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Autore: Feel Good Inc    29/01/2009    6 recensioni
«Detta così, sembra che per noi esistano solo sentimenti spiacevoli.»
Axel rise.
«Beh, dimmelo tu. Che altro c’è?»
Roxas distolse lo sguardo, riflettendo.
«Amicizia» rispose lentamente. «Affetto. E...» Si interruppe, confuso, senza sapere come continuare.
Axel sembrò non notare il suo momento di impasse. Si sollevò su un gomito e lo fissò. [...]
«Roxas, facciamo un gioco?» sorrise.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
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Il cielo di Crepuscopoli, tinto del caratteristico colore del tramonto, si rifletteva nelle iridi azzurro chiaro di Roxas, disteso a naso in su nell’erba alta di un terreno in disuso

Evviva! Prima shonen-ai!! Prima ff su Kingdom Hearts!!! XD

Ok, come ho detto è la prima di questo genere, perciò non aspettatevi molto… Ma sentivo un’esigenza – ancor più che un bisogno – di scrivere almeno una piccolissima AkuRoku. E finalmente un sogno che ho fatto mi ha fornito quella che mi è sembrata una buona ispirazione… ^^ Spero che vi piaccia!

[Lievissimo spoiler (innocuo e ininfluente XD) su Kingdom Hearts 358/2 Days.]

 

 

 

 

 

 

What a Nobody feels

 

 

 

 

Il cielo di Crepuscopoli, tinto del caratteristico colore del tramonto, si rifletteva nelle iridi azzurro chiaro del ragazzo disteso a naso in su nell’erba alta di un terreno in disuso. Il silenzio era rotto solo dal fruscio del vento che scuoteva gli steli d’erba intorno alle sue gambe e gli sollevava i capelli biondi dalla fronte, in un gesto quasi amichevole. Era un giorno come tanti, ma non era una vita come tante.

Non era la sua vita.

Preda dei propri pensieri confusi, Roxas aveva vagato per la città forse per ore, forse per anni, e alla fine si era lasciato cadere lì, a braccia aperte, a fissare il cielo e a chiedersi il senso del vuoto che si sentiva nel petto, proprio lì dove avrebbe dovuto esserci il cuore.

Il cuore di un altro.

Fu un rumore diverso a scuoterlo. Lieve, come un sussurro, come erba calpestata piano. Si voltò senza alzarsi.

In piedi al suo fianco, le mani affondate nelle tasche del lungo cappotto nero, i capelli rossi resi di un colore ancor più intenso per via del tramonto, c’era Axel.

La sua presenza non lo infastidì.

Axel era probabilmente l’unico vero amico che avesse.

Questo, beninteso, se persone come loro potevano avere amici.

Si sollevò a sedere, mentre l’altro si chinava al suo fianco, incrociando le gambe nell’erba.

Axel non gli chiese che fine avesse fatto, che cosa ci facesse lì invece che al Castello dell’Oblio, dove il Superiore stava per tenere l’ennesima delle riunioni dell’Organizzazione; non gli disse nulla. Il loro era un rapporto in cui le parole non contavano molto. Spesso i silenzi dicevano molto di più.

Il giovane si limitò a mostrare le mani, e a tendergli uno dei due gelati al sale marino.

Con un mezzo sorriso, destinato a sparire in fretta, Roxas lo accettò e iniziò a scartarlo.

Per molto tempo non dissero nulla. Fu Axel, dopo quello che sembrò un secolo, a parlare.

«Mi dici a che pensi?»

Non gli rispose subito. Senza deconcentrarsi dal suo ghiacciolo, alzò di nuovo gli occhi verso il cielo, scegliendo le parole che potessero esprimere meglio ciò che provava.

Ciò che gli mancava.

«A niente» rispose infine, scuotendo piano la testa. «Che poi è quel che siamo noi, no?»

Anche Axel ci mise un po’ a rispondere. Sembrava che stesse riflettendo sulle sue parole.

«Capisco cosa vuoi dire» mormorò infine, osservando con sguardo pensoso lo stecco del gelato che aveva appena finito.

Ignorando la mancanza di una sua risposta pungente – che sarebbe stata la reazione più tipica da parte di Axel – Roxas gettò via il bastoncino del suo ghiacciolo. Strappò distrattamente un filo d’erba, poi se lo portò alle labbra: soffiandoci sopra, emetteva un suono simile ad una musica. Quel gesto gli ricordava qualcosa.

Forse era un ricordo di qualcun altro.

Tornò a stendersi, fissando una nuvola molto strana proprio sopra di sé. Inclinò la testa. Vista così, sembrava quasi un Keyblade...

«Ma sai una cosa?» Axel si distese a sua volta, portando le braccia dietro la nuca. «Secondo me ti sbagli.»

Sorpreso, il ragazzo si voltò a guardarlo, e vide che sorrideva.

«Che cosa intendi dire?»

Axel ricambiò lo sguardo, senza smettere di sorridere.

«Noi non siamo “niente”, Roxas. Siamo tu ed io, siamo qui. Siamo vivi, anche se la nostra è più o meno una mezza esistenza... Ma questo non ci impedisce comunque di pensare, di desiderare... Neanche di provare sentimenti.»

Roxas continuò a fissarlo, sempre più stupito. Da quando Axel si lanciava in meditazioni così... sagge?

Lui tornò a guardare il cielo. I suoi capelli rossi creavano strani giochi di luce nell’erba verdissima.

«Pensaci» continuò. «Noi proviamo sensazioni forti quanto quelle di qualunque persona – definiamole così – “normale”... Voglio dire, non siamo felici della nostra condizione, e questo ci provoca frustrazione. E rabbia. E risentimento. Desideriamo delle vite vere, invidiamo e spesso odiamo chi ne possiede...»

Roxas sbuffò.

«Detta così, sembra che per noi esistano solo sentimenti spiacevoli.»

Axel rise.

«Beh, dimmelo tu. Che altro c’è?»

Roxas distolse lo sguardo, riflettendo.

«Amicizia» rispose lentamente. «Affetto. E...» Si interruppe, confuso, senza sapere come continuare.

Axel sembrò non notare il suo momento di impasse. Si sollevò su un gomito e lo fissò. Era tornato l’allegro burlone di sempre.

Proprio come piaceva a lui.

«Roxas, facciamo un gioco?» sorrise.

Lui lo guardò di rimando.

«Un gioco?»

«Sì. Io ti dico una sensazione, tu mi dici quando la provi; poi tu me ne dici un’altra e io ti dico quando la provo...» Il suo sorriso divenne un sogghigno. «Originale, eh? A volte mi stupisco di me stesso.»

«Mai quanto stupisci me.»

Roxas scosse la testa, sorridendo. Era incredibile. In un modo o nell’altro, Axel cercava sempre di farlo sentire meglio... Il bello era che spesso ci riusciva.

Si rialzò a sedere.

«E va bene, dai. Sono pronto.»

Axel non si fermò a pensare neppure per un istante. Gli puntò contro il bastoncino del gelato.

«Fastidio!» declamò.

Roxas rifletté, poi sbuffò di nuovo.

«Hai presente ogni mattina, quando Marluxia fa colazione seminando petali ovunque, anche nei piatti e nelle tazze di noialtri malcapitati...?»

Axel scoppiò a ridere.

«Sì, direi proprio che questo è un fastidio che condividiamo!» boccheggiò.

«Tocca a me» lo interruppe Roxas. Dopo qualche istante si decise. «Depressione.»

Era curioso di sapere se ci fosse qualcosa in grado di abbassare il morale a quel vulcano attivo del suo migliore amico.

Axel smise all’istante di ridere e sospirò, amareggiato.

«Zexyon» gemette. Scosse la testa con aria rassegnata. «Con quella sua aria oscura, come se non si fosse mai fatto una risata... Non posso farci niente, è più forte di me... Mi deprime proprio.»

Stavolta fu Roxas a scoppiare a ridere, esilarato dall’espressione esageratamente afflitta di Axel.

«Repulsione!» disse lui, tornando allegro e protendendosi verso Roxas con aria interessata.

Il ragazzo si ricompose.

«Mmm, dunque... Ok, ce l’ho. Hai mai visto Xigbar togliersi la benda dall’occhio?»

«Oh, no, ma che orrore

«Ecco, ti sei risposto da solo» rise Roxas.

Si stava divertendo.

«Rabbia.»

Axel emise un forte sbuffo contrariato e incrociò le braccia.

«Quando Xemnas ci affida missioni diverse per evitare che noi due combiniamo disastri insieme!»

Roxas ridacchiò di nuovo.

«Ma questo vuol dire semplicemente che anche lui prova qualcosa, Axel. Diciamo che praticamente lo terrorizziamo

«Già, è probabile» convenne Axel, con l’espressione euforica di chi ha appena sciolto un mistero. «Andiamo avanti... Invidia.»

Questa volta, a poco a poco, Roxas si fece serio.

Fece scorrere lo sguardo sul prato, sfuggendo a quello di Axel.

Era una risposta ovvia, ma anche dura.

Si fece coraggio.

«Qui in città» mormorò, «vivono tre ragazzi che... che ho visto spesso. Stanno sempre insieme.» Strinse le gambe tra le braccia, cercando di far passare inosservato il tremito delle mani. «Due ragazzi e una ragazza... Vanno a scuola, escono, scherzano insieme, hanno una vita normale. Ridono. Tanto.» Strinse i pugni. Lo stelo d’erba che ancora stringeva tra le dita si spezzò e scivolò pian piano a terra. «A volte li invidio per questo. È che... Sai... Deve essere bello... Non avere pensieri, se non quello di dover crescere... Essere se stessi... Avere una propria anima. Una intera. Non vivere a metà.»

Calò il silenzio. Roxas si sentiva addosso gli occhi verdi di Axel, capaci come sempre di trapassarlo da parte a parte; continuò ad evitarli. Percepì un movimento da parte dell’amico, come se volesse posargli una mano sulla spalla.

«Roxas...»

«Paura» lo interruppe bruscamente, sperando di poter tagliare lì il discorso.

Non gli andava di fargli capire quanto gli facessero male quei tre ragazzi.

Quando riuscì di nuovo a voltarsi verso di lui, vide che anche Axel aveva deciso di lasciar correre. Meglio così.

Axel sapeva sempre qual era la cosa giusta da fare con lui...

Con l’indice al mento e il viso assorto, sembrava rimuginare intensamente sulla questione.

«Paura, eh? Vediamo...» Alla fine ostentò un brivido. «Ti è mai capitato di – ehm – appiccare accidentalmente il fuoco ai vestiti di Larxene mentre ti passava davanti?»

Suo malgrado, dimenticando la confusione di poco prima, Roxas scoppiò a ridere.

«Non ci credo... Mi sono perso una scena del genere! E sei ancora vivo?!»

«Lasciamo stare» borbottò Axel, mostrandosi ancora comicamente terrorizzato, ma non riuscendo a dissimulare davvero quanto fosse contento di vederlo ridere... «Tristezza» proseguì.

«Sora» rispose Roxas senza pensarci.

La risposta più spontanea che potesse trovare.

Perché era inevitabile che si rattristasse, pensando a quanto lui e il Padrone del Keyblade fossero ad un tempo simili e diversi.

Simili, perché condividevano un’anima.

Diversi, perché Sora era libero, Roxas no.

La sua vita non dipendeva da quella di qualcun altro.

Accorgendosi del nuovo silenzio imbarazzato venutosi a creare, Roxas si affrettò ad interromperlo. Non voleva immalinconire l’atmosfera. Axel stava già facendo di tutto per distrarlo dai suoi pensieri: non gli sembrava giusto continuare a chiudersi in se stesso e nel proprio senso di vuoto...

Certo che era davvero unico quel suo modo di cercare di farlo sorridere...

«Non vale, però» sbuffò, fingendo di imbronciarsi come un bambino. «Se non sbaglio, avevamo stabilito che possiamo provare anche sensazioni piacevoli. Finora ne abbiamo dette solo di tremende.»

Axel sembrava sollevato dal fatto che lui stesse ancora partecipando al gioco. Era ovvio che non avrebbe mai voluto rattristarlo.

Era un vero amico.

«Giusto, hai ragione» ridacchiò. «Dai, dimmene una piacevole.»

Roxas ci pensò su per un attimo.

«Divertimento.»

Axel riprese immediatamente a ridacchiare.

«Beh» esordì, «mi viene in mente la solita scenetta che si ripete spesso: Demyx che semina la confusione tra gli esperimenti di Vexen...»

«Sì» sorrise Roxas, «e Vexen che lo rincorre urlando e minacciando di distruggere il suo Sitar...»

«... E Demyx che puntualmente va a cercare Xaldin o Lexaeus per nascondersi dietro uno dei due...»

«... E loro che puntualmente se lo scrollano di dosso imprecando...»

«... E Vexen che corre a chiedere manforte a Xemnas...»

«... E lui che maledice entrambi...»

«... E le urla che echeggiano per tutto il Castello...»

A quel punto si rotolavano dalle risate, letteralmente.

Roxas si ritrovò di nuovo a braccia aperte nell’erba, ansante, ma stavolta sereno e allegro come non mai.

«Lo ammetto» disse infine Axel al suo fianco, il respiro affannoso, «è una sensazione decisamente molto piacevole. Tocca a me.» Gli rivolse un altro sguardo divertito. «Cos’è che dicevi, prima...? Ah, sì: amicizia e affetto.»

Roxas sorrise.

«Beh... Direi che questo mi fa pensare a Xion...»

Axel inarcò un sopracciglio. Roxas rise di nuovo.

«E anche a te, idiota.»

«Ecco, va già meglio.» Axel si sollevò sui gomiti e protese una mano, scostandogli lentamente i capelli dagli occhi. «Ti vengono in mente altri sentimenti piacevoli, numero XIII?» chiese sorridendogli.

Il contatto delle sue dita sul proprio viso lo turbò.

Un momento... Cosa stava succedendo?

Perché gli sembrava che ci fosse qualcosa di non detto negli occhi di Axel?

Distolse lo sguardo. Concentrati, Roxas. Il gioco continua. Un altro sentimento piacevole...

«Ci sarebbe qualcos’altro...» mormorò finalmente, esitando un po’.

«Sarebbe a dire?»

Roxas rivolse un sorrisetto sognante al cielo su di sé, poi chiuse gli occhi.

«Dicono che si senta dritto nel cuore. Ma non penso sia proprio così. A quanto pare i sintomi sono vuoti allo stomaco, testa che gira, mani e gambe che tremano... Alla fin fine credo che il cuore non c’entri poi così tant...»

Un tocco leggero sulle labbra lo costrinse ad interrompersi.

Era un sapore non suo, accompagnato da un respiro non suo. Una fiammata di calore gli invase il corpo. Aprì di colpo gli occhi.

Axel si ritrasse, interrompendo il bacio e guardandolo apertamente.

«Intendevi questo?» bisbigliò, ad un soffio dal suo viso.

Roxas si perse in quei suoi magnetici occhi verdi. Vuoto allo stomaco, testa che gira, mani e gambe che tremano... I sintomi erano quelli.

E improvvisamente, seppe che tutto era giusto così.

«Sì» mormorò, ricambiando il sorriso. «Credo proprio di sì.»

Con un sorriso più ampio, Axel si distese di nuovo accanto a lui e lo strinse a sé.

«Ci avrei giurato.»

Roxas chiuse ancora gli occhi, beandosi di quell’abbraccio e di quel nuovo, piacevolissimo sentimento che aveva appena scoperto di poter provare...

Il vuoto che sentiva all’altezza del cuore non sembrava più così vuoto.

Per la prima volta da che esisteva, si sentiva completo.

«Axel?»

«Mmm?»

«Facciamo un altro gioco?»

«Quale?»

«Siamo in ritardo per la riunione. Facciamo a chi arriva prima?»

Anche un Nessuno sa amare.

   
 
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