Appoggiasti le tue dita lunghe, lunghissime, sulla tastiera bianca e nera di un bellissimo pianoforte.
Chiudesti gli occhi [sembrava che stessi sognando].
Quelle tue dita così pallide cominciarono a piroettare sui tasti con maestria e un pizzico di follia, a girovagare alla ricerca di nuove sinfonie.
E fu così che nacqui io.
Mi mettesti al mondo e mi amavi così tanto che trascorrevi tutto il giorno a suonarmi, ad aggiungere, togliere, migliorare qualcosa di me.
Mi plasmavi affinché fossi perfetta.
E difatti lo ero.
Ero
dolce, pacata, sussurravo alle coscienze che cominciavano a vibrare
sotto il mio tocco.
Eppure
ero vigorosa e risoluta, inaspettata ed apprezzata.
E tu stringevi al petto lo spartito, la mia casa, e baciavi tutte le note che s'intrecciavano mentre ti sorridevo. Eri felice che fossi così bella.
Tutti me lo dicevano. E mi meravigliavo di essere proprio io quella sinfonia che scuoteva intere platee. E tu me lo dicevi sempre.
Sei splendida, amor mio.
Anch'io ti amavo, sai? Con quello sguardo perso mentre mi contemplavi, mentre ti perdevi in luoghi che solo tu conoscevi.
Avrei voluto conoscerli anch'io.
Avrei voluto sapere cosa celassero quei tuoi strani sorrisi un po' obliqui mentre mi rileggevi con un'espressione di piena soddisfazione.
Ma non ebbi mai l'occasione di domandartelo.
Era una sera senza luna e senza stelle. E ancora una volta mi avevi esibita di fronte ad una platea che continuava ad acclamarmi. Mi sentivo così bene nel vederli estasiati per me.
Tornammo
a casa, e tu, come sempre, ti mettesti seduto di fronte al tuo
pianoforte lucido e nero.
Mi
guardasti, mi sorridesti e cominciasti a suonare.
Mi aspettavo di sentirmi nominare infinite volte, di ascoltare le note che componevano il mio animo.
E invece, cosa accadde?
Tu
creasti un'altra sinfonia; e lei era così bella, molto
più
aggressiva e penetrante di me.
Lei
brillava e ti affascinava in maniera inspiegabile.
E mentre lei volteggiava attorno a te, ti ammaliava e ti rapiva, io cominciai a sbiadire.
Sul tuo spartito io e le note che mi componevano cominciammo a diventare sempre più pallide.
Da nero, a grigio, a bianco.
Sullo spartito non rimase che il mio nome.
Sinfonia di Venere.
Stavo sfumando nel nulla, ma riuscii a percepire le tue dita lunghe, lunghissime, che mi accartocciavano.