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Autore: Nana_EvilRegal    13/08/2015    3 recensioni
Nana ha una vita sicuramente non adatta ad una ragazza di sedici anni come lei. Probabilmente sarebbe inadatta per chiunque, a qualsiasi età. Eppure lei è lì.
Vive.
Ci convive.
La accetta.
Combatte. Anche che non sempre sembra che lo faccia.
Nana vorrebbe essere come una ragazza qualsiasi. Come tutte le altre.
O forse no.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~~Death.

Per tutte le persone che ho perso;
per tutte quelle che ho trovato.
Per chi ha rinunciato a tutto per vedermi felice;
per chi si è arreso davanti alla mia vita.
Per chi ha pensato che non ce la facessi;
per chi ha creduto in me fino alla fine.
Per tutte le persone che ho incontrato.
Perché, in qualche modo, tutte mi hanno cambiata;
perché senza ognuno di loro non sarei chi sono oggi.

Ero ferma dietro quelle tende che mi separavano dalla sala principale dove mi avrebbero guardata tutti e avrebbero provato a toccarmi. Quella parrucca rosa mi infastidiva. Avrei voluto buttarla a terra e andarmene. Mandare tutto a quel paese.
- Nana hai ancora dieci minuti- mi voltai verso Lily. Diceva che quello era il suo nome, ma ero certa che non lo fosse. Come, d’altronde, il mio non era Laura. Eppure per poter anche solo aspirare a quel lavoro avevo dovuto procurarmi documenti falsi. Era stato semplice. Thomas sapeva esattamente a chi rivolgersi. La ragazza mora mi guardò qualche istante poi mi allontanai, presi la mia borsa e andai in bagno.
Sempre la solita storia.
Il pensiero di uscire e spogliarmi davanti a tutti da lucida mi spaventava e mi facevo prendere dagli attacchi di panico. La siringa era pronta da qualche minuto. Era passata Anna a lasciarmela. Mi guardai allo specchio e fissai la siringa per qualche secondo prima di sentire l’ago pungere la base del collo. Lo spinsi sentendolo entrare nella pelle. Feci scendere lo stantuffo e anche solo la consapevolezza mi rilassò. In meno di un minuto mi sarei resa conto davvero di cosa mi era andato in circolo e avrei dovuto sedermi per almeno un minuto. La “botta” nell’immediato era sempre forte. Mi catapultai fuori dal bagno scivolando sulla prima sedia che vidi. Qualche ciocca del carré rosa che non sopportavo mi scivolò davanti alla faccia, ma appena me ne accorsi. Ero scivolata in una fase di trance e tutto intorno sembrava muoversi quasi a rallentatore.
- Nana, cazzo, se continui così non arrivi a domani porca puttana-
- Pinky non rompere il cazzo- il vero effetto della cocaina iniziava a farsi sentire. Mi alzai di scatto quasi buttando la mia amica sul pavimento. Ovviamente Pinky era il suo nome lì dentro. Era l’unica che sapeva il mio nome e l’unica di cui, probabilmente, sapevo il vero nome. Come lei mi chiamava Nana, però, io la chiamavo Pinky.  Quel nome d'arte derivava dal suo immancabile reggiseno rosa in lattex. Potevano metterle addosso qualsiasi cosa, ma guai a toglierle quello.
- Dove stai questa notte? Non dirmi che dormi di nuovo nella macchina di Lily- sbuffai annoiata da tutta quella preoccupazione nei miei confronti. Non dovevano essere problemi suoi dove stavo, come passavo la notte o quanto mi facevo. Avrebbe dovuto pensare a se stessa.
- No, sto da Tommi-
- E domani mattina? Ti porta lui a scuola?- sentii le note del mio pezzo. La spinsi di lato e mi buttai sul palco. Come al solito una volta lì sopra ritrovai la grazia e la posa che venivano richieste a una ballerina/spogliarellista come me. Vedevo intorno ai miei fianchi quella piccola gonnellina di fili argentati muoversi e alzarsi lasciando il mio sedere scoperto davanti a tutti. Scivolai lungo il palo e alzandomi feci cadere quella poca stoffa che copriva il mio completino argentato a terra. Odiavo quel perizoma. Era l'unico a darmi problemi. Non dovevo pensarci.
Sorriso.
Sensualità.
Scioltezza nei movimenti.
Rimandi continui al sesso.
Non dovevo fare altro. Potevo anche non avere una coreografia pronta. Sapevo come muovermi. Sapevo esattamente cosa fare.
Nei miei sedici anni appena compiuti non ero più quel dolce bocciolo che cresce che ogni genitore vorrebbe vedere in sua figlia. Ero un fiore in decadimento, appassito, senza nessuna voglia di rialzarsi.
Sarei stata la vergogna della mia famiglia.
Se solo avessero saputo.
Scesi dal palco, come tutte le sere, ritrovandomi in mezzo a quegli uomini che sembravano solo voler allungare le mani e voler toccare quel corpo al cui pensiero quella notte si sarebbero masturbati.
Mi facevano schifo.
Tutti quanti.
- Allora prima ti ha salvato il pezzo, ma ora dimmi: domani ti porta lui a scuola?-
- Che palle con questa scuola. Non farmi da mamma eh...- Pinky aveva venticinque anni e si comportava davvero come una madre. Certo, una madre spogliarellista, un po' puttana e sempre un po' ubriaca, ma era sempre attenta. Quasi più della mia vera madre.
Sicuramente più della mia vera madre.
- Cazzo Nana non ti faccio da mamma. Era solo una domanda-
- Sì, mi porta lui a scuola domani. Abita lì vicino potrei anche andarci da sola. Ora dammi da bere- le sfilai il suo solito cocktail dalle mani attaccandomi alla cannuccia e tirandone su un bel sorso.

Mi bastò fare uno squillo perché il mio fidanzato aprisse la porta di casa. Non feci in tempo ad entrare in quel buco disordinato che le sue mani erano nei miei capelli e la sua lingua nella mia bocca. Lo spinsi leggermente lontano da me.
- Amore sono le quattro passate, tra meno di quattro ore devo essere in classe- mi venne da ridere mentre sentivo quelle parole uscire dalla mia bocca. Anche lui rise per qualche istante prima di essermi di nuovo addosso. Aveva ventidue anni e abitava solo. I soldi alla sua famiglia non mancavano e appena era stato maggiorenne si erano levati il peso del figlio in casa prendendogli un piccolo appartamento in affitto. Quasi sollevandomi dal pavimento mi portò nella camera da letto. Sul mobile c'erano due piccole strisce bianche pronte. Mi lasciò andare per dedicarsi a farne sparire una.
- Muoviti- disse lasciandomi il posto. Rifiutai. Era raro che lo facessi. Quella sera volevo essere leggermente più lucida del solito e ricordarmi quello che sarebbe successo. Mi sfilai i vestiti e mi buttai sul letto. Non ero stanca, ma sapevo che dovevo dormire. Iniziavo ad essere quasi lucida ed ero consapevole che se non avessi dormito quelle tre ore e dieci che mi restavano a scuola ci sarei dovuta andare più fatta del solito. Chiusi gli occhi sperando che Thomas si stendesse lì accanto e decidesse di riposare. Lo conoscevo. Sapevo che non sarebbe stato così. Non dopo la dose di eroina che aveva tirato su. Mi mise una mano su una spalla voltandomi con la schiena appoggiata al materasso. Mi ritrovai la sua bocca sulla mia per poi sentirla scendere sul mio corpo.
Ok, non avrei dormito.
Si alzò e uscì dalla stanza. Capii immediatamente quello che sarebbe successo. Mi misi a sedere con le ginocchia al petto aspettando di vederlo rientrare. Quando ricomparve era senza maglia. Percorsi con gli occhi il suo corpo esile e quelle braccia ricoperte da numerosi lividi. Li avevo avuti anche io le prime volte. Quando non trovavo subito la vena. Si avvicinò e provai a sfiorargli anche solo un lembo di pelle, ma mi diede uno schiaffo ad una mano e mi spinse stesa. Prima che me ne rendessi conto mi aveva legato insieme le braccia con le solite manette di ferro che odiavo. Mi lasciavano i segni sulla pelle. Mi legò anche le gambe al letto.
Non ero un'amante di quel tipo di sesso.
Non con lui.
Non quando si era fatto una dose.
Non sapeva mai quando fermarsi.
Potevo urlare quanto volevo, ma non se ne rendeva conto.
Eppure non mi lamentavo.
Lo amavo.
Pensavo di amarlo.
Mi fece calare una benda sugli occhi poi mi sentii sfilare gli slip. Le sue dita iniziarono a toccarmi le cicatrici dei tagli sull'inguine. Mi faceva innervosire e lui lo sapeva benissimo. Odiavo l'importanza che gli dava. Mi rendevano più vera. Diceva. Dopo un tempo infinito in cui non aveva fatto altro che sfiorarmi ogni angolo di pelle si decise. Lo sentii entrare dentro di me. Sussultai. Non potevo vederlo e la cosa rendeva il tutto più eccitante, ma, allo stesso tempo, mi spaventava. Iniziò a muoversi sopra di me.
Avanti, indietro.
Avanti, indietro.
La sua bocca sulla mia. Entrambi col respiro mozzato. Venne. Dentro di me. Sperai si fosse ricordato il preservativo. Non potevo permettermi un figlio a sedici anni in quelle condizioni. Finalmente avrei potuto dormire. Dovevo ammetterlo, nelle ultime settimane il sesso con lui non mi piaceva più. O mi annoiava o mi spaventava. Non pensava a soddisfarmi, non più. Si alzò lasciandomi lì bendata.
- Cazzo slegami-
- Non ho finito- il suo tono gelido mi fece rabbrividire. Che cosa poteva volere ancora? Mi sfiorò una gamba con qualcosa di freddo, metallico. Le sue intenzioni mi erano chiare e iniziai ad avere davvero paura. Ne avevo sempre quando si fissava con quella storia.
- Ricordati dove lavoro- dissi a voce bassa continuando a sentirmi percorrere l'oggetto sulla pelle. Arrivò all'inguine. Mi sfiorò l'ombelico e scese di qualche centimetro. Non più di due. Fece pressione e la mia pelle si aprì. Proseguì con quel taglio per cinque, forse dieci centimetri poi buttò la presumibile lametta a terra lasciandomi sanguinare sulle lenzuola azzurre. Mi slegò e la prima cosa istintiva che feci fu portare una mano sul taglio. La guardai sporca di sangue poi mi voltai verso l'artefice.
- Visto che l'hai fatta così in alto ora ci pensi tu a disinfettarla e fasciarla- alzò lo sguardo al cielo, ma non disse nulla ed eseguì. Non mi faceva male. Praticamente non sentivo la ferita. Ero solo scocciata dal dover pensare a curare anche quella oltre a tutte quelle che mi ero procurata io.

La sveglia suonò meno di due ore dopo da quando mi ero addormentata. Ovviamente Thomas non si mosse. Mi alzai e andai in bagno. Levai la fasciatura ormai rossa e la cambiai. Presi dei vestiti dalla borsa e mi passai un leggerissimo velo di trucco. Ero tornata ad indossare la pelle della brava ragazza che andava a scuola e prendeva bei voti. Una facciata che avevo imparato a tenere quasi tutto il giorno. Aprii la finestra e mi fumai la prima canna della giornata.
La prima di tante, probabilmente.
Presi lo zaino e tornai in camera da letto per salutare il ragazzo che ancora se ne stava steso sul letto. Mi avvicinai per dargli un piccolo bacio.
Era bianco.
Freddo.
Lasciai cadere tutto quello che avevo in mano, cellulare compreso, e gli fui subito addosso urlando. Tutto sembrava muoversi a rallentatore. Non poteva essere successo davvero.
Non poteva essere morto.
Suonò il campanello. Quasi per riflesso andai ad aprire. Nei movimenti veloci mi si riaprì la ferita della sera prima, ma neanche me ne accorsi. Alla porta c'era una donna. Sembrava arrabbiata.
- Sono le sette e mezza cosa avere da urlare?- era la vicina. Non avevo tempo di risponderle, le chiusi semplicemente la porta in faccia. Tornai accanto a quel corpo freddo, raccolsi il cellulare. Cosa dovevo fare? Chi dovevo chiamare? Composi il numero dell’ambulanza e subito dopo quello della polizia d'istinto. Presi quelle poche dosi di droga che erano ancora in casa e le buttai nel water. In pochi minuti quel piccolo appartamento si era riempito di gente. Continuavo a ripetere che dovevo andare a scuola. Era l'unica cosa che riuscivo a dire.
Alle nove e mezza fui di nuovo sola. Lasciai quella casa e non ci tornai più.

- Qualsiasi cosa hai vedi di fartela passare- mi voltai guardando così male quella ragazza che si fingeva mia amica che avrei potuto incenerirla. Non era nessuno per dirmi cosa fare. Nella mia immaginazione presi le forbici dall’astuccio e gliele piantai nel collo, ma non mi mossi. Non risposi mordendomi la lingua e continuando ad annegare nelle mie lacrime. Uscii andandomi a nascondere in mezzo alle macchine parcheggiate nel giardino interno e scivolai a terra continuando a singhiozzare. Estrassi dal pacchetto di sigarette quella che di certo non era una sigaretta e la accesi. Presi una prima boccata e subito una seconda. Non avevo mai fumato così velocemente. Uscii da quella specie di nascondiglio pochi istanti prima che suonasse la campanella. Non rientrai in aula, ma mi fiondai in bagno. Mi guardai allo specchio. Dire che il trucco arrivava al collo era dir poco. Non avevo preso nulla per metterlo a posto per cui tornai in classe. La prof stava parlando. Mi andai a sedere sempre in quel posto che mi era stato dato come punizione per “le oscenità che combina là in fondo”.
- Oggi abbiamo un panda in classe- finsi di non sentire quelle parole stupide che erano uscite dalla bocca di una donna altrettanto stupida e appoggiai il cellulare sul banco. Appoggiai una mano sulla fasciatura in vita. Immagini di quei mesi passati con il ragazzo che avevo visto morto mi passarono davanti agli occhi che iniziarono di nuovo a riempirsi di lacrime.
Dovevo andare avanti.
Dovevo dimenticare quello che era successo.
Feci pressione su quella ferita ancora fresca e scosse di dolore percorsero il mio corpo. Chiesi di andare in bagno. Presi il cellulare e un piccolo sacchettino di stoffa. Percorsi il corridoio lentamente poi mi chiusi dentro. Chiamai mia madre e la avvisai che per qualche giorno non sarei passata da casa. In quei momenti amavo il fatto che mi lasciassero così libera e che, probabilmente, nemmeno gli interessasse quello che facevo. Aprii il sacchetto e mi feci scivolare in mano la solita lametta. Aveva visto così tanto sangue eppure sembrava quasi nuova. L’avevo cambiata da pochi giorni, ma mi sembravano passate settimane. Abbassai i jeans e tornai a tagliare dove c’erano già le cicatrici. Passai all’interno coscia.
Sarebbe uscito più sangue.
Più lo vedevo scorrere più mi sembrava di star meglio.
La testa divenne sempre più leggera.
Presi una boccata d’aria, mi pulii dal sangue colato e applicai cerotti su ogni singolo taglio poi ripercorsi il corridoio appoggiandomi al muro sia per la debolezza che per il dolore. Tornai a sedermi.
- Sei stata fuori più di venti minuti che hai?- la solita vicina di banco che voleva infilarsi nella mia vita.
- Non mi rompere- sibilai con tono acido. Infilai il sacchetto con la lametta che avevo ripulito nello zaino. Appoggiai la testa su una mano e iniziai a scrivere sul banco. Nulla di sensato. Più che altro numeri.
La data e l’ora.
15/04/2012.
7.26.
Bussarono alla porta e tornai alla realtà. Sbuffai. Nuove circolari, sicuro. I passi del bidello si fermarono accanto a me. Mi voltai con un’espressione piuttosto confusa. Mi guardava con una faccia quasi sconvolta. Si avvicinò e sussurrò.
- C’è la polizia. Chiedono di te- panico. Erano le undici passate. Li avevo visti due ore prima non avrei sopportato di vederli ancora. Eppure, dovevo. Mi alzai dalla sedia e mi trascinai fino alla porta.
- Dove credi di andare?- quella professoressa che mi odiava ogni secondo di più mi guardò con aria di sfida. Spostai lo sguardo sul bidello e annuii. Non aveva senso tenerlo nascosto. Qualcuno sarebbe uscito e mi avrebbe vista. Conoscevo i miei compagni di classe. Avevo le lacrime agli occhi e scoppiai in una serie interminabile di singhiozzi nel momento in cui sentii ripetere che la polizia aveva chiesto di me a voce alta. Avrebbero tutti pensato che avessi fatto chissà cosa. Il silenzio più totale calò nella stanza e io dovetti uscire per non sentirmi oppressa dagli sguardi che si erano posati su di me.
- Prima non siamo riusciti a chiederti nulla. Abbiamo bisogno di farti alcune domande-
- Sì certo… Io però… Non posso uscire- mi ritrovai con un fazzoletto in mano senza sapere chi me l’avesse dato. Asciugai gli occhi e cercai di concentrarmi su quello che stava succedendo, ma il corpo bianco e freddo di Thomas aveva completamente invaso la mia mente.
- Non c’è problema andiamo in un’aula vuota- mi venne detto di entrare nell’aula di lingue. Mi incamminai lungo il corridoio. Mi sentivo sempre più debole, probabilmente per colpa di tutti di quei tagli nella mia palle.
Lui avrebbe capito.
Lui avrebbe approvato.
Lui avrebbe apprezzato.
Quelle parole mi risuonavano nella mente come un mantra. Mi misi a sedere il più velocemente possibile nella prima sedia vuota che vidi. Avevo paura di svenire. Non potevo permettermi di andare in ospedale.
- Come sono andate le cose? Cosa ricordi?-
- Io… Non lo so… Stamattina l’ho trovato così-
- Avevate preso qualcosa?-
- No. Oddio sì- ero completamente andata nel pallone ed era solo la seconda domanda. – Io no, ma lui… si era fatto una striscia. Credo solo quello, ma non lo so. Io mi sono addormentata-
- Va bene. Tranquilla dobbiamo chiederti ancora almeno una cosa, vuoi bere o aspettare un attimo?- annuii e chiesi di andare in bagno. Uno dei due mi accompagnò fino alla porta. Mi chiusi dentro e mi abbassai i pantaloni. Ero messa male. Dovevo assolutamente cambiare una parte dei cerotti. Lo feci il più velocemente possibile poi sfiorai la garza sopra al taglio di quella notte. Sapevo che mi avrebbero chiesto delle lenzuola sporche di sangue. Cosa dovevo dirgli? Sicuramente sarebbe stato meglio essere sincera. Ma la prospettiva di dire “facevamo sesso e mi ha tagliata. Ogni tanto lo faceva” mi ispirava davvero poco. Avrei mentito.
- Abbiamo visto del sangue sulle lenzuola, ci sai dire cos’è successo?- eccola, l’inevitabile domanda. Annuii prima di aprire la bocca e parlare.
- È colpa mia… Io… Insomma mi è venuto il ciclo una settimana in anticipo e non me lo aspettavo ovviamente quindi…- l’uomo che mi stava davanti arrossì.
- Sì, certo. Ora dovrei chiederti di raccontarmi quello che è successo ieri sera e questa mattina. So che è molto dura per una ragazzina come te, ma, purtroppo, è necessario- deglutii. Non ero decisamente pronta ad una domanda simile. Annuii, ma rimasi in silenzio. Presi un numero indefinito di respiri così profondi da farmi girare la testa. La mia mente iniziò a vagare nei ricordi. Sentii il cellulare vibrare. Mi scusai dicendo che probabilmente era mia madre e dovevo assolutamente leggere. Estrassi dalla tasca il piccolo cellulare bianco NGM e lo aprii in modo da vedere la tastiera. Era Pinky.
Tesoro mi sa che dobbiamo parlare
Le risposi nell’immediato.
Cosa sai? Ora non posso parlare ci sentiamo dopo
Tornai a guardare i due uomini che aspettavano una mia risposta. Sospirai. Sentii la campanella suonare e voci affollare il corridoio.
- Abbiamo cenato con una pizza seduti sul divano mentre guardavamo un telefilm. Sa, siamo… eravamo tutti e due appassionati di Buffy l’ammazzavampiri e abbiamo continuato a guardarlo fino alle quattro più o meno. Poi visto che io dovevo venire a scuola ho detto che andavo a letto e in quel momento lui si è fatto una striscia. Mi ha chiesto se ne volevo una anche io. Gli ho detto di no come tutte le volte. Nell’ultimo periodo aveva iniziato a farsi più spesso e anche se la cosa mi infastidiva non potevo dirgli nulla. Avevo paura che diventasse violento. Una volta mi aveva picchiata, ma non so cosa avesse preso. Comunque è stato mesi e mesi fa. Dopo io sono andata a letto e lui si è steso lì accanto. Io mi sono addormentata praticamente subito per cui non so cosa abbia fatto dopo. Stamattina quando ha suonato la sveglia lui non si è svegliato, ma era abbastanza normale per cui mi sono preparata per uscire e quando sono tornata in camera a dirgli che uscivo mi sono accorta che era…- non riuscivo ancora a dirla quella parola. Dirlo l’avrebbe fatto diventare reale e non poteva essere così.
Non poteva avermi lasciata sola.
Cosa aveva fatto in quelle ore in cui era rimasto solo?
- Morto- concluse uno dei due. Annuii sentendo lacrime silenziose lungo le guance. Sperai che avessero finito. Non avrei sopportato una altra domanda. Si alzarono e, forse per la prima volta, fui felice di tornare in classe. Non avevo valutato che tutti sapevano con chi ero stata e nessuno era a conoscenza del motivo. Non una persona mi parlò fino a fine mattinata. Da una parte ero contenta, ma, allo stesso tempo, non sopportavo quel silenzio. Non osavo immaginare cosa avevano pensato.

NdA: questa storia è nata dalla necessità di scrivere qualcosa di diverso da una fan fiction.
Qualcosa che, per certi versi, sento molto vicino a me e alla mia vita.
Qualcosa per cui ho sofferto mentre scrivevo.
Mi tenevo questa idea dentro da molto tempo incerta se metterlo o meno sulla carta. Alla fine mi sono decisa e sono contenta di averlo fatto.
Ringrazio sophiejworld per il sostegno e l’appoggio nei momenti in cui sto male. Nei momenti in cui mi sento soffocare.
Ringrazio lana_parrila per essermi stata vicina mentre scrivevo tutto questo.
Grazie a theyaremyworld perché, in qualche modo, mi ha dato la spinta finale per decidere di pubblicare tutto questo.

Cercherò di aggiornare una volta a settimana, ma nonostante sia estate ho vari impegni per cui, forse, a volte, sarò in ritardo.

Per qualsiasi domanda, informazione, richiesta (sia come autrice che come beta) mi trovate qui: https://twitter.com/Nana_Fangirl?s=09

 

   
 
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