sue certezze. [Avvertenza: pur essendo basato su personaggi realmente esistiti e fatti storici accertati, il racconto è ovviamente stato romanzato, per rendere la lettura più gradevole e la vicenda più interessante]
Genere: Drammatico, Erotico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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~~ Il rumore ovattato della suola dei suoi sandali sul pavimento levigato dalle migliaia di passi che aveva dovuto sopportare nel corso degli anni riempiva ogni angolo della stanza.
 Non c'erano notizie certe. Si sapeva solo che la fuga non era riuscita, che il blocco non era stato sfondato. E Cesare ancora non tornava.
 Le voci erano pessime. Si parlava di navi distrutte, navi colate a picco tra le onde, altre ancora rimaste integre, ma catturate dal nemico e quindi perse.
 E nessuno le aveva ancora detto che ne era stato di Cesare. No, nessuno le voleva dire nulla di quello che era successo a Cesare.
 Era vero, non si poteva dire cosa gli fosse accaduto di preciso solo guardando lo scontro da lontano. Nessuno aveva occhi tanto fini da poter vedere un solo uomo in mezzo al sangue e al sale, tra i legni che si spezzavano e le grida che assordavano più della risacca.
 E quindi poteva solo aspettare.
 Aspettare, esattamente come facevano le mogli o le amanti dei soldati comuni, come quelle donne alle quali nessuno di prendeva la briga di andare a riferire notizie sul proprio amato.
 L'uomo tornava? Allora se l'era cavata.
 L'uomo non tornava? Allora non se l'era cavata.
 Per tutte loro non c'erano celeri messaggeri o attendenti solerti, pronti a tutto pur di rassicurare o consolare chi era rimasto a casa.
 C'era solo l'attesa. Un'attesa che a volte finiva in pochi giorni e che altre volte non finiva mai.
 Lei aveva visto coi propri occhi donne aspettare fino a diventare vecchie e grigie, fino a non avere più fiato in corpo, fino ad essere così decrepite da non riuscire più a ricordare nemmeno chi o perchè stavano aspettando da tutta la vita.
 Le più fortunate non sopravvivevano all'attesa e un bel giorno il loro cuore smetteva di battere.
 Cominciava a credere che anche a lei sarebbe toccata la stessa sorte. O, se il fato fosse stato tanto crudele da volerla condannare a una vita lunghissima, allora ci avrebbe pensato lei a porre fine al proprio dolore. Conosceva molti veleni, ne avrebbe scelto uno dolce, di quelli che fanno addormentare lentamente e così avrebbe raggiunto negli inferi il motivo del suo patire e sarebbe finalmente stata guarita.
 “Mia regina...” la voce di Apollodoro Siciliano risvegliò Cleopatra dal buio dei suoi pensieri.
 “Dimmi.” fece lei, senza guardarlo.
 Lo schiavo entrò e si prese il suo tempo, prima di dire: “Sostengono che la nave di Cesare sia una di quelle affondate.”
 Cleopatra non commentò, guardando in terra. Il cuore le batteva con forza, ma qualcosa le diceva che non poteva già essere tutto finito.
 “Di lui non ci sono notizie certe per ore. Possiamo solo...”
 “Aspettare.” concluse Cleopatra, con la voce roca e la testa pesante.
 Congedò subito Apollodoro, perchè sapeva bene che se si fosse fermato troppo a lungo avrebbe finito per dirle cose che lei non voleva sentire.
 Le avrebbe detto che, comunque, avevano ancora qualche soldato e qualche nave di Cesare. Avrebbe detto che, in ogni caso, i sostenitori di Cesare a Roma le avrebbero garantito il loro appoggio. Le avrebbe detto che, anche senza Cesare, l'Egitto sarebbe sempre stato il suo regno.
 Erano tutte cose che lei voleva con tutta se stessa, l'esercito e le navi, il sostegno degli alleati romani, il Regno d'Egitto... Ma ormai le bastavano più.
 Lei li voleva a patto di poter avere anche Cesare.
 I secondi divennero minuti e i minuti ore. Quando la notte cominciò ad affacciarsi sul giorno portando un'agognata frescura – che da troppe notti mancava – Cleopatra oramai non aveva più speranze.
 Non aveva mangiato nulla per tutto il giorno ed aveva appena assaggiato la coppa di garum che Apollodoro le aveva premurosamente portato.
 Le era bastato quel sorso per pensare a Cesare e alle sue memorie belliche di quando aveva combattuto in Gallia...
 Quello era il sapore che aveva il vino che lui aveva sorbito durante le lunghe attese pria della battaglia o mentre aspettava la risposta di questo o quel nemico a questa o quella richiesta di un patto?
 Forse no. Eppure per lei era così, quella sera.
 Era tanto sicura che di lì  poco qualche soldato sarebbe entrato a dirle che Cesare era morto, che nemmeno si voltò quando udì alle sue spalle il suono di passi stanchi e dell'elsa di un gladio che batteva contro il cintola di un romano.
 “Sono qui.” disse l'ultima voce che Cleopatra si sarebbe attesa.
 Non riuscì subito a voltarsi e fu un bene, perchè ciò le diede il tempo di asciugarsi una furtiva lacrima e chiudere la bocca, che si era spalancata per la sorpresa e l'incredulità.
 Quando finalmente riuscì a girarsi, si ritrovò di fronte Cesare.
 Cesare. Il suo Cesare. Vivo. Sì, vivo...
 Le parve invecchiato di almeno dieci anni, ma ancora vitale e vigile. Era spettinato, con quei pochi capelli che di solito coprivano la sua calvizie ritti in piedi. Indossava una semplicissima tunica di lino con il gladio al fianco e un plico voluminoso sotto al braccio.
 “Sono quasi morto oggi – disse lui, senza intonazione – ma non potevo permettere che le mie memorie morissero con me.” aggiunse, a mo' di spiegazione, porgendole i fogli.
 Erano stropicciati e un po' umidi.
 Cleopatra li prese con delicatezza, come se temesse di danneggiarli ulteriormente e li poggiò con cura sul tavolo più vicino.
 Poi tornò a guardare Cesare: “Credevo di non rivederti più...” disse, parlando in egiziano, come ogni volta in cui era soprappensiero, troppo stanca o troppo sconvolta per qualcosa.
 Tradusse subito in latino, in modo che il romano capisse bene cosa gli aveva detto.
 Cesare non aveva espressione. Anche dopo aver udito quelle parole, il suo volto restava impassibile e vuoto. I suoi occhi scuri e profondi la squadravano come se non la conoscesse.
 “Anche io credevo di non rivederti più.” ammise il romano, dopo un po'.
 “Siediti. Riposati...!” disse lei, rendendosi improvvisamente conto di quanto lui dovesse essere stanco e stremato, sfinito, dopo una giornata del genere, dopo essere quasi morto: “Ti faccio portare qualcosa... Un po' di cibo, magari, del vino, una brocca d'acqua...”
 Gli occhi di Cesare ebbero un guizzo divertito che la lasciò interdetta.
 “Di acqua, per oggi, ne ho già bevuta troppa.” fece il romano, mentre il suo viso stravolto si apriva in un sorriso sincero e sollevato.
 Anche Cleopatra, dopo qualche secondo di smarrimento, sorrise e poi rise e infine scoppiò a piangere tra le risate, correndogli tra le braccia e stringendolo forte a sé.
 “Non credevo di avere così tanta voglia di rivederti.” disse lei, soffocata dal misto di emozioni che provava in quell'istante.
 “E io non credevo di avere così tanta paura di non poterti più vedere...” confessò il romano, in un sussurro bisbigliato contro l'orecchio liscio e perfetto della sua Cleopatra, della sua Regina dei Re.
 
   
 
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