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Autore: MartyKiracchan_    14/08/2015    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se non fosse stato Scott a ricevere il dono del morso, ma Stiles? Come se la sarebbe cavata il figlio dello sceriffo?
"Come sua prima luna, dopotutto, non era andata tanto male. Stiles adesso era convinto di riuscire a cavarsela. Forse la vita innovativa da licantropo non era così brutta come credeva. Forse, quando sarebbe stato esperto come Derek, avrebbe anche potuto aiutare suo padre a risolvere i casi. Sarebbe stato finalmente un eroe. L’eroe di Beacon Hills.
Occorreva solo un po’ di pratica."
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era una ventosa giornata di settembre. Di mattina presto, nella propria stanza, un ragazzo dai capelli castani e gli occhi color cioccolato non riusciva a prendere sonno. C’era semplicemente troppo movimento per starsene sul letto tranquilli a riposare. Nonostante avesse un dolore atroce alla schiena per essersi addormentato in una posizione da far invidia ad un contorsionista, il nostro amico era deciso a tenersi in piedi per osservare attentamente tutto quel via vai fuori dalla sua finestra.
Disposte bene in fila sul vialetto, c’erano un paio di aiuto della polizia i cui proprietari sembravano attendere con impazienza. Doveva essere successo qualcosa di grosso, a giudicare dall’espressione di un ufficiale che teneva al guinzaglio il suo esemplare di pastore tedesco addestrato.
Dopo una manciata di minuti il ragazzo vide uscire dalla sua abitazione un uomo in tenuta da sceriffo: sembrava non aspettare altro, dato che aprì cautamente la finestra ignorando la folata di vento che stava facendo entrare in camera, per origliare le conversazioni degli agenti.
-Un caso di 187, sceriffo. Nel bosco.- Aveva detto l’uomo con il cane.
Il ragazzo sapeva benissimo cosa significava quel numero: omicidio. Lo aveva sentito un’infinità di altre volte, insieme a molti altri codici provenienti dalle conversazioni di lavoro di suo padre. Era sempre stato un tipo molto curioso, quindi essere il figlio dello sceriffo del dipartimento di polizia di Beacon Hills aveva i suoi vantaggi.
-Avete già ritrovato il cadavere?- Disse cupo lo sceriffo dirigendosi verso la sua vettura.
-Ne abbiamo recuperata solo una metà.
-Come?
Il ragazzo alla finestra scattò, estasiato. Aveva passato tutta l’estate nell’attesa di qualche notizia con un po’ di pepe in quella città in cui mai niente di eccitante accadeva. Adesso aveva l’occasione di divertirsi e non voleva assolutamente farsela sfuggire.
Afferrò la sua camicia a scacchi preferita e la indossò in tutta fretta, mentre di sotto il rumore del motore delle auto si allontanava sempre di più. Scese le scale goffamente e, quando fu davanti alla porta d’entrata, gli balenò un pensiero nella mente.
-La patente!- Esclamò. Per fortuna se ne era ricordato. Non poche volte, a causa della sua sbadataggine, aveva finito per mettere in moto e dimenticarsi la patente a casa, nell’armadietto di scuola, nella gabbietta del criceto, in tutti i posti più strani e disparati. Temeva profondamente di non riuscire a trovarla nel giro di qualche minuto e, invece, la sua patente di guida spiccava proprio fra le pagine del libro di economia da cui ripassava la sera precedente. Chissà per qualche strano motivo, osservò a lungo la scritta posta sopra alla sua foto risalente all’anno precedente.
“M. Stilinski.”
Quella scritta un po’ lo turbava, probabilmente perché non si faceva mai chiamare con il suo impronunciabile, strano, vero nome. Preferiva farsi chiamare Stiles. Stiles Stilinski. Si, suonava meglio. E gli piaceva un sacco.
Stiles uscì finalmente di casa e raggiunse la sua jeep, mettendosi al volante. Malgrado fosse malandata e con un urgente bisogno di manutenzione adeguata, lui la adorava; era il suo piccolo tesoro e non l’avrebbe barattata nemmeno con una Ferrari.
Non si diresse subito verso il bosco. Avrebbe affrontato quell’avventura alla ricerca dell’altra metà del cadavere, ma non da solo.
 
-Stiles! Dovevi proprio svegliarmi alle sette meno un quarto di domenica mattina per giocare a Dora L’Esploratrice?!- Si lamentava Scott mentre ansimava per raggiungere il punto più alto della collinetta su cui si era andato a cacciare Stiles. Nel frattempo prese il suo inalatore e lo utilizzò: quella non era proprio una gita indicata per qualcuno con problemi di asma.
-Andiamo, Scotty- ribatté l’amico scrutando con attenzione il perimetro della radura in cui si trovavano. -Una volta tanto che succede qualcosa. E poi, che avevi di meglio da fare? Studiare? Guardare Peppa Pig?
Scott si scostò dagli occhi i lunghi capelli scuri e si sedette su un masso riponendo in tasca l’inalatore. -No, avrei potuto allenarmi a lacrosse. Non voglio restare in panchina anche quest’anno.
-Quindi per venire alla ricerca di un mezzo cadavere nel bosco con il tuo migliore amico ti viene l’asma, invece per fare il figo a lacrosse nell’attesa di rimorchiare qualche ragazza no, dico bene Scotty?
-Piantala di chiamarmi Scotty.
-Preferisci Scottex?
-Okay, Scotty va bene.
Era quasi mezzogiorno quando i due ragazzi si resero conto di essere stanchi, sudati, puzzolenti e affamati, dopo un’intensa mattinata trascorsa a vuoto nei boschi.
-Ma se la polizia non è riuscita a trovare il corpo, cosa ti fa credere che potremmo riuscirci noi?- Disse Scott appoggiando la mano ad un albero.
-Perché noi siamo più giovani, più agili, più furbi, e…- Stiles si interruppe vedendo che l’amico si stava ripulendo sulla felpa dalla resina dell’albero che gli si era attaccata alla mano come colla. -Forse sono io l’unico furbo qui.- Rise dello spiacevole incidente capitato a Scott. Quest’ultimo non ci fece caso e ricominciò a camminare.
Fortunatamente, Stiles aveva previsto che non sarebbero tornati a casa per l’ora di pranzo, e prima di addentrarsi nella foresta aveva fatto scorta di panini. Frugando dal frigorifero di Scott.
Trovarono un tronco cavo e ci si sedettero comodi mentre mangiavano dei panini con degli strani hamburger, i quali, a detta di Stiles, erano scaduti già da un bel pezzo.
-Stiles, secondo me stiamo solo girando a vuoto. Non sappiamo nemmeno se tuo padre ha avuto più fortuna di noi nella ricerca.
Era quasi il tramonto quando i due ragazzi si resero davvero conto di quanto esausti ed affaticati fossero.
-Forse hai ragione.- Borbottò il figlio dello sceriffo, rassegnandosi. ---Forse dovremmo tornare a casa. O andare al McDonald’s. Dato che uno scoiattolo si è fottuto le nostre ultime provviste.
-O forse no…- Scott si chinò dopo aver sentito qualcosa di liquido sotto i piedi; inizialmente pensò fosse solo dell’altra resina, ma gli risultava che la resina fosse gialla, non rosso cremisi.
-Una chiazza di sangue.- Esclamò, indicando all’altro anche delle piccole gocce che sembravano formare un sentiero, interrompendosi proprio vicino ad un folto cespuglio, anch’esso sporco di sangue.
-Ben fatto, fratello.- Stiles gli si avvicinò e gli batté delle pacche amorevoli sulla spalla sinistra.
-Potrebbe anche essere solo sangue di animale.- Puntualizzò lui.
-Non ci resta che scoprirlo.
-Poi ci andiamo lo stesso al McDonald’s?
 
A quanto pare la fortuna era finalmente dalla loro parte, se poteva definirsi fortuna quella che i due videro non appena scostarono le foglie del famigerato cespuglio.
Era la raccapricciante visione della parte superiore del cadavere di una ragazza all’incirca ventenne dagli occhi azzurri spalancati e folti capelli neri arruffati. Era completamente nuda ed il suo corpo sporco era intriso di ferite, peli scuri e sangue. Scott pensò che se l’avesse conosciuta prima l’avrebbe volentieri invitata ad uscire.
La ragazza aveva un’enorme squarcio all’altezza della vita; la parte inferiore le era stata completamente strappata via.
Stiles dovette allontanarsi per non svenire dalla puzza e dalla vista del sangue. Nonostante tutto, però, era eccitato: aveva trovato il cadavere prima della polizia. Suo padre non sarebbe di certo stato contento del fatto che spesso origliava le sue conversazioni con la centrale, ma almeno lo avrebbe lodato per la sua prontezza, la sua tenacia, il suo coraggio, la sua intelligenza, la sua furbizia e per… l’enorme fortuna che aveva avuto il suo amico Scott.
Mentre cercavano un punto in cui ci fosse campo per contattare lo sceriffo, il cielo si incupì sempre di più, fino a che giunse la sera e dovettero usare i cellulari come torce, sperando di non perdersi.
Stiles percorse qualche chilometro, che a lui invece era sembrato giusto qualche metro, dato che aveva avuto gli occhi fissi sullo schermo del telefonino tutto il tempo. Si rese improvvisamente conto di aver perso di vista sia Scott che il cadavere e un brivido di terrore iniziò a corrergli lungo la schiena. Si era perso. Di notte. Nella foresta. Le cose non sarebbero potute andare peggio di così.
Invece eccome se potevano…
Il ragazzo cercava disperatamente di riconoscere in qualche modo la strada per ritrovare il sentiero di casa, ma invano. Chiamava a gran voce il nome di Scott, ma non riceveva risposta. Più passava il tempo, più il terrore si insediava dentro di lui. Si sentiva come quando, da piccolo, si perse per la prima volta nella cantina di casa. Provava esattamente le stesse emozioni. Paura del buio, dei rumori, di qualcosa a lui sconosciuto. Si sentiva un vigliacco. Suo padre, lo sceriffo,  fronteggiava situazioni del genere quasi tutti i giorni, lui invece era un incapace. Pensava davvero di riuscire a fare il lavoro del padre meglio di quanto avrebbe mai potuto fare lui? Che illuso che era stato. Se solo avesse potuto essere più forte, più potente…
Era totalmente immerso nei suoi pensieri quando accadde. Sentì un rumore di passi spediti dietro di lui ma non fece neanche in tempo a girarsi per vedere di chi, o cosa, si trattasse. Tutto ciò che riuscì a scorgere furono un paio di occhi rosso brillante che coronavano una sagoma animalesca enorme e scura. Stiles pensò subito che fosse un orso, ma aveva il muso più allungato ed un’agilità più sviluppata, grazie alla quale riuscì, con una rapidità fuori dal normale, ad avvicinarsi a lui ed addentargli il polpaccio sinistro, provocandogli un dolore lancinante.
Un lupo.
Cadde a terra, perdendo il cellulare tra le foglie secche, urlando e ansimando. Sentiva che l’animale aveva mollato la presa, ma non riusciva comunque ad avere il coraggio di guardarsi la ferita. Faceva già troppo male. Il sangue non cessava di fuoriuscire.
Alzò lo sguardo, e scorse il meraviglioso cielo notturno già pieno di stelle e una grande luna a forma di falce. Quella visione incantevole quasi gli fece dimenticare il dolore. Poi, ormai stremato dalla dura giornata, non seppe dire se si addormentò tranquillamente o svenne di soppiatto.
 
Stiles aprì lentamente gli occhi e si ritrovò circondato dal bianco. C’erano pareti bianche, lenzuola bianche, mobili bianchi. Persino lui aveva indosso un’orrenda vestaglia bianca. Si sentiva riposato ed in forma, ed anche un po’ confuso. Si sedette sul letto e notò un orologio sul comodino accanto che segnava le sette e mezza di mattina. Guardò fuori dalla finestra e riconobbe la visuale: si trovava nell’ospedale di Beacon Hills.
Come ci era finito lì?
Poco dopo entrò in stanza lo sceriffo, con il distintivo in bella mostra sul petto.
-Stiles!- Esclamò, non appena vide il figlio cosciente. -Figliolo, come ti senti?- Si mise seduto accanto a lui e lo abbracciò così forte che avrebbe potuto rompergli qualche costola. Per fortuna erano in un ospedale.
-Papà…- balbettò il piccolo Stilinski. -Come…Come mi hai trovato?
-Scott è riuscito a contattare la centrale. Avevamo appena ritrovato l’altra metà del cadavere quando ti abbiamo sentito urlare. Cos’era successo? Sei inciampato? Eri a terra. Ti ho portato in ospedale per accertarmi che non avessi nulla di grave. E ti sei fatto un bel sonnellino. Per fortuna stai meglio.
Suo padre parlò così in fretta che Stiles impiegò parecchi secondi per comprendere al meglio ciò che aveva detto. Perché era caduto? Ripercorse in fretta i suoi ricordi. Il cellulare, il lupo, la ferita, il sangue…
Ma certo, la ferita!
Il ragazzo si portò subito la mano alla gamba sinistra e la tastò. Non c’era traccia di ferite, o di sangue. Alzò l’arto per vedere meglio, immaginando che l’avessero ricucita con dei punti di sutura ma… niente. La pelle era perfetta.
-Qualcosa non va?- Chiese lo sceriffo, preoccupato.
-Papà, c’era un lupo. Un lupo mi ha addentato il polpaccio. Sanguinavo, per questo ero a terra.
-Stiles, non avevi nulla alla gamba quando ti abbiamo ritrovato. Probabilmente hai battuto la testa.- Il padre lo guardava con un’aria preoccupata ed incredula, tanto da spaventarlo. -E poi, in California i lupi non ci sono più da oltre sessant’anni.
Stiles non voleva crederci. Possibile che si fosse immaginato tutto? Era così reale. Ma, in effetti, non sarebbe mai potuto esistere un lupo di quella stazza dagli occhi rosso fluorescente.
Si, lo aveva certamente sognato.
 
In punizione. Roba da non credere. Aveva ritrovato un cadavere ed era questo il premio di suo padre? Una punizione solo per aver origliato qualche conversazione?
Nemmeno Scott credeva alla sua storia sul lupo, quindi Stiles stava cercando in ogni modo di non pensarci più. E, come se non bastasse, subito dopo scuola sarebbero dovuti tornare nel bosco per cercare l’inalatore che Scott aveva perso quando si erano separati. E non finiva di certo qui. La prima ora era quella di storia con il Professor Harris. Tecnicamente: il Professor Piton con i capelli un po’ più corti, il naso meno adunco e gli occhiali.
Stiles prese posto tra i banchi mettendosi subito davanti a Scott, nell’attesa che arrivasse il prof. Non appena si sedette, si sentì strano. Avvertì un fastidio alle orecchie, come un fischio. Poi sentì un telefono vibrare. Controllò: non era il suo. Vide Danny Mahealani, dalla parte opposta dell’aula, estrarre il cellulare dalla tasca dei jeans e controllare qualcosa, probabilmente un messaggio. Possibile che Stiles avesse sentito la vibrazione del telefono di Danny, da così lontano?
Un altro fastidio. Questa volta erano delle voci. Non provenivano dall’aula, Stiles ne era certo, eppure le sentiva amplificate e distinte dentro la sua mente. La prima che udì fu una che conosceva: apparteneva a Jackson Whittemore, il biondino belloccio capitano della squadra di lacrosse.
-Allora, come ti stai trovando a Beacon Hills?
Stiles proprio non capiva da dove provenisse. Poi sentì qualcos’altro, una voce melodiosa, questa volta di una ragazza, ma era sicuro di non averla mai sentita prima.
-Si, mi sto ancora ambientando. E’ una città molto carina, mi piace molto
-E ti piacerà ancora di più, adesso che siamo migliori amiche.- Un’altra voce ancora. Un’altra ragazza. Si avvicinava. Stiles questa voce la conosceva.
Eccola entrare in aula, la proprietaria della voce. Bellissima come sempre, con i suoi capelli rosso fragola e gli occhi verde scuro, Lydia Martin entrò in aula seguita dal suo ragazzo Jackson e l’altra ragazza a cui Stiles pensava appartenesse la voce sconosciuta. Era bruna e anche lei molto carina. Stiles guardò Scott e notò che l’amico fissava la nuova arrivata come se fosse un dolcetto. Aspetto che le donava, dato che, sorridendo, metteva in mostra le fossette sulle guance che la rendevano più adorabile di quanto già non fosse.
Jackson e Lydia andarono a sedersi e il professore presentò la nuova arrivata al resto della classe.
Si chiamava Allison Argent.
 
-Ma l’hai vista?
-Si.
-Cioè, un angelo! Meravigliosa
-Scott, me l’hai ripetuto già trecentonovantaquattro volte. L’ho capito che ne sei cotto.
Le lezioni erano finite e Stiles e Scott si trovavano nello spogliatoio maschile della squadra di lacrosse per partecipare alle selezioni. Scott si sentiva motivato, non vedeva l’ora di mostrare al coach tutto quello che aveva imparato, sperava solo di non sentirsi male tanto da dover ricorrere all’inalatore, che non aveva; Stiles invece era tutt’altro che motivato. Sarebbe voluto sparire, ma doveva rimanere per supportare l’amico. Poi voleva capire se quelle sensazioni di “super udito” si fossero verificate grazie alla bevanda energetica che aveva preso il giorno prima dal frigo di Scott. Era tutto così assurdo. Gliene avrebbe parlato solo quando sarebbero finite le selezioni, per il momento non voleva dargli altro a cui pensare: doveva solo concentrarsi in modo da ottenere il posto da titolare in squadra.
 
Era mai possibile?
Lydia Martin, la stessa ragazza per cui Stiles aveva una cotta tremenda dalla terza elementare, ma che non lo aveva mai considerato più di tanto, stava seriamente urlando il suo nome incitandolo durante la partita di allenamento?
Stiles non voleva crederci. Non era mai stato un asso a lacrosse, eppure durante quella partita il coach gli aveva fatto provare tutti i ruoli possibili per vedere come se la sarebbe cavata. E lui in porta aveva preso ogni tiro, in attacco non aveva mancato una rete e sembrava possedere un’agilità incredibile quando si muoveva. Non aveva nemmeno più il dolore alla schiena. Era come se il suo corpo fosse un tutt’uno con il campo da gioco. Sembrava avere a disposizione tutto il tempo che aveva per compiere le azioni. I suoi sensi sembravano più sviluppati che mai. Doveva assolutamente procurarsi un altro po’ di quella strepitosa bevanda energetica.
Alla fine della partita tutti i giocatori erano andati a congratularsi con lui. Scott era orgoglioso: sarebbero stati entrambi in prima squadra quella stagione.
L’unico che sembrava non essere tanto contento dei nuovi arrivati fu proprio Jackson. Evidentemente si era offeso perché la sua amata Lydia aveva rivolto più attenzioni all’esile, indifeso Stiles Stilinski che a lui. Che poi tanto esile e indifeso non era più.
Mentre si faceva la doccia, Stiles notò che aveva più pettorali, addominali e persino un po’ di tartaruga. Si sentiva potente. E confuso.
Quando uscì per rivestirsi Scott lo raggiunse.
-Ehi, amico- Gli disse, notando che continuava a tastarsi i bicipiti. -Non è che hai iniziato a prendere gli steroidi?
-Cosa? No, certo che no.- Affermò Stiles, mettendosi la maglietta. -E’ solo che, da quando mi sono svegliato in ospedale, sono iniziate a succedermi delle cose strane. Faccio cose che non potrei fare. Sento cose che non dovrei sentire.- Il ragazzo vide che l’amico lo guardava perplesso. Annusò l’aria e sentì qualcosa. -Il profumo dello shampoo di Greenberg, per esempio. Lavanda.
In quel momento Greenberg uscì dalla doccia con una confezione di shampoo alla lavanda in mano.
Scott rise. -Deve averlo scambiato con lo shampoo della sorella.
Stiles però non rideva.
-Scott, sul serio, devo capire cosa mi sta succedendo.
-Oh, ma io lo so cosa ti succede.
-… ci sono davvero gli steroidi in quella bibita energetica?
-Cosa? No! Intendevo: hai detto che ti ha morso un lupo. Quindi probabilmente sei diventato un uomo lupo! Sai, tipo Spiderman che è stato morso da un ragno ed è diventato un eroe.
Stiles lo guardo torvo e gli diede una spintarella. -Smettila di prendermi per il culo. Io non sono un eroe.
-Fratello, sei tu ad aver detto di aver visto un lupo. Devi averla battuta molto ma molto forte la testa per comportarti così.
 
Anche quel pomeriggio nel bosco fu molto intenso.
Stiles riuscì in poco tempo ad individuare la posizione esatta in cui si erano persi il giorno precedente. Il che incrementò ancora una volta l’assurda teoria di Scott secondo la quale Stiles sarebbe stato un lupo mannaro.
-Ero sicuro di averlo perso proprio qui l’inalatore.- Disse Scott frugando tra le foglie e il terriccio.
Stiles si chinò per aiutarlo. Dopo poco avvertì inspiegabilmente qualcosa provenire dalle loro spalle. Qualcuno si avvicinava, ed era sempre più veloce.
-Cercate qualcosa?
La voce tenebrosa fece sobbalzare i due amici. Si ritrovarono faccia a faccia con un ragazzo alto, dai capelli scuri e un accenno di barba. Indossava un giubbotto di pelle e aveva la tipica espressione da bullo sborsa-caramelle. Doveva avere qualche anno in più di loro.
Stiles ebbe una sensazione, quando gli fu davanti. Come se quel ragazzo avesse un qualcosa di … familiare. Non sapeva dirlo con certezza, era come se si sentisse legato a lui. La sensazione diventava man mano più forte e l’avvertiva dentro, nella pelle, nella testa, nel cuore.
Scott e Stiles non ebbero nemmeno il tempo di rispondere alla domanda del nuovo arrivato, che quest’ultimo lanciò dritto nella loro direzione un piccolo oggetto bianco. Stiles lo afferrò al volo, esattamente come aveva fatto con le palle qualche ora prima durante l’allenamento di lacrosse.
-Bene, ora sparite.
Il misterioso ragazzo alzò i tacchi e in un batter d’occhio scomparve.
-Quello è Derek Hale.- Aggiunse Stiles mentre porgeva l’inalatore all’amico. Ecco perché conosceva quel ragazzo, in un caso di cui si occupò suo padre molti anni prima c’era il suo nome: l’incendio di casa Hale nel quale morirono una dozzina di persone; da quanto gli risultava, solo un paio ne sopravvissero. Derek era uno di quelli.
E… come faceva Derek a sapere che l’inalatore l’aveva perso proprio Scott?
Chissà quante altre persone erano passate di lì nel corso degli ultimi giorni. Che Derek gli stesse spiando?
E perché Stiles aveva quel forte impulso, per il quale avrebbe anche setacciato la foresta intera pur di ritrovarlo?
Una sorta di istinto. Sapeva dentro di sé di appartenergli.
Ma cosa significava? Perché proprio Derek Hale? Era completamente un estraneo, un tipo da cui si sarebbe chiaramente dovuto tenere alla larga.
Eppure doveva sapere cosa gli legava. La tentazione era troppo forte da sopprimere.
 
Quella sera, come da punizione, Stiles restò a casa, confinato in camera sua, a cercare di finire i compiti,  mentre suo padre era in servizio. Ma i compiti lui non gli stava affatto svolgendo.
Era raggomitolato in un cumulo di coperte sul letto a mo’ di salame.  Tremava, sentiva la nausea intensificarsi sempre di più, aveva dolore agli arti e al petto. Aveva iniziato a sentirsi così non appena si era fatto buio. Forse nel bosco era stato infettato da qualcosa che gli aveva fatto salire la febbre. A causa dell’alta temperatura corporea si sentiva come su una brace, in quell’aggroviglio di coperte, ma non se la sentiva proprio di alzarsi dal letto. I brividi aumentavano e l’allucinante mal di testa non peggiorava affatto la situazione.
In un secondo momento, diede anche la colpa a quella strana bevanda energetica di Scott. Peccato solo che la sua testa fosse troppo occupata a combattere il dolore per riuscire anche a pensare.
Strinse forte il cuscino con la mano sinistra, cercando di alleviare così il dolore, ma senza successo; si intensificava solo di più. Ritrasse con violenza la mano e… notò di aver praticamente squarciato a metà il cuscino.
Si alzò di soprassalto e osservò straniato le sue mani. Ciò che vide quasi non lo fece svenire.
Il dorso delle mani si era ricoperto di peli che man mano diventavano sempre più folti. Le sue corte unghie erano state sostituite da cinque lunghe e sporche armi taglienti per mano.
Stiles percepì un cambiamento anche nel suo viso, quindi si precipitò in bagno: nel poggiarsi di fronte allo specchio, graffiò il lavello con quelli che aveva poveramente riconosciuto come “artigli”. Ma non c’era identificazione più adatta. Dopo aver visto il suo riflesso, ciò che stava diventando, non ebbe più dubbi.
I suoi occhi castani erano diventati di un acceso giallo ambra, i capelli gli erano cresciuti e le basette pelose gli avevano raggiunto il mento. Persino le sopracciglia si erano allungate ed affoltite.
Dovette aprire la bocca, perché non riuscì più a trattenere quelle spaventose zanne animalesche che aveva percepito e poi visto spuntare.
Si voltò per un momento in direzione della finestra, ancora chino sul lavello.
Una luna piena tonda e brillante esibiva tutta la sua maestosità in quel cielo costernato di stelle. Il contatto con quel bagliore lo fece stare peggio, dato che dovette tornare con lo sguardo fisso sullo specchio.
Capì, finalmente capì ogni cosa.
Era Derek. Derek lo aveva morso quella notte nel bosco. Per quanto assurdo potesse risultare, era nient’altro che la pura verità. Derek Hale era un lupo mannaro, e aveva trascinato lui, Stiles Stilinski, in quel suo mondo pieno di incubi e sete di sangue. Ecco cosa era a legarli. Avevano lo stesso identico destino dannato.
La fame del neo licantropo si fece incontenibile; sentiva il disperato, incontrollabile, bisogno di uccidere.
Uscì dal bagno, rovesciando e squarciando tutto ciò che gli capitava sotto tiro, persino la lampada posta sulla scrivania. Vicino a questa c’era una cornice con una foto. Erano Stiles e un altro ragazzo. L’istinto famelico del lupo dovette faticare un po’ per ricordarsi a chi appartenesse quel volto posto accanto alla sua controparte umana in quel pezzo di carta lucido.
-Scott McCall.- Ringhiò. La sua voce era diventata più rauca, con un suono più aspro e duro.
-Devo uccidere Scott McCall.
 
Il giovane lupo mannaro correva senza sosta a quattro zampe, in direzione della casa di Scott, a piedi nudi e con i vestiti quasi totalmente ridotti a brandelli. Sapeva la strada. Sapeva che doveva fare del male a Scott. In quel momento per lui quel misero umano era solo un metodo per placare il suo istinto da predatore. Il lupo dentro di lui aveva preso il sopravvento, conosceva perfettamente le proprie intenzioni e non si sarebbe fermato. Nulla avrebbe interrotto la sua caccia.
Almeno così credeva.
Qualcosa lo assalì di soprassalto, alle spalle, costringendolo a terra. Stiles riconobbe subito quel giubbotto di pelle e quell’odore che lo aveva stregato.
-Stiles!- grugnì Derek Hale, mentre cercava di tenere fermo il ragazzo più piccolo, il quale continuava a dimenarsi sotto di lui. Il più grande non sembrava a disagio, sotto l’effetto della luna piena, anzi, sembrava mantenere un totale autocontrollo.
-Sei stato tu!- Continuò Stiles, sentendo che la sua parte umana stava riacquistando un po’ di coscienza. -Tu mi hai fatto questo! Tu mi hai morso!
-E cosa ci sarebbe di tanto brutto in questo, eh? Non è forse meglio riuscire a fare cose che gli altri non possono fare? Il morso è un dono, Stiles. Non essere il mostro che il tuo istinto vuole farti credere di essere. Controlla le tue emozioni. Sii un eroe. Salva te stesso.
In quel momento, Stiles si sentiva tutto, fuorché un eroe. Con la presenza di Derek, però, qualcosa era cambiato. Il ragazzo si guardò le mani, rigirandole più volte, e notò con stupore che gli artigli erano spariti.
-Come fai a restare inerme anche con la luna piena?- gli chiese, mentre il licantropo esperto lo aiutava a mettersi in piedi.
-Anni di esperienza. Imparerai anche tu. Ti addestrerò personalmente, se sarà necessario. Voglio che impari a gestire gli impulsi che provocano la trasformazione. Così non sarai più un pericolo per chi ti vuole bene. Ci vorrà del tempo, ma io sarò al tuo fianco.
Stiles osservò il sorriso di Derek e si sentì sconvolto dalla sue parole. Come aveva potuto, anche solo per un istante, pensare di far del male, uccidere addirittura, Scott, il suo migliore amico.
Da come ne parlava Derek, essere un lupo mannaro doveva essere sensazionale, escludendo le giornate di plenilunio.
Dopo quella piccola esperienza, però, si sentiva motivato. Voleva imparare a restare con la testa sul collo anche durante la luna piena. Proprio come faceva il ragazzo che gli era di fronte in quel momento.
La presenza di Derek lo aveva rasserenato, aveva controllato il suo istinto omicida, per quella volta. Con lui si sentiva al sicuro.
 
Come sua prima luna, dopotutto, non era andata tanto male. Stiles adesso era convinto di riuscire a cavarsela. Forse la vita innovativa da licantropo non era così brutta come credeva. Forse, quando sarebbe stato esperto come Derek, avrebbe anche potuto aiutare suo padre a risolvere i casi. Sarebbe stato finalmente un eroe. L’eroe di Beacon Hills.
Occorreva solo un po’ di pratica.
 
 
  
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