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Autore: Zeeta_    16/08/2015    4 recensioni
Dopo più di un anno, Alle torna a pubblicare!
Si tratta di una fic BanGaze, Suzuno centric,con altre pairing Het e Shounen-ai accennate e con la aggiunta di Afuro. La dedico a Roby, che mi ha fornito la pairing e il prompt delle soulmates (la parte sinistra del tuo petto si illumina quando sei vicino alla tua anima gemella).
Vi invito ad entrare e qui vi lascio una piccola citazione dal testo:
"Quando Nagumo, staccatosi dal bacio, ti chiese vagamente preoccupato se fosse tutto a posto, tu ti avvicinasti al suo orecchio e gli sussurrasti: “Pensa se fosse stato uno schifo come il nostro primo bacio. Ora avresti un rivolo di bava sopra quella costosissima camicia.”
Haruya ti guardò per un istante stralunato, poi scoppiò a ridere di gusto, con gli invitati che vi guardavano abbastanza perplessi."
Burn/Gazel, accenni NishiMido, HiroMido, ReanHeat, EnNatsu ed HerAfu.
12900 parole.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yuri | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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p h o t o s
Soulmate prompt -  la parte sinistra del tuo petto si
illumina quando sei vicino alla tua anima gemella.

 
Non sai perché, ma spolverare ti ha sempre rilassato in maniera assurda. Non sei un maniaco del pulito, né tantomeno un perfetto casalingo e neanche lo sei mai stato, ma levare quel sottile strato di sporco da mobili e soprammobili, rendere tutto lindo e splendente ti ha sempre donato un piacevole senso di benessere. Quindi a chi importa se hai già settant’anni e se c’è una carinissima ragazza che viene appositamente a casa tua tutti i giorni per aiutarti un po’ con i lavori domestici? Tu hai abbastanza energie per reggerti in piedi e questo alla fine è quel che basta per levare la polvere dal salotto. Hai già sistemato il tavolo e il tavolino da caffè, hai passato lo straccio velocemente sulle cornici dei quadri e ora tutto quanto sembra rinato, come se fosse appena uscito dal negozio. Getti un’occhiata distratta all’orologio da parete; sono le nove e un quarto.
“Perfetto” pensi, perché hai la possibilità di dedicarti con calma e pazienza alla grande credenza di legno, piena di fotografie incorniciate e di piccoli oggettini completamente inutili che però ti ostini da tempo a conservare. Alle dieci precise arriverà Haruka –quella ragazza è sempre così puntuale, grazie al cielo!- e con lei deciderai che cosa fare oggi. Di solito, tu vuoi semplicemente restare in casa a leggere il quotidiano, o a guardare la televisione comodamente seduto in poltrona, ma ad Haruka quest’idea non sembra mai andare a genio. “Così si deprimerà!” ti dice, o in alternativa inizia ad elencarti una serie pressoché infinita di attività a cui vi potete dedicare in tranquillità e allegria, rigorosamente all’aria aperta, dove, a quanto pare, il rischio di cadere in depressione diminuisce fino ad annullarsi completamente.
Inutile mentirsi: a volte la trovi estremamente fastidiosa, ma non la sostituiresti mai con nessun altro. È una ragazza onesta, ordinata, disponibile ed educatissima; avete sempre di che parlare, sebbene lei abbia solo vent’anni, ed è una delle poche persone di cui ti sei fidato negli ultimi anni –o forse in tutta la tua vita. Ti chiedi spesso da dove sia saltata fuori una ragazza così fine e delicata: i genitori, che hanno una decina d’anni meno di te, sono brave persone, corrette e abbastanza acculturate, ma decisamente impetuose. La madre sai bene che si chiama Midori, ma il suo cognome da nubile proprio non lo ricordi; è una donna forte, risoluta, energica e indipendente, peccato solo per la voce, di qualche decibel superiore alla tua soglia di gradimento. Anche il padre di Haruka è un uomo abbastanza gradevole, anche se un po’ meno sveglio della moglie; si chiama Nishiki Ryouma, te lo ricordi bene perché è stato un giocatore in qualche piccola squadra di calcio fino ad una quindicina di anni fa e perché poi ha iniziato a lavorare come telecronista –di partite di calcio, chiaramente- per una emittente televisiva nazionale, Canale 26. O forse era canale 28? No, no, no. Sul 28 c’è il canale delle news locali, sul 29 quello delle news nazionali… Che sia allora il canale 36? Sembra abbastanza improbabile, perché quando tu ed Haruka avete ordinato i canali della televisione avete deciso di mettere tutti i canali utili prima del numero 30...

Perso come sei nei tuoi pensieri, per sbaglio urti con un braccio uno dei soprammobili che si trovano sopra la grande credenza del salotto. Alzi un sopracciglio, un poco perplesso, poi ti accorgi di aver spostato di qualche centimetro una cornice d’argento. Ti avvicini e, prima di rimetterla al suo posto, la prendi fra le mani per osservarla. Ha più di sessant’anni, quella fotografia. Non ti ricordi in che occasione è stata scattata, non ti ricordi neppure chi abbia immortalato quell’istante; riconosci però il luogo in cui è stata fatta –il cortile dell’Aliea Gakuen, impresso indelebilmente nella tua mente- e ancor meglio conosci tutte le persone che sono al tuo fianco in quella foto. Sulla destra c’è Reina, con i capelli blu sciolti sulle spalle e un’aria determinata stampata in volto; alla sua sinistra ci sono Nozomi, con gli occhi socchiusi, e Maquia, che non guarda nell’obbiettivo; subito dopo vengono Saginuma e Ai; poi c’è Hiroto, che sfoggia un sorriso raggiante, e Ryuuji, che con la mano destra fa il segno della vittoria, e sul petto di entrambi, in corrispondenza del cuore, brilla una luce limpida e vivace. Accenni appena un sorriso quando, spostato di qualche passo rispetto a Midorikawa-kun, rivedi te stesso a nove anni; hai un’espressione seria, con il sopracciglio destro alzato e la fronte un po’ aggrottata, gli occhi guardano l’obbiettivo della telecamera e le braccia incrociate coprono un po’ la luce presente anche sul tuo petto. Il bagliore non è potente tanto quanto quelli che brillano sui petti dei tuoi compagni, ma si nota comunque distintamente. Appoggiata alla tua spalla c’è Clara, con gli occhi chiusi e la bocca incurvata in un sorriso. Che ragazzina carina e timida, un tesoro! Se tutti i giovani d’oggi fossero come era lei, il tuo quartiere sarebbe decisamente un posto più tranquillo e silenzioso. E pensare che al tempo la trovavi appiccicosa e addirittura un po’ lagnosa!
Quanto si cambia...
All’estrema sinistra c’è l’ultimo gruppetto di bambini: sono Heat, Nepper, Haruya e An intenti probabilmente a lottare, aggrovigliati in una posizione incredibilmente fotogenica. In corrispondenza dei cuori di An e di Heat brillano due lumi potentissimi, così sfavillanti da sembrare vivi, mentre sul petto di Nagumo arde una luce vivida, ma non accecante. Hanno tutti e quattro espressioni così concentrate da apparire buffe, con le bocche ridotte a fessure per lo sforzo di sostenere una battaglia, i capelli arruffati, le fronti corrucciate e gli sguardi intensi.

Col senno di poi, quelle luci radiose che brillavano sui petti di alcuni di voi –tu e Haruya, An ed Heat e Midorikawa e Kiyama non eravate gli unici della Aliea- avrebbero dovuto spingervi a porvi delle domande. Be’, a dire il vero due domande ve le faceste. Ma in fondo, che senso ha porsi delle domande quando non si ha modo di avere delle risposte? Vedevate bene quelle luci, vedevate che diventavano via via più intense quando certe persone si avvicinavano, ma trovare dei collegamenti per voi era impossibile.
Qualcuno ipotizzò che si trattasse della luce della migliore-amicizia, ma la tesi era caduta in fretta, perché vi erano coppie di migliori amici privi di quelle luci –come, ad esempio, Heat e Nepper- e viceversa coppie di bambini che si odiavano a cui luccicava il petto –e quale esempio migliore di te e Haruya?-; alcuni bambini pensarono che fosse qualcosa tipo una malattia e tirarono in ballo argomenti sconosciuti e complicati paroloni scientifici, ma a nessuno interessava una spiegazione tanto astratta e difficile da capire; altri ancora supposero che quella luce brillasse solo sui petti dei più forti a calcio, ma l’assenza di qualsiasi bagliore sul petto di Reina bastò a farvi capire che quello non poteva essere il vero significato delle luci. Fu la stessa Reina, lo ricordi bene, ad abbozzare l’ipotesi effettivamente più simile alla verità. La Yagami disse, con il suo solito fare autoritario, che quella luce stava a contrassegnare le coppiette di piccioncini; all’inizio molti di voi, messi forse un po’ in soggezione, si fidarono della sua teoria, ma ben presto cadde anche questa tesi a causa di numerose prove contrarie –Ryuuji e Hiroto erano due ragazzi e al tempo eravate tutti abbastanza convinti del fatto che le coppie maschio-maschio e femmina-femmina non potessero esistere; An aveva giurato, alla presenza di Ai, Nozomi e Clara, sulla sua maglietta preferita che non avrebbe mai avuto un fidanzato; Haruya era ufficialmente fidanzato con Maki e, piccolo dettaglio insignificante, voi due provavate l’uno per l’altro un sentimento decisamente più simile all’odio, altroché piccioncini. Così, alla fine, i vostri enigmi erano diventati noiosi, poiché privi di risoluzione, e voi, con l’estrema naturalezza dei bambini, smetteste di farvi domande.

Sempre considerando quel famoso senno-di-poi, ci sarebbero state altre soluzioni. Avreste potuto documentarvi da qualche parte, forse, chiedere a vostro padre, magari. Probabilmente, pensi, vi avrebbe dato la risposta che cercavate, perché in fondo non poteva nuocervi più di tanto. Ti chiedi per un secondo se non vi fosse passato per la testa di chiedere a papà, poi capisci che non ha senso pensarci. Non più, ormai.

Guardi per un’altra manciata di secondi la fotografia, con lo strofinaccio togli un sottilissimo strato di polvere dal vetro e la riappoggi sulla credenza, mettendola sotto una buona luce. Osservi con i tuoi stanchi occhi azzurri il mobile e, all’improvviso, capisci che ti è passata la voglia di pulire. Ti ha preso una gran nostalgia, ora vuoi soltanto sederi in poltrona e ricordare. Dai un’occhiata all’orologio e ti accorgi che sono solo le nove e ventidue e ti domandi come sia possibile rivivere tutta la propria infanzia in appena sette minuti.
Il tempo è così strano.

Preso da un’incredibile fiacca, cammini strascicando i piedi fino alla tua poltrona. Accarezzi il bracciolo, morbido sotto i tuoi polpastrelli, rivestito com’è da una deliziosa stoffa di alta qualità che Haruka ha scelto per te l’anno scorso. Ti appoggi allo schienale, chiudi gli occhi e sospiri. Di norma, non sei un tipo nostalgico -hai settant’anni e ormai hai capito che, qualsiasi cosa accada, la vita va avanti e il passato non può tornare in vita in nessun caso e in nessun modo-, ma quando ti prende la voglia di ricordare sei capace di passare anche intere ore da solo, intento semplicemente a rivivere, tessera dopo tessera, tutto il mosaico della tua vita. E ce ne sono di tessere, eh. Hai avuto un’infanzia decisamente anomala e un’adolescenza che complicata è dir poco, e, sebbene in seguito tu abbia avuto un’esistenza più regolare, le esperienze e le emozioni della tua età adulta non sono poche e ripercorrerle per intero è un’attività che richiede del tempo. Ma a te che importa, se richiede del tempo? Non hai nessun impegno impellente questa mattina, né questo pomeriggio e per tanto sei libero di ricordare quanto ti pare e piace. La vecchiaia ha anche dei lati postivi, come tutto, del resto.

Ti massaggi le tempie con gli indici per qualche istante. Ripensi al momento in cui ti spiegarono la verità su quelle luci misteriose. Avevi quattordici anni, l’ardente fiamma della Aliea Gakuen si era spenta ormai da qualche mese e tu, pian piano, insieme ad altri tuoi compagni, ti stavi dando da fare per iniziare una vita il più normale possibile. Da subito capisti che non sarebbe stato affatto semplice, ma non avresti mai immaginato che il mondo delle persone normali fosse così complicato, così assurdo, così diverso dal tuo. Ormai adolescente, ti sentivi poco più saggio e consapevole di un bambino di pochi mesi di vita. Ovviamente, sapevi mangiare, camminare, bere e respirare, ma sono conoscenze che servono giusto a sopravvivere; per vivere come gli altri ti servirono lezioni e lezioni e ancora oggi pensi che comunque ci sono insegnamenti che non hai mai ricevuto e che mai potrai recuperare.
Vi avevano affidato a dei tutor, degli psicologici e dei pedagoghi che sprecavano il loro tempo con voi, chiedendovi come vi sentivate e cercando di spiegarvi nel modo meno insulso possibile le regole non-scritte della vita di tutti i giorni.
Come stai?
Che domanda idiota da fare ad un ragazzino che si è visto crollare il mondo addosso! Come puoi stare a quattordici anni, segregato in una struttura per semi-deficienti perché tuo padre –adottivo, fra l’altro- è una sottospecie di pazzo con l’ambizione di conquistare il mondo? Come puoi stare quando hai appena capito di essere stato cresciuto in una specie di bolla di vetro, lontano anni luce da quella che è la realtà? La risposta a te sembrava scontata, ma a quei signoroni in giacca e cravatta dei servizi sociali e a quei cretini in camice bianco degli psicologi, evidentemente, non pareva così lampante. Hai sempre avuto il sospetto che non fossero lì davvero per darvi una mano. “Se ci volessero aiutare,” pensavi, “non rimedierebbero ai nostri anni trascorsi in isolamento facendoci stare ancora isolati dal mondo.” Non hai mai espresso ad alta voce la tua opinione, però. I tuoi compagni sembravano rasserenati all’idea che qualcuno di specializzato si stesse occupando di loro e di certo non era tua intenzione farli soffrire ulteriormente, dopo tutto quello che avevate passato. È innegabile il fatto che fossi un bambino esageratamente calmo e decisamente più freddo e distaccato del normale, ma cattivo, quello no, cattivo non lo sei mai stato. Dunque, non volendo causare altri danni psicologici a nessuno, decidesti che non solo te ne saresti stato zitto, conservando per te l’idea che quelli fossero lì solo per usarvi come delle cavie per i loro studi e le loro tesi, ma anche di collaborare. Ti facevano domande e tu rispondevi, ti chiedevano di fare qualcosa e tu, volente o nolente, eseguivi. Dopo qualche tempo, prendesti il ritmo e ti convincesti addirittura che alla fin fine qualcosina stavi imparando.
Una delle cose che meno sopportavi era il fatto che studiavate tutte le materie scolastiche a partire dal principio –sebbene non ce ne fosse bisogno-, perché i tutor pensavano fosse meglio così per il vostro apprendimento.
“Certo! Mi pare sensatissimo istruire dei ragazzi a partire da zero. Certo che sì! Mi sembra proprio il caso di impartirci lezioni di matematica a partire da zero. Magari nostro padre vi aveva fatto un lavaggio del pensiero e vi aveva convinto che dopo l’uno non venisse il due, ma il cinque avresti voluto tanto dire, ma decidevi sempre di trattenerti. Per il bene degli altri, per la loro stabilità mentale, per la tranquillità che ci siamo dovuti sudare con tanta fatica.
L’unica volta che decidesti di non trattenerti fu il giorno in cui vi parlarono delle anime gemelle. Durante la lezione di Educazione Civica, qualcuno alzò la mano e chiese candidamente cosa significassero quelle luci che brillavano sui petti di alcuni, perché a volte c’erano e altre no, perché non tutti ne avevano una… Domande legittime e giuste da fare, se le risposte non fossero state così difficili da digerire per voi. Ricordi che il sensei sgranò gli occhi e iniziò a farfugliare qualche parola incomprensibile. Era chiaro che non si era neanche posto il problema di spiegarvi quella faccenda, poiché credeva davvero che voi già lo sapeste. Batté le palpebre una o due volte e poi, preso un respiro profondo, cominciò a parlare. Fiumi di parole gli uscivano dalla bocca e voi, con gli occhi spalancanti per lo stupore e un’espressione ebete sul volto, stavate ad ascoltare sconvolti.
La verità è sempre difficile da sopportare e di certo quello non era il mondo per dare a dei ragazzi già di per sé scombinati una lezione di vita così importante.
Quelle luci, vi spiegò, erano la visibile manifestazione della vicinanza di due soulmates, o anime gemelle; l’anima gemella, aggiunse poi, vedendo i vostri volti confusi e perplessi, è la persona a cui siamo destinati, la nostra metà, l’unica persona che siamo capaci di amare più di noi stessi, più di chiunque altro o di qualunque altra cosa al mondo. Quelle erano luci che vi brillavano in corrispondenza del cuore per indicarvi che vi stavate avvicinando alla persona a cui Dio, il Cosmo o chicchessia vi aveva assegnato, sostanzialmente.
Okay.
Realizzasti la situazione in un secondo: il tuo petto iniziava ad emettere luce quando ti avvicinavi –o quando ti si avvicinava- Haruya Nagumo. Possibile che la tua metà fosse una persona così impetuosa, rumorosa, infantile e assolutamente insopportabile? Possibile che la tua metà fosse il tuo esatto opposto? Decisamente no.
La tua mente iniziò a vagare, i tuoi pensieri si aggrovigliarono fino a diventare una matassa inestricabile. Le voci dei tuoi compagni si fecero sempre più indefinite, ovattate, fino a diventare un ronzio fastidioso e incredibilmente lontano; le guance ti si arrossarono, stringesti i pugni e le labbra e preso da un’ira incontrollabile ti alzasti in piedi, proferendo un secco e determinato “Basta!” che sovrastò il vociare dei tuoi amici. Ti guardasti un secondo attorno e subito ti accorgesti che tutti gli occhi erano puntati su di te; notasti che Ryuuji teneva lo sguardo basso, vedesti le lacrime agli occhi di Clara, il rossore sulle gote pallidissime di Hiroto e un’ombra di amara tristezza sul viso di Reina. Gli altri li degnasti appena di un’occhiata, perché quello non era il momento di fermarsi.
“Basta” riprendesti, dopo aver riassunto, con un notevole sforzo, il tuo solito tono di voce distaccato. “Basta riempirci la testa delle vostre stronzate. Ci trattate come dei deficienti, insegnandoci a contare o come si sta a tavola; ci credete delle amebe con la testa persa in un mondo che non esiste, ma noi non siamo questo. O almeno, io non lo sono. Non sono un cretino e per tanto non accetterò mai per buone tutte le cose che vi escono di bocca. Io non posso credere –non perché non voglio, ma proprio perché non è possibile!- di essere destinato a quel ragazzo.” E con un cenno della testa indicasti Haruya, seduto a qualche banco di distanza da te. “Io e lui, e qui tutti possono testimoniare, non riusciamo a portare avanti una conversazione per più di dieci minuti senza iniziare a discutere a causa delle nostre opinioni, che sono sempre divergenti. Non siamo neppure amici, tutt’al più colleghi. Tutto ciò che ci lega è il calcio e se io dovessi essere legato da qualche vincolo cosmico a tutte le persone appassionate di calcio, be’, ne avrei parecchie di soulmates. E invece non è così. Non so se questa sia una credenza popolare, un’usanza della sua famiglia o una tesi scritta da qualche pseudo-scienziato, ma ad ogni modo non è assolutamente vera. Non è vero perché io, Fuusuke Suzuno, non posso immaginarmi in nessun caso accanto ad una persona come Haruya Nagumo. In nessun caso! Per me questa spiegazione è assurda e insensata, perciò la questione è ancora aperta, anche se non sono sicuro di volere ascoltare altre teorie così improbabili.” Tutti ti guardavano; il tutor boccheggiava e aveva iniziato a sudare. “E poi, cazzo, siamo due ragazzi!” concludesti, con un tono leggermente più incerto.
Nessuno osava proferir parola, la stanza si fece sempre più calda, la tensione impediva quasi di respirare. Nel momento in cui il tutor stava riprendendo a parlare, per dire qualcosa tipo “Parlerò di questa cosa con i miei colleghi…”, un paio di mani iniziò ad applaudire, prima lentamente, poi con enfasi via via crescente.
“Bravo, Suzuno. Non ne dici tante di parole –e quando parli spesso e volentieri dici delle cose assolutamente stupide e incondivisibili-, ma questo discorso mi è piaciuto. Ha senso, cazzarola. Su, voi altri, toglietevi quelle espressioni idiote dalla faccia e svegliatevi. Ha ragione Fuusuke, tutto questo è assurdo e noi andremo avanti con le nostre vite come prima. Sveglia!” Fu Nagumo a parlare e tu trovasti molto strano il fatto che voi due condivideste una medesima opinione. Facesti un cenno di sì con la testa, come a volere chiudere la questione, e osservasti i tuoi compagni che uscivano uno ad uno dalla stanza, ancora un po’ sconvolti.
Per un secondo, un secondo solo, incrociasti i grandi occhi gialli di Haruya e subito ti accorgesti del fatto che la luce sul tuo petto aveva iniziato a splendere con maggiore intensità. Il tuo cuore accelerò di un poco i battiti, poi anche tu ti avviasti lentamente verso la porta della stanza.
Il senno-di-poi, sempre lui, ora ti dice che avresti dovuto capire già quel giorno come stavano le cose, ma, ehi, c’è un motivo se quel senno si chiama di-poi.

E meno male che ti sembrava di non ricordare niente di quel giorno! Non te ne sei accorto, ma pian piano la tua mente ha ricostruito alla perfezione quasi ogni dettaglio di quella mattinata così importante per la tua vita. Se stringi un po’ gli occhi e ti concentri, forse riesci anche a ricordare cose insignificanti, come per esempio il colore delle pareti o il materiale di cui erano costituite le superfici dei banchi e della cattedra. Oh, no, forse quello è chiedere troppo dalla memoria di un vecchietto.
Allora avevi quattordici anni e non potevi neppure lontanamente immaginare a che cosa ti avrebbe portato quella luce, dove ti avrebbe portato il tuo cuore, non potevi sapere quali svolte avrebbe preso la tua vita. Davvero al tempo trovavi Nagumo insopportabile. Non lo odiavi –in fondo, credi di non aver mai odiato nessuno in tutta la tua vita- ma il disprezzo c’era, eccome. Ai tuoi occhi era una persona immatura, preda di sentimenti adolescenziali che tu non provavi e nemmeno capivi, impulsivo e sciocco come pochi, tra i tuoi compagni della Aliea. Ai tempi della Chaos, ricordi, lo apprezzavi soltanto come giocatore. Era talentuoso almeno quanto te, veloce e agile, forte e capace; la stessa passione per il calcio bruciava dentro di voi e questo vi rendeva una squadra forte, capace di tiri e mosse oltremodo potenti. Però, oltre le doti calcistiche, davvero non riuscivi a trovare alcuna nota positiva in lui. Forse, i suoi occhi, quelli sì, li hai sempre trovati belli in un modo particolare, unico. Il giallo intenso delle iridi ha sempre catturato la tua attenzione e trovavi interessante il modo in cui mutavano al cambiare delle emozioni di Haruya. Il suoi sguardo rifletteva davvero ciò che lui provava e così sembrava una persona facile da sviscerare e comprendere; i tuoi occhi, invece, sono sempre stati in ogni situazione fermi, di un color azzurro meraviglioso ma privo di ogni fremito e incapace di lasciar passare qualsivoglia emozione.

Pensi a come la scoperta di essere anime gemelle cambiò il vostro rapporto. All’inizio, in realtà, nulla sembrò mutare. Le vostre vite procedevano in modo abbastanza tranquillo, poiché tutti fingevano che nulla fosse stato spiegato –persino i tutor non avevano più fatto riferimento a quella questione. Qualche cambiamento in realtà si poteva notare –sguardi imbarazzati, guance sempre più spesso imporporate per l’imbarazzo, voci tremanti e silenzi sgradevoli, tanto prolungati da risultare assordanti-, ma tra te e Haruya tutto andava avanti come sempre. Non vi parlavate granché, scambiavate solo qualche parola quando era necessario, giocavate a calcio insieme con la stessa frequenza di prima –una volta a settimana, forse?- e i vostri battibecchi continuavano a ripresentarsi periodicamente.
Dentro di te, però, sentivi che qualcosa si era spostato. Per quanto ti scocci tutt’ora ammetterlo, le parole del tutor ti colpirono profondamente e spesso ti capitava di ritrovarti a ripensarci. Ti chiedevi con una certa frequenza come sarebbe potuta essere una vita passata al fianco di Nagumo, ma preferivi non darti alcuna risposta. “La mia stabilità mentale è già abbastanza precaria così com’è e non è di certo il caso di peggiorare la situazione con teorie assurde e completamente infondate” pensavi.

Le cose cambiarono drasticamente una mattina di maggio, quando una delle assistenti della struttura in cui vi trovavate –una ragazza sorridente, sui venticinque anni, con i capelli raccolti in una graziosa treccia- vi disse di preparare tutte le vostre cose perché per voi era tempo di andare. Stavi di nuovo per sbottare di rabbia, perché non era possibile che senza un minimo di preavviso vi chiedessero di raccattare le vostre quattro cianfrusaglie per poi spedirvi subito in qualche posto assolutamente ignoto!
Facesti ricorso a tutto il tuo autocontrollo –che, grazie al cielo, è sempre stato eccellente-, sospirasti e iniziasti a mettere tutto quello che possedevi –le scarpe da calcio, i vestiti, un pallone e una decina di libri e quaderni- in un borsone grigio. Non sarebbe servito a nulla fare polemica, quindi tanto valeva restare in silenzio e seguire il corso degli eventi. Vi fecero mettere in fila e pian piano vedevi che vi dividevano in varie stanze o aree del giardino, a seconda della destinazione che vi attendeva. Quando arrivò il tuo turno ti si affiancò l’assistente carina con la treccia e insieme usciste direttamente in giardino.
“Io, te e Haruya partiamo subito. Siete gli unici con il volo nel primo pomeriggio” ti disse con incredibile naturalezza, per apparire rilassata. Tu ti limitasti ad annuire, ma dentro di te sentimenti di frustrazione, stanchezza, sconforto e qualcosa di stranamente piacevole si stavano mischiando, facendoti venire il voltastomaco. La ragazza ti portò davanti ad un auto, a cui era appoggiato Nagumo. Anche lui aveva con sé un borsone grigio e dai suoi occhi trapelava tutta la sua inquietudine. Ti avvicinasti a lui, mentre l’assistente cercava le chiavi dell’automobile nella borsetta. Vedesti la luce sul tuo petto iniziare a sfavillare, ma decidesti di non farci caso. Apristi la bocca per parlare, ma le parole decisero di spezzarsi nella tua gola e rimasero a marcire lì.
“Sono felice che ci sia tu con me, da solo sarei morto dal terrore” ti sussurrò appena Nagumo, tenendo gli occhi bassi. “Era quello che ti volevo dire io” pensasti, ma non dicesti nulla, limitandoti ad annuire piano e a distogliere in fretta lo sguardo. Udiste il suono metallico delle portiere sbloccate, sistemaste i vostri due borsoni nel portabagagli e saliste sopra la macchina. Tu ti sedesti con la schiena dritta, ordinatamente e ti allacciasti subito la cintura, mentre Nagumo si lasciò cadere sul sedile in modo scomposto, gettando la testa all’indietro e prendendo un respiro profondo. L’assistente vi sorrise dallo specchietto retrovisore e con voce dolce vi disse: “Ragazzi, non fate quelle facce, per favore. So che questo non era il modo giusto di farvi trasferire, ma, ehi, resta comunque un’ottima cosa. Andate in Corea… Là ricomincerete a vivere!”
Tu apprendesti la notizia in silenzio, mentre Haruya si lasciò sfuggire una risatina sarcastica. “Figata, la Corea! Quale ex-alieno adolescente non vorrebbe iniziare una nuova vita laggiù?”

Ah! La Corea, la Corea… Tutto sommato ne hai un buon ricordo. Il momento in cui arrivaste là non era certo il migliore, ma la gente era straordinariamente accogliente e l’idea di poter ricominciare in un posto nuovo non era così male, in fondo.
Ora che ci pensi, dovresti avere da qualche parte un album pieno di fotografie della Corea. Nel  primo cassetto a sinistra della credenza. Ti alzi di scatto, provocandoti una dolorosa fitta alla schiena. Ti riprendi un secondo dal movimento troppo rapido e ti avvii di nuovo verso quel mobile. Apri il primo cassetto sul lato sinistro, ma subito capisci che non è lì che c’è quello che cerchi –il cassetto trabocca infatti di bollette di luce, gas, acqua, telefono e internet. Chiudi il cassetto, sbuffando. “Prima o poi ci faranno pagare anche l’aria” pensi, per poi aprire il primo cassetto sulla destra. Anche questo è un buco nell’acqua, perché è pieno di altri documenti, scontrini e fatture. Il terzo tentativo è quello buono, grazie al cielo: nel secondo cassetto di sinistra trovi un mucchietto di foto e circa una decina di piccoli album fotografici. Ti ringrazi mentalmente per la tua abitudine di datare gli album, così presto trovi quello della Corea. Soddisfatto, passi una mano sopra al gilet per togliere le grinze che si sono formate e torni a sederti in poltrona. Apri l’album e la prima immagine subito fa affiorare nella mente un marea di ricordi; ci siete tu e Nagumo e almeno una sessantina di altri ragazzini schieranti in un grande campo: era il giorno delle selezioni per la nazionale di calcio.

Quel giorno la tua inquietudine era svanita quasi del tutto, lasciando posto all’ansia per la prova decisiva per entrare nella squadra nazionale, e con Haruya il rapporto pareva essere tornato quello dei tempi della Chaos.  In quel periodo vi eravate allenati a lungo insieme, concentrandovi il più possibile sul calcio per non pensare ai vostri cuori che palpitavano troppo forte e a quelle luci che rilucevano decisamente troppo forte sui vostri petti. Eravate entrambi determinati, pronti ad affrontare la sfida, senza fare caso agli altri ragazzi. Tutti e due avevate firmato il tacito accordo di non parlare prima della sfida di selezione, di non fare caso alle voci che presto si sarebbero levate quando sareste entrati nello spogliatoio come due soulmates, di non trattarvi come compagni di infanzia ma come colleghi e contemporaneamente avversari, come era giusto che fosse. Ti sentivi ottimista, per la prima volta in vita tua provavi un vero sentimento di positività; Haruya dal canto suo fremeva e scalpitava silenziosamente, pronto ad incendiare il campo con i piedi, se fosse stato necessario. Era la vostra ora, il vostro momento e nulla vi avrebbe impedito di riscattarvi.

Grazie al cielo, quel giorno il vostro talento non vi tradì, così come non vi tradirono i vostri nervi. La sfida fu dura e la vittoria sudata, ma quando udiste entrambi il vostro nome tra quelli dei convocati, entrambi vi sentiste subito più rilassati e immediatamente tutte le voci che strillavano dentro di voi si misero a tacere.
Tu e Nagumo avreste passato ancora del tempo insieme, a causa degli allenamenti intensivi in vista del campionato mondiale, e forse alla fine sareste finiti per innamorarvi perdutamente l’uno dell’altro per via di una decisione del Cosmo. Quel giorno però non ci pensasti, perché nulla importava: avevi la possibilità di ripartire e far capire a tutti quanto valevi, Haruya era solo un dettaglio sullo sfondo della tua vita. O almeno così credevi.
Usciste a festeggiare, la sera, accompagnati dalla famiglia che vi ospitava. Sembravano sinceramente contenti per voi e altrettanto onestamente dispiaciuti del fatto che presto ve ne sareste andati per andare a vivere con la nuova squadra. Non eri sicuro che si fossero realmente affezionati a voi –non eri sicuro di nulla, in fondo- ma il pensiero di stare a cuore a qualcuno ti faceva sentire sereno ed era una bella sensazione… Quindi perché gettarla via?

Scorri le foto. Ce n’è una di te con i due figli della coppia che vi ospitava, una di te e Nagumo intenti ad allenarvi, una con tutta la famiglia ospitante al completo –forse scattata da Haruya-; vengono poi circa una decina di foto di paesaggi verdeggianti –purtroppo, non riesci proprio a ricordare dopo tu possa averle scattate-, una foto di te che leggi un libro sotto un albero –eri in un parco?- e infine una foto ufficiale con la squadra nazionale. Anche quest’ultima ti porta alla mente una serie di ricordi.
Il periodo che trascorresti nella squadra coreana è forse uno di quelli che passasti in modo più tranquillo, nonostante ti sentissi sotto pressione all’idea di rappresentare una nazione e nonostante fossi decisamente stressato a causa degli allenamenti; probabilmente, eri a tuo agio perché tutto ti ricordava un po’ i tempi della Aliea, quando eri felicemente inconsapevole dell’esistenza della tua anima gemella e quando il tuo unico pensiero, praticamente, era il calcio. Un’altra nota positiva di quel lasso di tempo è che, essendo tu così impegnato e focalizzato sul calcio, avevi davvero poco tempo per pensare ad Haruya, ai suoi splendidi occhi dorati, alla luce e alle emozioni così contrastanti che lui ti suscitava.

Ti alzi per rimettere via l’album fotografico, quando una foto scivola da una delle bustine trasparenti a cade per terra. Con uno sforzo non da poco, ti chini per raccoglierla e la rigiri per guardarla. È una foto più piccola delle altre; prima non l’hai neanche notata, forse era finita dietro un’altra immagine. La luce sembra quella di un soleggiato giorno d’estate, sullo sfondo ci sono alcune case e un filare ordinato di alberi; il soggetto siete tu e Haruya, divisi dalla sfavillante figura di Afuro Terumi. Nagumo ha un’espressione ebete e mostra un pollice in segno di OK, Afuro ha l’occhio sinistro coperto da una ciocca di capelli biondissimi e sfoggia un sorrisetto altezzoso e sicuro di sé e tu, spostato di qualche centimetro, li guardi con un’espressione a mezzo fra il divertito e lo schifato. Sul tuo petto e su quello di Haruya, neanche a dirlo, brillano forte due fiammelle di sentimenti. Per un secondo ti chiedi come facciano quelle luci a non venire sfocate nelle fotografie e ti chiedi anche come possa l’obbiettivo di una fotocamera catturare la manifestazione fisica di un sentimento, ma poi ti dici che non importa e metti via la foto in una bustina trasparente, da sola, in modo da vederla subito la prossima volta che aprirai l’album.

Afuro Terumi, ragazzo brillante, con un discreto talento per il calcio e una personalità alquanto eccentrica al tempo di quella foto; adesso, un distinto anziano con capi di vestiario costosissimi e l’apparecchio acustico puntato sul massimo del volume. Le persone cambiano e gli anni che passano non li senti solo tu.
È un po’ che non lo senti, Terumi. Di solito è sempre lui a passare da te, pronto a raccontarti ogni dettaglio della sua vita da pensionato e prontissimo a criticare ogni tua camicia e ogni tuo gilet; questo mese, però, per il caldo si è rifugiato con il suo compagno Hera in una casa in campagna e tu non hai voglia di chiamarlo e di passare mezz’ora ad urlargli al telefono mentre lui spettegola con te senza accorgersi che gli stai parlando. Eppure gli sei affezionato, perché è un uomo gradevole, alla fin fine, nonché una gran brava persona, e gli sei infinitamente grato, perché probabilmente se non fosse stato per lui, la situazione tra te e Haruya non si sarebbe mai sbloccata.

All’inizio odiavi il modo di fare impertinente e impiccione di Afuro e mai avresti creduto di arrivare, un giorno, a ringraziare questo lato della sua personalità. Terumi infatti non è mai stato capace di tenere la bocca chiusa e non ha mai, in nessuna occasione, messo a tacere il suo impellente bisogno di esternare la sua opinione in merito a qualsiasi cosa.
I primi tempi, con te e Nagumo, in presenza del resto della squadra, mantenne un atteggiamento abbastanza distaccato ed incredibilmente professionale; tra di voi scambiavate poche parole di interesse generico e per lo più parlavate di calcio, discutendo nuove tecniche e strategie da applicare, commentando le partite dei vostri futuri avversari e facendo pronostici per i match futuri. Una sera però, Afuro beccò te e Nagumo che prendevate insieme una boccata d’aria. Nulla di sentimentale, niente di intimo –tu e Haruya stavate semplicemente entrambi passeggiando all’aria aperta perché nessuno dei due aveva digerito la cena-, ma chiaramente Terumi vide in quella passeggiata dell’altro. Uscì in fretta e furia e vi raggiunse con una breve corsa. Per un momento, un momento solo, pensasti ingenuamente che anche lui volesse unirsi a voi per fare due passi. Certo, come no.
Il biondo si fermò a pochi centimetri a voi, posò una mano sulla tua spalla e una sul braccio di Haruya e sfoggiò un sorriso mesto e comprensivo.
“Vi stimo davvero tanto, sapete, ragazzi?” esordì. Tu e Nagumo vi scambiaste un’occhiata perplessa. “Siete così naturali e discreti e assolutamente superiori a tutte le chiacchiere che girano su di voi negli spogliatoi. All’inizio –non voglio mentirvi- non tutti riuscivano a concepire questa cosa come normale… In fondo, è comprensibile, voglio dire, un certo imbarazzo… Credo sia normale.” Sospirò, spostando una ciocca di capelli dietro all’orecchio. “Poi però siete riusciti a conquistare la stima e la fiducia di tutti, perché siete così attenti a non dare nell’occhio, perché tra di voi vi comportate in modo così distaccato! Ah, e poi ovviamente anche per il vostro talento nel calcio, eh. Davvero, se non fosse per quelle luci che vi tradiscono, nessuno direbbe che siete gay e soprattutto nessuno oserebbe mai ipotizzare che voi due state insieme!” esclamò, lasciando sia te che Nagumo per gesticolare in modo un po’ teatrale. Tu ti limitasti a sgranare gli occhi e ad alzare un sopracciglio, Haruya invece prese un respiro profondo e aprì la bocca per parlare. Terumi però lo anticipò: “No, ehi, calmi. Io non sono come loro, io sono decisamente più come voi. Vi capisco. In Giappone ho anche io un’anima gemella... Maschio. Anche noi giocavamo nella stessa squadra e anche per noi è stato difficile all’inizio. Vi assicuro però che voi qui siete davvero stimati e ormai gli altri non ci fanno più neanche caso e, fidatevi, le voci cesseranno del tutto quando anche loro avranno trovato la loro metà. Io sinceramente credo che---” Nagumo, così velocemente che tu nemmeno riuscisti a vederlo, prese Afuro per il colletto della maglia e lo alzò di qualche centimetro da terra.
“Ascolta, biondino! Frocio ci sarai te” disse, con il volto che per la frustrazione aveva assunto lo stesso colore dei capelli. L’altro dal canto suo non sembrò particolarmente preoccupato da quella reazione violenta, reagì anzi con un mezzo sorriso ironico e con un’alzata di spalle. “Certo che sì, te l’ho appena detto che ho un ragazzo!” disse, mentre Haruya lasciava la presa sulla sua maglietta. Calò per qualche istante un silenzio pesante, potevi sentire chiaramente il tuo cuore che batteva ad un ritmo troppo veloce da reggere; ti accorgesti che sia le iridi color rubino del biondo che quelle dorate di Nagumo erano puntate su di te e capisti che entrambi volevano che tu dicessi qualcosa. Desti un paio di colpi di tosse per schiarirti la voce, nella speranza che non risultasse esitante o spezzata e poi iniziasti a parlare. Non ricordi che cosa dicesti, né come lo dicesti. Conoscendoti, probabilmente pronunciasti qualche parola banale e secca, aspettando poi che uno dei tuoi due interlocutori ricominciasse a parlare. Haruya sbuffò e storse la bocca in una smorfia scocciata e quindi Afuro capì che era di nuovo il suo momento di prender parola.
“Dunque” disse, “a quanto pare, qui qualcuno non ha capito qualcosa.”
Proprio così” pensasti.
“Qui qualcuno ha ancora dei problemi con se stesso e non riesce ad accettare di essere destinato a vivere la propria vita con un altro ragazzo maschio.”
No, aspetta, non così.
“Qui qualcuno non vuole ancora ammettere di essere follemente innamorato. Eh, Nagumo?” Rise piano con un’alzata di spalle. “Suzuno, mi sbaglio?” Per la prima volta in vita tua provasti un senso di insicurezza assurdo. Ovviamente quel biondino tutto capelli non poteva avere ragione, tu non eri gay –come potevi esserlo?-, tu non eri innamorato di Nagumo, e quelle luci erano solo… Cos’erano? Che cosa potevano essere? Avevi solo domande e nessuna risposta, al di fuori delle parole che erano appena state pronunciate da Terumi. Per un attimo ti prese il panico.
“Dài, Afuro, fatti un po’ i cazzi tuoi” proferì infine Haruya, e la questione finì –temporaneamente- lì.   

I giorni scorrevano veloci, accompagnati da allenamenti a ritmo serrato e partite in cui era necessario dare più del massimo: tu e Nagumo non avevate il tempo di pensare l’uno all’altro.
Le cose si complicarono però ulteriormente quando il Giappone vi batté e continuò al vostro posto la corsa per diventare la squadra rappresentante del continente asiatico al Football Frontier International. La frustrazione e la stanchezza ti erano piombate addosso con una violenza quasi insostenibile; tu e tutta la squadra eravate amareggiati e coi nervi a pezzi. Persino Afuro aveva perso la sua solita aria di superiorità, assumendo un atteggiamento più mesto e sfoggiando una serie pressoché infinita di nervosi sorrisini di circostanza. Alcuni tuoi compagni di squadra si erano chiusi in una specie di mutismo, due o tre degli altri avevano iniziato a tirare imprecazioni contro qualsiasi essere vivente. Tu ti sentivi a pezzi e ti chiedevi se avresti dovuto ricominciare da capo, ancora una volta.
Mentre i tuoi compagni di squadra uscivano dallo spogliatoio, tu ti sedesti e appoggiasti la testa al muro, deciso ad aspettare di fare un po’ di ordine mentale prima di uscire da lì. Avevi un asciugamano di spugna bianco legato attorno al collo e addosso avevi soltanto i pantaloncini della squadra, visto che la maglietta madida di sudore e sporca di terriccio ti metteva addosso un caldo soffocante. Sentivi il brusio delle voci degli altri ragazzi che si allontanava pian piano e ad un certo punto credesti di essere rimasto solo. Credevi.
Sospirasti e, dopo esserteli stropicciati per qualche secondo, apristi gli occhi. Davanti a te c’era Haruya, neanche a dirlo, con il petto che sembrava brillare più del solito. Deglutisti a fatica e continuasti a tenere le tue grandi iridi azzurre fisse nelle sue.
“Be’, che fai? Hai intenzione di rimanere qui per sempre?” Sghignazzando, abbassasti la testa e la scuotesti piano. “Bene, allora muoviti” ti esortò, spostandosi da te di qualche passo. Dovevi dire qualcosa, ogni cellula del tuo corpo ti stava supplicando ti aprire la tua maledettissima bocca e parlare.
“Haruya” chiamasti e lui si girò immediatamente; ovviamente si aspettava che tu proseguissi. “Tu non… Non hai paura?” Un’espressione interrogativa si dipinse sul suo volto. “Io sono terrorizzato. Cosa succederà, ora? Secondo te ci faranno restare? Cosa ne sarà… di noi?” Ti impegnasti con tutto te stesso per mantenere un tono di voce piatto e calmo, ma la voce ti uscì ugualmente spezzata. A Nagumo si bloccò il respiro in gola; ti guardava con gli occhi sbarrati, impietrito. Dopo circa un minuto di totale silenzio, ti azzardasti a pronunciare qualche parola che potesse tirare entrambi fuori da quella situazione spiacevole.
“Mi sento uno scemo” proferisti. Non era una gran frase, ma forse sarebbe bastata a concederti un’uscita di scena quasi dignitosa.
E invece no.
Haruya deglutì rumorosamente e si avvicinò di nuovo a te, abbassandosi al tuo stesso livello. “Forse degli stronzetti in camice verranno di nuovo a prelevarci. Forse ci selezioneranno per un’altra squadra di calcio. Forse qualche altro maniaco vorrà usarci per i suoi piani malefici o per studiarci come fossimo topi da laboratorio” disse, tutto d’un fiato, per poi aggiungere un semplice, sincero e disarmante: “Non lo so.” Sospirasti e socchiudesti gli occhi.
“Che merda” affermasti prima di liberarti di un po’ di tensione con una risatina nervosa. Haruya si schiarì la voce e tu tornasti a guardarlo in volto.
“Fammi finire, cazzo. Stavo dicendo… Non lo so, ma so che non ci divideranno. Non lo possono fare, capisci? L’Universo non credo che permetta a due anime gemelle come noi di separarsi.” Fece una piccola pausa. “O almeno credo, ecco. No, no, no: ne sono sicuro.” Tu alzasti un sopracciglio e continuasti a fissarlo con un’aria interrogativa. Eri sicuro che stesse delirando per il caldo e per la stanchezza, perché non c’era altra spiegazione. Eppure il modo in cui ti guardava…
“Sei proprio coglione, sai? Io accetto di essere destinato ad una sottospecie di ghiacciolo come te per via di una qualche legge cosmica, ti dichiaro il mio amore e tu alzi un sopracciglio e non dici nulla? Davvero? Oh, bene bene! L’Universo doveva essere ubriaco fradicio quando ha deciso di mettere questa specie di lampadina sul mio petto e di legarmi per sempre a te.”
Ci mettesti più di un secondo a realizzare. È comprensibile, perché c’erano svariati dati che il tuo cervello –e il tuo cuore- doveva recepire, elaborare ed immagazzinare. Dato numero uno: Nagumo credeva al fatto che quelle luci fossero una manifestazione fisica del vostro legame come soulmates; dato numero due: anche se non te ne eri mai accorto, ci credevi anche tu probabilmente dal giorno in cui una piccola Reina aveva ipotizzato che le luci fossero per le coppie di piccioncini; dato numero tre: Haruya non solo credeva al vostro legame, ma lo aveva anche già elaborato e concepito come amore; dato numero quattro: anche tu avevi fatto lo stesso, anche se non te eri accorto; ultimo ma non di certo per rilevanza, dato numero cinque: eravate soli nello spogliatoio di uno stadio, lontano da tutto e da tutti –e tu eri attualmente privo di una maglietta. Il modo per uscire da quella situazione era soltanto uno.
Dopo aver preso un respiro profondo, in apnea avvicinasti la tua bocca a quella di Nagumo, chiudendo gli occhi –sarebbe stato abbastanza umiliante anche senza vedere la sua espressione probabilmente schifata. Non fu esattamente un bacio da manuale, eh? Te lo ricordi alla perfezione. All’inizio Nagumo parve ritrarsi e per un secondo pensasti che ti avrebbe allontanato con un pugno sullo sterno; dopo un primo istante di sconvolgimento, però, ricambiò il bacio con passione e enfasi. Troppa enfasi, a dire il vero. Ben presto un casto bacio a stampo diventò un groviglio orrendo di lingue; nessuno dei due aveva grande esperienza nel campo e questo era abbastanza lampante. Nagumo cercava di prenderti le spalle per chiuderti in una specie di abbraccio e tu, invece, cercavi di prendere fra le mani il suo viso per cercare di rendere il contatto fra le vostre bocche meno disordinato. Il risultato furono i vostri volti paonazzi, un’unghiata sulla tua spalla sinistra e un disgustoso rivolo di saliva che scendeva sul mento di Haruya.
Entrambi firmaste il tacito accordo di non commentare l’accaduto, tu ti rinfilasti alla svelta la tua maglietta ed entrambi vi avviaste verso casa, a qualche passo di distanza l’uno dall’altro.
Al tempo non lo sapevi, ma quello era l’inizio di una splendida vita passata insieme.

Ora, seduto sulla tua adorata poltrona, ridi al ricordo di quella goffaggine, soprattutto se pensi a tutti i baci venuti dopo e a… Be’, al resto. Nagumo era un baciatore impetuoso, come ci si sarebbe aspettato da lui, e mai una volta in vita sua ha evitato di lasciarti segni visibili del suo passaggio –ricordi alla perfezione tutte le giornate passate con una sciarpa addosso per coprire i succhiotti che ti lasciava sul collo-; tu dal canto tuo, dopo aver fatto un po’ di pratica, eri diventato abbastanza bravo e sensuale, almeno a star a sentire Haruya.
Fino ai vent’anni siete rimasti in Corea e per tutto quel tempo avete preferito appartarvi per stare insieme, continuando a negare davanti ai conoscenti di provare qualcosa l’uno per l’altro e continuando a dire di non credere alle anime gemelle. Tutti –fatta eccezione per Afuro, ovviamente- sembravano crederci, o almeno fingevano, e la cosa vi stava bene. Notavi le occhiate della gente, poiché spesso vi capitava di attirare l’attenzione –due giovani uomini che camminano insieme con i cuori che si comportano come riflettori non passano inosservati facilmente-, ma cercavi il più possibile di non farci caso. E poi, quando la situazione si faceva particolarmente spiacevole, quando iniziavate a sentire voci che parlavano di voi e mani che vi indicavano, c’era sempre Haruya pronto a mettere a tacere tutto e tutti con un non-fine-ma-efficace “Fatevi un po’ i cazzi vostri.”
Era strano; all’improvviso non trovavi più orrendo il modo di parlare semplice e vagamente scurrile di Nagumo, non detestavi più la sua impulsività e quasi quasi ti piacevano anche i suoi assurdi capelli color pomodoro. Le cose cambiano così in fretta… O forse erano sempre state così e tu non te ne eri accorto? Non sapevi risponderti allora, non ne sei capace neppure adesso e probabilmente non lo sarai mai.

Lasciaste la casa della famiglia che vi ospitava non appena arrivati entrambi alla maggiore età; erano persone squisite e tra di voi c’era un sentimento di bene reciproco, ma tu e Haruya avevate sempre più voglia l’uno dell’altro e pensavate che iniziare a comportarvi come una coppia avrebbe distrutto l’equilibrio che regnava in quella famiglia. A loro diceste semplicemente che desideravate un po’ di indipendenza e che volevate cambiare ambiente per ampliare i vostri orizzonti; loro dissero di capire le vostre esigenze di libertà e, anche se un po’ dispiaciuti, vi aiutarono di buon grado ad organizzare il vostro trasloco. La destinazione era una cittadina universitaria –dove entrambi avreste frequentato dei corsi- che distava circa due orette e mezza dal paese in cui abitava la vostra vecchia-nuova famiglia. Sceglieste di andare a vivere in un piccolo appartamento –una camera matrimoniale, una zona giorno, un piccolo terrazzo, un bagno e una minuscola stanza ad uso di sgabuzzino- situato in centro, a cinque minuti dalla vostra sede universitaria. L’affitto non era troppo alto, infatti sarebbe stato accessibile anche se avesse lavorato uno solo di voi, e i primi mesi ve li anticiparono i vostri pseudo-genitori. Di questo sei ancora profondamente grato, perché probabilmente se non vi avessero aiutato –non erano più legalmente i vostri tutori, quindi non erano tenuti a farlo- tu e Haruya avreste vissuto per sei mesi circa sotto un ponte o un viadotto.

Gli anni dell’università li ricordi con un sorriso a trentadue denti stampato in volto. La casa era piccola, sì, ma accogliente e luminosa, i corsi erano interessanti e meno impegnativi e stressanti di quello che ti aspettavi, la gente era cortese e socievole, ma non rumorosa e ficcanaso, e i vostri compagni di corso erano tutti abbastanza aperti da riuscire ad accettare il fatto di frequentare un ateneo con dei compagni omosessuali –ormai tu e Haruya non tentavate più di negare la vostra relazione, tant’era evidente il vostro legame. C’è anche da dire che però e Nagumo vi impegnavate parecchio: eravate il più discreti possibile e tu insistevi ancora a dire di appartarvi per baciarvi, sebbene Haruya non capisse fino in fondo questa fissa. Non c’era nulla di che dietro, semplicemente non volevi ostentare il fatto che voi due eravate felici e accoppiati grazie ad una legge cosmica incontrastabile, ecco tutto.
A casa non ci passavate molto tempo –tra corsi normali ed extra curricolari, uscite con gli amici e mille altri impegni non c’erano alla fin fine così tante ore da passare nell’appartamento- e quelle poche volte che ci stavate era per dormire, mangiare… E fare sesso. Nonostante Haruya premesse per provare qualcosa di un po’ più eccitante e rischioso, tipo appartarvi per fare l’amore dietro un cespuglio e nel bagno di qualche pub, tu eri fortemente contrario –volevi provare a conservare ancora per un po’ la tua dignità- e quindi il sesso diventò una cosa-da-fare-solo-in-casa. Il risultato fu in realtà che l’appartamento divenne una casa-per-fare-solo-quella-cosa, ma non è che ti pesasse. Anzi.
La vostra prima volta insieme fu abbastanza disastrosa, anche se non tanto quanto il vostro primo bacio. Avevate diciassette anni ed era ormai un paio di mesi che parlavate spesso di farlo, ma a dire la verità, nessuno dei due sapeva bene da dove incominciare; tu eri vergine e non te ne vergognavi, Nagumo sosteneva di essere stato con qualche ragazza –cosa che non hai mai appurato e alla quale non hai mai creduto-, ma comunque non aveva alcuna esperienza con i ragazzi. Fu difficoltoso, sì, ma alla fine riusciste a cavarvela discretamente, senza contare che da lì in poi avete fatto parecchia di pratica. Parecchia davvero.

La decisione di ritornare in Giappone la prendeste insieme, dopo aver finito l’università. Avevate ancora dei lavoretti precari da studenti che non vi soddisfavano più e probabilmente vi sareste a priori trasferiti, senza contare che la Corea era un bel posto, sì, ma non era mai diventata casa vostra. Tu temevi che neanche il Giappone potesse esserlo, ma Haruya insisteva, dicendo che lui se lo sentiva, si sentiva che sareste stati alla grande e sosteneva fosse un buon posto per provare a ricominciare ancora una volta. Tu capisti che potevi tranquillamente ripartire di nuovo da zero quando ti accorgesti che ora l’idea di cancellare tutto e ributtare le fondamenta per una nuova vita non ti spaventava più. Ti sentivi a posto e pronto a tutto.
A ventisei anni avevate entrambi un posto fisso –tu come impiegato in una piccola azienda, Nagumo come personal trainer in una palestra- e avevate acceso un mutuo per una casa mono-familiare in un nuovo quartiere nella parte est di Inazuma-cho. Non male, tutto sommato.
Ve la cavavate bene: avevate dei buoni orari –riuscivate a stare in casa anche il tempo necessario per rilassarvi!- e delle buone paghe e l’ambiente era davvero stupendo. Fare coming out non era neppure stato necessario, perché ai nuovi vicini semplicemente vi presentavate come “la coppia che si è appena trasferita al civico 12” e tutti accoglievano la notizia in modo pacato e sereno. D’altronde, era giusto che fosse così, visto che il vostro essere anime gemelle e il sesso che facevate sul divano di casa vostra non influivano in alcun modo sulle loro vite. In Giappone riprendeste anche a frequentare il mondo del calcio: Inazuma-cho da dieci anni era il centro del calcio nazionale e tutti i ragazzini –e non solo loro- vivevano nel sogno di giocare, un giorno, in uno degli stadi più belli e importanti del mondo.
Gli amici arrivarono solo qualche mese dopo il vostro trasloco e la sorte volle che a inserirvi in una nuova compagnia fossero delle vecchie conoscenze: Hiroto e Ryuuji.

Tu e Haruya stavate tranquillamente passeggiando per il centro cittadino, senza una meta precisa –forse vi sareste fermati in un bar per bere qualcosa o in un supermercato per fare qualche acquisto per la casa-, quando una decapottabile bianca con dentro un tipo con la pelle persino più chiara della tua e i capelli più rossi di quelli di Nagumo e una signorina con un grazioso chignone verde vi si fermò accanto. Con tua grande sorpresa, scopristi presto che la signorina era in realtà Midorikawa e che il tipo-color-mozzarella era Kiyama. Erano passati quasi dieci anni dall’ultima volta che li avevi visti e, naturalmente, li trovasti molto cambiati e trovasti anche strano il fatto che loro due fossero riusciti a riconoscervi. Scambiaste due parole alla svelta, poiché tra di voi c’era un certo imbarazzo, dovuto in parte al fatto che l’ultima volta che vi eravate visti era stato sul campo di calcio e non vi eravate parlati neppure per un secondo, in parte al fatto che ora non eravate più solo quattro ragazzi, ma anche due coppie. Nagumo aveva sempre sostenuto che quei due sarebbero finiti insieme, a prescindere dal vincolo delle soulmates, mentre tu avevi preferito non pensarci. Erano affari loro, in primo luogo, e ammettere che loro due coi loro cuori sfavillanti sarebbero finiti insieme implicava ammettere che anche tu e Haruya avreste fatto la stessa fine.
Alla fine, loro vi diedero appuntamento per quella sera in un piccolo locale.
“Siamo noi due e qualcuno della vecchia squadra rappresentante del Giappone” vi spiegò Ryuuji, sorridendo. “C’è anche qualcuno della Aliea… Saginuma-kun, Reina, Clara… Penso che farebbe loro piacere se veniste, insomma… Chi non muore si rivede, no?” concluse, strizzando l’occhio destro, mentre Hiroto pestava sull’acceleratore lanciandovi un saluto.
Tu ed Haruya rimaneste per qualche secondo a guardare la macchina bianca che si allontanava, poi lui ti mise una mano intorno alla spalla e con l’altra di batté sul cuore.
“Chi avrebbe mai detto che ‘sta cosa” disse, accennando ovviamente alla luce delle anime gemelle, “ci avrebbe portato qui, eh?”
Tu non capisti a che cosa si stesse riferendo –ancora oggi non sai se si stesse riferendo a qualcosa-, quindi ti limitasti al alzare le spalle e a riprendere la passeggiata.

La sera incontraste quindi quella che sarebbe diventata la vostra nuova compagnia. Con loro avete poi fatto uscite in pub e discoteche, cene e apertivi e persino qualche gita o viaggio. Hai moltissime foto insieme a loro nelle più disparate delle situazioni, pensi con un sorriso sulle labbra.
Entraste nel locale già con cinque minuti di ritardo rispetto all’orario che vi avevano detto Hiroto e Ryuuji –“Tanto per farsi ricordare subito” pensasti- e trovaste già tutta la comitiva seduta ad alcuni tavolini sul fondo del locale. Scorgesti i volti uno ad uno e capisti che conoscevi dalla tua adolescenza metà delle persone: c’era Endou Mamoru, con la sua solita aria allegra, mano nella mano con la sua anima gemella, una ragazza riccia e castana dall’aria abbastanza familiare; c’era Gouenji Shuuya, che vi salutò con appena un cenno della mano; c’era Saginuma-kun insieme a Reina e Clara –come vi aveva anticipato Midorikawa-, con l’aggiunta di due aitanti ragazzi mori molto simili tra loro, forse fratelli, che dovevano essere le soulmates delle due ragazze. Di lato c’era anche qualche altro volto della ex-rappresentativa giapponese, ma non riuscivi a ricordare i loro nomi.
Vi presentaste con poche parole e molti sorrisi; Haruya continuava a battere il piedi per terra per la tensione e tu avevi iniziato a emettere fastidiosi risolini nervosi: non era facile per voi rientrare in contatto in questo modo con delle vecchie conoscenze. Qualsiasi forma di imbarazzo venne spazzata via da una voce squillante e allegra che tu, drammaticamente, riconoscesti all’istante: “Ma guarda un po’! Mh-mh, quindi siete proprio voi due la nuova coppia della nostra comitiva? Oh, ma chi l’avrebbe mai detto.” Afuro Terumi si sedette accanto a te, ondeggiando lievemente i lunghi capelli biondi e ridendo sotto i baffi. Affianco a lui si accomodò un ragazzo coi capelli mossi fino alle spalle, il quale, viste le luci radiose che brillavano sopra i petti di entrambi, doveva essere la sua anima gemella.
“Quindi alla fine avete capito quello che già io vi avevo detto, eh? Bene, bene, ne sono felice. Sono contento per voi, ovviamente, ma sono ancora più contento di non essere stato smentito!” esclamò, per poi concedersi una breve risata. Haruya lo guardava come se avesse voluto mettergli le mani al collo, tu lo fissavi con la tua solita aria distaccata. “Non siete cambiati per nulla” affermò, poi, indicando il ragazzo seduto vicino a lui, disse: “Hera Tadashi, la mia metà.”
Stringesti la mano ad Hera e poi sospirasti, chiedendoti se quello fosse l’inizio di un nuovo incubo con la firma di Afuro Terumi.

Terumi… Dovresti proprio chiamarlo, già.
Ti alzi dalla poltrona per sgranchirti le gambe e controlli ancora una volta l’ora: sono le dieci meno un quarto. Sbadigli e ti stiracchi leggermente, stando attendo a non stropicciarti la camicia. Per quanto tu possa provare a rimanere in forma e a vivere in modo giovanile, gli acciacchi del tempo li senti, eccome.
A chi stavi pensando, prima? Ah, giusto, ad Afuro! Sì, gli dovresti telefonare per chiedergli come se la passa lontano dal caldo cittadino e domandargli le solite due cose di rito, così, tanto per fargli capire che non ti sei dimenticato di lui –e che quindi le malattie mentali non ti hanno ancora preso di mira; non potresti mai dimenticarti di lui se non a causa di un morbo terribile.
Sorridi, perché se te lo avessero detto quando avevi quindici anni, non ci avresti mai creduto, ma Afuro Terumi è stato per te –e anche per Nagumo- un ottimo amico, una persona fidata su cui contare sempre e, udite udite, anche un eccellente testimone di nozze.

Nella camera da letto che un tempo condividevi con Haruya c’è un poster di fotografie protetto da un sottile vetro, e in molte di quelle appare il biondo in abito elegante sempre al tuo fianco. Tu e la tua anima gemella avevate entrambi trent’anni quando vi sposaste in una soleggiata giornata di aprile. In Giappone già da qualche anno erano legali le nozze per persone dello stesso sesso –specialmente se soulmates!- ma tu avevi voluto aspettare il momento adatto per sposarvi, andando contro la solita fretta di Nagumo. Che cosa stessi aspettando, non lo sapevi neanche tu –eravate innamorati, con una casa vostra, due automobili e due lavori ben pagati a tempo indeterminato e le vostre anime erano profondamente legate l’una alla’altra-, ma i trent’anni, ad ogni modo, ti parvero una buona soglia. Gli amici tutti accolsero la notizia di buon umore, iniziando a tempestarvi di consigli per la location e il menù e gli inviti e il viaggio di nozze e i vestiti e i fiori e qualsiasi altra cosa passasse loro di mente. Stranamente, quando annunciaste le vostre nozze, Afuro si limitò a farvi le congratulazioni e, sorridente, propose un brindisi. Niente commenti ironici, niente proposte e dritte di nessun genere, niente di niente. Fu allora che lo scegliesti come testimone e gli chiedesti seduta stante di partecipare con un ruolo così importante al tuo matrimonio. Nagumo ti guardò con fare interrogativo –avevate parlato una sola volta dei possibili testimoni e avevate pensato a Hiroto e Ryuuji, vostri cari amici ed esempi di un matrimonio sereno-, ma decise di lasciar correre, in parte perché ancora si fidava della tua ragione e pensava che ci fosse stata una riflessione dietro alla tua scelta –sbagliato- e in parte perché, ad ogni modo, Afuro era un vostro caro amico. Ovviamente lui accettò più che volentieri, accennando un sorriso sghembo che per un secondo ti fece profondamente pentire di quel che avevi appena fatto.

Terumi si rivelò in realtà forse il miglior testimone auspicabile. Preciso, creativo ma abbastanza razionale da saper fare i conti, con un ottimo gusto in fatto di tutto e con ancor migliori conoscenze che ti permisero di avere sconti e agevolazioni non di poco conto. Ti aiutò con la scelta del vestito –a te in fondo parevano tutti uguali-, con quella dei fiori –se ne occupò praticamente soltanto lui con un piccolo contributo di Hiroto, testimone di Haruya-, prenotò il viaggio di nozze –una crociera nel Mediterraneo che toccava le coste di Francia, Spagna e Marocco per poi arrivare fino al Portogallo, nell’Atlantico- e fu la tua salvezza nella preparazione e sistemazione delle questioni burocratiche. Senza contare che, probabilmente, senza Afuro saresti morto per l’ansia il giorno stesso delle nozze.
Non sei mai stato uno di molte parole, ma quel giorno eri letteralmente ammutolito. Ti sentivi la gola secca, l’aria che ti arrivava ai polmoni sembrava sempre troppo poca e continuavi a bere acqua. La cosa peggiore, forse, era non poter dire a nessuno che cosa ti passasse per la testa: l’unica persona con cui avessi mai parlato di te stesso e di quel che provavi era Nagumo, e poi era capitato solo poche volte, in momenti di grande stress. Non vedevi soluzione, se non quella di continuare a bere acqua nella vana speranza di dissetarti. Terumi invece riuscì a sistemare la situazione in poche semplici mosse: innanzitutto, tolse di mezzo ogni bottiglia di acqua minerale –saresti finito per far affogare i tuoi organi interni, se non lo avesse fatto-; poi ti osservò per qualche minuto. Tu te ne stavi zitto, sorridendo nervosamente e battendo il piede per terra ad un ritmo delirante e lui solo da questo riuscì a capire benissimo cosa ti preoccupava.
L’idea di legarti ancora di più a Nagumo ti terrorizzava: in quei quindici anni tutto, effettivamente, era filato abbastanza liscio, ma i vostri caratteri erano così diversi! Sarebbe davvero durata? E se il vostro matrimonio fosse fallito miseramente? Se gli obblighi coniugali vi avessero soffocato fino a farvi arrivare al divorzio? Non te la saresti mai sentita di ricominciare da zero ancora una volta, non ce l’avresti mai fatta. Tutto quello che riguardava le nozze ti metteva ansia e in cuor tuo speravi che un evento imprevedibile –un incendio, un’alluvione, un terremoto, un qualcosa- vi costringesse a rimandare.
Afuro, quindi, cominciò a parlare a manetta senza lasciarti neanche il tempo di salutarlo. Temevi con tutto te stesso che si mettesse a parlare delle soulmates, del matrimonio come cerimonia e come stile di vita –lui ed Hera si erano sposati due anni prima-, delle stronzate come le tartine o i bouquet abbinati alle tovaglie per il ricevimento. E invece no. Di tutto il fiume di parole che uscì dalla bocca di Terumi in quella giornata neppure una era collegata  in alcun modo alle nozze. Mentre ti riempiva la testa di chiacchiere inutili, cominciò a prepararti e terminò di fare, con discrezione, tutte le piccole cose che erano d ultimare, mentre tu ti lasciavi rilassare dal suono perpetuo della sua voce.
Quando arrivasti sul luogo della cerimonia, di nuovo ti prese un attimo d’ansia, ma anche lì arrivò Afuro a tranquillizzarti, sussurrandoti all’orecchio un “Guarda che adesso passa” che ebbe il potere di farti tornare a respirare normalmente.
Haruya era davvero bellissimo. Portava un abito nero con un dettagli rosso nel taschino, dal taglio semplice e fine, che gli calzava a pennello; la camicia bianca metteva gli metteva in risalto il viso e i suoi occhi, oh, i suoi occhi… Sembravano brillare di luce propria, tant’era vivido il loro colore dorato. Istintivamente, sposasti per un secondo lo sguardo sul tuo petto, che splendeva come mai prima di allora. Man mano che la funzione si svolgeva, il tuo nervosismo si allontanava e più ti scambiavi occhiate con Nagumo e più capivi di non aver fatto una totale stronzata. Ti sentivi però mortalmente stanco, spossato da tutte quelle emozioni che non eri abituato a provare. La stanchezza ebbe uno strano effetto su di te: quando vi scambiste il vostro primo bacio da sposati, tra gli “aw” e i vari commenti dei presenti, ti mettesti a ridere, sghignazzando contro la bocca di Haruya. Quando Nagumo, staccatosi dal bacio, ti chiese vagamente preoccupato se fosse tutto a posto, tu ti avvicinasti al suo orecchio e gli sussurrasti: “Pensa se fosse stato uno schifo come il nostro primo bacio. Ora avresti un rivolo di bava sopra quella costosissima camicia.”
Haruya ti guardò per un istante stralunato, poi scoppiò a ridere di gusto, con gli invitati che vi guardavano abbastanza perplessi.

Sospiri. Sono passati quarant’anni da quel giorno che tutt’ora consideri uno dei migliori della tua vita. Ovviamente ne hai avuti altri, di giorni stupendi. La prima notte di nozze è stato romantica ed emozionante e nel vostro viaggio in Europa tu e Haruya avete visitato luoghi incredibili e ricchi d’arte, conosciuto persone gradevoli dall’altra parte del mondo e provato cibi squisiti. Siete tornati in Europa altre due volte, una solo voi due e una con il vostro solito gruppo di amici,  e avete fatto un tour dell’America in occasione dei vostri quindici anni di matrimonio, e anche quelle sono state esperienze straordinarie di cui conservi  ricordi nitidi e centinaia di fotografie. Tu e Nagumo avete vissuto altre piccole gioie, come la casa più grande –quella in cui tu vivi tutt’ora-, le promozioni nel lavoro, i matrimoni degli amici e le nascite dei loro figli, che spesso e volentieri vi chiamavano zii. Voi non avete mai pensato di adottare dei bambini: stavate bene così, solo voi due, e tu sentivi che allevare una creatura sarebbe stata una responsabilità troppo grande.
Ovviamente, avete avuto anche dei brutti momenti. Ci sono state litigate furiose, crisi di gelosia, scatti di rabbia e rotture che sono durate anche per ore –una volta, ricordi, Nagumo decise addirittura di andarsene a dormire per una notte fuori casa-, ma erano sempre situazioni che rientravano nella normalità. La vostra storia funzionava, funzionava eccome. È sempre andato tutto abbastanza bene fra di voi, fino a quando…
La voce di Haruka che, entrando in casa, ti dà il buongiorno ti desta dai tuoi pensieri. Ti mordi la lingua, per non dire ad alta voce che ti sei pentito di averle dato le chiavi di casa tua, poi sorridi e ricambi il saluto. Noti subito che ha in mano due buste di carta marrone, probabilmente contenenti frutta o verdura, e ti avvicini per aiutarla.
“Non si preoccupi, Suzuno-sensei, non pesano così tanto” ti dice, per poi aggiungere: “Ho preso solo dell’insalata e dei pomodori e poi un bel po’ di frutti di bosco. Sa, pensavo di farci una torta, visto che i dolci le piacciono tanto… Che ne dice?”
La guardi mentre si dirige svelta in cucina e quando ritorna le annuisci, anche se ti affretti a dirle: “Prima… Prima della torta, che è sempre graditissima, vorrei però che mi accompagnassi in un posto.”
“Certamente!”  ti risponde, con un tono di voce squillante ed energico. “Mi dica solo dove vuole andare e io sono qui, pronta ad accompagnarla.”
Ti schiarisci la voce e, puntando gli occhi sul pavimento, mormori: “Vorrei andare… Vorrei andare al cimitero, per andare a fare visita ad Haruya.”

Mentre sali sulla macchina di Haruka inizi a pensare a quel che successe otto anni fa.
Nagumo aveva iniziato ad accusare dei dolori, diceva che gli faceva male dappertutto; non ci faceste molto caso all’inizio e tu in particolar modo continuavi a sminuire la cosa, dando la colpa all’umidità e alla vecchiaia che avanzava, ripetendo sempre alla tua anima gemella che si lamentava per troppo poco e che avrebbe dovuto fare l’abitudine a dei piccoli acciacchi. Fu quando, a settembre,  sulla sua pelle cominciarono ad apparire delle strane macchie che decideste di andare in ospedale per un controllo. Vi fecero passare da numerose sale e sottoposero Haruya a cinque diversi tipi di modernissime analisi, finché si decisero finalmente a dirvi di che cosa si trattava: tumore alle ossa, in fase ormai avanzata. Gli diedero sei mesi, un anno al massimo di vita. Tu iniziasti a fare domande su domande, chiedesti di un possibile intervento, ma ti dissero che era una situazione inoperabile, allora domandasti della chemioterapia o della radio, ma ti dissero che avreste dovuto consultare uno specialista e che, comunque, probabilmente l’oncologo vi avrebbe semplicemente qualche farmaco alternativo per diminuire il dolore e per cercare di evitare un’ulteriore espansione del tumore; Haruya, dal canto suo, rimase zitto e immobile, gli occhi fissi davanti a sé. Non parlaste finché non foste arrivati a casa, quando lui ti baciò a lungo, chiedendoti disperatamente di non abbandonarlo. Come se ti fosse passato per la mente.
Era ottobre quando vi misero sotto gli occhi la diagnosi completa e precisa e i consigli di un grande esperto sul da farsi.
Era gennaio dell’anno dopo quando, nel reparto di rianimazione di un freddo ospedale, Haruya esalò il suo ultimo respiro. Tu non eri lì con lui, ma a casa, a rigirarti in un letto mezzo vuoto in attesa di una tragica chiamata che sapevi sarebbe arrivata troppo presto. Sessantadue anni entrambi, passati quasi tutti insieme, e tu non hai neppure avuto la forza di rimanere al suo fianco mentre lasciava la vita. Ancora ti odi per la vigliaccheria che dimostrasti in quell’occasione.
Ti chiamarono alle due e dieci di notte; era la voce di una giovane donna, probabilmente un’infermiera, che ti leggeva un messaggio di prassi che diceva che Haruya era morto e che ogni intervento, “per quanto tempestivo e accurato da parte dell’équipe medica”, era stato inutile. Senza che tu te ne accorgessi, le lacrime iniziarono a sgorgarti dagli occhi e ti lasciasti scappare un singhiozzo; l’infermiera ebbe un attimo di esitazione e poi chiuse la telefonata con uno svelto “Mi dispiace.”

Decidi di non ripensare a quello che venne dopo. Non hai intenzione ricordare le lacrime degli amici, gli abbracci che ti diedero nel vano tentativo di tirarti su di morale, non vuoi riportare alla mente il funerale di Haruya, così raccolto, semplice e triste. Non tenti di rammentare nulla perché ti rendi conto di avere gli occhi velati dal pianto e di certo non vuoi che Haruka sia costretta a consolare un settantenne nostalgico in lacrime.
Grazie al cielo, siete già arrivati a destinazione.

Mentre cammini lentamente verso la tomba di Haruya ti vengono in mente i primi anni in cui percorrevi quel tragitto. Anni davvero, davvero bui per te.

Ti recavi al cimitero ogni giorno, trascinandoti per la strada un ritmo stanco, come se non volessi arrivare a destinazione; non portavi mai dei fiori, perché lo trovavi dannatamente stupido: lui non c’era più, non era più con te e quattro stupide roselline non avrebbero di certo cambiato la situazione. Osservavi con freddezza ogni piccolo dettagli durante il tuo viaggio: gli steli d’erba, i ciottoli del vialetto del cimitero e tutte le lapidi. Pensavi a quelle ceneri che un tempo erano state persone e pensavi a tutti i loro cari, al loro impegno nel pulire e sistemare le tombe con mazzi di fiori coloratissimi e rigogliosi. Provavi per loro invidia e pietà allo stesso tempo: li compiangevi, perché erano degli sciocchi con il loro patetico di dare lustro e colore alla morte, e li odiavi, poiché avresti tanto voluto somigliare un po’ a loro.
“La vita è così effimera, così insulsa, così dolorosa” pensavi mentre continuavi a camminare. Avresti voluto strillare, parlare con le persone per le strada, con i giovani in particolare, per disilluderle, per fare capire loro quanto fossero sciocchi a credere alla serenità, all’amore e al significato di quella stupida luce emanata dai loro petti, proprio sopra ai loro cuori palpitanti. Tu, per quel merda di bagliore, ora avevi soltanto cicatrici profonde che, pensavi, non si sarebbero mai rimarginate. Ovviamente, non hai mai detto nulla a nessuno. Avevi ormai più di sessanta maledettissimi anni e ormai avevi capito come funziona il mondo: l’ignoranza è cieca e sapevi che nessuno ti avrebbe creduto, anzi, probabilmente ti avrebbero preso per un folle e forse avrebbero addirittura chiamato la polizia o i servizi sociali.
“C’è un vecchio pazzo che dice cose assurde sulla vita e sulle anime gemelle. Dice di non fidarsi del proprio cuore, dice che sono tutte frottole, farfuglia delle cose e io non capisco! È cinico e crudele e sembra infuriato, aiuto! Spaventerà i miei bambini, intervenite, vi prego!” Ti sembrava di sentirle, le donne di casa, indaffarate a strillare al telefono parole simili a queste, e vedevi già gli Uomini con la U maiuscola, impegnati a cercare di cacciarti con la voce grossa da capobranco.
Tu però non ti sentivi pazzo, ma consapevole. Credevi di avere capito ogni cosa della vita, della morte, del mondo e dell’amore; credevi di aver capito che tutto questo fa assolutamente schifo.
Ma grazie al cielo, Fuusuke, tu non eri affatto consapevole; eri semplicemente triste, scosso, turbato, ma della vita, anche a più di sessanta maledettissimi anni, avevi capito davvero poco, se non quasi niente.

Adesso la situazione è migliorata. Ora stai percorrendo quel sentiero tranquillamente e se non hai dei fiori con te è solo perché, preso dalla foga, te ne sei dimenticato. Non credi più che l’amore sia un’illusione né tantomeno credi che la vita sia solo una serie di orrori; sai che la gioia e il dolore si alternano nelle esistenze degli esseri umani in una danza rapida, spasmodica e dalle svolte imprevedibili. Sai che a volte è dura, ma si deve andare avanti.
Non sai però come e quando l’hai capito. Probabilmente è stato un processo graduale, ma te ne sei accorto in una volta sola, un giorno di marzo di cinque anni fa, quando per la prima volta andasti alla tomba di Nagumo portandoti dietro un mazzo di crisantemi gialli –gialli come i suoi occhi.
Buffo, eh? Quella mattina sembrava così comune, così uguale alle altre… E invece ha segnato una svolta nella tua vita.
Come il giorno in cui la Aliea Gakuen fu definitivamente sconfitta sul campo da calcio e smantellata, o come il giorno in cui il tuo tutor vi spiegò delle soulmates, o il giorno in cui vi trascinarono su un aereo diretto in Corea…
La vita è proprio strana.

Prima di chinarti sulla lapide hai un attimo di esitazione. Ti volti, per vedere se Haruka ti ha seguito, e la trovi a pochi metri da te, con un sorriso mesto sul viso. Ti si affianca e a bassa voce ti dice che deve andare a trovare una vecchia prozia sepolta lì vicino e che ti aspetterà all’uscita. Ti dice che ha bisogno di intimità, perché andare a fare visita alle persone che non ci sono più è sempre molto dura.
Sai benissimo che ti sta mentendo e che con quelle parole non sta giustificando se stessa, ma te, e apprezzi molto la sua sensibilità. È davvero una ragazza adorabile e speri con tutto te stesso che la sua metà sia una brava persona, degna di lei e della sua meravigliosa personalità. A logica dovrebbe andare così, ma, come si è già visto, l’Universo non segue una vera e propria logica.
Anime gemelle, le chiamano. A te quel termine non è mai piaciuto granché, perché alle anime, all’aldilà o agli dei non hai mai creduto profondamente; tu avresti preferito un nome diverso, più semplice, meno mistico. Ti sarebbe piaciuto un nome simile a Luce: è una parola corta, ma sa riassumere perfettamente tutto ciò che c’è da dire.
Luce, perché è quella la prima cosa che attira l’attenzione.
Luce, perché è l’unica manifestazione fisica di quel legame così potente.
Luce, perché è questo che la tua anima gemella ha portato nella tua vita.

Con un po’ di fatica, ti inginocchi vicino alla tomba di Haruya. Con la mano aperta accarezzi il suo nome e la data della sua morte, per poi soffermarti sulla fotografia che, posta sulla lapide, permette a chiunque lo venga a trovare di ricordare il suo volto. L’aveva scelta lui stesso, quella foto, fra le tante che a tempo perso gli avevi scattato; è nitida, ma non molto centrata, non essendo una fototessera, e sullo sfondo si scorge il cielo azzurro e le fronde di un albero. Quando gli chiedesti perché non volesse farsi una fotografia più istituzionale, davanti ad uno schermo bianco, lui ti rispose che lo trovava estremamente triste e che non voleva che lo si ricordasse già malato e depresso; tu annuisti e, ovviamente, rispettasti il suo comprensibile desiderio.
Adesso ringrazi il fatto che lui stesso abbia scelto una foto scattata prima dell’inizio della malattia; nell’immagine che ora hai davanti agli occhi, infatti, si vede un anziano Haruya che con una mezza aria di sfida sorride verso l’obbiettivo, con lo sguardo fiero e scintillante di vita e non un vecchio malato posto davanti ad un telone grigiastro. Trattieni un singhiozzo e sposti i tuoi grandi occhi azzurri sul tuo petto.
Per un momento, ti sembra di vedere una piccola luce in corrispondenza del tuo cuore e ti chiedi se il legame delle soulmates prosegua anche dopo la morte, se sia così forte da non essere spezzato neppure da qualcosa di così potente… Poi però ti convinci del fatto che sia stato solo un gioco di luci, uno scherzo della vista.
Ti alzi in piedi con un mezzo grugnito di dolore, sorridi all’uomo che, nella foto, ti guarda con gli occhi dorati che tanto hai amato e, piano piano, ti allontani verso l’uscita.



 
 
 
 
Angolo di Zeeta
Ciao a tutti i coraggiosi che sono arrivati a leggere fino a qui! Vi voglio già bene solo per questo.
Ebbene, dopo più di un anno sono tornata a pubblicare. Spero perdonerete la mia assenza, ma davvero quest’anno è stato molto pieno e ho scritto poco e niente. Quindi ecco qui il mio ritorno, una BanGaze dedicata a Roby (happley, qui su EFP) che mi ha fornito la pairing e il prompt delle soulmates. Ne avevo già sentito parlare, delle soulmates, ma non avevo mai letto (né scritto obv) nulla… Per me è stato molto interessante e spero che l’esperimento sia riuscito. (:
Ho anche fatto qualche esperimento con il mio stile di scrittura; il più importante è di sicuro l’uso della seconda persona nella narrazione. Un tempo detestavo questo metodo, ma sinceramente non avrei saputo usare una terza persona o una prima. A mia discolpa dico che mi è venuto naturale e, anche se forse per tutta la fic è un po’ pesante (sì, diciamocelo che fa un po’ schifo quando narro al passato remoto), mi dispiaceva togliere la spontaneità. Senza contare che con la terza veniva un groviglio di parole orrendo e ripetitivo, mentre con la prima Suzuno diventava un personaggio tipo insopportabile e non volevo
A mia discolpa parte due (?), dico che non volevo impostare la fanfiction in questo modo. Cioè, le scene che avevo in mente sono state queste dall’inizio, ma nella primissima stesura la fic era molto più cupa e triste e le parti con la narrazione al “tu” al presente erano brevi e piene di angst, intervallate da flashbacks in terza persona al passato remoto. Però poi i flashback erano diventati troppo distaccati dalle scene angst e le scene angst erano diventate troppo lunghe per essere spezzate (?) e non riuscivo a combinare diversamente-- *continua a parlare per sedici minuti*
Ad ogni modo spero che tutto questo vi sia piaciuto. ♥ Che abbiate gradito la mia one-shot o no, vi invito a recensire: ogni commento mi fa davvero, davvero piacere!
Un grazie speciale va inoltre alla mia Cognatinah Mary, che ha letto la fanfiction in anteprima, correggendomela e infondomi un’incredibile dose di sicurezza. Grazie Mary, se non ci fossi non so che farei. ;^;
Spero di pubblicare di nuovo molto presto!

Alle ♥ 
   
 
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