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Autore: hikaru90    18/08/2015    3 recensioni
Dal primo capitolo. "Perché anche se c'era qualcosa di autentico nella maniera in cui l'arciere scherzava con lei e con gli altri agenti e vendicatori, in alcuni momenti avvertiva un ombra nel suo sguardo che non sapeva mai come classificare"
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: Prima di lasciarvi alla fanfiction, è necessario che precisi giusto un paio di cosette.
Punto primo: la bozza di questa storia l’ho scritta all’inizio di quest’anno, quando “Age of Ultron” ancora doveva uscire. Quindi scordatevi la famigliola felice nella casa della prateria di Clint: qui non ci sono.
Punto secondo: ci sono molti riferimenti ai fumetti e a personaggi da essi provenienti, quindi se qualcosa non vi è chiaro potete chiedere. O potete cercare sul web, che fate prima.
Ah, dimenticavo: sebbene ho cercato di fare il possibile per rendere Natasha IC, non sono sicura di esserci riuscita. E’ un personaggio tremendamente sfaccettato, e ho molti dubbi su di lei.
Detto questo…Buona lettura!



Он сказал именно то, что хотел слушать его сердце, и что боялся его ум.
( Aveva detto proprio quello che il suo cuore voleva sentire e che la sua ragione temeva.)

- Lev Tolstoj (da “Anna Karenina”)




Capitolo uno
(Parte uno)




“Eccola la mia doppiogiochista preferita!”

“Quanto sei permaloso, Stark...”

“Scherzi? Era un complimento. E fossi in te l'accetterei. Non mi capita spesso di avere tali spasmi di bontà.”

La rossa simulò una faccia impressionata, per niente colpita delle parole dell'ex ragazzo-prodigio.
“Cosa vuoi?”


“Frena l'entusiasmo, agente; non è te che cerco, ma il caro Legolas. Mi aveva chiesto un favore l'ultima volta che ci siamo visti - un paio di settimane fa, mi pare? O erano tre? - e avevo bisogno di scambiare due parole prima di procedere con...bhè, segreto professionale. Ma dato che non lo vedo da allora, e dato che voi due siete così intimi, avevo pens-”

“L'agente Barton è in missione al momento”




Natasha chiuse rapida lo sportello della Corvette e volse il capo verso l'alto, assorta, poggiando la schiena sul fianco dell'auto e lasciando per un istante che i raggi del sole le carezzassero il viso e le ciocche ramate.
Sebbene non fosse del posto, Natasha aveva viaggiato nello Stato a stelle e strisce abbastanza da sapere che giornate soleggiate come quella erano attese come manna dal cielo dagli abitanti di Waverly.
Del resto l'Iowa non era esattamente la California. Non lo era per niente. Quindi carpe diem. Meglio approfittare della calura insperata prima che le nuvole tornassero a fare il loro corso naturale.

Lasciò l'auto alle proprie spalle e fissò con un sopracciglio alzato quella che Clint aveva sfacciatamente definito come “la versione vecchio stile della Stark Tower”.
Ora. Che il partner avesse una tendenza all'esagerazione nelle descrizioni di qualsivoglia cosa era fatto risaputo da tutto lo S.H.I.E.L.D. - Fury incluso. Ma paragonare quell'abitazione – modesta, vecchio stile e vagamente kitch- al grattacielo high tech dell'eccentrico vendicatore multimilionario di New York era troppo perfino per lui.

Certo, la casa era sufficientemente grande da poter ospitare, ad occhio e croce, una dozzina di persone, e il cortile esteso abbastanza da poter contenere un orto, ma il portico aveva un aria decisamente...decadente. Si vedeva che c'erano degli infissi da aggiustare. Il legno in alcuni punti si era quasi completamente consumato, e quei chiodi che avrebbero dovuto mantener su tutto erano arrugginiti chissà da quanto.
E sul serio, ci voleva del coraggio per paragonarla alla Stark Tower.
Eppure...

Natasha sospirò, non sapendo se la cosa più la rattristasse o la esasperasse.

Eppure...c'era qualcosa di profondamente sbagliato nella maniera in cui quella vecchia casa era stata lasciata andare a se stessa.
Sapeva benissimo che Clint avrebbe potuto metterla a nuovo, se solo avesse voluto. Le capacità per farlo ce l'aveva. Eccome se ce l'aveva.
Ma la volontà?
A suo dire, l'uomo si era limitato a mantenerla in piedi, quella vecchia casa di campagna. Quasi fosse sbagliato renderla più vivibile. Quasi fosse blasfemo apportarvi delle modifiche.

Perché?

Circumnavigò l'abitazione, in cerca di qualche indizio che le indicasse quale profondo legame ci fosse tra questa e l'arciere (e un legame c'era di sicuro, poteva metterci la mano sul fuoco), ma non vi trovò nulla di rilevante o che catturasse la sua attenzione, eccezion fatta per una serie di bottiglie di vetro ricolme di monete da piccolo taglio e messe in fila indiana vicino a quella che aveva tutta l'aria di essere la cantina della casa.
Non le avrebbe nemmeno notate se non avesse ricordato di aver visto una confezione simile nell'appartamento brooklyniano di cui il biondo agente era l'incasinato e disorganizzato proprietario da tempo immemore.

Tuttavia il legame tra queste ultime, quella casa e Clint ancora le sfuggiva.

Amareggiata dai risultati dell'infruttuosa ricerca, andò in cerca della sua ultima spiaggia: la buca della posta.
Quando finalmente la trovò – rovinata, scheggiata e parzialmente coperta dai frondosi rami di un cespuglio- e vi lesse il nome della famiglia sbiadito sul fronte, sgranò gli occhi e maledisse mentalmente se stessa. Perché avrebbe dovuto fare fin da subito i vari collegamenti.

D'altronde Clint non glielo aveva detto fin da subito che Waverly era la sua città natale?



“Oh! Adesso è 'l'agente Barton'. Capisco.”

“E
cosa esattamente avresti capito?”

“Oh, Romanoff!” fece Tony, sogghignando e mimando con una mano alla fronte finta esasperazione. “Perfino il nostro patriottico novantenne collegherebbe i punti disseminati qua e là e giungerebbe a capo del quesito.”

“Che sarebbe, di grazia? Stai tergiversando.”

“Che hai litigato con Clint, mi sembra ovvio! Ma tranquillizzati. I litigi danno dinamicità a una coppia. Se io e Pepper non bisticciassimo un giorno sì e l'altro pure, cosa credi che manterrebbe in piedi la nostra relaz-”

“Io e Clint
non siamo una coppia”

“Ah...no?”




Un suono sordo alle sue spalle la mise sull'attenti, costringendola ad interrompere le sue divagazioni e ad avanzare ai margini di un piccolo lastricato in pietra sul quale erano poggiate un paio di bici arrugginite, usando la postazione come nascondiglio improvvisato.
Aguzzando la vista, notò una distinta macchia grigia tra il verde della vegetazione circostante. Vi si avvicinò furtiva, lasciando che il suono orchestrale della fauna del posto mascherasse i suoi passi felpati, ma dopo pochi secondi si rilassò. E ghignò.
A una decina di metri dalla sua postazione, infatti, Clint Barton- ergo la macchia grigia- si ergeva in tutta la sua statuaria presenza, arco e frecce alle mani, al centro di quella che aveva tutta l'aria di essere un poligono di tiro.
Arrangiato alla bel e meglio, si capisce.
Quei sacchi di paglia che fungevano da bersagli non avevano l'aria molto professionale.
E nemmeno il suo ideatore, a dirla tutta.


Preso com'era dal suo allenamento, Natasha non ebbe cuore di attirare la sua attenzione, ma stette in silenzio ad osservare come ipnotizzata i muscoli dell'arciere tendersi sulla corda dell'arco e in un attimo rilassarsi, e i suoi occhi color tempesta, sempre pieni di vitalità nei momenti di relax, assumere una sfumatura più fredda a ogni scoccata.
Com'era diverso quell'uomo serio e assorto, dai movimenti secchi e calcolati, dalla maschera di briosità e giovialità che Clint si ostinava ad indossare nel quotidiano.

Era un uomo apparentemente semplice, ma anche intrinsecamente complesso.

Le vennero in mente le parole di Erasmo da Rotterdam che, nel suo “Elogio della Follia” definì la vita umana “nient'altro che una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella sua parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico” .
Mai come in quel momento Natasha poté constatare la veridicità di quella citazione.
Perché anche se c'era qualcosa di autentico nella maniera in cui l'arciere scherzava con lei e con gli altri agenti e vendicatori, in alcuni momenti avvertiva un ombra nel suo sguardo che non sapeva mai come classificare.
Non riusciva nemmeno a capire se poteva fidarsi di lui, in quei momenti.


Coinvolta nel seguire il filo dei suoi pensieri, palesò la propria presenza al proprietario della Stark Tower kitch – parole (quasi interamente) sue - solo al dodicesimo centro.

“Carina la tua <ì>torre” buttò giù sarcastica.
Clint si girò di lato, sorridendole bonario e rilassandosi completamente, evidentemente poco sorpreso dalla presenza della spia russa a pochi passi dal poligono.
La cosa non la meravigliò. D'altro canto non sei un agente dello S.H.I.E.L.D. se non mantieni i sensi all'erta ventiquattro ore su ventiquattro. E Clint era un agente di tutto rispetto, quindi con tutta probabilità si era accorto della sua presenza ancora prima che gli si avvicinasse. Non era per niente che lo chiamavano “Occhio di Falco”.

E poi lo sapeva che sarebbe arrivata. L'aveva telefonato due ore prima.

Le si avvicinò, arco alla spalla, e seppur il volto le suggeriva che avesse colto il sarcasmo con cui aveva calcato – neanche poco velatamente- le parole di poco prima, stranamente non le rispose a tono, come suo solito.
Gliene fu grata.

“Natasha.”

“Clint.”

Non c'erano bisogno di molte parole per capire che era contento di vederla. Il sorriso con cui l'aveva accolta parlava per lui.

“Ti credevo a Berlino in questi giorni. Quand'è che saresti tornata?”

“Stamattina” gli rispose laconica. Poi, facendo segno alla casa, continuò: ”Quindi è qui che ti nascondi quando non vuoi essere rintracciato da nessuno...”

“Bè, si. Sai com'è, per uno che ci tiene alla propria privacy, l'appartamento di Brooklyn ultimamente sta diventando fin troppo affollato per i miei gusti. E accessibile, soprattutto. Tutti sanno dove abito, ormai. Se adesso dovessi tornare per trovarmi M.O.D.O.K. e Kingpin discutere animatamente sulla modalità con cui farmi fuori all'ingresso dell'abitacolo, non ne sarei poi tanto sorpreso ”

“Oh. Clint Barton che tiene alla propria privacy.”

“Ne sei sorpresa?”

Natasha alzò le spalle. “Dipende. Qualcun altro sa dell'esistenza di questo posto?”

Scosse la testa con lentezza quasi studiata. “Solo io e te”

Lo guardò negli occhi, seria, la consapevolezza di trovarsi di fronte la casa in cui l'arciere aveva passato la sua infanzia a rendere incerta la maniera in cui continuare la conversazione. In passato le aveva detto che non aveva dei bei ricordi legati ai suoi primi dodici anni di vita. Non le aveva mai specificato il perché, ma mai come in quel momento desiderò saperne di più.

Distolse lo sguardo, facendo segno verso la vegetazione, decidendo all'ultimo minuto di cambiare argomento.

“Non vedo il cane. O almeno, se c'è, non credo di averlo visto”

“Non c'è, infatti” confermò Clint, grattandosi il collo con la mano destra per poi posare l'arco dentro un borsone scuro un po' logoro ma sul quale capeggiava il logo sbiadito dello S.H.I.E.L.D sul fronte. Regalo di Coulson, le confidò una volta. “Lucky l'ha preso Kate. O meglio, me l'ha sottratto Kate. Come se niente fosse. Mentre salvavo New York dall'ennesima minaccia. Insieme agli altri, ovvio. Da solo posso fare ben poco” Si avvicinò ai sacchi-bersaglio per togliere le frecce conficcatesi, per poi porle dentro il borsone. “Ah, quella ragazzina. Neanche la decenza di lasciare un post-it sul frigo, che cavolo! Il cane è mio, mica può prenderselo così.”

Sorrise. Kate Bishop era la protetta di Clint, e praticamente ne era la versione femminile, ricca, viziata, più giovane e meno – anche se di poco- incasinata. L'aveva incontrata solo un paio di volte, ma erano bastate per farsene un idea precisa.
Le era simpatica.

“Detto questo” continuò Clint, rizzandosi in piedi e mettendosi il borsone su una spalla “Cosa ti porta nella mia umile dimora? Al telefono sei stata piuttosto vag-”
Si bloccò, allarmato, quando vide un paio di fascicoli uscire fuori dalla borsa della super spia, facendo una faccia talmente buffa che Natasha dovette fare uno sforzo particolare per trattenere le risate.

“Ti prego, non dirmi che sei qui per le scartoffie...”

“...che avresti dovuto avere la decenza di compilare a completamento della tua missione a Toronto due settimane fà. Esatto Clint. Proprio quelle.”

“Ma io qualcosina come rapporto l'ho fatta...” asserì, poco convinto.

“Lo so, Clint. L'ho letto il tuo qualcosina. Ma credevi davvero che Maria potesse considerare passabile quella mezza pagina di descrizioni approssimative?”

“Ehi, non criticare la mia mezza paginetta! Ho sprecato parte del mio preziosissimo tempo per scriverla...e poi, anche se per poco, ha avuto la mia più totale e completa attenzione”

Natasha ora una mezza risata non se la fece proprio sfuggire.
“Ah sì? E sentiamo, esattamente quanto del tuo preziosissimo tempo ci avresti dedicato?”

Clint temporeggiò, borbottando qualcosa di incomprensibile, dopodiché guardò prima lei, poi i fascicoli, poi di nuovo lei e, rassegnato, fece giù con le spalle, come a rendere evidente la sua già più che palese colpevolezza.

“Quindici minuti?”

Natasha alzò gli occhi al cielo, esasperata.
Certe volte quell'uomo era un caso perso.

“Sai, se solo applicassi nelle faccende burocratiche lo stesso impegno che usi in missione, saresti il nostro agente di punta”

“Nah, non punto alla perfezione. Per quella basti tu” puntualizzò, strizzandole l'occhio. Poi la guardò speranzoso “Mi aiuterai, vero?”

“Clint, onestamente, dopo tre anni che lavoriamo fianco a fianco, credi davvero che poteva sfuggirmi il fatto che le relazioni tu proprio non sai farle?” “Bhè, alla Hill è sfuggito”

“Ma io non sono la Hill”

La ispezionò dal basso verso l’alto prima di avviarsi verso l’abitazione.
“No. Decisamente no.”



  
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