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Autore: Espen    17/08/2015    1 recensioni
[Fanfiction partecipante al contest "Love for a fee" indetto da Yuko_chan]
All’interno del Rugiada, uno dei bordelli più famosi della Slam City, era Océan: la puttana con gli occhi del colore del mare e l’ombretto blu scuro.
Era facile, in fondo: uno sguardo ammiccante, un sorriso seduttore e un balletto volgare.
Era tutta una recita e lui doveva essere un grande attore, visto quant’era desiderato.
In quei momenti doveva interpretare la puttana dagli occhi color del mare e far finta che lui, la vita che non era riuscito a salvare, non fosse mai esistito.
Jaime, in realtà, odiava davvero Océan.
*********
Una puttana dagli occhi color dell'oceano che nasconde mille segreti, uno più doloroso dell'altro, e un sognatore intrappolato in una vita che non desidera.
Un incontro di una notte che si trasformerà in qualcosa di più.
In una città annegata da lotte fra clan e peccati di ogni tipo, quanto riusciresti ad amare?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Organization Zero'
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Note autrice: questa è decisamente la storia più lunga che io abbia mai scritto.
Originariamente era stata pensata come one-shot, ma vista la sua lunghezza ho deciso di diverderla in tre parti. Fa parte delle mia serie "Organization Zero", ma è perfettamente leggibile singolarmente.E' ambientata circa dieci anni prima di “ The Tattoos of Angel” e vi sono alcuni personaggi in comune; per il resto è una storia completamente a parte. Tra l’altro questi protagonisti non compariranno nella long, seguito delle altre one-shot della serie, se non per un breve periodo, quindi la loro storia è praticamente iniziata e finita qui dentro.
 Ad essere onesti, ci sono delle cose che avrei voluto cambiare e approfondire, ma non voleva far diventare questa storia un’epopea. Infatti, soprattutto nel finale, mi sono vista costretta ad “accelerare” un po’ le cose.
Magari le cose che non sono riuscita ad analizzare meglio qui (come alcuni personaggi secondari della terza parte) lo farò in qualche spin-off, ma si vedrà.
Detto questo, vi lascio alla storia.
Spero non faccia troppo schifo (?)
Ice Angel
 
 Nota importante sull'ambientazione della fic: Il mondo in cui è ambientata la storia è parecchio futuristico, con tecnologie innovative, dai toni cyberpunk. Le nazioni esistono ancora, ma solo per “tradizione”, dato che tutto il potere economico, politico e sociale risiede nelle megalopoli. Esse sono divise in due parti: la Tall City, dove risiedono persone importanti, come governatori e capi d’azienda, e ricche; nella Slam City, dove è ambientata l’intera serie, regnano le associazioni malavitose e la maggior parte dei suoi abitanti sono poveri o svolgono lavori illegali.
Esistono gli Skills (di mia totale invenzione, come tutto il resto) che sono persone con poteri speciali, legati principalmente agli elementi naturali (fuoco, acqua, vento…) o a capacità “fisiche” (telecinesi, telepatia, chiaroveggenza…). Non si sa perché abbiano tali poteri, ma si stanno facendo numerose ricerche per scoprirlo. Un essere umano manifesta i suoi poteri di Skills intorno agli otto anni, ma non riesce a controllarli pienamente fino ai diciassette.
Esistono due tipi di Skills: quelli “naturali”, che hanno ereditato il loro potere perché appartenenti a una famiglia di Skills; mentre quelli “innaturali” c non hanno parenti Skills da cui aver potuto ereditare il potere, per cui non si sa esattamente come siano diventati così –l’ipotesi più convincente è che sia a causa dello sviluppo delle nuove energie che hanno avuto conseguenze sul clima e sulle persone.-. Non vi sono differenze fra naturali e innaturali, se non che i primi riescono, anche grazie ai consigli e agli allenamenti dei propri famigliari, a controllare meglio il propri poteri.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Océan
 
 
 


Prefazione.
Soliloquio della puttana dagli occhi color del mare
 
Fra tutti gli animali, l’essere umano è quello più crudele
 
Ogni tanto gli tornava in mente quella frase; non ricordava dove l’avesse sentita, e ogni volta gli sembrava sempre più giusta. Sebbene gli umani si ritenessero superiori agli animali ne avevo le medesime inclinazioni.
Lui, la sua vita, ne era una prova vivente.
All’interno del Rugiada, uno dei bordelli più famosi della Slam City, era Océan: la puttana dagli occhi del colore del mare e l’ombretto blu scuro. Gli esseri umani andavano da lui per sfogare i propri istinti, come le bestie.
In fondo, si ripeteva, gli uomini si sopravvalutano troppo.
 
Lavorava al bordello da sei anni ed era uno dei più richiesti. Alcuni suoi clienti gli dicevano che aveva degli occhi meravigliosi, degni del soprannome che portava.
Jaime, in realtà, li odiava. Ogni volta che si guardava nello specchio sporco della lurida stanza in cui viveva, rivedeva il suo sguardo e si sentiva terribilmente sudicio.
Ma non poteva permettersi di piangere o si sarebbe sciolto il trucco, la maschera dell’ammaliante Océan; per cui finiva di truccarsi e scendeva al piano di sotto, dove c’era il pub, alla ricerca di qualche ricco cliente che l’avrebbe usato come strumento per soddisfare il proprio piacere.
Era facile, in fondo: uno sguardo ammiccante, un sorriso seducente e un balletto volgare.
Era tutta una recita e lui doveva essere un grande attore, visto quant’era richiesto.
In quei momenti doveva interpretare la puttana dagli occhi color del mare e far finta che lui, la vita che non era riuscito a salvare, non fosse mai esistito.
Jaime, in realtà, odiava davvero Océan.
 
 
 
 
Parte prima.
Il cliente che trovava carino Jaime.
 
Jaime aveva legato con poche persone all’interno del Rugiada.
Una di queste era Yana Polanski, la prostituta russa che lavorava nel bordello da vent’anni. Aveva quasi saldato il suo debito e, diceva, avrebbe aperto uno studio di tatuaggi insieme al figlio, Nikolaj.
Yana era una donna allegra e gentile che trasmetteva a Jaime tranquillità e sicurezza, riuscendo a scalfire il muro di cinismo e odio che si era costruito attorno.
Poi c’era Storm, o meglio Micheal, che si tingeva i capelli di viola e si truccava anche quando non lavorava.
Era stato lui a insegnare ad Océan tutto quello che bisognava sapere sul campo del sesso ed era colui con cui aveva perso la verginità.
Forse Micheal era per Jaime quanto di più vicino a un migliore amico, forse per questo aveva deciso di raccontargli di lui e della sua vita in Francia.
Oltre quelle due amicizie, Jaime non aveva nessun altro rapporto umano all’interno o all’esterno del Rugiada.
Questo finché non era comparso Tajo Iglesias.
 
La prima volta che lo aveva incontrato, lo aveva trattato come un normale cliente. Niente di lui lo aveva particolarmente colpito: il suo viso non era tra i più belli che aveva visto e non aveva segni particolari, come cicatrici o altre cose che avrebbero potuto impressionarlo.
Un volto anonimo, con i capelli castano-rossicio spettinati  e gli occhi di un normalissimo verde.
Lo aveva sedotto solo perché Storm glielo aveva indicato, affermando che apparteneva a un clan molto ricco, come era già successo altre volte in passato.
Era andato tutto come al solito: quel ragazzo si era slacciato i pantaloni, prendendosi quanto voleva e poi se n’era andato, lasciando le banconote sul comodino accanto al letto.
Non era stato niente di speciale, per cui Océan se lo dimenticò dopo una ventina di minuti, come aveva fatto con tutti i clienti precedenti.
 
Per questo la seconda volta che si incontrarono, Jaime non fece nemmeno caso alla sua presenza. Tajo, invece, lo guardò per tutto il tempo.
All’inizio non lo aveva riconosciuto, con il viso pulito dal trucco pesante, ma quegli occhi, blu come le profondità di quell’oceano che avrebbe voluto disperatamente raggiungere, non poteva dimenticarli.
Era seduto a un tavolo poco distante da lui, sorseggiava un drink verde, mentre parlava con un ragazzo, un suo collega probabilmente, dato che gli era famigliare. Aveva un portamento elegante, con le gambe accavallate e il viso appoggiato a una mano, l’altra mescolava la bevanda con la cannuccia.
Era davvero bello Océan senza tutti quei glitter e ombretti sul volto, sembrava più vero e splendente, una di quelle bellezze naturali, come in un dipinto perfetto.
E, senza nemmeno accorgersene, rimase a osservarlo per tutto il pomeriggio.
 
-Sai, sei più bello senza trucco!
Aveva deciso di farglielo notare, quella notte. Per questo dopo  l’amplesso non se n’era andato subito, ma era rimasto su quel letto che odorava di sesso e sudore, ancora nudo fra le lenzuola leggere.
Ocèan gli rivolse un’occhiata confusa, mentre si alzava per prendere la biancheria e il ragazzo sentì di dare una minima spiegazione.
-Ti ho visto al Meteor, insieme al tuo amico, questo pomeriggio. Volevo solo dirti che sei più carino senza ombretti o cosmetici strani a coprirti il viso.
Dopo di che gli sorrise, un sorriso vero, non languido o malizioso com’era solito vedere sul volto dei clienti, e, dopo essersi rivestito, se ne andò in silenzio.
Jaime, per quel lasso di tempo, era rimasto immobile, gli occhi spalancati e le mani ancora sui passanti degli shorts.
Nessuno gli aveva mai detto che era carino.
I suoi clienti, solitamente, gli affibbiavano aggettivi come sexy o scopabile e si riferivano sempre a Océan. Lui, Jaime, non aveva mai ricevuto quel genere di complimenti – non che ne sentisse la mancanza – e sentirsi dire una cosa del genere da uno sconosciuto, un suo cliente, lo aveva leggermente destabilizzato.
Scosse la testa, come a cacciare quei pensieri confusi, e diede una veloce occhiata all’orologio sul comodino: ormai era troppo tardi per tentare di prendersi un altro cliente, così decise di farsi una doccia; odiava l’odore di sesso e sudore che aveva addosso dopo un amplesso , lo faceva sentire sporco.
 
Nelle notte seguenti lui e Tajo ebbero altri incontri e, ogni volta, il ragazzo rimaneva in quella stanza sporca un po’ di più, a fumare una sigaretta o a raccontargli qualcosa della sua vita. Non era il primo cliente che faceva una cosa del genere.
Océan aveva sentito tantissime storie grazie al suo lavoro, ma non aveva mai capito perché si confidassero con degli sconosciuti. Quando aveva posto a Yana il quesito,  questa le aveva risposto, sorridendo lievemente “Vedi, Jaime, fra due persone che non si conoscono si instaura uno strano rapporto, l’intimità dello sconosciuto. Le persone parlano dei propri problemi con degli sconosciuti proprio perché sono tali e,quindi, oltre a non poterli giudicare, non si interessano dell’altro. Quelle confidenze sono uno sfogo, nulla di più. Col passare degli anni ti ricorderai solo delle storie più strane e non le assocerai più a dei volti.”
Grazie a quell’intimità tra sconosciuti, Jaime aveva scoperto che Tajo era di origini spagnole e aveva vissuto a Madrid fino ai nove anni; si era trasferito in America con la famiglia  dopo che il padre aveva perso il lavoro.
Faceva parte del clan Campbell, uno dei più famosi nella Slam City, che era in lotta con quello dei Murray. All’inizio la situazione sembrava gestibile, ma in quei giorni stava degenerando: presto si sarebbe scatenata una guerra fra bande.
-Mi dici il tuo nome?
Gli pose quella domanda all’improvviso, cambiando totalmente argomento e Jaime ci mise qualche istante a capirne il senso.
-Océan- rispose con tono indifferente.
Una risata riecheggiò nella sporca stanza.
-Intendo il tuo vero nome- specificò Tajo, un sorriso bastardo che gli dipingeva il viso.
E lui non sapeva se essere più arrabbiato o sorpreso: nessuno, in quei quattro anni di lavoro, gli aveva mai domandato la sua vera identità.
Per molti clienti lui era un buco e non avevano bisogno di un nome, vero o falso che fosse, per essere scopato.
-Hai pagato per avere Océan, non per la mia vera identità- rispose con tono gelido.
E Tajo, dall’occhiataccia infastidita che gli venne rivolta, capì che era meglio andarsene.
 
Tutto sommato, le prostitute del Rugiada venivano trattate bene dal loro padrone, Demetrius Huber. Ognuno aveva una propria stanza e, durante il giorno, potevano andare in giro per la Slam City, purché tornassero per il servizio serale. Avevano anche la cucina a loro disposizione, ma non potevano mangiare parecchi cibi, dato che dovevano mantenere un fisico magro e asciutto, in modo da essere più “appetibili” per i clienti.
Jaime, quella mattina, stava facendo colazione insieme a Micheal e Yana, discutendo, come spesso facevano, della notte appena trascorsa.
-Allora, ho notato che quel ragazzo del clan Campbell viene spesso da te- disse Storm con tono volutamente allusivo, mentre Jaime si limitava a scrollare le spalle, come se la cosa non gli importasse granché.
-Tajo Iglesias, i suoi genitori sono nel clan da parecchi anni- precisò Yana, che conosceva bene il capo del clan Campbell, Gordon, anche se Jaime non sapeva esattamente che rapporto ci fosse tra loro. Non era sicuro che fra i due ci fosse solo un rapporto di amicizia, dato che era  a conoscenza del fatto che Gordon, anni prima, aveva preso sotto la sua ala protettiva il figlio di Yana, Nikolaj, senza chiedere niente in cambio.
-È un cliente come un altro- si limitò a ribattere con tono indifferente, mentre sorseggiava il the -è solo un po’ strano.
Micheal gli lanciò un’occhiata incuriosita –Nel senso che ha gusti particolari?
-Fa domande inusuali. Ieri sera mi ha chiesto il nome.
L’altro ragazzo lo guardò sorpreso, sapeva che quando un cliente poneva quel genere di quesiti non era mai una cosa buona.
-Credi che sia innamorato di te?
Tutti sapevano che era pericoloso innamorarsi nella Slam City, tanto più se si era una prostituta. Non puoi amare e vendere il tuo corpo a sconosciuti contemporaneamente,  Jaime aveva sentito di molti suoi colleghi che si erano suicidati o venivano uccisi dal partner, in preda ad un attacco di forte gelosia, proprio a causa dell’amore.
Ma la risata di Yana interrupe le sue congetture.
-Conosco Tajo, Nikolaj mi parla spesso di lui. Non credo sia interessato a te in quel modo, è solo molto curioso ed estroverso.-  disse con tono rassicurante, come una madre che spiega qualche concetto difficile ai propri figli.
-Spero che tu abbia ragione- sussurrò Jaime, gli occhi blu che osservavano intensamente il the quasi finito.
-Beh, guarda il lato positivo- proruppe il suo collega –almeno Iglesias è un ventenne parecchio figo e non uno di quei cinquantenni frustati pieni di soldi che capitano di solito a me.
E, per qualche strano motivo, la smorfia disgustata che fece Micheal, fece ridacchiare Jaime.
 
I suoi passi rimbombavano nel lungo corridoio, il palazzo del clan Campbell era enorme. Il ricordo della prima volta in cui lo aveva attraversato era inciso nella sua mente. Rammentava ancora il passo incerto di sua madre e lo sguardo di suo padre, di un uomo che aveva perso ogni cosa e non sapeva come ricominciare.
Era iniziato tutto da quel momento, quell’istante in cui gli occhi dei suoi genitori avevano incontrato quelli scuri di un giovane Gordon.
Tajo aveva odiato quei momenti che lo avevano condannato a una vita fatta di denaro sporco, sangue e lotte. Lui era uno dei pochi che riusciva ancora a sognare nella Slam City. Se chiudeva gli occhi poteva vedersi mentre conduceva una vita onesta, frequentando un’università che gli avrebbe dato accesso a un lavoro rispettabile; qualcuno che, magari, lo aspettava a casa la sera, invece di un letto freddo e pieno di rimpianti.
Sapeva di essere un povero illuso, di non potersi permettere nemmeno di sfiorare con la punta delle dita quel genere di vita, che solo i benestanti della Tall City potevano permettersi. 
Non si abbandona o si tradisce mai il proprio clan, pena la morte.
Erano le regole non scritte di quella selvaggia giungla di cemento che era la Slam City.
Prese un profondo respiro prima di aprire la porta dell’ufficio di Gordon, che si ergeva infondo al corridoio, attraversarla significava solo due cose: morte certa o l’arrivo di un nuovo incarico.
La stanza era nella penombra, alle pareti c’erano le fotografie dei precedenti boss del clan e, infondo a essa, vi era Gordon, seduto su una poltrona in pelle dietro a una scrivania in mogano, dall’aspetto raffinato, probabilmente contraffatto.
-Mi hanno riferito che voleva vedermi, capo.
Gordon alzò lo sguardo su di lui, gli occhi scuri che sembravano scavargli l’anima.
Tajo aveva sempre avuto soggezione del suo boss, ma, al contempo, non lo terrorizzava o altro. Era una persona seria e ligia alla vita criminale, ma aveva anche una propria morale e, al contrario di molte persone, era riuscito a preservare un po’ di umanità.
L’uomo agitò il braccio robotico per fargli cenno di sedersi, per poi dirgli, con voce profonda e imperiale:- Ho un lavoro per te, riguarda un pacco che deve arrivare in città domani, alle quattro e venti del mattino. Te la consegnerà un corriere, che si fa chiamare George Smith - gli diede una cartella blu, Tajo gli diede una breve occhiata: vi erano scritti tutti i dati personali del corriere e il luogo d’incontro –temo che il clan Murray sappia di questo scambio, assicurati che il pacco arrivi sano e salvo alla base. Insieme a te ci sarà anche Boris. Tutto chiaro?
-Cosa contiene questo pacco?
Gordon ghignò –Ti basti sapere che potrebbe aiutarci a eliminare una volta per tutte quei bastardi dei Murray.
L’ispanico si limitò ad annuire, per poi andarsene.
Quella storia non gli piaceva per niente, ma gli ordini del boss andavano sempre rispettati.
 
 
-Oggi non scendi al pub, un cliente ti ha prenotato per tutta la notte.
Jaime rimase sorpreso da quelle parole, non succedeva spesso di essere prenotato. Il prezzo per i suoi servigi raddoppiava in quel caso.
Lanciò un’occhiata a Demetrius. Era un uomo sulla quarantina con i capelli rossi sempre pettinati all’indietro e gli occhi grigi che non lasciavano trapelare alcuna emozione. Indossava sempre degli abiti eleganti, che gli conferivano un’aria ancora più austera, quando veniva al locale.
Dopo sei anni di conoscenza, Jaime lo aveva etichettato come una persona avida, a cui interessava solo il denaro.
-Chi è?- chiese, una nota di curiosità gli tingeva la voce.
Huber si limitò a una scrollata di spalle:- Non ricordo il nome, so che appartiene al clan Campbell. Vedi di soddisfarlo.-
E con quell’ultimo avvertimento, simile a una minaccia, il proprietario del Rugiada se ne andò.
Appartiene al clan Campbell.
Sospirò, doveva trattarsi di Tajo Iglesias. Quel ragazzo lo preoccupava, era da settimane che, ogni notte, andava da lui.
Era davvero strano. Sapeva che ai clienti del Rugiada piaceva variare, più di una volta li aveva sentiti parlare al Meteor mentre facevano apprezzamenti sui suoi colleghi e confrontavano le loro esperienze.
Luridi animali, pensava  quando sentiva quei discorsi.
Ad essere onesti, non gli piaceva molto essere prenotato: doveva sopportare persone sgradevoli per ore, che lo toccavano da ogni parte e sussurravano parole sporche, facendolo sentire sudicio.
Mera merce con cui sfogarsi.
Si guardò allo specchio, sospirando: chissà cosa avrebbe pensato lui vedendolo in quello stato. Ne sarebbe rimasto disgustato?
Scosse la testa, non poteva permettersi di fare quel genere di pensieri in quel momento, e cominciò a truccarsi.
 
Tajo arrivò al locale relativamente presto, prima di mezzanotte, ritrovandosi Océan già pronto sul letto. Era sdraiato a pancia in su, con un braccio piegato dietro la testa e il lenzuolo a coprire il corpo nudo dai fianchi in giù. Gli occhi blu, contornati da un ombretto della stessa tonalità, erano socchiusi e lo osservavano, languidi.
Il ragazzo deglutì, sembrava un bellissimo quadro, quasi irreale.
Non poteva resistere di più, doveva farlo suo.
Salì sul letto, sovrastando l’altro con il suo corpo, che prese subito ad accarezzare e mordere.
Océan gemeva, ma non stava godendo davvero. Come avrebbe potuto? Quei tocchi, carezze e baci languidi non erano ciò che voleva.
Nonostante fossero anni che faceva quel lavoro, non poteva fare a meno di sentirsi, ogni volta, terribilmente sporco. Gli faceva venire la nausea sapere che quell’orrenda sensazione sarebbe permasa tutta la notte.
Così chiuse gli occhi, cercando di far finta che tutto fosse solo un lungo incubo.
 
Tajo si sdraiò sul letto, nudo ed esausto. Il sesso con Océan era sempre molto intenso, almeno per lui.
Si voltò verso l’altro ragazzo, che respirava ancora con affanno. I capelli scuri, così tanto da sembrare blu sotto la luce al neon, erano spettinati e il trucco, a causa della patina di sudore sul suo corpo, era leggermente colato; ma Tajo lo trovava bellissimo lo stesso.
Océan gli piaceva e non solo fisicamente, non ne era innamorato, ma lo intrigava quell’alone di mistero che lo avvolgeva. Gli sarebbe piaciuto conoscerlo meglio.
E forse era per quel motivo che lo aveva prenotato per tutta la notte con l’idea iniziale di avere un unico rapporto, come di consueto.
Era preoccupato per l’incarico che gli aveva affidato Gordon, se davvero i Murray sapevano di quell’incontro avrebbe potuto rimetterci la vita.
La Slam City era così: una continua lotta fra la vita e la morte.
E Tajo non voleva passare la  sua –probabile- ultima notte da solo, in un letto freddo. Forse era un pensiero un po’ romantico, ma lui, in fondo, era un sognatore.
-Dovresti andare a farti una doccia- la sua voce spezzò il silenzio creatosi, gli occhi verdi che indugiavano sulle cosce e sullo stomaco dell’altro, dove si vedevano chiazze di sperma.
-Perché mai mi dovrei pulire, se fra un po’ ricominciamo?- domandò Océan con voce maliziosa, avvicinandosi suadente al suo corpo, ma Tajo sapeva benissimo che faceva finta, l’aveva compreso da tempo. Aveva imparato qualche cosa, stando nel clan, come a capire se qualcuno mentiva.
-Cosa ti fa pensare che voglia ricominciare?- domandò, con un ghigno malizioso stampato sul viso. Océan gli rivolse un’occhiata fra il confuso e il sorpreso.
-Hai prenotato per tutta la notte- disse semplicemente, senza una particolare sfumatura nella voce.
-Ora voglio solo riposare- replicò Tajo, sdraiandosi comodamente sul materasso duro del letto.
Per un momento la maschera di Océan vacillò,-Non ti è piaciuto?- domandò confuso. Se Tajo si fosse lamentato del servizio, Huber l’avrebbe punito severamente.
Ma il ragazzo, al contrario di ciò che si aspettava, rise. E Jaime rimase fortemente colpito da quella risata così genuina e pura, in contrasto con tutto lo schifo che lo circondava.
-Tu sei stato fantastico come sempre- spiegò, guardandolo negli occhi -domani ho un incarico molto pericoloso da portare a termine. Questa potrebbe essere la mia ultima notte e non ho voglia di passarla da solo. Capito, dolcezza?
Jaime sorvolò sul nomignolo, riflettendo su ciò che gli era stato riferito, perplesso: Yana gli aveva descritto Iglesias come una persona estroversa, possibile che non avesse nessun amico? Insomma, chi passerebbe le sue possibili ultime ore di vita con una prostituta?
Il tocco di alcune dita sulla sua guancia, lo distrasse dai suoi pensieri. Non era una carezza languida, solo un semplice sfioramento, appena percettibile, ma lo faceva stare incredibilmente bene.
Che diamine gli stava succedendo?
-Va pure a farti una doccia e tirati via tutto quel trucco- gli disse Tajo, continuando a tenere le dita sulla sua guancia. Stava sorridendo.
Jaime si limitò ad annuire, per poi correre in bagno, trafelato.
 
Mentre udiva lo scrosciare dell’acqua, segno che Océan (quanto avrebbe voluto sapere il suo vero nome!) si stava facendo una doccia, Tajo diede uno sguardo alla camera in cui si trovava. Era piccola, ci stavano giusto un letto, una vecchia scrivania e un piccolo comò. Le pareti erano di un azzurro sporco, con l’intonaco screpolato in vari punti e macchie grigie. Sulla parente davanti al letto c’era uno specchio, il quale vetro era stato attaccato alla cornice in legno, dove vi erano attaccati alcuni post-it, con dello scoch, e una mensola, sopra la quale vi erano posata una tazza e dei… libri? Tajo si avvicinò incuriosito per poi scoprire che erano degli album da disegno. Ne prese uno, dalla copertina rossa, e lo sfogliò. Alcuni rappresentavano le strada trafficate della Slam City, altri paesaggi a lui sconosciuti, Parigi forse, dove erano rappresentati un enorme cattedrale gotica e un paesaggio notturno mozzafiato, con la torre Eiffel in primo piano.
Erano disegni bellissimi, fatti da una mano delicata e precisa, ma uno in particolare lo colpì. Un autoritratto probabilmente, di un Océan senza trucco e più bambino. Anche se nell’immagine sorrideva, gli mise addosso una grande tristezza.
Appena sentì il rumore dell’acqua cessare, si affrettò a rimettere l’album al suo posto e ristendersi sul letto, per qualche motivo, aveva intuito che a Océan non sarebbe piaciuto scoprire che aveva curiosato fra le sue cose.
Quando uscì dal bagno, con solo dei boxer scuri a coprirlo, Jaime trovò Tajo seduto sul suo letto, con i jeans addosso e gli occhi verdi puntati su di lui. Si sentiva a disagio davanti a uno sconosciuto, un suo cliente, senza trucco, la maschera di Océan che si era costruito con gli anni.
Cercò, comunque, di non dare a vedere il suo imbarazzo, andando con passo sicuro verso la sedia della scrivania, dove afferrò e indossò una semplicemente canottiera bianca, per poi sedersi sul letto, a una buona distanza da Tajo.
Non sapeva cosa fare, era la prima volta che un cliente gli diceva di averlo prenotato solo per dormire.
-Lo ribadisco, sei davvero più bello senza trucco- disse l’altro ragazzo, per poi sdraiarsi sul materasso, sorridendo quando vide l’altro trasalire.
-Sei teso, dovresti rilassarti un po’. Non mordo- continuò con tono scherzoso.
-Non sono nervoso- mentì Jaime utilizzando una voce incolore, ma capì dall’occhiata che l’altro gli rivolse, che non era stato creduto. In seguito si sdraiò anche lui il più lontano possibile dall’altro, anche se il letto era davvero piccolo, quindi sarebbe bastato allungarsi per toccarlo.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, con solo il rumore del traffico come sottofondo.
Poi, all’improvviso, Tajo parlò –Sii onesto, ti è mai piaciuto un solo rapporto che hai avuto con me?
Jaime spalancò gli occhi blu, sorpreso. Nessuno gli aveva mai fatto una domanda del genere prima d’ora.
Si mordicchiò il labbro, indeciso se rispondere o meno.
-No.
-Lo immaginavo, riesco a capire quando una persona finge, anche se è un ottimo attore come te- fece una pausa per poi ricominciare a parlare –Non pensi mai di cambiare vita?
Jaime sospirò –Ogni singolo giorno, ma ormai ho perso la speranza di andarmene.
Il suo debito con Huber, o meglio il prezzo con cui era stato comprato da lui, era troppo alto per essere risarcito nel giro di poco tempo. Forse sarebbe stato libero fra vent’anni, ma dopo cosa avrebbe fatto? Non aveva particolari abilità, se non quella di saper disegnare decentemente, ma l’arte era pressoché sconosciuta in quel luogo.
-La Slam City è così: si prende tutto, per poi lasciarti solo con i tuoi sogni.
 Tajo aveva parlato con una nostalgia e tristezza che quasi commosse Jaime, riconoscendosi in quell’affermazione.
Rimasero così, sdraiati su quello stretto letto a parlare, fino a quando il sonno non sopraggiunse. Poco prima di addormentarsi, Tajo allungò la mano sulla guancia di Jaime, sfiorandola con la punta delle dita.
-Me lo dici il tuo vero nome?- mormorò piano.
E il ragazzo, forse perché avvolto dall’inibizione del sonno, glielo sussurrò piano, quasi fosse un segreto.
-Jaime.
 
Tajo si svegliò all’alba, come programmato dalla sveglia, e ci mise qualche secondo a capire dov’era e soprattutto con chi.
Océan, o meglio Jaime, era profondamente addormentato, il viso rilassato a pochi centimetri dal suo. Avrebbe voluto allungarsi per baciarlo, ma sapeva di doversi preparare in fretta.
Così si rivestì e, prima di prendere le sue cose e andarsene, per qualche motivo a lui sconosciuto, si avvicinò al ragazzo per dargli un bacio sulla fronte pallida. Quando fece per allontanarsi sentì una mano ben salda afferrargli il polso.
Jaime era sveglio, ma i suoi occhi sembravano spenti, come se non fosse davvero lì.
E ciò che disse lo preoccupò ancora di più.
-Quando Smith darà le armi, stai attento a destra.
Ricadde addormentato subito dopo aver detto quella frase, come se niente fosse successo.
Tajo rimase qualche minuto a osservarlo, occhi e bocca spalancati. Poi se ne andò scuotendo la testa, convincendosi che si era trattato solo della sua immaginazione.
 
Boris Campbell era il secondo dei tre figli di Gordon. Aveva la pelle scura come suo padre e i capelli corvini; il simbolo del clan, un leone con una corona sulla testa, tatuato sulla spalla e una sigaretta sempre in bocca.
Aveva un carattere menefreghista e sarcastico, ma la sua dedizione al clan era enorme. D’altronde era cresciuto con i valori della vita criminale cuciti sulla pelle come i mille tatuaggi che aveva sul corpo.
Non era la prima volta che lavorava con Tajo Iglesias, non avevano un gran rapporto di amicizia, ma se la intendevano durante gli incarichi.
-Siamo quasi arrivati- annunciò.
Stavano andando al luogo dell’incontro con un fuoristrada non molto appariscente, una macchina veloce che, però, non dava troppo nell’occhio.
Tajo, dal sedile del passeggero, annuì. Durante il tragitto non c’erano stati pericoli, se non per un inseguimento quando erano ancora in centro città, brillantemente seminato prendendo alcune strade secondarie.
Forse la missione non era così difficile come credeva, ma gli sembrava strano che il clan Murray si fosse arreso solo dopo un mancato depistaggio.
E poi c’erano ancora le parole di Jaime che gli riecheggiavano nella mente.
Quando Smith  darà le armi, stai attento a destra.
Come faceva a sapere del suo incarico, se lui non gliene aveva parlato? E come faceva a conoscere il contenuto di quel pacco? Solamente Gordon ne era a conoscenza.
Sospirò pesantemente, dicendosi che se sarebbe sopravvissuto, avrebbe posto al diretto interessato quei quesiti. In quel momento doveva solamente pensare a far arrivare quel fottuto pacco alla base.
Guardò l’ambiente circostante, era fuori dal centro città, quasi verso la periferia, in una zona di edifici abbandonati.
Un luogo adatto per tentare un’imboscata.
I membri del clan Murray poteva benissimo nascondersi lì in mezzo, d’istinto strinse la pistola che aveva nella tasca del giubbotto. Era stata fatta con le nuove tecnologie, piccola e tascabile vantava, però, un lungo raggio d’azione. Gordon probabilmente l’aveva ottenuta con qualche scambio di droga con qualche pezzo grosso della Tall City.
L’auto si fermò e Tajo poté notare davanti a lui una moto con accanto un ragazzo, il viso celato da un casco, che teneva fra le mani una scatola chiara.
-Occhi aperti- lo avvertì Boris prima di uscire dall’auto, subito seguito da lui. Sarebbe stato il figlio di Gordon a effettuare lo scambio, mentre Tajo si sarebbe assicurato che non avvenissero incidenti, anche a costo della sua stessa vita.
Il corriere si tolse il casco, rivelando una matassa di capelli rosa e verdi, proprio come gli era stato fornito del rapporto che aveva letto il giorno prima. Si avvicinarono con passo sicuro, per poi fermarsi a un metro di distanza da George.
-È quello il pacco?- domandò Campbell, mentre Tajo si guardava attorno guardingo. Erano circondati da dei fabbricati.
Smith annuì, per poi tendere la mano –Prima i soldi.
Lo scambio stava avvenendo senza intoppi, quando, nell’istante in cui il corriere stava dando il pacco al collega, i suoi occhi andarono automaticamente a destra.
E lo vide, sul tetto di un palazzo: l’inconfondibile luccichio di un’arma.
E uno sparo riecheggiò per quelle vie abbandonate.
 

 
  
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