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Autore: Ludos98    17/08/2015    4 recensioni
La Dimensione Magica si trova a un punto di rottura, e c'è soltanto un modo per ripristinare l'ordine e scacciare le forze del male. Eppure, a volte, un desiderio ci trascina in situazioni più grandi di noi. L'anticonformista Musa verrà catapultata in un mondo a lei estraneo, e, si renderà conto, che, tutto ciò in cui ha creduto, tutto ciò che ha sempre pensato, non è assolutamente vero.
Dal testo:
"-Voglio essere diversa, un po’ speciale. [...] Voglio che qualcuno mi ami per ciò che sono, e non per quello che rappresento. Voglio trovare un posto in cui sentirmi straordinaria, e soprattutto non voglio restare in uno dove sono obbligata ad essere ordinaria, per via delle circostanze."
Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Musa, Riven, Stella, Valtor, Winx
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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A Viki,
perché lei è la mia persona
e mi rende coraggiosa.
Kind of Special
Chapter 1: Pilot
Ci sono molte storie sulle fate
ed è probabile che voi non ci crediate,
perché questa è incredibilmente vera.
Roma 10/08/14
La maggior parte dei racconti inizia con due innamorati, a bordo di una motocicletta d’epoca, che sfrecciano verso l’ignoto. Ma questa non è una storia d’amore. O meglio, lo è in parte, però è anche la storia di una ragazza un po’ speciale.
Tuttavia, trascorse moltissimo tempo, prima che anche lei se ne rendesse conto. Poiché, per quanto essere ordinari sia semplice, essere fuori dall’ordinario è estremamente complesso.
Eppure, avevo la certezza che lei sarebbe stata all’altezza della situazione, perché era una persona forte, lo era sempre stata.
Comunque, come ogni storia che si rispetti, credo sia meglio cominciare dal principio.
Quel lontano, caldo e umido giorno di agosto le strade di Roma erano deserte. Fatta eccezione per due giovani, un ragazzo e una ragazza, che si stavano dirigendo in tutta fretta da qualche parte. Anche se la loro andatura sembrava in completa contrapposizione con la calma calata sul resto della città.
-Potresti andare un po’ più veloce? Lo sai quanto è importante per me! – sbraitò la ragazza nell’orecchio del conducente. Musa, questo era il suo nome. Aveva quasi diciotto anni, a quel tempo, e,  probabilmente era anche la persona più scettica e anticonformista che avessi mai incontrato. Non sopportava le ingiustizie, infatti giungeva sempre in aiuto dei più deboli, e fu anche etichettata ribelle per ciò. 
Tuttavia, questi aggettivi non sono sufficienti per descrivere Musa. Lei era una persona piena di vita, purtroppo segnata dalle esperienze del passato, che l’avevano costretta a celare la sua vera essenza. Sì, Musa era decisamente una di quelle persone che riescono a trasmettere moltissimo al prossimo, anche solo con un sorriso. Anche se un modo per esprimere sé stessa l’aveva trovato: il canto. Mediante esso, Musa riusciva a mostrare la sua visione delle cose, e non solo.
Il canto per lei significava tutto. Non era importante che fosse felice o triste, perché le note rappresentavano un rifugio, grazie al quale magicamente si sentiva meglio.
Un’altra particolarità di Musa erano i suoi capelli, di un blu cobalto assai raro. Nonostante lei avesse provato a tingerli, qualche ora dopo tornavano al colore naturale. Inizialmente, aveva cercato qualche soluzione, ma poi decise di accettare quella sua stranezza, e trasformarla in una qualità.
-Se accelero ulteriormente, la moto ci abbandona. – contestò lui con fare annoiato, come se non potesse evitarlo. Musa non tollerava quel genere di risposte, poiché era una persona tenace, e, quando voleva raggiungere un obiettivo, ci riusciva. – Preferisci andare a piedi al Teatro dell’Opera?
Il ragazzo la canzonò, mostrando un mezzo sorriso, che però fece alzare al cielo gli occhi di lei. Andy, il conducente, era davvero molto affascinante: capelli scuri, occhi neri, un fisico slanciato. Inoltre, condivideva con Musa la passione per la musica. Ma, a differenza di quest’ultima, per lui rappresentava soltanto un hobby. Invece lei aveva intenzione di diventare qualcuno, un giorno. E ci sarebbe riuscita, in un modo che probabilmente non si aspettava.
Per questo fremeva per arrivare in Piazza Beniamino Gigli: per la prima volta, dopo moltissimi anni, il Teatro dell’Opera stava reclutando cantanti emergenti, che non si dedicassero solo alla lirica. Musa aveva lavorato per quella audizione durante tutta l’estate, e non poteva lasciarsi scappare un’occasione simile, a causa di un guasto tecnico.
Essendo una persona fatalista, se non fosse arrivata in tempo per il provino, sapeva già quale sarebbe stato il suo futuro: avrebbe completato gli studi nel liceo linguistico, che ormai frequentava da quattro anni, e avrebbe continuato a cantare al Frutti Music Bar, locale dei genitori di Andy, per il resto dei suoi giorni.
Non riusciva a immaginare nulla di più noioso. Eppure, non poteva minimamente sapere che, di lì a poco, avrebbe vissuto l’avventura più epica della sua vita.
 

Alfea, lo stesso giorno
Nel lontano universo di Magix, dove la magia esisteva, quattro fate Enchantix si stavano allenando nello spazio compreso tra la foresta di Selvafosca e la scuola di Alfea, per fronteggiare le forze oscure.
Un tempo, il college rappresentava un luogo sicuro in cui le studentesse avrebbero ricevuto una formazione esemplare. Era un luogo in cui i sogni diventavano realtà, in cui nascevano bellissime storie d’amore e amicizie durature.
Purtroppo, per quanto dall’esterno quell’edificio rosa risultasse accogliente, all’interno il panico e la paura si stavano facendo strada nelle menti delle giovani alunne. La situazione sarebbe degenerata ulteriormente, se non fosse intervenuto qualcuno. Eppure, credo che l’aiuto che tutti si aspettavano, che bramavano intensamente, affinché il periodo di tristezza e malinconia finisse, non fosse proprio quello sperato. 
La preside Faragonda osservava di soppiatto l’allenamento delle sue allieve dalla finestra del suo ufficio, e si sentiva così impotente. Una sensazione del tutto nuova, per l’anziana donna. Lei era probabilmente una delle fate più potenti, ancora in vita, dell’intera Dimensione Magica. Aveva fatto parte della Compagnia della Luce, insieme ai rispettivi presidi delle altre scuole di Magix, Saladin e Griffin, sconfiggendo le Tre Streghe Antenate e fermando una minaccia che avrebbe portato caos e distruzione.
Adesso che il male stava tornando, Faragonda non sapeva come affrontarlo, e questo la spaventava a morte, poiché, la sua parte più razionale le ricordava continuamente che le quattro ragazze che si stavano allenando, non ce l’avrebbero mai fatta da sole. Infatti, il piano che aveva intenzione di mettere in atto, era rischioso, illogico, ma rappresentava la loro unica possibilità.
-Voleva vedermi, preside Faragonda? – domandò una voce esile alle spalle della signora. Apparteneva a Stella, principessa del pianeta di Solaria, e fata del Sole e della Luna. Anche se, in quel momento, risultava tutto tranne che solare. Lei cercava di celare il suo stato d’animo agli altri, continuando a vestirsi e raccogliere i lunghi capelli dorati nello stesso modo, ma lo sguardo era spento, e, nonostante fosse una fata molto forte per la sua età, sembrava che anche lei fosse caduta in balia del panico e della paura che si aggiravano per la scuola.
Faragonda si voltò, accostando rapidamente la tenda, come se fosse stata colta in flagrante, e andò a sedersi sulla poltrona rossa della sua scrivania.
-Certo. Prego, accomodati. – la esortò, indicando due sedie vuote. Stella le scrutò entrambe un istante, cercando di capire seduta su quale avrebbe ricevuto la ramanzina peggiore, e alla fine scelse quella a destra. Prima che Faragonda potesse dire qualsiasi cosa, lei fece un respiro profondo e la prese in contropiede.
-Senta, se mi ha chiamata per rimproverarmi, perché non mi sto allenando con le altre, mi dispiace. – la voce di Stella diventava acuta quando era nervosa, e anche quando mentiva. Come in questo caso. - Le prometto che domani farò un doppio allenamento.
In realtà lo ripeteva da mesi, ormai. Da quando le forze del male si erano ripresentate, e le avevano sottratto tutto ciò che le era più caro al mondo, lei si limitava a frequentare le lezioni mattutine. Ma le persone le concedevano delle attenuanti, perché stava passando un periodo difficile.
-Oh no, non voglio parlarti di questo. – Faragonda scosse divertita la testa, sapendo con certezza che la fata stesse mentendo. Eppure non avrebbe fatto niente a riguardo, perché, con il suo piano, sperava di risolvere anche questa situazione. Infatti, spesso la preside ricordava una nonnina che si preoccupa affinché i suoi nipoti mangino. E, considerando la capigliatura grigia e cotonata, le impressioni delle alunne non erano del tutto errate. – Voglio raccontarti una storia.
Stella sgranò gli occhi, e cominciò a sudare freddo. Il tono di Faragonda si era fatto serio, e questo poteva significare solo una cosa: responsabilità.
Di cui, ovviamente, non era pronta a farsi carico.
-Molto tempo fa, quando le Tre Streghe Antenate tentarono di conquistare la Dimensione Magica, su un pianeta successe qualcosa di insolito, qualcosa che influenza la storia della magia ancora oggi. – precisò Faragonda, indicando con un dito la scrivania. Stella aggrottò le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare. Lei conosceva quella storia, tutte le fate la conoscevano. Si studiava al primo anno. Perché la preside gliela stava ripetendo?
-Mi scusi, - disse in tono dubbioso la giovane fata, interrompendo il discorso della donna. – ma sappiamo tutti com’è andata. Le Tre Streghe Antenate cercarono di distruggere invano Domino, poiché furono fermate dalla Compagnia della Luce. Anche il mio pianeta, Solaria, fu attaccato, però riuscì a cavarsela. Lo stesso vale per il resto della Dimensione Magica, quindi: qual è il punto?
Una volta la voce di Stella non sarebbe stata così schietta e fredda, ma il corso degli eventi l’aveva portata a riconsiderare molti aspetti del suo carattere.
Faragonda sospirò, comprendendo i dubbi dell’allieva, e si alzò dalla poltrona rossa, iniziando a passeggiare per lo studio. Le sue mani, come al solito, si trovavano dietro la schiena.
-Il punto è, mia cara Stella, che stai per venire a conoscenza di una parte della storia, che non si studia nei libri di testo. – rispose seria l’anziana donna, fermandosi vicino allo specchio, che l’avrebbe aiutata a convincere la fata. Infatti, attraverso quell’oggetto, che gli umani utilizzavano solo per accentuare la loro vanità, Faragonda mostrò a Stella un ricordo del passato, il quale era stato celato fino a quel momento, per motivi di sicurezza. Eppure, l’universo magico si trovava a un punto di rottura, per cui era giunto il momento di scoprire tutte le carte. – Adesso, assisterai alla distruzione di Melody. 
Scene terribili si palesarono davanti agli occhi di Stella. Fenomeni naturali che si abbattevano sul pianeta, inarrestabili. Persone innocenti che cercavano invano di salvarsi. Il panico che si era creato, all’interno del palazzo reale, mentre i sovrani tentavano di trovare una soluzione, per salvare il loro popolo. Infine, il buio.
-Queste immagini sono false. – affermò prontamente la fata del Sole e della Luna, indicando lo specchio. – Tutti sanno che il pianeta di Melody fu risparmiato, poiché ritenuto inutile il potere che conteneva.
La preside incrociò le braccia al petto, osservando la ragazza dai capelli biondi, che continuava a fissare lo specchio, incredula. Sperava che intuisse da sola il senso di ciò che aveva appena visto, ma, vedendola sempre più accigliata, decise di fornirle un ulteriore suggerimento.
-Allora, puoi spiegarmi, come mai non arrivano alunne provenienti dal pianeta della musica? – attraverso quella domanda retorica, Faragonda era certa che Stella avrebbe capito. Infatti, le certezze della fata scomparvero, quando comprese il discorso della donna. Sgranò gli occhi, e, se prima la sua espressione era accigliata, in quel momento era assai sorpresa.
-Lei mi sta dicendo che…il pianeta di Melody è stato distrutto durante la Guerra Oscura? – chiese titubante la giovane, poiché la sua ipotesi le risultava ancora più assurda, detta ad alta voce. Faragonda sorrise, divertita dallo stupore della ragazza. Poi si allontanò dallo specchio, per tornare alla scrivania, sulla quale si appoggiò.
-No, nemmeno questo è esatto. – stavolta non aspettò i commenti di Stella, e proseguì con il racconto. Era arrivato il momento di rivelare la parte più importante, e Faragonda sapeva di potersi fidare. – Nello specchio, hai potuto scorgere le figure dei due sovrani di Melody discutere animatamente. Entrambi, quando la magia oscura colpì il pianeta, stavano cercando una soluzione per salvare il regno. Grazie all’aiuto di un consigliere, la Regina entrò in possesso di un incantesimo tanto antico quanto potente, che avrebbe garantito la sicurezza dell’intera popolazione. Chiaramente, la magia ha un prezzo, e la Regina lo pagò con la sua stessa vita.
Nonostante Stella stesse ancora cercando di elaborare le parole di Faragonda, adesso non sentiva più il bisogno di fare battute, o di controbattere ciò che la preside le aveva mostrato. Lei ci credeva. In qualche modo assurdo, sapeva che le rivelazioni dell’anziana donna avrebbero cambiato per sempre il destino della Dimensione Magica.
Tuttavia, continuava a domandarsi perché si confidasse proprio con lei. Bloom era il capo del gruppo, la più potente, colei che prendeva le decisioni difficili. Lei era semplicemente Stella, la fata fissata con lo shopping e la migliore amica che tutti avrebbero voluto avere, poiché contagiava la gente con la sua allegria. Ultimamente, non era stata in grado di fare nemmeno quello, per cui non afferrava lo scopo della convocazione da parte della preside.
-In cosa consisteva l’incantesimo? - chiese invece. Il suono della sua voce uscì forte e chiaro, perché la curiosità la stava uccidendo, e non avrebbe aspettato ulteriormente per conoscere l’intera verità.
Faragonda tornò finalmente a sedersi sulla poltrona rossa, e sospirò, come se dovesse farsi coraggio, e affrontare l’ultimo round di uno scontro corpo a corpo.
-La Regina stava cercando un incantesimo, che le permettesse di celare la magia del suo regno alle Streghe Antenate. – Stella storse la bocca, poiché era convinta che la preside stesse evitando la domanda. Invece, dovette ricredersi qualche istante dopo. –Tuttavia, quando lo trovò, scoprì che c’era una falla nel sistema, perché qualcuno o qualcosa avrebbe dovuto incanalare tutto quel potere.
Stella stava cominciando a unire le tessere del puzzle, e questo le permetteva di avere una visione più dettagliata della storia. Tecna sarebbe stata così fiera di lei.
-Eppure, nessuno era in grado di trasferirlo, giusto? Per questo la Regina perse la vita. – affermò risoluta la fata del Sole e della Luna. Un senso di soddisfazione, che non provava da molto tempo, la pervase quando Faragonda annuì, confermando le sue teorie.
-Esatto. Però l’incantesimo riuscì a portarlo a termine, prima di esalare l’ultimo respiro. – Stella strabuzzò gli occhi, comprendendo che il mistero si infittiva maggiormente. O forse no. – Ciò che ti sconvolgerà, mia cara, è scoprire chi ha incanalato tutto quel potere. Infatti, la Regina non scelse un candidato qualunque, bensì sua figlia.
La reazione di Stella fu inaspettata, persino per lei. Il disgusto e la tristezza che stava provando, erano talmente grandi, che non riuscì a spiccicare parola. Semplicemente, rimase lì, a bocca aperta.
Il suo cervello da ragazza bionda non le permetteva di capire come mai una madre potesse decidere di sacrificare sua figlia, per salvare un intero regno. La famiglia viene prima, così le avevano insegnato i suoi genitori. Quindi, qualsiasi altra situazione le sembrava impensabile.
-La…bambina è sopravvissuta? - questa volta la sua voce uscì come un sussurro, poiché il solo pensiero che una donna adulta e cosciente potesse mettere il destino di un popolo, nelle mani di una bambina, la spaventava a morte.
-Inaspettatamente, sì. – Stella trasse un sospiro di sollievo, rendendosi conto, in quel momento, di essere rimasta in apnea per qualche secondo. – Tuttavia, pensavamo che fosse andata perduta in un regno lontano. Invece, l’abbiamo localizzata: si chiama Musa, sta per compiere 18 anni, e si trova sulla Terra.
Finalmente, la giovane fata comprese il motivo di quel colloquio. Faragonda stava organizzando una missione di salvataggio, e voleva che lei ne facesse parte. All’improvviso, il peso della responsabilità, che aveva provato entrando nell’ufficio, tornò a farsi sentire e sopraffò Stella.
-Oh no. Non sono assolutamente la persona indicata per svolgere questo compito. – la ragazza si alzò di scatto, urtando la sedia e facendola cadere. Iniziò a tremare, e, nonostante volesse fuggire da quella situazione, non riusciva a muoversi. Sentiva le gambe pesanti, incollate al suolo. Inoltre, il cuore le batteva all’impazzata.
-Sì, lo sei. – ribatté convinta la preside. Lentamente, si avvicinò a Stella, e l’afferrò per le spalle, con lo scopo di calmarla. –Tu sei quella che ha affrontato le profondità della terra, pur di salvare le Pixie, e il tuo grande amore, Brandon. Hai ottenuto lo Charmix, comprendendo che l’amicizia è un tesoro prezioso. Ti sei battuta con valore, per riportare indietro Bloom e fermare le forze del male. Infine, ma non meno importante, avresti sacrificato la tua vita per quella di tuo padre, e questo ti ha fatto guadagnare la trasformazione Enchantix. Devi essere tu la prima a crederci, Stella.
Quelle parole la investirono come un treno e funsero come campanello d’allarme. Si era spinta troppo oltre, ed era giunto il momento di agire, prima di cadere nel baratro. Infatti, smise di tremare e il suo respiro tornò regolare.
Certo, Bloom poteva anche essere la fata più potente dell’intera Dimensione Magica, perché possedeva il potere della Fiamma del Drago. Ma lei era Stella, la fata del Sole e della Luna, Principessa di Solaria e non si sarebbe tirata indietro. Una principessa aiuta sempre chi ne ha bisogno, questo lo aveva imparato nel corso degli anni.
-Sì, ci credo.
Faragonda mollò la presa su di lei, e, negli istanti che si susseguirono, spiegò alla giovane fata cosa avrebbe dovuto fare, una volta arrivata sulla Terra. Non ci fu modo di contestare, o chiedere chiarimenti, poiché Stella si smaterializzò e iniziò il suo breve, ma intenso viaggio, dove avrebbe trovato ben altro, che un’innocente da salvare.
 
 
Fonterossa
Se nel college per fate di Alfea si percepiva un clima di calma apparente, pronto a esplodere da un momento all’altro, a Fonterossa si respirava un’aria del tutto diversa.
Ci si iscriveva qui per diventare dei guerrieri, che come obbligo morale hanno il compito di proteggere le creature magiche. Coloro che mostrano interesse e abilità per le armi, vengono comunemente chiamati Specialisti. Mentre, coloro che sono più predisposti a utilizzare la magia, li soprannominano Maghi.
La formazione di un guerriero inizia poco dopo la pubertà, e, in quel momento, gli studenti frequentano tutti i corsi, per poi specializzarsi negli anni successivi.
Generalmente, uno Specialista si riconosce subito. Loro sono spericolati, utilizzano spade laser, guidano moto volanti e galoppano draghi. Se un ragazzino dimostra di essere competente in questi campi, è sicuro che diventerà uno Specialista.
Invece, i Maghi sono più difficili da trovare, e, infatti, costituiscono una piccola percentuale della scuola. Per diventare un Mago si deve dimostrare di possedere enormi qualità psichiche, oltre che qualità magiche.
Probabilmente, questo è uno dei motivi per cui diminuiscono sempre di più.
Riven stava riflettendo sulla situazione del collegio, mentre osservava l’allenamento delle matricole dalla finestra della sua stanza, che condivideva con Brandon. Loro erano entrambi Specialisti, anche se, all’inizio della sua carriera, il professor Codatorta gli aveva confidato, che avrebbe avuto buone probabilità sia come Mago, sia come Specialista.
Al tempo giovane, Riven non riuscì a credere alle proprie orecchie, poiché raramente uno studente era portato per entrambe le specializzazioni. Infatti, scelse di ignorare i consigli dell’insegnante, e si iscrisse ai corsi per diventare Specialista insieme ai suoi amici.
Anche se, adesso che avrebbe dovuto farsi carico delle responsabilità che ne conseguivano, l’idea di specializzarsi in arti magiche non sembrava più così malvagia.
 
 
-No, non esiste. Io non lo faccio. – Le riflessioni di Riven furono interrotte, quando il professor Codatorta lo invitò a seguirlo nell’ufficio del preside Saladin. Ora si trovava in piedi, davanti alla sua scrivania, tentando di esprimere al meglio il disappunto che stava provando, in merito a quell’assurda proposta che gli avevano appena fatto. Infatti, il volto del ragazzo era accigliato, e puntava un dito a terra, per sottolineare la posizione che aveva deciso di prendere. – Io non proteggerò un’altra fata.
Il discorso che stavano facendo a Riven, era molto simile a quello che Faragonda aveva fatto a Stella, ma il ruolo che lui avrebbe dovuto ricoprire in tale missione, era completamente diverso. Poiché, mentre Stella sarebbe stata il suo mentore, Riven avrebbe avuto il compito di proteggerla. Sarebbe dovuto diventare il suo guerriero.
Raramente accadeva che a uno Specialista venisse richiesto di proteggere una fata, in maniera formale, quindi lui iniziò a pensare che dovesse trattarsi di un caso particolare.
-Non te lo chiederei, se non fosse strettamente necessario. – ribatté il preside, cercando di mantenere la calma. Anche perché era facile perdere la pazienza, con una testa calda come quella di Riven. Eppure, in quanto Mago, Saladin riusciva, in qualche modo, a non scomporsi di fronte a nulla. A volte, il giovane Specialista si domandava come fosse riuscito a rimanere in carica per così tanti anni, e, soprattutto, come avesse preso decisioni importanti senza un minimo di esitazione. Quella lo era, e, mentre manteneva lo sguardo, fisso negli occhi del vecchio, continuava a chiedersi perché mai avesse scelto proprio lui. – Comprendo i tuoi trascorsi, e capirò se vorrai rifiutare, ma sappi, Riven, che alcune paure vanno superate nella vita. Altrimenti, resterai ancorato al tuo scoglio, solo, come un’isola.
Le minacce velate di Saladin avevano smesso di intimorirlo molto tempo fa. Tutto ciò che provava nel guardare quell’ammasso di pelle secca, e piena di rughe, era ribrezzo.
C’era stato un periodo in cui Riven idolatrava la figura del preside, ritenendolo persino il Mago più potente dell’intera Dimensione Magica.
Ma era stato prima.
Prima dell’accaduto.
Riven era al primo anno di specializzazione, praticamente non riusciva ancora a sostenere un combattimento. Saladin sapeva che non era pronto, ma decise comunque di premiarlo per la sua costanza, e così gli affidò una fata, affinché la proteggesse. Lei non era come le altre, e Riven non impiegò molto tempo a capirlo. Soltanto che le cose non andarono per il verso giusto, e, a causa di un suo errore, la ragazza rischiò la vita.
Quando gli rimossero la custodia, lui si sentì male per mesi, a tal punto da non riuscire più a impugnare una spada. Grazie all’aiuto, e al sostegno di Codatorta, Riven riacquistò le sue capacità motorie e psichiche, e, da quel momento in poi, giurò a se stesso che non avrebbe mai più accolto una richiesta da parte di Saladin.
Il preside non aveva idea di che cosa significasse la parola paura. Non poteva permettersi di sminuire ciò che aveva vissuto, ciò che lo aveva segnato, probabilmente per sempre, utilizzando quella parola.
Saladin era invecchiato da solo, senza mai sposarsi e senza mai avere figli, per cui non poteva conoscere sentimenti come il dolore, la gioia o l’amore. Invece Riven sì, li aveva sperimentati sulla propria pelle, e non ci teneva a replicare.
Se questo significava restare ancorati al proprio scoglio, almeno la sua sanità mentale ne avrebbe giovato.
-Non mi interessa, perché non accetterò l’incarico. – rispose in maniera sfacciata il ragazzo, e mostrò il suo solito sorriso falso, che utilizzava quando non voleva far comprendere agli altri cosa stesse pensando. Iniziò ad allontanarsi, e, prima di lasciare la stanza, voltò il capo verso Saladin. – E non mi scuserò per questo.
Dopodiché uscì, sbattendo la porta talmente forte, che il vecchio, di solito impassibile agli eventi, sobbalzò.
 
 
Roma
Quando Andy e Musa giunsero in Piazza Beniamino Gigli, la ragazza scese dal motorino, ancora prima che si fermasse, e si incamminò, a passo svelto, verso il lungo viale, che la separava dal Teatro dell’Opera. Probabilmente, se non fosse stata in ritardo, si sarebbe soffermata sui dettagli, come le composizioni floreali, che costeggiavano il viale, o la fontana, che si trovava al centro della piazza.
Andy parcheggiò il veicolo, e si affrettò a seguire la ragazza, la quale ormai era arrivata davanti all’ingresso principale. Il portone in vetro colorato, ricoperto di pietre preziose, era assolutamente all’altezza della maestosità dell’edificio.
-Musa, aspettami. – la supplicò, sperando che, nonostante ciò che aveva fatto, lo volesse ancora lì, ad assistere al suo grande momento.
Invece, lei lo ignorò, ed entrò nella struttura. Poiché nella hall non c’era nessuno, che potesse darle delle informazioni riguardanti le audizioni, si diresse verso la sua meta: il teatro.
Scostò le pesanti tende, le quali fungevano da porta, e, una volta dentro, sentì il desiderio viscerale di voler appartenere a quel luogo incantato. Infatti, guardandosi intorno, Musa si prese un attimo per mettere a fuoco ogni dettaglio, per poterlo ricordare in futuro: il parquet ben curato, le poltrone rosse della platea, rivestite in velluto, i quattro piani delle balconate, illuminati da una moltitudine di luci, lo spazio riservato all’orchestra, ed infine, il palco.
La ragazza scacciò le emozioni negative, che aveva provato fino a quel momento, in parte a causa di Andy, e si lasciò travolgere dalla bellezza e la grandiosità del posto che aveva bramato per tutta l’estate. O forse, per tutta la vita.
Inoltre, un’altra cosa che la sorprese, fu il silenzio che regnava sovrano, ma che, al tempo stesso, raccontava moltissime storie. Lei adorava restare in silenzio, l’aiutava a riflettere. Infatti, era convinta che il suono del silenzio fosse uno dei più potenti al mondo. Purtroppo, i suoi amici non la pensavano allo stesso modo, per questo spesso si ritrovava a dover celare la sua vera essenza, per non essere catalogata come pazza.
Tuttavia, qualcuno lassù, forse il fato, o forse una divinità, aveva stabilito che non era ancora arrivato il suo turno. Musa era destinata a diventare ben altro nella vita, e, probabilmente, questo era l’ennesimo segnale per farglielo capire.
-Il teatro sta chiudendo, signorina. Le serve qualcosa? – domandò una voce femminile alle sue spalle. Musa si voltò di scatto, come se l’informazione non fosse giunta al cervello, e si ritrovò davanti la classica segretaria bionda, con la coda di cavallo, e il tailleur nero. Sembrava una Barbie.
-Veramente sì. Sono venuta qui per le audizioni, - si affrettò a prendere il modulo compilato dalla sua borsa, e lo porse alla giovane donna. – e so di essere in ritardo, ma spero che non sia un problema. Ci tengo davvero tantissimo, mi sono preparata durante tutta l’estate.
Musa stava farfugliando, se ne rendeva conto, però non poteva permettersi di farsi scappare la sua opportunità, adesso che c’era così vicina. Purtroppo, dovette prepararsi all’ennesimo colpo basso della vita.
-Mi dispiace tanto, Musa. – disse addolorata la segretaria, leggendo il suo nome dal modulo che stringeva tra le mani. Infatti, glielo porse. – Le audizioni sono terminate ore fa. Il teatro sta chiudendo.
Ripeté la frase e finalmente lei capì.
Era finita.
Non era riuscita ad arrivare in tempo, e la sua occasione era sfuggita come sabbia tra le dita.
La prima reazione di Musa fu quella di piangere, ma non avrebbe ceduto davanti a una sconosciuta. Lo avrebbe fatto ore dopo, in camera sua, da sola. Lei odiava mostrarsi debole, quindi si fece forza, ricacciò indietro le lacrime, e si avviò verso l’uscita, senza aggiungere altro.
Mentre stava lasciando la sala, udì la voce della donna che le consigliava di provarci l’anno successivo. Ma, in cuor suo, Musa sapeva che non ci sarebbe stato un anno successivo. Era questo il momento di dare una svolta alla sua vita, e lei se l’era lasciato scappare. O meglio, Andy aveva permesso che ciò accadesse.
All’improvviso, le passò completamente la voglia di piangere, e passò all’emozione successiva: la rabbia.
Quando uscì dall’edificio, lui era ancora lì, appoggiato al motorino con fare sornione, come se il mondo di Musa non fosse appena andato in pezzi. Ma era successo, a causa sua, e lei non sarebbe più riuscita a guardarlo nello stesso modo.
-Già di ritorno? Scommetto che hai lasciato i giudici a bocca aperta. – ipotizzò divertito. Aveva le braccia conserte, e, non sapeva spiegarsi il motivo, ma Musa percepì una punta di invidia dietro a quella battuta.
Lei percorse a ritroso l’intero viale, questa volta a testa bassa. Il sorriso ironico di Andy scomparve, quando Musa gli si parò di fronte e lo guardò con un tale odio, che avrebbe potuto cancellarlo dalla faccia della Terra. Di sicuro, lui non se lo sarebbe dimenticato tanto facilmente.
-Perché sei ancora qui? Hai già fatto abbastanza, mi pare. – il tono della ragazza era gelido, e non le si addiceva per niente. Lei era dolce e comprensiva, ma, in quel momento, l’avrebbe incenerito, se avesse potuto. Nessuno l’aveva mai delusa a tal punto, quindi disse a se stessa che è proprio vero che non si finisce mai di conoscere una persona.
-Musa, mi dispiace moltissimo. – la voce era supplichevole, ben diversa da quella usata dalla segretaria nel teatro. Probabilmente, lui ci teneva sul serio a ottenere il suo perdono, ma a lei poco importava. – Ti prego, dimmi che c’è qualcosa che posso fare. Qualsiasi cosa.
Tutto ciò che venne in mente a Musa, fu ridere. E rise di gusto, poiché non riusciva a capacitarsi di quanto fosse falsa la gente. Adesso, lentamente, i tasselli del puzzle stavano tornando al loro posto e tutto fu chiaro: Andy era sempre stato geloso del suo talento, e aspettava l’occasione perfetta per tagliarla fuori. Lui sapeva che l’audizione significava molto di più che un provino qualunque. Rappresentava il biglietto di sola andata verso una nuova, meravigliosa, e scintillante vita. Musa era stufa di sentirsi ordinaria, lei voleva essere straordinaria.
-Non c’è niente che tu possa fare, ormai. – disse, quando smise di ridere. Ora, il suo desiderio più grande era quello di allontanarsi da lui. Non sapeva quale sarebbe stata la prossima mossa, ma, di certo, non includeva Andy nel quadro generale. Infatti, si incamminò verso la fermata degli autobus. – E non seguirmi.
 
 
Probabilmente, qualsiasi adolescente, si sarebbe diretto a casa del suo migliore amico, per raccontare l’accaduto e piangere sul latte versato. Ma Musa no.
Lei, a differenza di altri, riteneva che il posto più sicuro al mondo fosse casa propria. Rappresentava la sua isola felice, un luogo in cui non era permesso il libero accesso alle cose brutte. Inoltre, viveva lì con suo nonno, l’unica persona che le voleva bene per ciò che era, da quando aveva memoria. Lui era il suo famigliare più prossimo, poiché Musa aveva perso entrambi i genitori in tenera età, per ragioni a lei sconosciute. Loro l’avevano abbandonata, in qualche modo, quindi era il nonno a rivestire il ruolo di colonna portante nella sua vita. Quella casa era il loro posto, infatti, non appena varcò la soglia, le sensazioni negative che le ribollivano dentro, iniziarono a svanire.
-Sono a casa! – annunciò, dopo essersi chiusa la porta alle spalle. Nonostante l’audizione non fosse andata come previsto, Musa decise di concentrarsi su quanto ancora di buono era presente nella sua vita, e, poiché aveva suo nonno e stava bene, concluse che le bastava. Trasse un respiro profondo, e tentò di ritrovare la positività che la contraddistingueva. Poi lasciò, come di consueto, le chiavi e la borsa all’ingresso e si incamminò verso la stanza adiacente. Svoltò a destra, e si ritrovò nella sala da pranzo, che era costituita dal salone e l’angolo cottura.
Le tapparelle di legno, della finestra del salone, erano abbassate, per evitare che il sole filtrasse attraverso di esse. Tuttavia, Musa comprese che si stava avvicinando il tramonto. Inoltre, la televisione era spenta, per cui dedusse che suo nonno si doveva trovare già ai fornelli, intento a preparare la cena. Infatti, l’olfatto non la tradì, e, quando si voltò, fu inebriata dal profumo del suo piatto preferito: fettuccine ai funghi porcini.
Le aveva assaggiate per la prima volta da bambina, quando il nonno la portò a raccogliere le castagne in un bosco nei pressi del lago di Nemi. Sulla via del ritorno, l’anziano signore volle fermarsi per pranzo, ed è allora che accadde la magia. Eppure, nonostante lui sapesse quanto Musa amasse quel piatto, glielo cucinava soltanto in occasioni speciali.
-Oh sì, sapevo che saresti arrivata. – una delle tante risposte ambigue del vecchio. Il nonno era una figura particolare, poiché,  sebbene avesse i capelli grigi e il volto ricoperto di rughe, con la sua vitalità sembrava un uomo senza età. O almeno, Musa aveva perso il conto degli anni molto tempo prima. La cosa più curiosa era che lui conosceva sempre il suo stato d’animo, quindi non bisognava fornirgli molte spiegazioni. Infatti, quando la ragazza dai lunghi capelli blu si sedette su uno sgabello, di fronte all’isola della cucina, l’anziano signore continuò a tagliare i funghi, indisturbato.
-A cosa devo l’onore di questa prelibatezza? – domandò fingendosi sorpresa, e sfilandosi l’iPhone 5s dorato dalla tasca, e appoggiandolo sull’isola. Stranamente, lui non commentò la presenza del cellulare, che considerava un’entità malvagia, la quale impediva di fare conversazione. D’altro canto, Musa evitava di utilizzarlo in sua presenza, ma, in quel momento, aspettava una chiamata che non sarebbe mai arrivata.
-E’ stata una giornata lunga, e soltanto perché non hai ottenuto ciò che volevi, non significa che tu non possa ancora trarne qualcosa di buono. – il nonno aveva terminato di affettare i funghi, e adesso stava controllando che bollisse l’acqua della pasta. Eppure, attraverso quelle parole distratte, era riuscito a far sorridere di nuovo la sua nipotina preferita. Musa ammirava la saggezza del vecchio, e, sperava un giorno, di poter dare lei stessa dei consigli dispendiosi. – Poi, in questi casi, il cibo è il tuo migliore amico. Quindi, ho pensato di cucinarti un piatto salutare, altrimenti ti saresti finita la mia vaschetta di gelato!
Risero entrambi.
Il nonno era una persona speciale anche per un altro motivo: perché oltrepassava continuamente il confine tra serietà e ironia, e Musa adorava ciò, poiché la aiutava ad affrontare la vita in maniera più rilassata.
Tuttavia, fu brutalmente riportata alla realtà, quando la suoneria del suo telefono invase la cucina e il nome di Andy comparve sullo schermo.
L’espressione della ragazza cambiò, e, improvvisamente, tutte quelle sensazioni negative che era riuscita a scacciare, anche grazie alla presenza del nonno, la investirono in pieno. Se il telefono non fosse costato quasi mille euro, lo avrebbe scaraventato sul pavimento, per smettere di vedere la foto del suo contatto, nella quale sorrideva, e non sembrava affatto la persona peggiore del pianeta.
-Come esco da questa situazione? – chiese tristemente Musa, ignorando il cellulare, appoggiando il viso su una mano e fingendo di rivolgersi all’audizione incompiuta. Forse, indirettamente, il suo scopo era anche quello. Ma non l’avrebbe mai detto apertamente, perché lui avrebbe intuito dove volesse andare a parare.     
Infatti, il nonno scelse il momento adatto per utilizzare una delle sue risposte vaghe.
-Se tutte le strade portano a Roma, come si lascia Roma? – esordì in questo modo, lasciando perdere la cena e portandosi una mano sul mento, con fare pensieroso. – Sai, me lo sono sempre chiesto. Soprattutto perché le persone pensano troppo e agiscono molto poco. In generale, credo che, se qualcuno vuole seriamente far parte della tua vita,  farà l’impossibile per esserci.
Musa rimase spiazzata dal discorso del nonno, perché, per la prima volta, comprendeva ciò che stava dicendo, e, trovava un senso a quelle frasi sconnesse tra di loro. Eppure, nonostante Andy insistesse, lei non riusciva a premere il tasto “Rispondi”.
-Anche se, d’altra parte, dietro gli schermi, perdiamo il valore di uno sguardo. – proseguì il vecchio, non riscontrando nessuna reazione da parte della nipote. - Dimenticando che, quando qualcuno ci dedica il suo tempo, ci sta regalando l’unica cosa che non recupererà mai più. La vita è costituita da attimi, sai? Oggi sono qui, e domani? Domani chi lo sa. Quindi, volevo dirti che, se vuoi qualcosa, se vuoi veramente qualcosa, corri a prenderla senza voltarti indietro. Guarda la paura in faccia, e superala, mettendoci l’anima.
Musa ebbe come l’impressione che il nonno non si stesse riferendo semplicemente alla telefonata, o all’audizione, ma scelse di non indagare. Infondo, aveva ragione: Andy tentava di contattarla disperatamente, perché sapeva che non ci sarebbe stato rimedio a quello che aveva fatto.
Lei non doveva perdonarlo, però poteva ascoltare la sua versione dei fatti. Quindi, prima che terminasse l’ultimo squillo, afferrò il telefono, scorse sullo schermo, e rispose.
-Hai un minuto. – gli comunicò, tentando di imitare il tono gelido che aveva utilizzato precedentemente, senza successo, tuttavia. – Quindi ti conviene sfruttarlo al meglio.
Dall’altro capo del telefono, Andy fece un respiro profondo, e, per la prima volta, Musa lo percepì titubante. Non era mai successo, poiché, essendo il chitarrista della loro band, lui ricopriva il ruolo del bello impossibile, che le fan bramavano ardentemente.
-Probabilmente non mi crederai, ma io non volevo che tutto ciò accadesse. Non volevo farti soffrire, però, se non avessi fatto nulla, tu te ne saresti andata. Avresti voltato pagina, senza di me. – lei era a conoscenza dei sentimenti di Andy, ma fingeva il contrario, poiché non poteva ricambiarli e un rifiuto avrebbe rovinato la loro amicizia. Eppure, dopo quella disastrosa giornata, Musa non avrebbe dovuto più fare questi pensieri, perché Andy e la sua vita sarebbero stati solo un lontano ricordo. – Comunque, anche se non otterrò mai il tuo perdono, ti ho chiamata per ricordarti che stasera c’è il falò per la notte di San Lorenzo.
Musa socchiuse gli occhi, perché lo aveva completamente rimosso. Oppure, il suo cervello le aveva fatto un favore, occultandole che, in un mondo parallelo, il falò avrebbe rappresentato motivo di festeggiamento. In un mondo parallelo, lei avrebbe superato l’audizione, Andy non sarebbe stato geloso del suo successo e, insieme, avrebbero festeggiato davanti al fuoco. Chissà, forse si sarebbero anche fidanzati.
Ma quello era il mondo reale, e non c’era spazio per le fantasie. Nel mondo reale il falò le ricordava che aveva fallito, di nuovo. Riportava in superficie la rabbia che provava nei confronti di Andy, e, soprattutto, la faceva sentire smarrita.
Eppure, qualcosa le suggeriva che doveva andarci lo stesso. Infatti, incrociò lo sguardo del nonno, e comprese che lui era d’accordo.
-Okay, verrò. – Musa sentì le grida di gioia dall’altro lato del telefono, quindi decise di calmare i suoi animi. – Ma, probabilmente, sarà l’ultima volta che ci vedremo. Un egoista come te non può far parte della mia vita.
E riattaccò.
In quel preciso momento, aveva stabilito che il falò sarebbe stata la fine di un’Era. Dopo quella serata, sarebbe andata avanti, senza voltarsi indietro, proprio come aveva detto il nonno.
Anche se, ironia della sorte, Musa andò avanti e cambiò vita, ma non nel modo in cui si aspettava.
-Credo proprio che dovrò rimandare le fettuccine. – ammise tristemente, rivolgendosi al nonno, il quale annuì. Poi si alzò e si diresse verso le scale, che l’avrebbero portata in camera sua. – Sto per chiudere un capitolo della mia vita.
Il tono di Musa era entusiasta, e non immaginava minimamente cosa sarebbe avvenuto nelle ore successive, ma il nonno sì, e, una volta che la nipotina ebbe lasciato la cucina, si affrettò a raggiungere la finestra per scrutare il cielo.
Fulmini.
Questo non preannunciava nulla di buono.
-O forse, sta per iniziarne un altro.
 
 
Santa Severa, la sera
La Notte di San Lorenzo era l’evento dell’estate, poiché fungeva da apripista alla “settimana dei falò”, come la chiamava Musa. Grandi e piccini si riunivano intorno a un fuoco per osservare le stelle cadenti, raccontarsi storie dell’orrore, suonare una canzone.
La piccola cittadina marittima di Santa Severa occupava un posto speciale nel cuore di Musa, perché rappresentava la sua infanzia: avrebbe sempre ricordato con piacere le innumerevoli estati trascorse in quel luogo sperduto, le amicizie che aveva stretto. Alcune di quelle persone facevano ancora parte della sua vita, tra cui Andy, ma, dopo il falò, avrebbe messo un punto a tutto questo.
Il lungomare era popolato da famiglie che passeggiavano, da genitori che tentavano di afferrare i figli scalmanati, da ragazzi in bici, che si affrettavano per scorgere anche una sola stella cadente. Il desiderio è uno strumento potente, e gli umani ne sono talmente succubi, da non comprendere che sono loro a scegliere il proprio destino. Eppure, anche la persona più razionale si recava a scrutare il cielo, perché sperare in un miracolo è una mera consolazione, per tutti coloro che non hanno il coraggio di compierlo.
Musa non rientrava in questa categoria, poiché, sebbene lei fosse scettica, agiva per ottenere ciò che voleva. Spesso cadeva, ma poi si rialzava. Anche se, dopo l’ennesima delusione, non sapeva se ce l’avrebbe fatta.
Comunque, la maggior parte degli stabilimenti era aperta, quella sera, e la gente ci si dirigeva per trascorrere un po’ di tempo in compagnia, e avere il libero accesso alla spiaggia, perché era lì che si teneva lo spettacolo suggestivo. Infatti, il litorale laziale era illuminato da moltissime luci, che appartenevano ai falò, e Musa immaginò di osservare la scena dalla costa. Probabilmente, sarebbe rimasta a bocca aperta.
Lei e i suoi amici avevano scelto un posto in prima fila, per poter festeggiare quella notte magica: si trovavano nelle vicinanze dell’imponente e antico Castello di Santa Severa, che un tempo apparteneva agli Etruschi. Quando frequentava le elementari, Musa lo aveva persino visitato, e ne era rimasta davvero colpita.
La luna piena brillava alta nel cielo, e, dopo aver mangiato della pizza, comprata lungo la strada, era arrivato il momento di cantare qualcosa.  Per l’occasione, Musa aveva deciso di indossare un paio di pantaloncini rossi e un top bianco, dal quale si intravedeva il costume, anch’esso rosso. In testa portava un cappellino con la visiera, nonostante non ci fosse il Sole, sulle stesse tonalità dell’outfit. I lunghi capelli blu cobalto erano raccolti in due codini bassi, e il colore degli elastici si abbinava alle righe verdi, presenti sul top.
-Che ne dite, cantiamo un pezzo? – propose Andy, il quale si stava già dilettando ad accordare la chitarra. Solitamente, la sera del falò, cantavano una delle canzoni della band, attirando l’attenzione di altre persone, e trasformando il tutto in una grande festa. Come la scena di un Disney Channel Original Movie.
Se avesse superato l’audizione, Musa avrebbe cantato volentieri la canzone che aveva composto lei stessa, e di cui andava molto fiera, poiché era convinta che l’avrebbe portata alla vittoria. Ma non aveva vinto, quindi non sapeva se, in futuro, avrebbe mai avuto modo di cantarla.
-No, non ne ho proprio voglia. – rispose schietta, facendo spallucce. Ciò che le sembrava più assurdo, era che Andy si comportava come se non fosse accaduto nulla. Come se non avesse recepito l’ultima frase che gli aveva detto al telefono ore prima. Probabilmente non l’aveva presa sul serio, ma Musa aveva ancora intenzione di attenersi al piano: dopo il falò, avrebbe cancellato qualsiasi contatto con lui, e si sarebbe fatta una nuova vita. Letteralmente. - Scusate.
Lei non aveva nulla di cui scusarsi, ma decise di mantenere le apparenze, così da non dover fornire nessuna spiegazione al resto del gruppo. Poiché sapeva, che sarebbero stati dalla parte di Andy. Infatti, gli altri la sopportavano perché era sua amica, e perché cantava splendidamente, ma, alla resa dei conti, non avevano quasi nessun interesse in comune. Musa aveva deciso di lasciarli anche per un altro motivo: perché, quando era con loro, non riusciva ad essere sé stessa. Questo peso la stava opprimendo, e ne aveva abbastanza.
-Allora, perché ognuno di noi non dice cosa esprimerebbe se vedesse una stella cadente? – propose ancora, e gli altri lo canzonarono. Mentalmente, Musa si diede un colpo sulla fronte. Come aveva potuto diventare amica di una persona tanto stupida? Invece, fu l’unica a parlare. Se avesse dovuto iniziare una nuova vita, almeno avrebbe abbandonato la vecchia, essendo semplicemente sé stessa.
-Voglio essere diversa, un po’ speciale. – le altre persone presenti, che prima sghignazzavano, adesso si erano ammutolite, e la ascoltavano, assorti. – Voglio che qualcuno mi ami per ciò che sono, e non per quello che rappresento. Voglio trovare un posto in cui sentirmi straordinaria, e soprattutto non voglio restare in uno dove sono obbligata ad essere ordinaria, per via delle circostanze. Infine, ma non meno importante, voglio essere circondata da persone che mi vogliono bene davvero.
Mentre parlava, Musa teneva lo sguardo fisso davanti a sé, e, una volta ultimato il suo discorso, si aspettava di ricevere battutine o versi canzonatori. Invece, non accadde nulla di tutto ciò, perché la ragazza spostò lo sguardo verso il cielo e vide una stella cadente. Eppure, non era una stella qualsiasi, assomigliava di più a una cometa, e si stava avvicinando terribilmente alla spiaggia.
Eventi di tale portata avvengono circa ogni mille anni, e Musa pensò che i telegiornali avrebbero annunciato il passaggio di una cometa. Sinceramente, lei non ci teneva per niente ad essere testimone di questa scoperta astronomica (se fosse sopravvissuta dopo lo schianto), quindi si alzò e iniziò ad indietreggiare, verso la strada. Le voci del resto del gruppo le risultarono ovattate e scelse di ignorarle.
Anche se, quella stella sembrava volere proprio lei, e negli istanti che si susseguirono, avvenne l’impossibile. La stella cadente si scagliò al suolo, a pochi metri dai piedi di Musa, e, dalla luce, che aveva rischiarato la notte buia, uscì una ragazza.
Aveva la stessa età di Musa, convenne lei, lunghi capelli biondi e occhi ambrati. Indossava un vestito color Tiffany, con delle strisce fucsia, che le arrivava circa a metà coscia. Sulla vita portava una cinta, anch’essa fucsia, e, ironia della sorte, rappresentava proprio una cometa. Era eccessivamente truccata, infatti sembrava essere appena uscita da un cartone animato. Dai lobi pendevano un paio di cerchi, i quali includevano una stella, che si abbinava al colore del vestito. I capelli erano sciolti, fatta eccezione per un cerchietto che aveva in testa, il quale sembrava ricoprire un ruolo puramente decorativo. Infine, ai piedi indossava delle zeppe, e a Musa sembrarono le scarpe più scomode del mondo.
-Questi viaggi ultradimensionali sono sempre così stancanti! – si lamentò lei, mentre si stiracchiava. Sbadigliò, e poi iniziò a guardarsi intorno. – Credo proprio che la prossima volta prenderò il treno.
Musa cominciò a pensare di essere impazzita. Aveva bevuto un bicchiere di birra, e questo non poteva essere un effetto collaterale. Probabilmente, quando si era incamminata verso il marciapiede, doveva essere inciampata, e, in seguito, aver battuto la testa. Sì, stava sognando, decise infine.
Inoltre, lo dedusse, dal fatto che, le altre persone non sembrarono scosse dal recente avvenimento. Anzi, proseguirono con le loro vite, come se niente fosse.
-Chi sei tu? – domandò titubante Musa, temendo la risposta. Continuava a sbattere le ciglia, sperando, in cuor suo, che la misteriosa ragazza si dissolvesse nel nulla. Anche se, in qualche modo assurdo, le ispirava fiducia.
Finalmente posò gli occhi su di lei, e le rivolse un sorriso che le scaldò il cuore.
-Oh ciao! Io sono Stella, la fata del Sole e della Luna. – rispose in maniera allegra e disinvolta la ragazza. Fata? Quella parola impiegò un po’ ad arrivare al cervello di Musa. All’inizio, pensò che fosse qualche modo di dire che lei non conosceva, ma, in seguito, ricordò come era giunta sulla spiaggia. Stava decisamente impazzendo, era ufficiale. – Tu come ti chiami, invece?
L’allegria di Stella risultava contagiosa. Infatti, quando le rivolse quella semplice domanda, Musa stava per abbattere il muro di diffidenza che aveva costruito intorno a sé. Ma, d’altronde, lei era cresciuta nel mondo degli umani, quindi non era così facile.
-Io sono Musa. – disse incerta, e rimase sorpresa dalla reazione della fata. Difatti, Stella strabuzzò gli occhi, come se avesse avuto un’illuminazione. Il che sembrava un eufemismo, considerando che lei era la fata degli astri. – Come hai fatto ad arrivare fin qui?
Per una volta, la chiacchierona Stella rimase senza parole. Era lei. Era lei la ragazza che custodiva il potere dell’intero pianeta di Melody. Aveva provato ad immaginarsela, nel corso del viaggio, ma la realtà non poteva essere paragonata alla fantasia. Adesso che Musa si era presentata, Stella riusciva a percepire l’immenso potere che scorreva nelle sue vene.
Doveva agire, proteggerla, portarla al sicuro.
-Non c’è tempo per le spiegazioni. – concluse in maniera sbrigativa. Il male poteva essere in agguato, e lei non voleva assolutamente deludere la preside Faragonda. – Dobbiamo prima andare al college di Alfea, e, una volta arrivate lì, potrai pormi tutte le domande che vuoi.
Il mondo intorno a Musa iniziò a vorticare. Le frasi di Stella sembravano sconnesse e prive di senso. Che cos’era il college di Alfea? E, soprattutto, perché aveva tutta quella fretta di andarsene? La sua parte razionale le disse che è con il lavaggio del cervello che una vittima di rapimento viene tranquillizzata. Ma Stella le aveva confessato di essere una fata, ed era arrivata attraverso una strana luce, quindi le sue ragioni non potevano essere losche. Infondo, nei racconti mitologici, le fate sono sempre state dipinte in maniera positiva, per cui Musa non aveva nulla da temere.
Eppure continuava a dubitare.
-Non posso venire con te, nemmeno ti conosco! – esclamò di rimando, accorgendosi che Stella l’aveva presa per un braccio, allentando la presa. Per quanto le cose stessero andando a rotoli, lei aveva la sua vita lì, suo nonno. Non poteva semplicemente seguire una sconosciuta attraverso un bagliore di luce. Le serviva una motivazione più che valida, per farlo. – Dammi un motivo, per il quale dovrei lasciare tutta la mia vita. Dammelo, e allora ti seguirò.
Stella rimase spiazzata. Quando Faragonda l’aveva convinta a intraprendere quella missione, non pensava di ritrovarsi di fronte una persona cocciuta quanto lei. Da una parte, comprendeva le ragioni di Musa, ma, il suo spirito di fata, le imponeva di portarla in salvo. In un modo, o nell’altro.
-Perché vuoi essere diversa, un po’ speciale. A guardarti bene, credo proprio che tu lo sia. – scelse di parlare con il cuore, poiché, in altre occasioni, si era rivelata l’arma migliore. Durante l’ultima parte del viaggio, quando stava sorvolando il cielo di Santa Severa, aveva ascoltato il desiderio di Musa, ed era certa, che, se fosse andata con lei, avrebbe potuto realizzarlo. – Sei una fata, Musa. Vuoi trovare un posto dove sentirti straordinaria, quindi non puoi restare in uno dove sei obbligata ad essere ordinaria, per via delle circostanze. 
Il discorso di Stella la confuse ulteriormente, poiché aveva immaginato di poter essere moltissime cose, ma di certo non una fata. Anche se, ripercorrendo la sua vita, comprese la ragione per la quale si era sempre sentita fuori posto: semplicemente, non era umana.
Inoltre, Stella aveva utilizzato le stesse parole del desiderio, e Musa voleva davvero tutto questo. Forse, si sarebbe avverato in una maniera che non si aspettava, oppure, sarebbe stata la svolta migliore della sua vita. Decise che lo avrebbe scoperto soltanto vivendo. Insomma, al massimo si sarebbe svegliata la mattina dopo, nel suo letto, con un fortissimo mal di testa da sbronza.
-Okay, mi hai convinta. Dov’è che si trova esattamente questa Alfea?
Purtroppo Stella non poté rispondere, perché altre tre figure si palesarono dal nulla, e, a differenza di quando era apparsa la fata del Sole e della Luna, Musa non provò la stessa sensazione di fiducia.
 
-Sorelle, guardate chi abbiamo incontrato! – esclamò divertita la ragazza al centro. Il tono della sua voce non risultò per nulla amichevole, e Musa iniziò a preoccuparsi quando vide l’espressione spaventata di Stella. – La nostra fatina preferita!
Dato che era in atto uno scambio di battute tra le tre sorelle, Musa si prese un momento per osservarle meglio, e rimase sorpresa: le ragazze indossavano delle tutine aderenti, rispettivamente viola, blu e color vinaccia. La cosa assurda, era che avevano il trucco abbinato al vestito. Inoltre, i loro capelli sfidavano le leggi della fisica.
-Mi permetto di dissentire, - ribatté annoiata la ragazza dai capelli corti e ricci. Finse di limarsi le unghie, già perfette, e poi si portò una mano sul fianco e sorrise compiaciuta. – la mia preferita è sempre stata Flora.
La terza sorella, che fino a quel momento non aveva parlato, tossì, per attirare l’attenzione su di lei. Musa la scrutò attentamente, e comprese che non sarebbe stata una passeggiata arrivare sane e salve ad Alfea.
-Vi ricordo che dobbiamo portare a termine una missione, per cui concentriamoci. – le rimproverò duramente, e incrociò le braccia al petto. Di quale missione stavano parlando? Musa aveva come l’impressione che non avrebbe portato nulla di buono. Infatti, evitò di aprire bocca, perché capiva bene che lei e Stella si trovavano già abbastanza nei guai. – Che mossa astuta, quella di mandarti sulla Terra da sola.
Improvvisamente, l’espressione di Stella cambiò. Ritrovarsi faccia a faccia col nemico, le aveva fornito una scarica di adrenalina, che non provava da moltissimo da tempo. Se si fosse trovata in pericolo da sola, non le sarebbe importato, ma adesso c’era anche la vita di Musa nel quadro generale, e lei aveva giurato a sé stessa, che l’avrebbe portata a Magix viva. Inoltre, le pessime battute di Darcy, l’avevano sempre irritata parecchio. L’ironia non era certo il suo forte.
-Trix, anche per me è un piacere rivedervi! – ammise sarcastica Stella, sorridendo. Le Trix erano tre sorelle, Icy, Darcy e Stormy che avevano frequentato la scuola di Torrenuvola, e questo le rendeva streghe. Purtroppo, la loro brama di potere, le aveva portate a compiere azioni poco nobili, e di conseguenza a scontrarsi con Stella e le sue amiche. – A cosa devo l’onore di questa imboscata?
Finalmente, le streghe si accorsero della presenza di Musa, e Icy, le puntò un dito contro. La ragazza impallidì, non sapendo cosa fare.
-Il nostro alleato la vuole, e noi siamo venute a prenderla. – confessò schietta. Stella aggrottò le sopracciglia, irritata, poiché comprese il motivo per cui la strega ne aveva omesso il nome: se lo avesse utilizzato, la fata sarebbe esplosa per la rabbia repressa, che provava nei suoi confronti, non avrebbe più ragionato, e le Trix sarebbero riuscite a catturare Musa senza problemi.
Ma Stella deglutì e incassò il colpo, non lasciandosi ingannare dalle provocazioni delle streghe.
-Mi dispiace, ma non sarà così facile. Stella Enchantix! – un fascio di luce la avvolse, e, nei secondi successivi, assunse la forma di una vera fata. Musa rimase affascinata dalla sua bellezza: i capelli biondi si erano allungati, e, alcune ciocche, erano raccolte in un paio di codini. Al posto del cerchietto, ora vi era un diadema, il che la rendeva una principessa a tutti gli effetti. Il resto del costume comprendeva un top arancione, e una gonna a balze dello stesso colore, con alcuni riflessi di rosa, nella parte anteriore, che si abbinavano perfettamente ai guanti. Al collo portava una collana a forma di stella, la quale conteneva la polvere di fata. Infine, ma non meno importante, a completare il tutto vi erano le possenti e forti ali, che avevano le stesse tonalità dell’abito. - Scarica di Energia Solare!
La battaglia ebbe inizio. Il colpo di Stella era diretto a tutte e tre, ma, poiché fuori allenamento, arrivò solo ad Icy, la quale cadde a terra. Darcy e Stormy partirono al contrattacco: la prima, essendo la strega dell’ipnosi, si smaterializzò, per poi accerchiarla, creando cloni di sé stessa. Ma Stella aveva già visto quel trucco e non si lasciò ingannare.
-Oceano di Luce! – i cloni di Darcy scomparvero, e lei si accasciò al suolo. Però, nel frattempo, Icy si era ripresa, e aveva intenzione di portare a termine la missione. Infatti, con la coda dell’occhio, Stella vide che si stava dirigendo verso Musa. Non ci pensò due volte, e le si parò davanti. – Scudo Lunare Enchantix!
Purtroppo, da sola, non sarebbe riuscita a mantenerlo a lungo. Ne ebbe la conferma, quando Icy cominciò a ghiacciare il suo scudo, per poterlo abbattere. La situazione peggiorò ulteriormente, poiché Stormy lanciò uno dei suoi tornado, facendo volare via il berretto di Musa, e distraendo Stella.
Darcy tornò in scena, approfittando della debolezza della fata, per accecarla temporaneamente. Lo scudo finalmente si ruppe, e Stella si afflosciò sulla sabbia, inerme.
-Sei finita, fatina! – esclamò la gelida Icy, pronta a ibernarla in uno dei suoi blocchi di ghiaccio. Ma, nel quadro generale, le Trix non avevano considerato un dettaglio importante: Musa.
Infatti, la novellina, in una fase di totale incoscienza, incanalò il rumore del tornado di Stormy e lo spinse con forza contro le tre streghe. Il risultato fu sorprendente: le Trix caddero a terra, stordite dall’incantesimo di Musa.
Lei si guardò le mani, spaventata. Non riusciva a capacitarsi di essere stata in grado di fare una cosa del genere. Dopotutto, le frasi sconnesse di Stella stavano assumendo un senso.
Stella!
L’adrenalina iniziò a circolare nel suo organismo, per cui dovette mettere momentaneamente da parte la paura. La cercò con lo sguardo, e vide con piacere che si era rialzata, e che l’incantesimo di Oscurità di Darcy si era dissolto, quindi ci vedeva ancora.
-Te l’avevo detto: sei una fata. – affermò soddisfatta la fata del Sole e della Luna. Faragonda non si era affatto sbagliata sul conto di Musa, e quest’ultima lo aveva appena dimostrato. D’altro canto, ascoltare quelle parole, in seguito a ciò che aveva fatto, rendeva il tutto reale. Infatti, sebbene non avesse più certezze, non poteva tornare a vivere la vita di tutti i giorni, dopo aver messo ko tre potentissime streghe.
-Mi hai convinta, verrò con te! – adesso che lo scontro si era concluso, la voce di Musa riprese a tremare. In quei pochi istanti, aveva compreso, che un incantesimo può fare la differenza tra la vita e la morte, e sperò vivamente di non doversi mai più ritrovare sopra a quel confine. Stella sospirò sollevata, e le strinse la mano. Guardò la situazione e decise di affrettarsi, poiché le Trix si stavano riprendendo.
-Reggiti. Velocità della Luce del Sole!
Stella attivò il teletrasporto e, pochi istanti dopo, le fate si dissolsero nel nulla, lasciando le Trix con un pugno di mosche.
 
 
Foresta di Selvafosca, la stessa sera
L’orgoglio di Riven non vinse la battaglia, quel giorno. Infatti, lo Specialista si trovava appollaiato sul ramo di un albero, nei pressi di Alfea, aspettando trepidante l’arrivo della fata fuori dagli schemi.
Non molto tempo prima, aveva utilizzato quello stesso albero per ragioni non esattamente nobili, ma si era pentito, ed aveva dimostrato al resto del mondo, di poter essere una persona migliore.
Spinto dalla curiosità, e dalla sua coscienza, la quale gli imponeva, in un modo o nell’altro, di fare sempre la scelta giusta, Riven si era diretto verso il suo nascondiglio personale. Codatorta lo aveva informato, in maniera indiretta, poiché conosceva il ragazzo, e sapeva che avrebbe seguito le sue direttive, che la fata sarebbe giunta al college di Alfea in tarda serata. Quindi, adesso, scrutava la situazione, che risultava ancora tranquilla, attraverso un binocolo.
Al di fuori dei cancelli della scuola, c’era una schiera di persone, che aspettava in silenzio la venuta della misteriosa ragazza: sulla sinistra, il professor Wizgiz e il professor Palladium, affiancati dall’ispettrice Griselda e dalla preside Faragonda. Mentre, sulla destra, erano presenti le Winx.
Riven si accorse che l’unica mancante all’appello era Stella, e, per un istante, un brivido gli percorse tutta la schiena, ma, poco dopo, un bagliore comparve dal nulla, rischiarando la notte buia. Era un portale creato dalla fata del Sole e della Luna, Riven lo aveva riconosciuto. Infatti, la luce si spense, lasciando intravedere Stella, la quale era seguita da un’altra ragazza.
La fata fuori dagli schemi, pensò lo Specialista.
La principessa di Solaria aveva assunto la sua forma Enchantix, per cui Riven dedusse che era reduce da un combattimento. Un sorriso compiaciuto si palesò sul volto del ragazzo. Sapeva perfettamente, che la fata non stava attraversando un periodo facile, ma vederla lì, trasformata e soddisfatta, lo rese così fiero di lei.
Poi il suo sguardo si spostò su un’altra persona, la cui espressione mostrava il terrore e la confusione che stava provando dentro di sé. Fino a quel momento, Riven non era riuscito a vedere interamente il viso della ragazza, poiché coperto dal cappuccio del mantello che indossava. Ma, una volta accettato l’invito di Faragonda, ad entrare nella scuola, lei se lo tolse e lo porse all’ispettrice Griselda, che, per la prima volta, non replicò.
Ecco, in quel preciso momento la vita di Riven cambiò.
E’ lei.
Quando vide i suoi lunghi capelli blu cobalto, legati in due codini, e i suoi occhi lucidi spaesati, gli sembrò di ricevere una scarica elettrica, infatti sobbalzò, allontanando il binocolo, e per poco non cadde dall’albero.
Una miriade di immagini, appartenenti a un passato che non ricordava, gli attraversarono la mente, senza sosta: aveva cinque anni, si trovava su un pianeta in subbuglio, e molte persone urlavano. La situazione si placò quando giunsero i reali, i quali passarono tra la gente e si fermarono sulla piazza della città.
Quegli stessi occhi spaventati, lo Specialista li aveva già visti sul volto di una bambina, la quale era saldamente attaccata alle gonne della regina.
Musa.
 
 
Alfea
Stella entrò nella sua stanza, sentendosi stanca, come non lo era da molto tempo. Guardò il letto circolare, che si trovava al centro della camera, e desiderò con tutta sé stessa sdraiarcisi sopra, e dormire per tre giorni di fila. Il combattimento l’aveva stremata, però almeno Musa era al sicuro nell’altra stanza, e, al momento, le importava solamente quello.
Infatti, per quanto la stanchezza stesse prevalendo, Stella riteneva che la ragazza dai capelli blu un po’ scettica, avrebbe rivoluzionato per sempre la sua vita. Inoltre, dovette ammettere che Faragonda aveva ragione ancora una volta: prendersi cura di un altro essere umano/fatato, le avrebbe fatto staccare la spina dalla vita cupa e triste che ormai conduceva da mesi.
Quella sera, aveva superato una prova importante, ovvero quella di trasformarsi e utilizzare i suoi poteri, per difendere il prossimo. Si era comportata da vera fata, e pensava fermamente che non sarebbe più accaduto.
La mente della ragazza iniziò a viaggiare, immaginando tutto ciò che avrebbe insegnato a Musa, tutti i consigli che le avrebbe dato. Poi, il cellulare sul comodino squillò, e l’unica parte ancora integra della vita di Stella, andò in pezzi.
-Pronto?! – rispose, dopo essere sobbalzata e aver guardato rapidamente il mittente sullo schermo del telefono. Brandon, il suo ragazzo, non la chiamava mai a tarda notte. Lui era uno Specialista nella scuola di Fonterossa, per cui necessitava di molte ore di sonno, affinché potesse essere in grado di proteggere le fate, e, più in generale, l’intera Dimensione Magica. Poi, ultimamente, il loro rapporto non era stato dei migliori, per cui non comprendeva il motivo della telefonata. Tutto ciò che Stella aveva dovuto affrontare, perdere l’affetto di suo padre, trasformarsi in un mostro orribile, l’aveva portata a chiudersi in sé stessa, escludendo persino lui.
-Stella, ciao. – il suo tono di voce era tentennante, come se non sapesse più approcciarsi alla ragazza che diceva di amare. Eppure, la fata decise di non farci caso, perché per la prima volta vedeva la luce in fondo al tunnel, e aveva assolutamente bisogno di condividere questa gioia con Brandon.
-Tu non hai idea di quello che è accaduto oggi! – esclamò entusiasta, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. – Faragonda mi ha coinvolta in una missione di salvataggio, spedendomi sulla Terra per cercare una fata, proveniente da Melody! Tu sai cosa significa questo per tutti noi? Finirà, Brandon. Tornerà tutto come prima.
Stella aveva un sorriso a 32 denti, e, improvvisamente, la stanchezza sembrava essersi dissolta. Inoltre, stava per commuoversi, perché il solo pensiero che potesse tornare tutto come una volta, la rendeva immensamente felice.
Ne aveva bisogno
-No, non è vero. – dissentì lui, dopo un lungo silenzio. Per Brandon pronunciare le seguenti parole fu arduo, ma, in quel momento, gli sembrava la cosa più giusta da fare.
Guardò fuori dalla finestra della sua stanza, fece un respiro profondo e proseguì il discorso. – Niente sarà più come prima, perché…non posso continuare a stare con te. Mi dispiace.
La fata spalancò la bocca e rimase sotto shock per circa due minuti, cercando di capire se l’informazione arrivata al cervello fosse corretta.
No, non stava succedendo. Non a lei.
In tutto quel casino, Brandon era la sua unica certezza, e adesso lui non poteva semplicemente chiamarla e comunicarle che fosse finita.
Loro ne avevano superate tante, quindi, a un certo punto, Stella aveva stupidamente pensato che sarebbero stati insieme per sempre. Lei sapeva che, dopo gli ultimi avvenimenti, Brandon non la cercava per concederle lo spazio necessario, affinché si riprendesse. Gli era infinitamente grata per questo.
Allora, perché aveva deciso di mettere un punto alla loro storia?
-Non puoi dire una cosa del genere, Brandon. – lo ammonì, cercando di trattenere le lacrime. Non voleva mostrarsi debole ancora una volta. – Tu sei quello che ha quasi sposato la Principessa Amentia, per salvarmi. E…io ti ho perdonato, quando mi avevi mentito sulla tua vera identità. Come puoi dimenticare tutto ciò? COME?
Inevitabilmente aveva alzato la voce, e, se lui non avesse detto qualcosa all’istante, sarebbe scoppiata in un pianto isterico.
-Io…ho bisogno di te.
Dall’altro capo del telefono, Brandon continuava a rimanere in silenzio, sentendosi malissimo per quello che stava facendo. Tuttavia, non era d’accordo con Stella: lei non aveva bisogno di lui, ma di sé stessa.
Era uno dei motivi per cui la stava lasciando, perché non poteva aiutarla in tale compito.
-Mi dispiace, Stella. E’ finita. – ripeté in maniera automatica, e mise giù, poiché non sopportava più i singhiozzi trattenuti di lei.
La fata fissò il telefono a lungo, poi lo lasciò cadere sul pavimento, senza curarsi che potesse rompersi. Infine, scivolò sul bordo del letto, e, quelle lacrime che prima erano di gioia, adesso si trasformarono in dolore, e inondarono il suo viso.
 
Fonterossa
Dopo averla vista, Riven era saltato giù da quell’albero, spinto da sensazioni di cui nemmeno lui riusciva a cogliere il senso, per raggiungere Fonterossa il prima possibile. Il preside Saladin non gli aveva dato un ultimatum, ma lui sapeva, che, se non si fosse affrettato, avrebbe assegnato il compito a qualcun altro.
Lungo il cammino, il quale separava le due scuole, Riven non smetteva di pensare a quelle immagini che si erano palesate prepotentemente nella sua mente. Cosa significavano? Erano ricordi?
A differenza di altri Specialisti, Riven non conosceva i dettagli del proprio passato. Infatti, lui sosteneva di non ricordare come fosse la sua vita prima di iscriversi alla scuola di Fonterossa. Molti, dopo aver udito questa frase, lo canzonavano, dandogli del sentimentale, ma era la pura verità. Quindi, la sua storia poteva benissimo essere legata a quella di Musa, e c’era un solo modo per scoprirlo.
I corridoi della scuola erano deserti, di notte, per cui non fu difficile raggiungere l’ufficio del preside Saladin. Riven sapeva che lo avrebbe trovato lì, perché, nonostante fosse vecchio e decrepito, non prendeva sonno facilmente.
Camminava a passo svelto, e il cuore gli batteva all’impazzata. Non riusciva a scrollarsi di dosso quel desiderio di protezione, che era nato in lui, nei confronti di Musa, non appena aveva scorto, attraverso il binocolo, il suo sguardo spaventato. Non conosceva nulla di lei, ma l’avrebbe protetta, a qualsiasi costo. Probabilmente, la storia si sarebbe ripetuta, e Riven avrebbe commesso gli stessi errori, però scelse di correre il rischio.
Infatti, quando fece irruzione nell’ufficio, le sue teorie si rivelarono esatte: il preside Saladin era lì, seduto alla sua scrivania, intento a parlare con il professor Codatorta. La presenza di quest’ultimo rassicurò Riven, poiché gli trasmise sicurezza, e ne aveva bisogno, considerando ciò che doveva dire.
-Io la proteggerò. – durante il tragitto, aveva pensato a come avrebbe comunicato la notizia. Inizialmente, l’idea era di fare un discorso. Ma, ripensandoci, quella frase risultò essere molto più ad effetto. Difatti, i due insegnanti si guardarono sbalorditi, e poi spostarono il capo verso Riven. Sul volto di Codatorta comparve un sorriso di approvazione, e il ragazzo non sapeva se avrebbe potuto dire lo stesso del preside Saladin.
Comunque, adesso che lo aveva detto ad alta voce, la situazione era diventata reale, e, di conseguenza, la paura aveva deciso di ripresentarsi. Forse l’avrebbe superata, o forse no, ma faceva tutto parte del gioco.
 
 
Andros
La Dimensione Magica era composta da una moltitudine di pianeti, alcuni importanti, altri meno, e di questi faceva parte il pianeta di Andros. Era perlopiù ricoperto d’acqua, ma, a differenza della Terra, il pianeta era popolato da creature marine, quali sirene e tritoni. Invece, la parte terrestre del regno, era popolata da fate e maghi. Aisha, un’amica di Stella, ricopriva il ruolo di principessa. Sarebbe risultato un pianeta del tutto inutile, se non avesse ospitato il portale della Dimensione Omega, una prigione riservata ai criminali più rinomati.
Dopo aver stretto un’alleanza con Lord Darkar, l’anno precedente, le Trix erano state confinate lì, ma nemmeno questo le aveva fermate. Infatti, le autorità dell’Universo Magico avevano dato l’allarme, annunciando la loro evasione.
Il fatto si era verificato mesi prima, e, ad eccezione di qualche piccolo attacco, come, per esempio, quello effettuato sul pianeta di Solaria, e, naturalmente, su quello di Andros, nessuno aveva ancora intuito i piani delle tre perfide streghe.
Il loro covo si trovava proprio lì, nei meandri del regno dell’Oceano, e non erano sole. Mentre tentavano di trovare una via d’uscita, avevano incontrato uno stregone tanto affascinante quanto potente. Valtor, questo era il suo nome. Aveva lunghi capelli color biondo cenere, occhi azzurri come il mare, e un particolare gusto nel vestire. Icy lo aveva liberato dalla prigione di ghiaccio in cui giaceva da 17 anni, ed era nata subito un’intesa tra i quattro.
Lo stregone non aveva ancora rivelato le sue intenzioni alle Trix, ma, d’altro canto, essendo assetate di potere, lo avrebbero seguito in ogni caso.
-La fatina c’è sfuggita come sabbia tra le dita, letteralmente. – comunicò, con un finto tono annoiato, Icy. La strega del ghiaccio era in piedi, a braccia conserte, di fronte a Valtor, affiancata dalle sorelle, Darcy e Stormy. Invece, l’uomo era di spalle, intento ad osservare quanto succedeva nel mondo esterno, attraverso uno specchio magico. In quel preciso momento, stava studiando la situazione ad Alfea, e, in particolare, stava spiando le azioni di Musa. La ragazza si trovava nella camera che le avevano assegnato, era seduta sul letto, e contemplava la notte piena di stelle, con l’aria spaesata.
-Se non ci fosse stata Stella a proteggerla, l’avremmo catturata! – esclamò furiosa Stormy, la più impulsiva delle tre. Detestava perdere una battaglia, soprattutto se le avversarie erano le fatine. Inoltre, così come Icy e Darcy, anche lei era caduta in balia del fascino di Valtor, per cui avrebbe fatto di tutto per attirare la sua attenzione. Al contrario, lui continuava a restare in silenzio.
-Ti ricordo, - aggiunse Darcy, la strega più riflessiva. – che se Musa non avesse lanciato quell’incantesimo, l’avremmo presa. Stella era già stata sconfitta dalla mia illusione ottica, da stupida fata quale è.
Icy sospirò, irritata. Lei era la maggiore, per cui le spettava sempre il compito di placare gli animi delle due sorelle. Spesso, invano.
-Invece di discutere della nostra dipartita, dovremmo pensare alla prossima mossa. – affermò seria, sperando di provocare interesse in Valtor, con il suo discorso intelligente. – Dato che, chiaramente, sarà impossibile avvicinarsi a lei, ora che si trova ad Alfea.
Finalmente, lo stregone si voltò, e, ricordando il volto spaventato della giovane fata, che aveva visto attraverso lo specchio, sorrise compiaciuto.
-Oh no, non vi preoccupate. – le rassicurò, spiazzandole. Le Trix non si aspettavano una reazione del genere, da parte sua. Questo rendeva la faccenda ancora più intrigante. Valtor stava guardando un punto fisso nel vuoto, immaginando tutto ciò che avrebbe conquistato. – E’ esattamente dove voglio che sia.
 



Spazio dell'autrice.
Salve popolo di EFP!
Wow, mi era mancato dirlo. E' passato molto tempo dall'ultima volta che ho postato una fan fiction, e credo mi abbia fatto bene questo periodo di "pausa", perché mi sento più matura e sono pronta a buttarmi in una nuova avventura.
Infatti, sono nuova nel fandom delle Winx, ma seguo il cartone dalle prime stagioni, quindi nutro un profondo rispetto per l'opera originale. So che probabilmente avrete molte domande, dopo aver letto questo capitolo, e io sarò lieta di rispondervi nelle recensioni. Quindi, non siate timidi!
Il processo di stesura è stato il più lungo, estenuante e difficile tra tutte le storie che ho scritto fin ora. Mi ritengo soddisfatta del mio lavoro, e spero che la trama vi abbia incuriositi.
Come ho scritto all'inizio del capitolo, l'intera storia è dedicata a Viki, la mia persona. Lei è più che una migliore amica, e durante il periodo di scrittura mi ha supportata, ha ascoltato i miei scleri a tarda notte, e, soprattutto mi ha resa coraggiosa. Probabilmente, se non mi avesse incoraggiata, non stareste leggendo queste righe oggi.
Quindi grazie, libra, per esserci sempre.
Dopo questo papiro egiziano, mi dileguo, e spero di vedervi nel prossimo capitolo.
Un abbraccio,
-Ludos98

 
 
 
  
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