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Autore: King_Peter    17/08/2015    1 recensioni
{ Percabeth | The Vampire Diaries!AU }
Percy è stato trasformato nel 1821 e solo Nico di Angelo gli ha impedito di diventare uno squartatore.
Adesso, nella dimora dei Salvatore, Damon spezza il collo ad una ragazza, costringendola a scegliere se diventare un vampiro o lasciarsi morire.
Sarà solo Percy a farle vedere la luce in fondo al tunnel, solo Percy riuscirà a salvare Annabeth.
♦ ♦ ♦
- Perché ti amo. -
Tre secondi per dirlo. Tre ore per spiegarlo. Una vita intera per provarlo.
- E io non voglio che tu muoia. - le sussurrò, guardandola dritta negli occhi. Le fece poggiare il palmo della mano sul suo petto, nel punto dove una volta batteva il suo cuore. - Anche se è fermo, non significa che non possa provare dei sentimenti. Possiamo stare insieme, insieme per sempre. -
[Seconda classificata al "Cross di Olympus Guys" indetto da Kirame amvs e giudicato da grazianaarena.]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Hazel Levesque, Jason Grace, Percy Jackson, Piper McLean
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore EFP/Forum: King_Peter.
Fandoms: Percy Jackson/The Vampire Diaries.
Titolo: Pacemaker.
Rating: Giallo.
Pairing: Percy/Annabeth, Jason/Piper, Damon/Elena.
AU: The Vampire Diaries.
Prompt: Amore/Sangue.
Generi: Sentimentale, Drammatico
Avvertimenti: //
Note: AU/Crossover.
Tipo storia: One-shot.
Conteggio parole: 6289 (escluso titolo e citazione)
NdA: Dei, devo dire che questa OS è stata un parto, davvero.
Cioè, mi sono iscritto al bellissimo contest di Kirame con tante idee in testa, ma poi alla fine non so cosa sia successo, forse un calo di ispirazione, e ci ho messo molto per terminare questa storia. Non me la sentivo di abbandonare il contest, quindi sono andato avanti con ostinazione ed eccomi qui, a scrivere queste note d'autore.
La storia è ambientata dopo la fine della sesta stagione di TVD e l'inizio della settima. (precisamente negli ultimi minuti della 6x22, quando ci viene mostrato Damon sul campanile di Mystic Falls). Ovviamente, essendo un crossover, sono presenti i personaggi della saga di Riordan, come Jason e Piper, entrambi camerieri del Mystic Grills, oppure Nico, il vampiro che trova Percy e lo aiuta ad andare avanti dopo la transizione.
Non me la sono sentita di inserire la Percico, magari solo qualche accenno, ma mi sembrava forzato da parte della trama, così ho lasciato stare. E poi, allegria, ho ucciso Bianca anche qui, povera.
Il gesto di Damon è molto bastardo lo so, ma, da alcuni rumors che sono pervenuti dalla CW, la Plec ci dice che Damon torna ad essere il vampiro menefreghista e irritante della prima stagione, dopo quello che è successo ad Elena.
Quindi, ho trovato che spezzare il collo ad Annabeth sia un'azione da lui, visto come fece fuori Vicki, la sorella di Matt, trasformandola in una pazza omicida. E poi sappiamo tutti quando Damon sia masochista.
Ho inserito anche Stefan e ho accennato a Klaus, ma giusto un rigo. Il titolo, come un po' tutta la storia, è stato un parto, visto che non riuscivo a trovarne uno adatto.
Alla fine ho optato per « Pacemaker » perché ho pensato che, anche se il cuore dei vampiri è effettivamente morto, riescono lo stesso a provare amore e sentimenti. È proprio per questo motivo che ho deciso di intitolare questa storia come l'oggetto che serve per stimolare il cuore, come se, l'amore stesso, fosse un pacemaker, per un vampiro. In questo caso, Annabeth sarebbe il pacemaker di Percy.
Nel complesso, spero di aver interpretato bene i prompt e che la storia sia piacevole. Ho cercato di rendere al meglio i personaggi, specialmente Annabeth e Percy, rispettivamente come una fragile umana che si rende conto del mondo che la circonda e il vampiro centenario, innamorato della genuina innocenza di Annabeth.
Partecipante al "Cross di Olympus Guys!Contest" indetto da Kirame amvs sul forum di Efp.

 
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Whatever our souls are made of,
his and mine are the same.
(Emily Brönte)
 

- Damon, lo sai che non voglio immischiarmi in questo genere di cose. -
Percy era appoggiato sullo stipite della porta, le mani incrociate al petto in segno di protesta. Il nero della giacca di pelle smorzava il colore scuro dei suoi capelli, risaltando, invece, il verde intenso dei suoi occhi.
- Andiamo Percy! - esclamò lui, sfiorando maliziosamente la linea delle spalle di una ragazza compulsa. - Dovresti ringraziarmi, piuttosto. - continuò, spostando lo sguardo sulla giugulare pulsante della sua vittima e mordendola; i suoi lunghi canini affilati affondarono nella carne.
- Non fare lo schizzinoso, adesso. Mi sembri mio fratello. - lo rimbrottò lui, mentre un rivolo di sangue gli scorreva lungo un angolo della bocca. - C'è abbastanza cibo per entrambi, prendi ciò che vuoi. - lo invitò, gli occhi della ragazza da cui stava bevendo che lo fissavano in maniera vacua.
Stava per obbiettare, quando i morsi della fame gli fecero morire le parole in bocca: l'ultima volta che si era nutrito era stata la sera precedente, nel piccolo appartamento che aveva affittato, vuotando una sacca di sangue rubata all'ospedale.
Adesso gli bruciavano le vene, come se qualcuno si stesse divertendo a sfregarle con della carta vetrata; stava perdendo lentamente il controllo sui suoi canini, attratti dall'odore salato del sangue che si respirava nella stanza.
Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, come aveva imparato a fare centonovantaquattro anni prima. Era stato trasformato nel 1821, mentre si stava imbarcando su una nave mercantile come mozzo; il mare lo aveva sempre attratto come una calamita, lo sciabordio delle onde aveva cullato il suo sonno, quando era bambino.
Non aveva coronato il suo sogno, però, visto il modo in cui era morto: qualcuno lo aveva attaccato alle spalle, premendogli il polso insanguinato sulle labbra; non gli aveva nemmeno dato tempo di capire cosa stesse succedendo, prima che gli tagliasse la gola.
Percy conservava ancora quella cicatrice, più pallida del suo incarnato, l'unica imperfezione sulla sua pelle traslucida.
Fu Nico a trovarlo, abbandonato in un lago di sangue, sul pontile del porto di New York. Mesi dopo la trasformazione, quando Percy si era ormai ridotto a diventare la triste e patetica caricatura di Jack lo Squartatore, Nico aveva convinto una sua vecchia amica, la strega Hazel Lavesque, a fabbricare per lui un anello solare.
Fu solo così che, fra promesse e ricatti, Nico riuscì a fargli riaccendere di nuovo la sua umanità, l’ultima cosa che fece prima che un gruppo di cacciatori lo uccidesse: erano stati messi sulle loro tracce dalla scia di cadaveri che Percy aveva lasciato per le strade di New York; non riuscì mai a perdonarselo, dato che era stato proprio lui a condannarlo a morte.
Nel 1920, poi, visto quanto la Grande Mela gli ricordasse New York, si era spostato per gli Stati Uniti, arrivando a Mystic Falls dove, stanco di viaggiare, si fermò. Fu costretto però a fuggire quando, attratti dalla possibilità di spezzare la maledizione del sole e della luna, in Virginia arrivarono gli Originali, i vampiri più antichi mai creati.
Percy aveva sentito varie storie su di loro, strane, soprattutto su Klaus, la cui fama di distruttore lo precedeva.
Quindi si allontanò di poco da Mystic Falls, facendovi ritorno cinque anni più tardi per trovarla completamente allo sbaraglio: vampiri con poteri da strega dominavano la città; li chiamavano Eretici.
- Fatti da parte, Batman. -
Era con quella frase che, al Mystic Grills, Percy aveva conosciuto Damon Salvatore, ubriaco fradicio già di prima mattina. Quando si era girato per rispondergli a tono, il vampiro gli era svenuto fra le braccia, facendogli rovesciare il bicchiere ancora mezzo pieno di bloody mary.
- Di Stefan ne ho già uno, quindi non credo che me ne serve un altro, grazie. -
Lo aveva trascinato fino al suo appartamento, dove Percy aveva aspettato tutto il giorno che smaltisse la sbornia.
- Stefan? - gli aveva chiesto, aggrottando le sopracciglia. - Ma di che stai parlando? -
- Oh, grazie mille universo! - aveva sbraitato lui, alzando gli occhi al soffitto e lasciandosi poi andare sul divano. In seguito, fra un bicchiere e l'altro di bourbon, dato che non beveva altro, Percy era finito per diventare il confidente di Damon, distrutto dalla perdita della sua amata Elena.
La voce prepotente del vampiro lo riportò alla realtà, facendogli scuotere la testa. - Allora? -
La ragazza da cui si era nutrito era seduta su un divanetto in fintapelle, le braccia abbandonate lungo il corpo inerme; sottili rivoli di sangue le fuoriuscivano dai buchi scuri che aveva sul collo, colando sulla camicetta attillata.
- Hai un aspetto pessimo. - ridacchiò divertito Damon, inclinando la testa di lato come avrebbe potuto fare un gatto. Il pezzetto di carta che aveva in mano rivelava il nome di Piper. - Quale scegli? Lui o lei? - gli chiese, passandosi una mano fra i capelli scuri.
Stava giocando, Damon stava giocando con lui.
Percy rabbrividì: se c'era una cosa che aveva imparato, passando quei mesi con il maggiore dei Salvatore, era il fatto che il dolore per Elena lo aveva consumato dentro, portandolo ad essere menefreghista ed irritante; ed era diventato pericoloso, come una sorta di mina vagante.
Percy osservò prima il ragazzo, i suoi capelli biondi tagliati corti; aveva gli occhi più azzurri dello stesso cielo di giugno e si chiamava Jason, come diceva la targhetta sulla sua divisa, senza dubbio quella del Mystic Grill.
Quando si ritrovò a spostare gli occhi sull'altra ragazza compulsa, un lieve gemito di sorpresa lambì le sue labbra screpolate: ci era uscito insieme, qualche settimana prima, anche se, dopo averla baciata, non si erano più sentiti. L’avrebbe riconosciuta ovunque, però, quella chioma biona e quegli occhi grigi erano inconfondibili.
Annabeth.
Durante quei centonovantaquattro anni passati da vampiro, Percy erano stato a letto con decine di persone diverse, un intrico di lenzuola e baci, pelle e sangue; aveva baciato migliaia di labbra e conosciuto dozzine di corpi diversi, ma non aveva mai provato quella muta sensazione di benessere che il suo cuore sentiva quando stava con lei, con Annabeth.
L'aveva incontrata per la prima volta davanti alle scuole superiori di Mystic Falls, davanti al quale lei camminava con un libro stretto fra le braccia, i suoi occhi, tipici di un sognatore, erano persi nel vuoto.
Percy ricordava bene il formicolio sulle punte delle dita, quando i loro sguardi si erano incontrati; la sua così delicata giovinezza si scontrava con l'esperienza centenaria di Percy, creando un legame indissolubile.
Come diceva quella legge fisica? Più due corpi sono distanti, più essi si attraggono. Ed era proprio così che si sentiva Percy ogni qual volta che pensava a lei, attratto.
- Percy, riccioli d'oro o il superman biondo? - domandò ancora Damon, un'espressione famelica che si affacciava sulle sue labbra, rendendo il suo sorriso ancora più minaccioso. - Se non lo fai tu, lo faccio io. -
Sembrava persino essergli passata la fame, adesso.
Damon scrutò fra le ombre che si agitavano nei suoi occhi, muovendosi elegantemente nel salotto di casa Salvatore. Le fiamme nel caminetto crepitavano, cullando quel dolce istante di follia: si avvicinò ad Annabeth, sfiorandole le guance rosee con le dita pallide, usando la stessa delicatezza che avrebbe riservato alla rosa più bella del giardino.
- Lei? - chiese, rivolgendogli poi uno sguardo eloquente. - Davvero? -
- Davvero cosa? -
Damon scoppiò a ridere, una di quelle risate isteriche che fanno gelare il sangue nelle vene: continuava a studiare i contorni del viso di Annabeth, mentre lei non muoveva un muscolo.
C’era solo un barlume di paura, nei suoi occhi, fissi su quelli di Percy; sembrava quasi che stesse implorando pietà.
Percy strinse i pugni, un lieve brivido freddo che gli correva lungo la schiena; sembrava che delle dita affusolate stessero accarezzando il punto più erogeno del suo corpo.
Si sentiva debole, però, e non era nelle condizioni di combattere: la pelle delle sue braccia era sottile e crespa come carta velina, identica a quella di un cadavere; era il segno tangibile che aveva bisogno di sangue, ne aveva bisogno al più presto.
- Andiamo Percy, ti conosco! - esclamò divertito Damon, abbozzando un malinconico sorriso storto. - E tu dovresti conoscere me, ormai. - sussurrò, inginocchiandosi davanti ad Annabeth.
Percy inghiottì il groppo che gli era salito lungo la gola, ignorando il senso della fame che gli stava artigliando lo stomaco.
- Come ti chiami? - le domandò Damon, la sua voce che trasudava potere ipnotico.
- Annabeth. - rispose con voce tremante la ragazza. - Annabeth. - ripeté ancora una volta, come se temesse che quello non fosse il suo vero nome. Damon sorrise, il sorriso famelico di un leone ferito.
- Annabeth. - la chiamò lui, attirando il suo sguardo perso nel vuoto. - Saresti così gentile da prendere questo coltello e tagliarti i polsi? - le propose, porgendole un affilato tagliacarte.
Lei osservò confusa il volto sorridente del vampiro, abbassando poi lo sguardo sulla lama: senza battere ciglio, l’afferrò. - Che diavolo stai facendo? - gli domandò inorridito Percy, i suoi passi che suonavano felpati come quelli di un gatto, - Smettila! -
- Smetterla di fare cosa, eh? - ribatté subito lui, mentre il suo sorriso vacillava, mostrando i denti affilati; i suoi occhi si contornarono da un reticolo di vene scure. - Siamo vampiri, Percy. Noi giochiamo con il cibo, prima di mangiarlo. - sostenne famelico.
- Se le farai tagliare i polsi, morirà. - ribatté prontamente lui, fermando la mano di Annabeth, la quale stava per far scivolare il coltello sulla sua pelle. Gli rivolse uno sguardo sorpreso, boccheggiando leggermente in cerca d vincere la forza da vampiro di Percy.
- Hai ragione. - gli sussurrò di rimando Damon, come se avesse considerato quell'evenienza solo allora. Si leccò le labbra, ancora bagnate del sangue di Piper; i suoi occhi scintillavano selvaggi come quelli di un leone.
Damon fu molto veloce: prima che Percy potesse reagire, lui gli aveva già spezzato le ossa del polso, sferrandogli poi un calcio che gli incrinò le costole. Percy si abbandonò a terra, accartocciato come un foglio di carta.
Vomitò qualche insulto, mentre il dolore gli schiariva la mente. Fu sicuro che Damon stesse aspettando solo che lui riaprisse gli occhi per mostrargli il polso insanguinato, prima di premerlo contro le labbra di Annabeth.
Un urlo gli morì in gola. Lei pestò i piedi a terra, cercando di divincolarsi inutilmente dalla sua stretta, poi più il nulla: Annabeth cadde a terra, una marionetta di carne ed ossa a cui erano stati tagliati i fili; Damon le aveva spezzato il collo.
Ora la sua chioma bionda era riversa a terra. - L'amore, che sentimento sopravvalutato. - gli disse lui, mentre la rabbia gli gonfiava egoisticamente il petto. - La scintilla che da inizio a tutti gli incendi. - concluse, prima che rovesciasse tutte le bottiglie di alcolici sul tavolino e lanciasse alcune sacche di sangue sul muro alle spalle di Percy, con l'estro di un pittore pazzo.
Poi, con la sua velocità da vampiro, sparì da casa Salvatore.
Percy si permise di mugugnare di dolore, riflettendo su quanto Damon fosse masochista: era convinto che l’odio fosse l’unico sentimento che meritasse; chissà come aveva fatto Elena a sopportarlo.
Strinse i denti, osservando il proprio riflesso nel fondo del vassoio degli alcolici sbattuto a terra; occhi scuri ed infossati, pelle dall’aria malaticcia.
Anche se da quando era diventando un vampiro non aveva più bisogno di respirare, il suo petto cominciò ad alzarsi ed abbassarsi velocemente, come se stesse avendo un attacco d'asma. Aveva la bocca secca, impastata dalla sua stessa saliva.
Si stava essiccando.
Compiere quei gesti tipicamente umani gli facevano ricordare che, tanto tempo prima, era stato fragile e debole anche lui; quasi poteva sentire il battito del suo cuore, morto centonovantaquattro anni prima, quando gli avevano tagliato la gola.
Guardò di nuovo Annabeth, chiedendosi se avesse una famiglia da cui tornare: dopo essere stato trasformato, Percy aveva dovuto abbandonare sua madre, spezzandole il cuore.
Immerso nei suoi pensieri, non si era nemmeno accorto che Jason fosse ancora compulso, seduto a gambe aperte sul divanetto in finta pelle; Piper si stava riprendendo alla sua sinistra.
- Avvicinati. - ordinò, sfruttando il suo potere.
Odiava farlo, odiava usare la compulsione sugli umani, ma quella era decisamente una questione di vita o di morte.
Jason si alzò, il grembiule scuro del Mystic Grill che gli fasciava la vita. Si inginocchiò accanto a lui, attendendo solo di compiacerlo.
Percy sentì scendere i canini, ferendosi il labbro inferiore della bocca; la giugulare pulsante di Jason scatenò in lui tutti i suoi desideri più oscuri, rendendogli impossibile controllarsi.
- Mi dispiace. - confessò dispiaciuto, prima che affondasse i denti nel suo collo, perforando direttamente la vena. Il sapore salato del sangue gli esplose in bocca, costringendolo a bere sempre più avidamente.
Poco a poco, sentiva le ossa rotte rimettersi al loro posto, il suo corpo rinvigorirsi, tornando alla tonicità di centonovantaquattro anni prima, quando aveva appena diciassette anni.
Avrebbe finito con l'ucciderlo, se non avesse sentito un rumore, una sorta di gemito soffocato, il quale riuscì a staccarlo da collo di Jason.
Inarcò la schiena all'indietro in un moto di pura vita, aprendo gli occhi verdi e dilatati sul soffitto barocco di casa Salvatore; tutti i suoi muscoli erano pronti a scattare.
Nella penombra della sera, il salotto in cui si trovava appariva ancora lussuoso di quanto già non fosse.
- Maledizione. - si rimproverò, mordendosi velocemente il polso e premendolo contro le labbra di Jason, sperando che il suo sangue bastasse a strapparlo alle braccia della morte. Lui sputacchiò un poco, ma almeno adesso il petto si alzava ed abbassava normalmente.
Percy sospirò di sollievo, osservando la stanza che lo circondava con cupa malinconia; un delirio di follia e di sangue. Poi posò delicatamente il capo di Jason a terra, alzandosi in piedi per controllare che anche Piper stesse bene: le premette due dita sulla gola, ascoltando il battito regolare del suo cuore.
Afferrò infine il telefono dalla tasca, sperando che non si fosse rotto dopo lo scontro con Damon. Fece scorrere la lista con un tocco del dito.
- Pronto, Stefan? Ho bisogno del tuo aiuto. -
 
 
- Che è successo? -
Era ormai notte fonda, quando Stefan arrivò a casa Salvatore; le fiamme del camino erano già state soffocate dalla cenere. L'orologio a pendolo nell'ingresso segnava le tre precise, i suoi rintocchi che scandivano minuti e secondi, dettando regole in quella silenziosa villetta centenaria.
I suoi occhi verdi vagavano irrequieti. - Damon. - fu l'unica cosa che riuscì a dire Percy.
Anche se deluso ed amareggiato, Stefan rimase calmo come sempre, muovendosi nella stanza come un gatto. Il muro di fronte a lui era un tripudio di pittura e di sangue.
- Loro stanno bene? - domandò, indicando Jason e Piper con un cenno del mento. Percy annuì in maniera distratta, notando come le  dita dei due ragazzi si fossero intrecciate durante la notte, inconsapevolmente spinti uno verso l'altro.
Ah, l'amore.
- E lei? - chiese, riferendosi ad Annabeth, il volto morbido e gentile come quello di una statua; il sangue di Damon le si era seccato intorno alle labbra, mentre i gomiti si erano colorato di un viola livido per la botta che avevano preso.
Era a terra come carta straccia. - Sta bene, per ora. - si sforzò di dire rispondere Percy, cercando inutilmente di mascherare la tristezza che provava.
- Lo so, fa male. - lo rincuorò Stefan, come se avesse già capito tutto. Gli posò una mano sulla spalla. - È in transizione, non è così? - gli domandò, i suoi torbidi occhi verdi puntati su Annabeth.
Per un attimo rimasero in silenzio, i volti lunghi e tetri, come se stessero partecipando ad un funerale. Il rumore metallico del pendolo cullava i pensieri di Percy, mentre lui cercava di sbrogliare la matassa dei ricordi che aveva collezionato durante la sua lunga vita.
« Le persone si ammalano, si fanno male. E muoiono. » gli aveva detto una volta Nico, quando gli aveva raccontato di sua sorella Bianca. A quanto gli aveva detto, era morta a causa di un epidemia di tifo, scoppiata tempo addietro nella loro città natale, Venezia. « È l'unica cosa certa, nella vita di un uomo. »
Aveva visto i suoi occhi farsi più scuri, come se stessero attraendo le ombre della notte: in quel momento, Percy aveva capito che non avesse mai superato quella perdita.
« Non ti auguro mai un dolore del genere, Percy. » gli aveva detto, tirando mestamente su col naso. « Perdere qualcuno che ami è la cosa più brutta che esista al mondo. »
Aveva maledettamente ragione.
Anche se Annabeth aveva ancora una possibilità, Damon le aveva impedito il realizzarsi di tante cose, spezzandole il collo: vivere una vita normale, per esempio, magari avere dei figli.
Chi gli assicurava, adesso, che Annabeth fosse abbastanza forte per sopportare tutto ciò che la natura di vampiro chiedeva?
Si morse il labbro, scorgendo solo adesso il disegno perverso di Damon dietro le sue azioni. - Sarà meglio rintracciarlo, prima che faccia altri casini. - propose Stefan, riferendosi a suo fratello. - Forse posso chiedere a Bonnie di fare un incantesimo ... -
- E se non volesse diventare un vampiro? - gli chiese Percy, afferrandolo per un braccio, la disperazione che avvelenava la sua voce.
Stefan boccheggiò, in cerca della risposta migliore da dargli; aveva abbozzato un sorriso, doloroso come ciò che stava per dirgli. - Mi innamorai di una ragazza, tanto tempo fa, la ragazza più bella che avessi  mai visto. Ci amavano tanto ed io avevo intenzione di passare il resto della mia vita con lei. - raccontò, i ricordi di un passato lontano che danzavano davanti ai suoi occhi. - Katherine mi soggiogava affinché bevessi il suo sangue. Quando fu scoperta la sua natura di vampiro, mio padre mi sparò proprio qui, in pieno petto. - disse, la voce quasi ridotta ad un sussurro.
Si passò una mano fra i capelli. - Se non avessi avuto il suo sangue in circolo, non sarei diventato ciò che sono. - concluse, abbassando lo sguardo sulle punte sporche delle sue scarpe.
- E con questo? - domandò Percy, stanco e logoro per le voci che gridavano nella sua testa. - Quale sarebbe la morale della favola? -
Stefan sorrise, un sorriso amaro. - La scelta deve essere sua. - rispose, mettendo le mani in tasca. - Non puoi imporgliela, non puoi scegliere tu al posto suo. Fallo e ti odierà per sempre. -
- Ma se non volesse? - chiese ancora Percy, mentre Annabeth emetteva un lieve gemito di protesta. - Se ci fosse la possibilità di perderla per sempre? -
Stefan, piuttosto che rispondergli, usò la sua agilità da vampiro per sparire, immergendosi fra le tenebre di Mystic Falls. Il dondolio dell'orologio a pendolo nell'ingresso faceva sentire Percy ancora più solo, in quell'immensa casa.
Si sedette accanto ad Annabeth, portandosi le gambe al petto come avrebbe fatto un bambino spaventato dal buio; i dubbi continuavano a pungerlo come spilli.
5:46 a.m.
Proprio mentre Percy stava per chiudere un attimo gli occhi, Annabeth si svegliò, scattando a mezzo busto per inspirare a pieni polmoni: per tutta la notte, il vampiro era rimasto sveglio, vegliando su di lei, accompagnando lo scorrere del tempo accarezzandole i morbidi capelli biondi.
Annabeth si stava guardando intorno, lo smarrimento che si agitava nei suoi occhi grigi. - Dove ...  - cominciò con voce tremante, prima che notasse gli schizzi rossastri sulle pareti.
Schegge di vetro erano riverse sul tappeto e il forte odore del bourbon riempiva l’aria. - Dove mi trovo? - domandò, indietreggiando, la linea delle labbra piegata a formare l'espressione spaventata di un animale braccato.
- Ehi, va tutto bene. - provò a dirle Percy, alzando le mani per farle capire che non aveva alcuna intenzione di farle del male, - Ti ricordi di me, non è vero? -
Lei non disse niente, limitandosi ad osservare le sue mosse: se non fosse stato che un semplice pedone, il quale si muoveva su una grande scacchiera per raggiungere la regina, Percy sarebbe già stato mangiato.
- Sono Percy, ricordi? - ripeté, usando il tono di voce più calmo possibile per non spaventarla. - Siamo usciti insieme, qualche settimana fa. - continuò, leggermente in imbarazzo per la situazione che si era venuta a creare. - Davvero non ti ricordi nulla? -
- Sei un maniaco sessuale? - gli chiese all'improvviso lei, a metà fra una domanda e un'accusa. Per un attimo guardò Percy con aria spaventata, mentre entrambi tornavano al cielo stellato del loro primo appuntamento.
Un barlume coraggio e determinazione scintillò nel suo sguardo. - Cosa? No, certo che no. - rise Percy, la prima vera risata spensierata che smorzava la cupa atmosfera di quella notte. - Cosa te lo ha fatto pensare? - chiese, con lei che poco dopo accennava a Piper e Jason con il mento.
- Sono miei amici. - ribatté Annabeth, come se avesse tutta l'intenzione di saltargli addosso e atterrarlo con una mossa di judo. Percy scosse la testa, la sensazione che si stessero studiando a vicenda da dietro uno schermo di vetro che prendeva lentamente piede nella sua testa.
- Stanno bene. - la rassicurò lui, mettendosi una mano sul petto, la stessa cosa che fece Nico per cercare di tranquillizzarlo, quel 21 Giugno del 1821. - Posso giurarti che non sono né un maniaco sessuale né uno stalker, se vuoi. - propose, sollevato dal lieve sorriso sulle labbra di Annabeth.
La guardò negli occhi. - Se me ne dai la possibilità, posso spiegarti tutto. -
Annabeth sembrò pensarci su, indecisa se fidarsi o meno del suo istinto.  Poi annuì, ignorando il tappeto di vetri rotti e il sangue che le continuavano a danzarle davanti agli occhi.
- Vuoi bere qualcosa? Magari del Martini, whisky o ... - cominciò a dire Percy, venendo poi fulminato dall'espressione sul volto di Annabeth. - Bene, forse è meglio rimanere sobri, dopotutto. -
- Sono astemia. - gli sussurrò lei di rimando.
- Già, questo dettaglio mi era sfuggito. - ci scherzò su Percy, mentre dentro di sé si combatteva una battaglia silenziosa, fatta di dubbi e desideri, realtà ed aspettative.
Anche se Annabeth lo aveva guardato spaventata, appena si era svegliata, Percy doveva ammettere che era la ragazza più bella che avesse mai incontrato: sembrava ... sembrava una dea.
- Senti Annabeth, credi nel sovrannaturale? - le domandò, sedendosi su una delle poltrone di casa Salvatore. Lei storse il naso, riparandosi il volto con le mani quando la luce del primo mattino inondò la stanza, segnando l'inizio di un nuovo giorno.
- Fallo smettere. - gli rispose, tappandosi le orecchie mentre l'orologio a pendolo segnava malinconicamente le sei. - Ti prego. - lo implorò, piegandosi in due dal dolore.
Percy conosceva bene la fase della transizione, quella dove il trillo di un telefono o persino la luce artificiale del lampione sotto casa ferivano udito e vista.
Si precipitò verso di lei, le loro mani che si sfioravano delicatamente, quasi avessero paura a toccarsi. Le fece scudo dalla luce dell’alba, aiutandola ad ignorare i rintocchi dell’orologio: erano così maledettamente vicini che Percy poteva sentire il suo respiro sulla pelle; le sue labbra carnose attraevano i suoi occhi, quel tipo di labbra che devi baciare almeno una volta nella vita, anche se il prezzo da pagare fosse lo stesso Inferno.
- Grazie. - gli sussurrò Annabeth non appena l'orologio si zittì. I loro volti erano a pochi centimetri l'uno dall'altro, il suo respiro affannoso, agitato, prima che lo allontanasse. - E, per rispondere alla tua domanda, è ovvio che non ci credo. -
- E se ti dicessi che ti stai sbagliando? -
Lei gli rivolse uno sguardo eloquente, combattuta se fuggire per mettersi in salvo o rimanere lì, costretta ad ascoltarlo parlare di favolette utili per spaventare i bambini.
Eppure Percy sapeva che non erano solo fantasie, purtroppo; lui ne era la prova vivente, o non vivente, così come la si voleva definire.
Dopo un attimo di silenzio, Annabeth scosse la chioma bionda.  - Impossibile. - ribatté. - Insomma, rigor di logica, il sovrannaturale non esiste. - sostenne, socchiudendo gli occhi per effetto della luce. Percy si alzò per chiudere le tende. - Hai mai sofferto di disturbi del genere? - le domandò.
- E questo cosa centrerebbe con il sovrannaturale? - chiese a sua volta, sulla difensiva, gettando un occhio su Piper e Jason. Si portò una mano sulle labbra, fingendo di essere sorpresa. - Forse c'entra un fantasma, non credi anche tu? -
Percy abbassò lo sguardo, leggermente amareggiato dall'ostinazione con cui Annabeth cercava di resistergli; eppure la capiva, capiva quanta forza ci mettesse nel sostenere le sue convinzioni.
- Sto solo cercando di spiegarti come stanno davvero le cose. -
- Beh, dovrai trovare un'argomentazione più valida, se non vuoi che chiami la polizia! - replicò lei, spaventata, messa in agitazione dalla cupa atmosfera di casa Salvatore. - Dopotutto, anche se non sei un maniaco sessuale, potresti essere un assassino. Ti diverti a spaventare le tue vittime con queste storielle, prima di ucciderle.  -
Lui provò ad avvicinarsi, mentre una vera e propria tempesta si agitava nei suoi occhi. Annabeth balzò in piedi, fulminandolo con lo sguardo.
Percy non voleva farle male, non avrebbe voluto in nessun modo, soprattutto perché era sicuro di provare qualcosa per lei: la verità era la cosa più dolorosa che esistesse al mondo; lo aveva imparato a proprie spese.
- Annabeth, tu sei morta. - le confessò, parlando a macchinetta per evitare di fermarsi. - Ti hanno spezzato il collo. Adesso sei in transizione per diventare un vampiro. -
Il silenzio che ne seguì fu la cosa più devastante che Percy avesse mai udito.
Annabeth lo stava guardando come se avesse un pazzo, davanti, gli occhi sgranati e colmi di paura, i piedi che indietreggiavano e cercavano la strada verso la porta.
Percy tirò su col naso, chiedendosi se l'avesse persa per sempre. - Ti ho già detto che puoi fidarti di me. - cercò di dirle, porgendole le mani come avrebbe fatto con una persona che stava annegando.
- Fidarmi? - strepitò Annabeth. - Vieni a dirmi che sono morta, che sto per diventare un vampiro. - lo accusò lei, una collana di perle di terracotta che le scintillava al collo.
I ricci biondi seguirono il movimento ampio e veloce delle sue spalle. - Io non so niente di te. Niente. -
- Ti sbagli. - le disse subito Percy, avvicinandosi a lei a piccoli passi. - Tu sai già tutto di me. -
- Ci siamo visti solo due volte. - replicò lei fredda, il tono di qualcuno che non ammetteva discussioni. Si passò una mano fra i capelli biondi, facendoli ricadere morbidamente davanti agli occhi tempestosi, - Non so niente di te. - ripeté, autoritaria.
- Ti ho baciata. -
Calò il silenzio.
Si guardarono come avrebbero fatto preda e predatore, entrambi consapevoli di ciò che la legge di madre natura imponeva, eppure immobili, come se osassero sfidarla.
Gli occhi di Annabeth erano grandi e confusi, scuri come quelli di un cerbiatto. - Mi hai baciata. - ripeté lei ancora una volta, quasi sussurrando; si poteva quasi vedere la sua mente che cercava di prevalere sui suoi sentimenti. - Perché lo hai fatto? - gli chiese.
Percy rimase spiazzato da quella domanda: si sentiva avvampare, mentre il suo sguardo vagava imbarazzato per la stanza, tentando di agganciarsi a qualsiasi cosa che non fosse Annabeth.
Nella testa gli vorticavano migliaia di risposte che avrebbe potuto darle, ma sapeva che solo una era quella giusta, solo una avrebbe finalmente messo a tacere le voci che aveva nella testa.
Perché ti amo. -
Tre secondi per dirlo. Tre ore per spiegarlo. Una vita intera per provarlo.
Annabeth era ancora in piedi, sulla porta di casa Salvatore, la mano appoggiata sulla maniglia: era rimasta sbigottita, almeno quanto Percy, da quelle fatidiche tre parole che il vampiro aveva fatto così fatica a pronunciare; un'ondata di confusione che sconvolgeva la mappa clandestina dei suoi sentimenti.
Lui sfruttò la sua velocità da vampiro e, prima che potesse dirgli qualcosa, la strinse in un abbraccio e la baciò ancora, le loro labbra che si sfiorarono: sapeva di limone e di cannella, la pelle vellutata delle sue braccia nude che sfiorava quella di Percy, come se ormai si conoscessero da centinaia di anni.
Rimasero lì immobili, incapaci di fermarsi e tornare a guardarsi negli occhi. In quei minuti di pura estasi, un vecchio mito greco continuava ad essere sussurrato nella testa di Percy: esso sosteneva che, nell’antichità, tutti gli esseri esistenti al mondo fossero una combinazione di uomini e donne; essendo però troppo potenti, Zeus li divise in due.
Da quel momento in poi, gli esseri umani si sentirono incompleti e trascorsero la loro vita alla ricerca dell'altra metà, la cosiddetta anima gemella.
Se quel mito era vero, Percy era più che sicuro di aver appena trovato la sua.
- Percy. - mugolò lei, gli occhi ancora chiusi mentre assaporava la dolcezza di quel bacio. - Dimmi che quello che mi hai detto non è vero, che era solo una storiella per fare colpo su di me. -
Avrebbe tanto voluto darle ragione, ma non poteva.
Scoprì i suoi canini, mentre le vene intorno agli occhi si facevano più scure e creavano intorno ad essi una ragnatela di sangue e di carne. L'urlo che ne sarebbe seguito le morì in gola, mentre si portava le mani alla bocca e sgranava gli occhi, cercando di realizzare ciò che Percy le aveva appena mostrato.
- Non posso, Annabeth. - le rispose, la voce carica di dolore e tristezza. - Fidati. Se potessi fare qualcosa per evitare che questo succeda anche a te, lo farei, ma non c'è altra soluzione. -
Lei sembrava incapace di spiccicare parola, come se avesse inghiottito della sabbia.
La voce di Stefan sussurrò alle sue orecchie, anche se Percy cercò inutilmente di scacciarlo. - Impossibile, i vampiri non esistono. - mormorò Annabeth, aprendo la porta di casa Salvatore e venendo investita da un'ondata di luce: si piegò in due dal dolore, tentando di socchiudere gli occhi, la testa che le girava come dopo un giro sulle montagne russe.
- Credimi Annabeth, peggiorerà. - le disse Percy, notando come lei si stesse portando le mani alle orecchie, tentando di ignorare i prepotenti scricchiolii del legno di casa Salvatore. - Se non ti nutri subito, i tuoi sensi ti sopraffaranno. -
Aveva gli occhi lucidi, come se fosse sul punto di piangere. - Nutrirmi, nutrirmi di cosa? - chiese, la voce disperata mentre cercava di immagazzinare il colpo che Percy le aveva sferrato, - Di sangue? -
Osservò il suo volto di vampiro come fosse il riflesso di uno specchio infranto.
Si inumidì le labbra, ancora sporche del sangue di Damon, il sapore salmastro di quelle di Percy che diventava quasi amaro.
Non puoi imporgliela, non puoi scegliere tu al posto suo. Fallo e ti odierà per sempre.
- Diventerò anch'io ... anch'io così? - domandò, non potendo fare altro che arrendersi all'evidenza della cruda realtà che Percy le aveva messo davanti. Le parole di Stefan continuavano a perforargli le orecchie, facendogli male come un paletto di legno.
- C'è un'altra possibilità. - affermò, la sua forza di volontà che teneva a bada gli istinti selvatici del suo cuore.
- Quale? -
Percy guardò il suo volto, spaventato come quello di un cerbiatto, delle sottili rughe di preoccupazione che le erano comparse sulla fronte.
I suoi occhi erano torbidi come una pozzanghera, mentre un piccolo faro di speranza le faceva ballare il labbro inferiore, come se avesse un tic. - Per superare la transizione devi nutrirti di sangue umano. - le spiegò, la voce roca che fluiva attraverso le sue labbra, amara come il veleno. - Solo così puoi diventare un vampiro. Se non lo fai ... muori. -
Annabeth abbassò lo sguardo mentre Percy le strinse le mani, il calore di un corpo umano che tornava a scaldare la sua pelle di vampiro, ormai fredda da troppo tempo.
La sua innocenza gli ricordava una delle sue vecchie fiamme, una strega vissuta nel 1876, quando Percy era ancora a New York; eppure la Annabeth che aveva davanti era ancora più spettacolare di quella ragazza.
- Ma io non voglio che tu muoia. - le sussurrò, guardandola dritta negli occhi. Le fece poggiare il palmo della mano sul suo petto, nel punto dove una volta batteva il suo cuore. - Anche se è fermo, non significa che non possa provare dei sentimenti. Possiamo stare insieme, insieme per sempre. -
Le sfiorò il viso delicato con le dita, le loro labbra di nuovo vicine eppure distanti, come se stessero resistendo all'attrazione che esercitavano le une sulle altre.
Il volto di Percy era una maschera di aspettative e di desideri, quello di Annabeth un miscuglio di sogni infranti e di paure. - Ti prego, non voglio perderti. -
Lei lo guardò, i suoi occhi grigi che specchiavano quelli verdi di Percy: era sul punto di dire qualcosa, ma si bloccò poco dopo, sfilando le sue mani da quelle di Percy.
- Non posso vivere così. - sostenne, scuotendo la testa. Da qualche parte alle sue spalle, Jason e Piper si stavano svegliando.
- Perché? - le chiese Percy, la voce incrinata dalla paura e dall'orrore di perderla. - Annabeth ci sono ancora tante cose da vedere, là fuori. E te lo dice uno che cammina su questa terra da centonovantaquattro anni! -
- Cen ... centonovantaquattro anni? -
Percy si morse il labbro, osservando i suoi grigi occhi confusi. Annuì, mentre lei tirava su col naso per ricacciare indietro le lacrime.
- Quindi non è vero che sei nato il 18 Agosto? - domandò.
- No, no, è vero. - si affrettò a rispondere Percy, leggermente imbarazzato. - Solo che era il 18 Agosto di centonovantaquattro anni fa. -
- Capisco. -
Le sue mani sembravano essersi fatte ancora più fredde, adesso, come se le avesse immerse nel ghiaccio: se avesse avuto ancora un cuore pulsante, Percy era sicuro che, in quel momento, avrebbe battuto più forte di un martello pneumatico.
- Avevo dei sogni, tanti sogni. Diventare un architetto, visitare il Partenone di Atene. - sostenne, inspirando ed espirando per mantenere stabile il suo respiro e non lasciarsi sopraffare. - E adesso? Adesso sono morta. -
Sospirò. - Cosa dovrei fare, eh? Bere sangue fino alla fine dei tempi? - si domandò, la sua voce ridotta ad un miscuglio acido di disperazione e paura. - Non posso, non voglio diventare un vampiro. -
Stava socchiudendo gli occhi per via della luce, il sangue che le pulsava violentemente alle tempie, segno che la transizione stava logorando il suo corpo: presto o tardi che fosse, avrebbe avuto una crisi di nervi, diventando il ritratto della pazzia.
E Percy parlava per esperienza.
- Ehi, ehi. - cercò di calmarla lui, cingendola fra le sue braccia mentre lei gli batteva il petto con i pugni chiusi. - Va tutto bene, continua pure, se questo ti fa sfogare. -
- Non voglio diventare un mostro! - protestò, le prime lacrime che cominciavano a rigarle le guance, arrivando fino alle labbra; sale e sangue  si confondevano nella sua bocca. - Non voglio nutrirmi di sangue umano. -
- Stai dicendo che io sono un mostro? - si finse offeso Percy, tentando di tirarle su il morale, l’unica cosa che gli fosse concesso fare. - Essere un vampiro non è così male, dopotutto. Non ci si ammala più, non si muore mai. -
Le alzò dolcemente il mento con due dita. - Si può condividere il proprio amore per sempre. -
Annabeth tirò su col naso, ricacciando indietro le lacrime. - È orribile, fino a pochi minuti fa non sapevo nemmeno che esistessero, i vampiri, e adesso sto per diventare una di loro. - sostenne, la voce incrinata. - Non sono abbastanza forte. -
Percy scosse la testa, mentre le parole di Nico gli ritornavano rapidamente alla memoria. - Un buon amico, una volta, mi ha detto che ognuno possiede una forza diversa dall’altro. È proprio questa forza a renderci tutti speciali ed irripetibili. - le raccontò, guardandola dritta negli occhi. - Sei una persona forte, Annabeth, e l'ho capito dalla prima volta in cui si siamo incontrati. -
Lei alzò lo sguardo, le perle della sua collana che scintillavano alla luce del sole. - Potresti scendere all'Inferno e tornare sana e salva qui sulla terra. Ne sono sicuro. -
- Discorso incoraggiante, davvero. - sussurrò lei, un rapido e lieve sorriso che attraversava le sue labbra e che faceva sorridere anche Percy.
- Era solo per farti capire che tutti siamo forti, a modo nostro. -
Annabeth gli rivolse un'occhiata confusa, osservando Piper e Jason, i lineamenti del loro viso distesi e riposati.
Poi tornò a guardare Percy. - Sarai con me? - chiese, una scintilla di speranza che luccicava nei suoi occhi.
Il cuore di Percy esplose di felicità, la paura di perdere Annabeth che scemava e andava via via scomparendo, lasciando il posto alla gioia. - Fino alla fine. -
- Allora andrà tutto bene. -
E si sporse verso di lui per baciarlo, il bacio più stupefacente che Percy avesse potuto immaginare, nei suoi lunghi centonovantaquattro anni di vita.



 
THE END.
 
 
  
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