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Autore: fireslight    13/08/2015    9 recensioni
Vorrebbe dirle di non parlare, perché quella vicinanza fa male e lui non ha fatto tutta quella fatica - e quella strada - per andare a morire a Essos, accidenti a lei.
[..]
«Sandor?»
«Non volevo svegliarti, uccelletto.» le sussurra, sfiorandole il viso con le nocche rovinate, «Torna a dormire.»

[Sandor/Sansa♥][Future!Fic • What If?][Missing Moments, Slice of Life − 1.631 words]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nel silenzio della notte

{chiunque trova il modo per fuggir via}
 


«Quanto credi che manchi?»
«Poco, uccelletto.» un sussurro nel buio, alimentato dai rumori sul ponte della nave. «Cerca di dormire,» lì sotto, però, silenzio.
Un fruscio del mantello scuro contro la spalla, ed il suo capo è poggiato contro di lui, la lunga treccia rossa che spicca nella sottile lama argentea della luna, il respiro corto e le membra tremanti di freddo.
«Non ci riesco,» mormora, e lui non stenta a crederci. Un brutto momento per una traversata del genere, il migliore per loro.
«Provaci, uccelletto. Non è il momento di dare di stomaco.»
La sente sorridere nel buio, intravede il luccichio degli occhi azzurri. Poi quel silenzio maledetto, ancora.
«Non devo.. dare di stomaco, davvero. Solo che.. sicuro che non ci seguano?»
Un suono roco in risposta, forse il preludio di una risata senza alcuna traccia di allegria. «No che non ci seguono,» la rassicura in tono burbero, ma diverso e quasi intimo. Lo scricchiolio delle travi di legno e lo sciabordio delle onde come una triste ballata in sottofondo, «A meno che non sappiano camminare sull’acqua, i bastardi.»
«Sandor?»
Silenzio, assenza di rumore che si infrange sulle strette pareti della cabina, il soffuso martellare della pioggia all’esterno.
«Aye?»
«Quanto credi che manchi?»
Stavolta, il suo tono preoccupato è tangibile e reale e forse, le deve una risposta per come si deve. «Tutta la notte, Sansa.» sussurra nel buio, e la sente accoccolarsi contro il suo petto, stringendosi nel mantello da viaggio.
«Questa è la seconda volta.» bisbiglia lei, e il fragore di un tuono copre le ultime sillabe, ma Sandor sa a cosa si riferisca.
Anche se non lo ammetterebbe mai neanche a sé stesso.
«Seconda volta di che, uccelletto?»
«Mi hai chiamata per nome.»
Vorrebbe dirle di non parlare, perché quella vicinanza fa male e lui non ha fatto tutta quella fatica per andare a morire a Essos, accidenti a lei. Dovrebbero inventarsi dei nuovi nomi, ad ogni modo: come se le cicatrici sul viso non fossero una pericolosa lettera di presentazione.
«Inventatene un altro, uccelletto. Meglio non rischiare, per il momento.»
Lei non risponde. Tuttavia, è facile intuire i suoi pensieri. Le identità sono come maschere, per lui. E un nome, alla fine, è uguale a un altro.
Stark, Lannister, Stone, non c’è differenza alcuna, solo il proprio istinto a fare la differenza tra la vita e la morte. E deve concederglielo, di istinto e coraggio ne ha da vendere: dopotutto, è sopravvissuta ad Approdo del Re per più tempo di chiunque altro nella sua condizione.
«Sandor?»
«Mh?»
«Non voglio morire.»
Non c’è paura nella sua voce, solo la consapevolezza bruciante di voler continuare a respirare, nonostante tutte le belle favole che le venivano raccontate da bambina.
Ha imparato la lezione. La testa mozzata di suo padre e lo sterminio della sua famiglia le sono stati d’insegnamento.
«Non morirai, uccelletto.» le ha fatto una promessa ed è l’unica che manterrà mai, «Adesso, però, cerca di dormire.»
Lei annuisce, guardandolo un’ultima volta. Nel buio della notte, la vede chiudere gli occhi, lentamente, come se non volesse abbandonarsi all’oblio.
C’è silenzio adesso, gelido e tetro, mortale come la lama del boia sul collo.
 
 
«Non trovi che sia strano?»
«Cosa, uccelletto?»
I rumori e gli schiamazzi della taverna li ammantano di tenebra, come esseri insignificanti nella vastità del mondo, troppo effimeri e privi di interesse per essere notati. Un bene, oltretutto.
Lei si sporge appena oltre il tavolo in legno, guardandolo negli occhi grigi, senza più timore.
«Nessuno ci sta dando la caccia,» nota, guardandosi intorno, assimilando ogni cosa − la rozza lingua di Braavos, gli schiamazzi dei marinai, l’odore stantio del locale e quello dolciastro del cibo, «Quasi non mi sembra vero.»
«Si fottano, uccelletto,» Sandor vuota una coppa di vino in un sorso, «Nessuno ti farà più del male, intesi? Ho fatto una promessa.»
I suoi silenzi sono carichi di significato, però. Quegli occhi azzurri come il cielo lì fuori − come i fiumi da cui i Tully traevano la loro forza − sono spiragli di luce negli anfratti di tenebra della sua anima.
Come un’ancora di salvezza. O qualcosa del genere.
«Mi ricordo,» sussurra lei, a voce così bassa che Sandor crede di averlo solo immaginato.
Ma è reale. Reale come quelle piccole dita, lunghe e affusolate sul dorso della mano, che lentamente si intrecciano alle sue, come spirali infuocate, «Il Nord ricorda» ripete un po’ più forte, anche se per adesso il Nord è una memoria lontana, non più reale di quanto non lo fosse stata ad Approdo del Re.
Non è più l’uccellino spaventato che ripete a memoria paroline gentili, no. Quello che ha passato l’ha temprata nel fuoco, nel gelo della sua casa lontana.
«Dovremo trovare una casa, uccelletto.»
A quelle parole, lei si illumina d’improvviso, come sapesse esattamente a chi rivolgersi.
«La moglie del proprietario ha detto di avere una piccola casa, alcune vie più sopra, seguendo il viale per il porto di Ragman.»
La fissa quasi stupito, al di sotto del cappuccio scuro, «E dove lo hai sentito, eh?»
«L’ho sentito,» replica lei, soddisfatta tra sé di essere stata d’aiuto, un angolo della bocca sollevato verso l’alto, «Dalla donna stessa. Ne parlava con un marinaio, alcuni minuti fa’.»
«Aye, sai ascoltare, uccelletto.» annuisce brevemente, mettendo sul tavolo alcune monete d’argento. «Va’ a parlare con lei, allora. Sarai un acquirente migliore di me, suppongo.»
 
 
C’è silenzio mentre si toglie il mantello, poggiandolo su un gancio accanto alla porta.
Sandor la osserva da lontano, la sagoma distesa nell’ombra e i capelli sul cuscino come una colata di acciaio fuso.
Dorme, l’uccelletto, finalmente è al sicuro.
Alla fine, quelle monete d’argento erano servite a qualcosa: non che la moglie del locandiere sapesse realmente chi fossero, ma Sansa aveva dalla sua quell’ingenuità della giovinezza nel volto di porcellana che avrebbe spinto chiunque a crederle.
Sta imparando a sopravvivere, la figlia dell’inverno.
Per la donna che aveva accettato di vender loro quella casa − che non si era rivelata piccola e angusta come avevano immaginato, ma grande e ariosa, con una piacevole vista sulla baia, addirittura − erano persone che volevano lasciarsi il passato alle spalle dalla guerra che aveva devastato il loro continente, il che in parte era anche vero.
«Sandor?»
Probabilmente, qualche bugia li avrebbe aiutati a sopravvivere.
«Non volevo svegliarti, uccelletto.» le sussurra, sfiorandole il viso con le nocche rovinate, «Torna a dormire.»
Tuttavia, lei gli sorride, raggomitolandosi tra le lenzuola come un bruco nel bozzolo di calore che lo renderà farfalla.
Ed è così innocente e forte e determinata, che quasi non gli sembra vero, che abbia accettato di fuggire con lui − ma è lì, adesso, e forse Essos potrà essere casa più di quanto la Fortezza Rossa lo sia mai stata.
«Solo se rimani accanto a me.»
Alcuni minuti dopo, il suo capo poggiato sul petto e quei capelli rossi come le fiamme a lambire i confini delle loro pelli, lei ha il respiro regolare di chi è in un mondo sicuro, − al riparo dalla realtà.
Sandor allunga il braccio al di là della figura minuta della ragazza, toccando con sicurezza l’elsa del pugnale incastonato contro il legno del letto e poi un altro, sotto il proprio cuscino, assicurandosi che siano sempre lì, pronti al loro dovere.
Sansa dorme sonni tranquilli, e non immagina l’ansia e la preoccupazione che lo pervadono alla mattina quando deve lasciarla, quando non può proteggerla.
«Non dormi?»
La guarda, gli occhi azzurri ancora persi nell’oblio e nel silenzio della notte, le tracce residue di un sonno agitato spazzate via, come foglie in autunno.
«No, uccelletto.»
«Da quanto tempo è che non dormivamo su un letto decente? Dovremo approfittarne,» afferma convinta, con quel sorriso che le vede spesso indosso, impresso sul volto tranquillo. Sansa gli sfiora lentamente un braccio, gli arti intrecciati in una morsa indissolubile al di sotto delle lenzuola, «Non ci troveranno, Sandor. Vedrai, andrà bene.» mormora, con una tale sicurezza che potrebbe farlo tremare da capo a piedi, se non fosse chi è.
Si accorge che, oltre a quella voce simile a campanellini d’argento, l’eco di nessun suono invade la calma piatta della stanza, né l’esterno.
Come se non fossero abituati alla sensazione di precaria salvezza data da quella fuga improvvisa.
La stringe a sé, inspirando il profumo della sua pelle: sa di buono, di sole e del sale di Braavos, del tempo che scorre inesorabile ma guardingo, di un’esistenza che può ancora essere bella.
Poi la sente muoversi nel buio, all’improvviso, osservandone la sagoma scura trafficare nella struttura laterale del letto.
«Cercavi questo,» anche se, più di una domanda è un’affermazione. La lama argentea spicca nel buio come una lanterna dalla luce abbagliante.
«Devo proteggerti, uccelletto.» e per un istante, quelle parole rimangono sospese nel buio. Silenzio che li circonda, frasi e sguardi e azioni mai evitati e compiuti, «Sansa,» ripete il suo nome come una nenia, come se lei potesse salvarlo con uno schiocco delle dita.
Incredibile quanto la sua vicinanza gli sia di conforto.
«Devo proteggerti.» le sfiora il viso, sistemandole dietro l’orecchio una ciocca di capelli rossi.
Assurdo, oserebbe pensare, se non fossero chi sono, se non avessero passato le pene dell’inferno per fuggire via, lontano dove nessuno potesse trovarli.
«Ma non devi preoccuparti per me,» ribatte lei e, per un folle quanto breve istante, pensa che non voglia la sua protezione, la sua spada al suo fianco, lì dove potrà tenerla al sicuro, «Io sono con te.»
D’improvviso, le loro bocche si incontrano come per un tacito accordo, in movimenti pervasi dall’urgenza dell’ignoto, come non potessero farne a meno, respirando l’aria l’uno dell’altra.
E c’è ancora l’eco del vento che fischia contro le imposte della stanza, il turbinio delle onde nel porto in lontananza, il fruscio di lenzuola e sorrisi felici, ebbri di vita nel silenzio della notte.







 
Note dell'autrice.
Ew, ultimamente sto scrivendo di tutto su questa coppia meravigliosa, che posso farci? - niente, probabilmente, continuerò felicemente a scrivere perchè sono adorabili, e basta.
Niente di che da dire, solo che è chiaramente una What If?, di quelle enormi per di più. Si potrebbe collocare tra la fine della quarta stagione e l'inizio della quinta, ma chi lo sa.
Ad ogni modo, spero di essere rimasta IC con i personaggi, soprattutto con Sandor che be', non è una cima di finezza e gentilezza e dolcezza su cui scrivere, ma vabb. Mi farebbe piacere se lasciaste qualche commentino, giusto per farmi un'idea sul fatto che possa essere o meno una schifezzuola di storia, ve ne sarei eternamente grata (?)
Detto ciò, au revoir.
Alla prossima, 
fireslight.

 
 
  
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