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Autore: ComeAndPlay    14/08/2015    4 recensioni
Pair: John x Mary
Contesto: Mesi precedenti a The Empty Hearse
John e Mary - ancora amici e colleghi - si trovano a passare l'ennesima serata insieme, ma i risvolti del loro incontro si rivelano del tutto inaspettati.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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« … John… »
Un solo sussurro le uscì dalle labbra carnose, dischiuse per liberare dei sospiri bollenti verso il soffitto di quella stanza, che all’improvviso le era sembrata così bollente da poter essere divorata dalle fiamme: ospitare il dottor Watson dentro di sé era stata una follia, di quelle che restano impresse e vengono bollate con un “non lo farò mai più” ci circostanza per sentirsi persone responsabili. Mary Morstan, a suo modo, sapeva essere responsabile, ma non con quell’uomo – conosciuto poche settimane prima sul posto di lavoro : era come se tutte le sue difese necessarie si annullassero in sua presenza, lasciandola scoperta, talmente scoperta da trovarsi nuda, intrecciata al suo corpo, a lasciargli totale libertà di muoversi in lei. Non aveva mai permesso a nessuno di sfiorarla, se non dopo una conoscenza approfondita ed uno studio dettagliato, per garanzia che il diretto interessato non sarebbe andato a curiosare nella sua vita passata, mettendola in seria difficoltà. Poi, era capitato John Watson: sapeva poco e nulla, di lui. Conosceva il suo passato da medico militare, il suo presente da semplice dottore all’ambulatorio del King George’s, la sua chiusura quasi di difesa, derivata da chissà quale trauma subito in un passato molto recente. Avrebbe potuto benissimo essere un criminale doppiogiochista – di quelli con cui aveva a che fare ogni giorno nel suo “lavoro” precedente -, afferrare un cuscino e soffocarla in quello stesso istante, mentre se ne prendeva possesso in un modo troppo delicato per essere reale.
« Mary… perché…? » sentì il fiato caldo dell’altro accarezzargli le labbra e solo allora sollevò le palpebre e lo mise a fuoco: l’aveva sollevata dal letto ed ora era seduto sulle lenzuola disfatte, a sorreggerla e tenerla unita a sé, mentre continuava a muoversi facendola sospirare sulle sue labbra sottili. Partecipò anche lei a quella danza, le mani intrecciate tra i capelli biondo cenere dell’ex-soldato, che accarezzava con la punta delle dita; univa le loro labbra ad intervalli irregolari e confessava loro tutto il suo benessere con piccoli gemiti; lo sguardo non poteva fare a meno di intestardirsi su quegli occhi blu che sembravano aver riacquistato vita e calore grazie al corpo che stavano ammirando: non capì neanche il senso della domanda che le aveva posto e l’avrebbe lasciata anche perdere nel vuoto, se solo l’altro non l’avesse specificato subito dopo con un sussurro spezzato dagli ansimi di quel rapporto.
« … Perché non sei stata… Mary Morstan… per tanto tempo…? »

« Ascolta… non voglio sapere cosa ti è successo e neanche intromettermi troppo nei tuoi affari. »
Alla fine, l’ennesima serata in cui il dottor Watson era rimasto fuori casa era andata così: quattro chiacchiere a tavola, tentativi di darsi la buonanotte e, alla fine, erano finiti a parlare, seduti sul letto. Era ormai mezzanotte passata, ma nessuno dei due sentiva la stanchezza pesare, nonostante i turni massacranti della giornata appena trascorsa. Mary fissava con attenzione il collega di lavoro, fin troppo seria per una serata tra amici: come in tutte le conversazioni libere e aperte, il divertimento era  stato ripiegato presto in un discorso importante, iniziato con una domanda del dottore: “Perché ti sei avvicinata a me?”
“Era gentilezza, convenevoli… curiosità o non lo so… altro?”
“Perché ho visto un uomo che esiste, ma non vive da troppo tempo.”
« Quindi era pietà. » concluse il dottore, con le braccia incrociate e la fronte appena aggrottata, i segni di un lieve fastidio all’idea di essere solo un elemento da compatire agli occhi di quella donna acuta ed affascinante.
« Mi hai rivolto la parola solo per salvarmi la vita: deformazione professionale? »
« Empatia. » replicò prontamente la bionda, lasciandolo – ancora una volta -, di stucco. Non aveva interrotto il contatto visivo neanche per un istante e la luce dei suoi occhi azzurri brillava di qualcosa che il soldato non conosceva e, forse, era proprio ciò che andava cercando: un briciolo di speranza.
« So che cosa significa, guardare il mondo da una cupola di vetro. Sembra che nulla ti riguardi, tutto ti disgusti e ti annoi… eppure, allo stesso tempo, corre via troppo in fretta, lasciandoti completamente vuoto e solo. Persino le persone perdono identità e ho visto come mi guardavi: ero una presenza, ma non una persona. L’unica persona che poteva regalarti una vita, ti ha lasciato da poco. »
Quello fu l’unico momento in cui Mary abbassò gli occhi, spostandoli con fare inquieto: aveva corso troppo ancora una volta e non era riuscita a mettersi un freno alle parole, probabilmente perché voleva che John la conoscesse più di quanto si era mostrata con chiunque altro.
« Scusa. » aggiunse, poi, sollevando le palpebre e cercando di incontrare il suo sguardo, un po’ intimorita da come lo avrebbe trovato. Rimase sorpresa dal constatare che John non si fosse mosso, ad eccezione delle labbra, che tremavano, impegnate nel trovare le parole giuste da dire.
« Come fai a saperlo? » la voce le giunse spezzata e sotto sforzo: lo aveva colpito la consapevolezza di aver trovato qualcuno nella stessa situazione? L’infermiera non lo sapeva, ma – nonostante la reazione accomodante dell’altro -, faticava a tenere lo sguardo alto: in cuor suo, aveva già previsto che – da lì in poi -, la loro conversazione sarebbe stata deturpata dalle sue bugie.
« Non sono stata Mary Morstan per tanto tempo. »


« No… ti prego… non ora… »
“Mai. Non chiederlo mai.” gli avrebbe detto, se solo il momento non fosse stato così perfetto da mandarla in idillio. Il corpo di John era bollente e capitava che i suoi seni vi strisciassero durante i movimenti, trasmettendole un piacevole calore che le schizzava dai punti più sensibili ad ogni singola terminazione nervosa; le sue braccia la stringevano ed accarezzavano in maniera delicata, ma allo stesso tempo decisa a non lasciarla sfuggire: era passato un mese e due settimane dalla loro prima conversazione e già covava in lei il desiderio di diventare una cosa sola con John Watson, particolare piuttosto rischioso, considerata la sua effettiva posizione.
« Ho bisogno di te. » le giunse all’improvviso, e quel sussurro prese il posto d’onore nella sua testa, inviandole un impulso di effimera euforia.
“Non mi conosci. Non mi conosci per niente.” rispose mentalmente al dottore, mentre scendeva lentamente e tornava a stendersi sul letto, ancora intrecciata a lui ed ancora disposta ad accogliere le sue spinte, mentre gli accarezzava i capelli e si lasciava baciare su seni e collo, completamente assorta in quell’unione tanto avventata quanto necessaria.
“… Non hai bisogno di me.” Il flusso di pensieri continuava, ma in una nube confusa di scosse di piacere, rimorsi del passato e speranze per il futuro, tanto che Mary finì per non riuscire a distinguere il suono della sua voce, da quello della sua mente. Lo chiamò ancora una volta, irrigidendo appena la presa sulla sua nuca per condurgli le labbra alle sue, in un bacio disperato che confidava nella lingua dell’ex-soldato per cancellare tutte le tracce di un passato sporco.
“Non quanto io ne abbia di te.”
« Dimmi che mi aiuterai… »
Persino per l’ex-soldato, quell’anima era capitata nella sua vita con un tempismo troppo perfetto per essere casuale: in anni di vita a fianco di Sherlock Holmes, aveva imparato a conoscere il mondo nascosto agli occhi della gente comune, scoprendo che le fatalità fossero – spesso -, opera di qualche psicopatico più in alto, che agiva nell’ombra e guidava le loro vite come dei burattini. Eppure, c’era qualcosa in Mary Morstan che lo stava facendo rinascere lentamente o, forse, proprio tutta Mary Morstan sembrava costruita apposta per salvare John Hamish Watson dal baratro. C’erano i suoi occhi, che veramente in poche occasioni aveva potuto osservare senza un filo di eyeliner nero e qualche goccia di mascara intorno all’iride cerulea: quegli occhi avevano continuato a tormentarlo quasi tutte le notti, come se volessero essere letti ed interpretati – privilegio che sembrava spettare solo a lui; c’era la sua voce, tanto accogliente, piacevole nelle conversazioni e musicale nel cantare, quanto eccitante quando godeva; c’erano le sue labbra, da cui il rossetto era stato rimosso con una certa fretta dal loro primo contatto, labbra sempre capaci di dire la cosa giusta, fatte apposta per essere baciate ed accarezzate; poi c’era il suo corpo snello e slanciato, fin troppo atletico e resistente; i suoi seni ormai viziati più volte, il calore tra le sue gambe e le membra così strette da fargli girare la testa, mentre vi si muoveva dentro, perché ormai Mary aveva deciso che potesse essere un suo privilegio.
« … E che non è troppo tardi… per ricominciare. »

« Come… Cosa intendi? »
« Non importa, John. Non darci troppo peso. »
Già quella rivelazione era stata sufficiente per complicare le cose: ora gli avrebbe dovuto delle spiegazioni o, comunque, sarebbe stato necessario un escamotage per sviare la conversazione verso altri argomenti.
« Non ero più una persona. Non ero in diritto di comportarmi come tale e neanche di provare sentimenti: ero totalmente una bambola nelle mani di qualcun altro. Solo… lavora e obbedisci, perché non sei parte del mondo. » si sentì in dovere di approfondire, abbassando il capo quasi in posizione di sfida: voleva vedere fin quando sarebbe stata disposta ad essere sincera con lui – ed era la prima volta che rinunciava a mentire ai suoi interlocutori.
« Non posso sopportare che qualcuno sperimenti di nuovo quell’inferno. Soprattutto tu, John: sei una persona piena di risorse, eppure ora sembri totalmente vuoto e privo di speranze. »
L’ex-soldato deglutì, ma rimase ancora immobile nella sua posizione, i muscoli del viso tirati e sotto l’ordine di non reagire: si stava trattenendo, e Mary non riusciva a comprendere se da un pianto o da qualcos’altro.
« Non sono poi  così sicuro di voler voltare pagina. »
« Perché? »
« Non credo esista un modo per farlo. »
« Esiste sempre un modo. »
« Okay. Giusto. » ammise la sua sconfitta con un cenno del capo, come se le chiedesse scusa dopo aver interpretato quella risposta come un mezzo rimprovero. «Che cosa mi consigli? »
« Solo… buttati, okay? » condì il tutto con un piccolo colpo sul petto: erano rari momenti in cui sfruttava il contatto fisico con John, dato che non sembrava apprezzarlo particolarmente. In quel contesto, però, le parve necessario. « Ci sarà qualcosa che ti fa stare bene e che non hai mai avuto il coraggio di provare, perché “Ehi, è una follia!”. » cambiò la tonalità di voce all’ultima frase, come se stesse imitando qualcuno, per poi tornare a fissarlo con un sorriso: era riuscita, ancora una volta, ad alleggerire l’atmosfera pesante che si stava creando tra loro.
« … Vai e falla. » concluse, non ricevendo altro che il silenzio più totale come risposta. Aveva ancora le gambe incrociate e il sorriso sulle labbra, quando la situazione sembrò scivolargli dalle mani come rugiada da foglie di un bosco.
« Mary… »
« Cosa? »
Non sentì mai la risposta, quel “Hai ragione” quasi stretto tra i denti, mentre il dottore si spingeva in avanti e le afferrava con delicatezza la nuca, portandola ad impegnarsi in un bacio che, forse, sarebbe dovuto accadere da tempo. Fu la prima volta che Mary assaggiò le labbra sottili dell’ex-soldato, constatando come la familiarità con cui venne accolta rese tutto intimo, come se lo conoscesse da sempre; fu anche la prima volta che si concesse di toccare quel volto eternamente teso, potendone finalmente sciogliere i lineamenti e farlo rilassare, in modo da mostrare il vero John Watson, l’uomo – non la presenza senz’anima che aveva bussato alla sua porta qualche ora prima.
Rimasero così, uniti a baciarsi come due vecchi amanti, finché la temperatura della stanza sembrò essersi alzata troppo e i loro corpi aver superato il punto di non ritorno: si desideravano entrambi e sarebbe stato inutile fingere ancora che tra loro esistesse una qualche sorta di barriera. Fu Mary la prima a lasciare che le mani del dottore viaggiassero per il suo corpo quasi con timidezza, come se stessero sfiorando un oggetto di cristallo: di certo, non poteva sapere che fosse,ormai, totalmente consenziente.
« E’ quello che vuoi? Una storia con me? » finì col sussurrarle sulle labbra che aveva appena baciato per l’ennesima volta.
« Con tutta me stessa. »
« L’ultima mia storia è finita molti mesi fa, neanche tanto bene. »
« Rapporto complicato? »
« Un disastro. »
« Beh » Si trovò a strisciare la punta del naso sulla sua e lasciar andare una leggera risata sulla sua bocca, che ormai l’aveva totalmente catturata. « … non è troppo tardi per ricominciare.»


« … Te lo prometto. »
Quando la voce della donna pronunciò quelle parole, il loro rapporto aveva già assunto un ritmo più veloce e restava davvero poco tempo per scambiarsi effusioni. La bionda sentì di dover inarcare la schiena ed affondare la nuca sul cuscino, le mani che tentavano di scappare a sfogarsi sulle lenzuola bianche, ma vennero presto raggiunte da quelle robuste dell’ex-soldato, intrecciandosi ad esse.
« /John/… »
In tutti i suoi anni di vita, non ricordava di aver mai provato un’emozione così intensa: quando il suo corpo reagì a quei movimenti più rapidi e scanditi, Mary si trovò ad irrigidirsi ed inarcarsi, mentre stringeva le mani del compagno, tremando sotto di lui; la mente acuta della donna scattò a catalogare le mille sensazioni che la invasero nell’istante dell’orgasmo, da quelli fisici: brividi freddi, le scosse bollenti, il tremore; a quelli riservati solo a lei: la voglia di stringersi a John, di baciarlo ed accarezzarlo fino all’alba, il desiderio di unirsi a lui ancora e ancora, di vederlo ogni maledetto giorno in quell’ambulatorio piccolo che odorava di chiuso ed asettico. E, infine, l’immediata voglia di sentirlo mentre si soddisfava dentro di lei, cosa che dal suo sguardo sembrava piuttosto imminente: ci fu uno scambio di respiri ansanti – uno verso l’epilogo, l’altro ancora in corsa -, un’unione di due diverse tonalità di blu che si incontravano, prima che quello di lui corresse a proteggersi sotto le palpebre; un ultimo bacio fugace e gli ansimi silenziosi dell’ex-soldato che le accarezzarono la pelle del volto, finché la durata di quel piacere non terminò anche per lui e non avvertì il bisogno di scivolare accanto all’altra, trasformando la presa delle loro mani in un abbraccio con cui tenerla vicino a sé, ancora ad occhi socchiusi.
« Di solito, non mi succede dopo un mese di conoscenza. » le confessò tra gli ultimi ansimi, forse per mettere in chiaro la sua posizione: aveva intenzione di fare sul serio con Mary, dato che sembrava in grado di mostrargli un barlume di luce in quel tunnel buio e vuoto in cui si stava trasformando la sua vita. Nel momento in cui era uscito da lei ed era passato ad abbracciarla, aveva capito che sarebbe stata diversa: non voleva che fosse soltanto un passaggio per ricominciare, quanto piuttosto l’inizio delle fondamenta su cui costruire qualcosa. Aveva bisogno di credere che non ci sarebbe stato alcun John Watson, senza la sua Mary Morstan.
« Di solito, non ospito colleghi a dormire a casa. » gli rimandò lei, che a differenza sua si godeva ad occhi aperti ogni attimo, memorizzando ogni dettaglio della scena: studiò l’espressione sul volto di John, il sudore che gli imperlava la fronte, le labbra che avevano smesso di tremare ed ora cercavano solo di immagazzinare aria, il collo su cui danzava frenetico il pomo d’Adamo, decorato con dei piccoli segni scuri che il giorno dopo avrebbe dovuto coprire a dovere; inspirò il suo odore e cercò di nuovo le sue labbra, per ricordarne il sapore: Mary Morstan aveva un’ottima memoria e, dopo quell’attenta analisi, avrebbe potuto riconoscere il dottore ad occhi chiusi, tra una folla di mille persone.
« Allora abbiamo un accordo. Cerchiamo solo di tenerlo per noi, al lavoro. »
« Neanche per sogno. »
« Okay. »
Quando l’ex-soldato riaprì gli occhi, si trovò annientato dallo sguardo di Mary Morstan: non sapeva se fosse lo specchio del suo, ma poteva essere interpretato come l’ammirazione che si riserva all’unica cosa esistente nell’intero Universo. Era quasi surreale, a pensarci: sembravano trovare l’uno nell’altra la motivazione giusta per andare avanti.
Mary era per John un revitalizzante capace di tornare a renderlo partecipe della vita nel mondo; John era per Mary la speranza in qualcosa che non avesse nulla a che fare con il suo orribile passato. Entrambi si vedevano come l’unica stella brillante nel loro cielo, coperto inconsapevolmente dalle stesse nubi.
« Mary, non pensi che dovremmo parlarne…? »
« Perché? » le sussurrò lei, mentre gli spostava un ciuffo ribelle dalla fronte e scivolava ad accarezzargli le guance e poi il petto: aveva una voglia insana di accucciarsi a lui, se solo non fosse stata perfettamente consapevole che quel discorso necessitasse di uno sguardo diretto – il più sincero che avrebbe potuto permettersi, pur di non ferirlo.
« Perché ho intenzione di fare sul serio. »
« Tutto qui? » gli puntò un indice sulle labbra, premendovi delicatamente sopra « Per me era già deciso nel momento in cui abbiamo fatto l’amore. »
« Sì, ma─ »
« Sssh… riposo, soldato. Domani dovrai presentarti al lavoro come un uomo impegnato e ti assicuro che non sarà semplice. »
« Resti con me? »
Non riusciva ad interrompere le carezze sulla sua schiena e i baci leggeri sulle sue labbra carnose, tutte piccole attenzioni che a Mary piacevano e non poco: erano il suo collegamento personale ad una vita normale, con le speranze di una donna innamorata che costruisce una storia e una famiglia con il suo compagno. Era il momento perfetto per incastrarsi nell’incavo del suo collo ed appoggiarsi al suo petto, una volta che il soldato aveva già inteso la risposta e si era posizionato supino, ancora abbracciato a lei e questa volta intento ad accarezzarle le ciocche di capelli biondi.
« Perché è… complicato. Vengo assalito dagli incubi e mi sveglio in continuazione. »
« Dottor Watson, questa è la mia parte preferita: si metta in testa che non vado da nessuna parte. » replicò con un sorriso e gli occhi socchiusi, rilassata e beata per tutte quelle dolci attenzioni: iniziava ad avvertire la stanchezza della giornata e di quel rapporto, che era stato capace di svuotarla di tutto lo stress e i pensieri negativi, ma anche delle forze persino per alzarsi dal letto e rivestirsi. Infatti, quando John abbassò lo sguardo su di lei, scoprì che l’infermiera aveva già chiuso gli occhi, forse per protesta all’idea di doversene andare a dormire da sola.
« Immagino sia inutile replicare. »
« Esatto. »
« Bene. »  un attimo di silenzio « Spero non te la prenda se tiro qualche calcio. »
« Cerca di dormire, John. »
« Okay. »
Quei battibecchi erano sempre in grado di strapparle un sorriso: il dottore se ne accorse e - come reazione - la strinse di più a sé e le baciò la fronte un’ultima volta, ma a differenza di Mary non chiuse subito gli occhi: John non riusciva a prendere sonno – tra l’altro fin troppo leggero -, senza un resoconto della giornata. Era stata lunga, dalla sua solita sveglia alle sette: lavoro, sciopero dei mezzi pubblici, temporale invernale londinese, ritorno a casa, guai con l’appartamento – per l’ennesima volta -, Mary, cena, chiacchierata ed erano finiti a desiderarsi e fare l’amore. E c’erano domande su domande che lo assalivano, riguardo quella donna che giaceva con lui nel letto ancora caldo dal loro rapporto: chi era, veramente, Mary Morstan? Cosa faceva parte del suo passato? Cosa la rendeva così simile a lui? Come poteva essere così perfetta, cosa aveva fatto, per meritarla? Quelle erano le basi da cui partire il giorno dopo, quando avrebbero affrontato il discorso a mente lucida: nei suoi progetti più remoti, avrebbe voluto anche raccontarle di Sherlock e svuotarsi – una volta per tutte -, del peso sul petto che lo soffocava giorno e notte. Voleva che lo accompagnasse alla sua lapide nera, che capisse quanto profonda poteva essere diventata quell’amicizia, finita in un modo così tragico da stringergli il cuore in una morsa: sapeva che Mary lo avrebbe ascoltato e capito, rendendogli tutto molto più facile.
« … Mi prenderò cura di te. » gli arrivò come suggerimento sussurrato dalla bionda, che notò avere ancora il sorriso dipinto sul volto; a quel punto, non restava altro che chiudere gli occhi e tirare un sospiro di sollievo, riflettendo su quanto inaspettato fosse il progetto di un futuro concreto con Mary.
All’improvviso, andava tutto bene.
Era tutto perfetto così.

« Puoi ricominciare con me, che ne dici? »
« Sarà tutto diverso, Mary. Te lo prometto. »
« Lo so. Meglio così: possiamo costruire qualcosa insieme. »
« Mi prenderò cura di te. »
   
 
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