Film > The Avengers
Ricorda la storia  |       
Autore: Hermione Weasley    18/08/2015    7 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: questa storia nasce perché mi sono ritrovata a leggere un po' troppi libri ambientati in quest'epoca (il 1700) e Age of Ultron stava ancora per uscire e io mi disperavo a pensare a Clint e Natasha. Il mostro che ne è venuto fuori è questo :P il periodo non è specifico, così come non ho specificato il luogo in cui si svolge, né mi sono eccessivamente preoccupata dell'accuratezza storica (salvo sfondoni troppo eccessivi). Mi piaceva darle il tono della favola; se ci sono riuscita o meno non lo so, ma l'idea era quella.
I personaggi si ispirano sia ai film che ai fumetti (per Clint quello di Matt Fraction, per Natasha quello di Nathan Edmondson); alcuni dei personaggi che esistono solo nei fumetti compariranno anche qua. I Vendicatori faranno tutti un'apparizione, ma rimarranno personaggi decisamente secondari. Lo stesso vale per quelli di Agents of Shield di cui mi sono servita qua e là (tranne Skye perché me la sono dimenticata. Scusa Skye mi stai anche simpatica XD). Non ho messo il crossover perché rimarranno personaggi secondari per tutta la storia.
La storia avrà 30 capitoli ed è già stata tutta scritta. Il POV sarà quasi sempre quello di Clint, ma non il solo.  Come al solito tutte le volte che scrivo una long fic mi vengono gli attacchi di logorrea e con questa in particolare me la sono presa abbastanza con calma: è sì di avventura ma anche (spesso e volentieri) introspettiva. Lo stesso vale per la coppia principale (Clint/Natasha) che è decisamente slow-building. Mi scuso in anticipo per la frustrazione.
Dovuti ringraziamenti alla socia-beta Eli :*
Ora che ho delirato per un papiro intero, direi che posso tacere.
Buona lettura!

Disclaimer: nessuno dei personaggi mi appartiene ma sono proprietà Disney/Marvel. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. La trama è frutto della mia fantasia.


Senza rumore

 

Il vero inferno è una cosa senza rumore. Esso non delira o infuria, non è una bestia feroce, ma un che, un qualcuno di sordido e molle che s'insinua in noi, quando con noi non nasce, e a poco a poco riempie tutte le nostre cavità, fino a soffocarci. Esso è fatto di giorni inerti (chimicamente parlando), d'infedeltà a noi stessi, di continui cedimenti. E dico che quest'unico, verace suo volto e del male ci vegliò quando le nostre speranze furono peccaminosamente stanche.

(Tommaso Landolfi – LA BIERE DU PECHEUR)

 

 

Capitolo 1

~

 

 

La polvere si alzava in dense e spesse nuvole al ritmo degli zoccoli che battevano sul viale sterrato come tamburi.

Davanti a lui la villa ad ergersi placida e serena sulla collina; tutt'intorno i campi come un'enorme coperta patchwork dalle toppe gialle, verdi, rosse, marroni, punteggiata qua e là dai lenti movimenti dei contadini sotto il sole di maggio.

Alle sue spalle Kate, la figlia di sir Derek, gli teneva dietro con foga, i capelli scuri sferzati dal vento, gli occhi semichiusi per via della polvere, il suo destriero lucido di sudore per la fatica.

“Sembra che qualcuno sia in difficoltà!” Le gridò dietro, ottenendo di farsi lanciare un'occhiata furente che non soddisfece affatto le sue manie masochistiche. “Lady Bishop,” aggiunse, alzando la voce per farsi sentire al di sopra del folle tumulto generato dalla corsa.

“Sei un pezzente, sir Barton!” Spronò il suo cavallo, riuscendo ad accorciare le distanze. Solo quando gli fu praticamente di fianco – sicura di non essere sul punto di ingollare l'ennesimo boccone di polvere – si decise a rivolgergli di nuovo la parola. “Uno stronzo, volevo dire,” puntualizzò.

Clint scoppiò a ridere.

“Hai paura che i contadini di lord Phillip ti sentano?” La prese in giro.

“L'ultima volta che uno dei tuoi tirapiedi è andato a parlare con mio padre sono stata costretta a prendere lezioni di canto!” Esclamò furibonda nel tentativo di giustificarsi, ma riuscì solo a farlo divertire di più. “Smettila!” Lo minacciò.

“Non sto ridendo!” Mentì spudoratamente. “E comunque quelli non sono i miei tirapiedi,” ci tenne a precisare, tirando bruscamente le redini per far rallentare la sua cavalcatura, l'aria impercettibilmente più seria.

Kate fece altrettanto, riducendo il galoppo del cavallo quasi del tutto. Anche lei aveva smorzato la stizza, sostituita adesso da un timido accenno di solidarietà.

“Lo saranno non appena ti deciderai a sposare la nipote di lord Phillip,” non poté fare a meno di ricordargli. Non che ci fosse la benché minima possibilità di dimenticarsene: la famiglia acquisita, gli amici, persino la servitù non mancava mai di farglielo presente.

Dopotutto che stava aspettando? lord Phillip aveva una nipote bella seppur cagionevole di salute, orfana dei genitori e attualmente in possesso di una magra dote che non le avrebbe consentito alcun matrimonio vantaggioso. lord Phillip gli voleva bene: da quando era arrivato a villa Coulson si era impegnato a farlo sentire parte della famiglia, affezionandoglisi a tal punto da volergli assicurare un'eredità, un posto sicuro nel suo albero genealogico. Sposare la nipote caduta in disgrazia avrebbe concesso alla giovane di non finire i suoi malattici giorni da zitella, e a lui di entrare a pieno diritto nei frondosi rami della famiglia Coulson.

“Non guardarmi così,” Kate aveva ripreso a parlare, il tono di voce un poco addolcito. “Lo so che non vuoi sposarla.”

Se c'era una cosa che Clint detestava era essere un ingrato: lord Phillip l'aveva accolto quando non aveva più niente, quando la ruvida corda della forca stava per attorcigliarglisi al collo una volta per tutte. I suoi veri genitori erano morti tanto tempo prima: il volto tagliente e scontroso del padre, quello delicato e distratto della madre... erano anni che faticava a riportarli alla memoria. Fantasmi, oramai. Niente di più.

La notte dell'incendio, poi, era arrivata a separarlo dal fratello: pensava a Barney ogni sera prima di addormentarsi, chiedendosi dove fosse, cosa stesse facendo, se fosse ancora vivo, se lo odiasse. Che aveva fatto per meritarsi la benevolenza di lord Phillip? Di quell'ometto basso, dalla corporatura apparentemente minuta, la voce pacata e un perenne sorriso comprensivo stampato sul volto...

Era famoso in tutto il regno per la sfegatata passione che nutriva per i casi senza speranza: aveva sposato lady Melinda, una popolana proveniente dall'estremo Oriente, contro ogni buon senso, aveva sfidato le convenzioni quando aveva deciso di adottare Antoine, il figlio di un eroe di guerra dalla pelle scura come la terra appena arata; aveva accolto la nipote che dicevano essere matta per la sua propensione alle scienze naturali, un'inclinazione assolutamente disdicevole per un uomo, figuriamoci per una donna!

E poi c'era Clint. Un orfano, un delinquente, un vandalo. Questo si diceva di lui al villaggio: nessuno aveva il coraggio di dirglielo in faccia, ma come avrebbe potuto ignorare le occhiate che gli lanciavano tutte le volte che attraversava la via principale? Lo vedevano come uno spostato, uno come loro che era riuscito ad elevarsi grazie ad un semplice colpo di fortuna e che adesso, per di più, sputava nel piatto che Dio gli aveva straordinariamente concesso, il tutto perché la signorina Simmons non era di suo gradimento. Certo, c'era una consistente possibilità che fosse completamente pazza, ma la sua follia non era un valido motivo per rifiutarsi alle richieste di lord Phillip. Matta lei, allora, e soprattutto matto lui.

Col senso di colpa aveva imparato a conviverci – per aver abbandonato il fratello, per essersi visto capitare una tale benedizione tra capo e collo, per non aver alcuna voglia di sposare lady Simmons... una persona per bene avrebbe accettato immediatamente quella succulenta offerta. Ma non lui. Non ci era riuscito. E adesso quell'angolo di mondo cominciava ad andargli stretto, a soffocarlo poco a poco. Si sentiva come i volatili impagliati nelle loro teche polverose abbandonate in soffitta, dove amava rifugiarsi, lontano dagli sguardi della famiglia, dei domestici. Aveva ventisette anni e una gran voglia di essere... libero.

“Clint.”

La mano di Kate che si posava sul suo braccio lo fece trasalire. La ragazza gli stava rivolgendo un mezzo sorriso dall'aria desolata e allora il senso di colpa tornò a farsi sentire. Che diritto aveva di lamentarsi? lord Phillip l'aveva salvato da una vita abietta e misera, si stava attivamente impegnando per renderlo parte della famiglia, per esortarlo a non emarginarsi come era solito fare. E adesso si stava facendo consolare da Kate, la primogenita di un ricco possidente come sir Derek che da mesi sondava i terreni della nobiltà del regno per venderla al miglior offerente. Donna e per questo doppiamente schiava delle convenzioni e delle regole che determinavano il corso delle loro vite. Non ci sarebbe stata protesta sufficientemente convincente, atto abbastanza persuasivo... niente l'avrebbe svincolata dalla decisioni che il padre avrebbe preso per lei. Era solo questione di tempo. Prima dell'anno nuovo sarebbe diventata la sposa di qualcuno, sarebbe stata spedita chissà dove in giro per il regno ad ingrassare e fare figli, ad intristirsi al fianco di un uomo che neppure conosceva, tutto perché era la cosa giusta da fare. Provò un irrefrenabile bisogno di proteggerla, di strapparla da quell'orrenda prospettiva, trovare il modo di farle avere la vita che voleva così come un fratello maggiore avrebbe fatto con la sorella più piccola.

“Dovremmo fuggire,” le disse molto seriamente, dando voce ad un proposito che gli aleggiava nella testa, informe e sbiadito, ormai da tempo.

“Fuggire dove?” Si mise a ridere, una risata amara e priva di alcun divertimento.

“Lontano da qui.”

Kate gli scoccò un'occhiata strana, linee di polvere e sudore ad incorniciarle il viso, i capelli corvini spettinati, dispettosamente sfuggiti ad un'acconciatura che aveva visto giorni migliori.

Non distolse lo sguardo e gli sembrò sul punto di rispondere... ma il rumore di una carrozza che procedeva pigramente nella loro direzione distrasse entrambi dai loro propositi.

Clint ne riconobbe il cocchiere mentre Kate costringeva il cavallo a fare dietrofront.

“Non metterti nei guai,” si raccomandò prima di lanciare il destriero in una folla corsa, lontana da occhi indiscreti e chiacchiere che non avrebbero fatto altro che aggravare la sua già precaria situazione.

Restò immobile a guardarla sparire in fondo al viale in una nuvola bianchissima, proprio mentre la vettura che portava lo sbiadito stemma dei Coulson gli si fermava di fianco.

Antoine cacciò fuori la testa dal finestrino, i denti bianchissimi sfoderati in un largo sorriso.

“Ehi eremita,” esordì, “sembra che lady Bishop avesse fretta di andarsene.” Lanciò una rapida occhiata nella direzione in cui Kate era scomparsa, dopodiché gli si rivolse con uno sguardo esplicito e divertito insieme, come di chi ha appena colto qualcuno con le mani nel sacco.

“Sta' zitto,” lo rimbrottò prontamente, accennando a spronare la sua cavalcatura in direzione della villa per lasciarseli definitivamente alle spalle.

“E andiamo, lo sai che sto scherzando,” si affrettò l'altro. Era bello come il sole, Antoine, sempre allegro e con una buona parola per tutti.

“Perché non sali?” L'occhialetto di Leopold, il cui volto magro era appena comparso accanto a quello del cugino, brillò alla luce del sole. “Abbiamo importanti novità,” decretò solennemente, la Bibbia rilegata in pelle perennemente stretta tra le mani bianche e ossute (ma tutti sapevano che erano riempite di formule, numeri e simboli che con la religione – a cui la famiglia l'aveva destinato – non avevano niente a che fare).

“Devo riportarla alla stalla,” si giustificò Clint, alludendo al cavallo.

“Può pensarci il figlio di Marvin,” rispose semplicemente Antoine. Batté una mano sullo stipite della portiera e il ragazzino che sedeva accanto al cocchiere scese repentinamente a terra, accostandosi a Clint in attesa di ulteriori istruzioni. “Adesso non hai più nessuna scusa,” gli fece notare, sancendo definitivamente la sua sconfitta.

Smontò da cavallo e ne affidò le cure al giovanotto che gli stava rivolgendo il suo sorriso sdentato e gioviale. La portiera della carrozza si aprì un attimo dopo e Leopold scivolò sul fondo del sedile per fargli spazio.

Solo allora si accorse che anche Grant faceva loro compagnia, serio e taciturno come sempre, i tratti irrigiditi dall'onnipresente disprezzo che pareva provare un po' per tutti, senza esclusione di sorta.

“Quale sarebbe questa importante novità?” Si decise a chiedere dopo che la carrozza aveva ripreso la sua barcollante ascesa verso la villa.

Si creò un gravido silenzio carico d'aspettativa finché Leopold non decise di prendere l'iniziativa e dissipare ogni dubbio.

“Il capitano Rogers verrà a farci visita con tutto il suo reggimento,” dichiarò, neanche stesse pronunciando una di quelle solenni formule latine che il precettore gli aveva martellato nel cervello in tanti anni di studio.

Clint lo guardò dapprima confuso e poi improvvisamente divertito. Scoppiarono tutti e tre a ridere un attimo dopo, fatta eccezione per Grant che si ostinava a guardare fuori dal finestrino con l'aria di chi non ha la benché minima voglia di fare conversazione.

“Immagino che lord Phillip sia in fibrillazione.” La cotta colossale che lord Phillip nutriva per il più famoso capitano dell'esercito del regno era diventata praticamente leggendaria. C'era stata una visita precedente, svariati anni prima, e Clint ricordava ancora con incredulità i modi e i riguardi che il suo protettore aveva avuto per il militare. Era stato esilarante.

“Come fai a sapere che cos'è la fibrillazione?” Inquisì Leopold, spingendosi l'occhialetto sul dorso del naso. Antoine lo zittì con un cenno della mano.

“Siccome la visita coincide con la festa del patrono del villaggio, ci sarà una grande celebrazione. Canti, balli, giocolieri, saltimbanchi, vino, ragazze...”

Grant parve riprendersi dal suo stizzito torpore per scoccar loro un'occhiata carica di disappunto; evitò tuttavia di esprimersi.

“Magari puoi esibirti con quel tuo arco,” riprese Antoine, ignorando l'indisponenza del fratello.

“Non credo importi a nessuno di quel che so fare con il mio ar-”

“Stai scherzando? Se non stai attento ti accuseranno di stregoneria!” Esclamò Leopold ammirato, perché nelle arti della guerra e in tutto ciò che aveva a che fare con la prestanza fisica, era terribilmente negato.

“Stregoneria?” Gli venne da ridere, anche se – data l'ottusità generale e l'antipatia che provavano nei suoi confronti – la prospettiva non era poi così improbabile.

“Non dite sciocchezze.” La voce imperiosa e annoiata di Grant interruppe la conversazione, facendo calare il gelo nello stretto abitacolo dai velluti lisi e scoloriti.

Clint non gli prestò minimamente attenzione: aveva imparato ad ignorare le sue provocazioni, a farsi scivolare addosso il suo disprezzo come pioggia d'estate.

“A proposito di stregoneria,” intervenne Antoine, “dicono sia arrivata una strega in paese.”

“Dove?” Domandò Leopold, improvvisamente interessato.

“Da qualche parte nel bosco,” si strinse nelle spalle, “Bert ne parlava col fabbro stamattina.”

Fantastico, adesso davano credito a quello che il macellaio ubriacone andava dicendo in giro per il villaggio?

“Pare abbia comprato la casa del tagliaboschi,” aggiunse.

“E perché dovrebbe trattarsi di una strega?” Clint non riuscì a trattenersi dal chiedere.

“Dicono sia la donna più brutta che abbia mai messo piede su questa terra...”

“Il che la rende una fattucchiera?” Obiettò scetticamente.

“... in più vive da sola, nel bel mezzo del bosco. Nessuna donna per bene vive in solitudine e in un posto tanto isolato se non ha qualcosa da nascondere,” argomentò Antoine.

“Non è stata una scelta saggia,” convenne Leopold.

Clint, stavolta, non ebbe di che rispondere. Era vero che dopo l'editto del governatore che aveva portato l'Inquisizione in tutto il regno, la vita per gli emarginati e solitari si era fatta più complicata. Bastava essere guardati storti un paio di volte, non rientrare perfettamente in uno qualsiasi dei ruoli accettati dalla comunità, e si finiva per essere considerati come dei veri e propri reietti. A quel punto non ci voleva granché perché la superstizione popolare facesse il resto: le donne sole erano tutte streghe, i mentecatti erano degli stregoni, gli stranieri degli eretici e tutti quanti, nessuno escluso, avrebbero meritato l'abbraccio cocente del rogo se non fossero stati attenti.

“Magari viene da una delle terre vicine,” una di quelle vessate dalla guerra ormai da svariate decadi. Non sarebbe stata la prima e neppure l'ultima. Le ricordava ancora, le lente carovane di sfollati che avevano attraversato il villaggio in lenta processione ormai anni prima. La legge era intervenuta a ristabilire l'ordine, e adesso i clandestini venivano trattati al pari dei traditori: la testa su un ciocco di legno imbevuto di sangue rappreso, un taglio netto e tanti saluti.

“Non ha importanza,” decretò duramente Grant mentre una buca del viale dette uno scossone alla carrozza. “Dovreste smetterla di parlare di cose che non vi competono.”

Approfittò della brusca sosta per aprire la portiera e scendere con una mossa atletica e fluida. La richiuse con un violento tonfo e proseguì a piedi, le rifiniture d'oro della divisa d'ufficiale che brillavano sotto il sole primaverile.

“Che razza di problema ha...” biascicò Clint.

“Solo uno?” Lo corresse Antoine, beccandosi un'occhiata impallidita da parte di Leopold.

Parlare male del primogenito di lord Phillip, figlio naturale della sua prima moglie – pace all'anima sua – era severamente vietato: era viscido e imprevedibile. Il padre aveva inutilmente tentato di smussare gli angoli più appuntiti della sua personalità, ma tra il risentimento per quella villa riempitasi di derelitti e individui bizzarri, e la consapevolezza che la sua eredità era in grave pericolo, tutti i suoi sforzi erano stati inutili. Anzi, Clint era convinto che ognuna delle manovre di avvicinamento di lord Phillip non aveva fatto altro che spingere Grant in un isolamento ancora più forzato.

La carrozza si arrestò con un leggero contraccolpo proprio davanti alla doppia scalinata che conduceva al portone della villa. Era una grande casa giallognola tempestata di finestre – alcune vere, altre finte – i fantasmi di quelle che erano state ricche pitture ad aleggiare sulla facciata; sul tetto, la parte della casa che Clint preferiva in assoluto, facevano bella mostra di sé statue allegoriche che in passato dovevano aver rappresentato le Sette Virtù, ma che adesso reggevano l'anima coi denti, esposte com'erano ai morsi del vento, della pioggia, del tempo.

Jasper, il maggiordomo, comparve nel riquadro scuro della porta, sistemandosi alla meno peggio la parrucca grigia che poggiava sbilenca sulle sue calvizie precoci, segno evidente che doveva essersi addormentato durante uno dei tanti tempi morti che punteggiavano la giornata di villa Coulson.

Scese per ultimo, restando ad osservare Antoine che saliva agilmente i gradini a due a due, e poi Leopold che invece arrancava nella sue vesti nere di futuro prelato; di Grant neppure l'ombra.

Alzò lo sguardo come per istinto: la netta sensazione di essere osservato si concretizzò come un vago prurito alla base della nuca.

Il volto pallido e smunto di lady Jemma scomparve tanto fugacemente quanto era comparso, dietro le tende damascate del salotto blu, al primo piano.

Indietreggiò di un passo senza neppure accorgersene. Ignorando i richiami del povero Jasper che lo invitava ad andare a darsi una pulita in vista della cena, decise che – dopotutto – quella del suo arco e delle sue frecce era l'unica compagnia di cui aveva attualmente bisogno.

 

***

 

Il ramo cigolò sotto il suo peso, ma non si spezzò, limitandosi ad oscillare pericolosamente. Davanti a lui si estendeva un intricato labirinto fatto di fronde e tronchi più o meno resistenti; in basso, invece, il bosco deserto e silenzioso.

Era una giornata nuvolosa che prometteva pioggia di lì a breve: sapeva benissimo che sarebbe stato meglio non lasciarsi sorprendere dal temporale in mezzo a tutte quelle sterpaglie (Leopold aveva tenuto una lezione, svariati mesi prima, per convincerli che un comportamento tanto ingenuo li avrebbe condotti a morte certa).

Ma la curiosità aveva avuto la meglio: si era addormentato e svegliato col pensiero fisso e incomprensibile di quella vecchia orrenda di cui Antoine gli aveva parlato il pomeriggio prima. Non che morisse dalla voglia di avere a che fare con la donna più brutta del mondo, eppure l'immagine che se n'era dato l'aveva perseguitato. Forse aveva bisogno di distrarsi con qualcosa che non avesse a che fare col matrimonio incipiente e col senso di colpa che ne conseguiva; oppure dipendeva dallo slancio di solidarietà che provava nei confronti di chi gli appariva emarginato e solitario come lui. Uno di quegli stravaganti che non trovavano alcun posto nella comunità, che se non decidevano di adattarsi in qualche modo, di mimetizzarsi tra la folla, ne venivano espulsi, ostracizzati.

Si sentiva così anche lui, dopotutto. Nonostante la benevolenza di lord Phillip, nonostante lo squallido sfarzo di cui l'aveva circondato, Clint non si era mai sentito realmente a casa a villa Coulson. La colpa e il peso del debito che sapeva di portarsi appresso gliel'avevano impedito.

Aveva passato la sera in compagnia dei gufi, delle pernici, dell'aquila impagliati che fissavano i loro occhietti di vetro oltre le teche in cui un collezionista morto da anni – secoli? – li aveva rinchiusi, prima che non arrivasse qualcuno a decidere che erano troppo inquietanti e scabrosi per essere mostrati nello studio di lord Phillip, e quindi trasportati in soffitta, dove erano stati dimenticati.

Il falco pellegrino era quello che catalizzava ogni volta la sua attenzione: il becco leggermente dischiuso in un grido soffocato per sempre, la promessa di un'accusa che non si sarebbe mai concretizzata. Lo sentiva affine: indignato per la sorte che gli era capitata, eppure costretto ad una sorta di cieca ubbidienza che gli aveva tarpato le ali una volta per tutte. L'avevano reputato un ottimo esemplare, l'avevano svuotato dal di dentro e l'avevano messo in esposizione: un magnifico guscio vuoto da cui si era cercato di cancellare l'olezzo di morte con chissà quale sostanza chimica dall'odore altrettanto nauseabondo. Erano famosi per la loro vista acuta, i falchi: gli occhi gli erano stati strappati e sostituiti con due biglie che avrebbero resistito allo scorrere del tempo, che non si sarebbero decomposte insieme a tutto il resto.

La teca era come villa Coulson, e lui era come quel falco, perennemente bloccato in un atto di ribellione che non avrebbe mai avuto il coraggio di compiere.

Passi leggeri e a malapena udibili lo riportarono all'attenzione: qualcuno stava arrivando. Clint si orientò in pochi secondi: quella che era stata la casa del tagliaboschi si trovava a qualche centinaio di metri alla sua destra, mentre alla sua sinistra – oltre la radura che tagliava in due il tetto di vegetazione – si trovava il vecchio pozzo che nessuno utilizzava più da quando si era diffusa la credenza che fosse stato infettato con la peste bubbonica, ormai più di duecento anni prima. La leggenda di Benedict, il ciabattino trovato morto ricoperto di piaghe proprio nei pressi della fonte d'acqua, faceva parte dello striminzito bagaglio d'esperienza che genitori premurosi si assicuravano di procurare ai figli appena nati. Leopold aveva avanzato la possibilità di smascherare quella convinzione come la stupida superstizione che era durante uno dei suoi sermoni, ma lady Melinda l'aveva convinto a desistere onde evitare di incorrere in inutili grattacapi.

Abbandonò la quercia su cui aveva preso posizione, avanzando d'albero in albero finché non ebbe trovato un punto d'osservazione migliore.

Quei passi leggeri e cauti appartenevano ad una donna dai lunghi capelli biondi coperti solo parzialmente da un fazzoletto nero. La luce grigiastra del sole che filtrava dalla coltre del fogliame sortiva uno strano effetto su quelle ciocche color del grano. Stava trasportando due pesanti secchi d'acqua, senza dubbio tirati su dal vecchio pozzo, ma non aveva l'aria di essere particolarmente affaticata. Braccia giovani e pallide fuoriuscivano dalle maniche voluminose e tirate su di una camicetta bianca, stretta da un corpetto marrone allacciato sulla schiena. La gonna scura le lasciava scoperti i piedi scalzi, permettendole di avanzare silenziosa e guardinga come un gatto.

Forse la bruttissima vecchia delle storie del macellaio aveva una figlia; forse non era poi così sola come avevano inizialmente supposto. D'altro canto, non sembrava neppure una morta di fame: ci volevano forze ed energie in quantità per sostenere un peso del genere con tanta disinvoltura.

La seguì silenziosamente, mimando i suoi spostamenti al suolo, con altrettanti tra gli alberi, tallonandola fino alla casa del tagliaboschi.

Rimase appollaiato su uno dei rami più resistenti, studiando le mosse della giovane.

Quale che fosse la ragione del suo trasferimento, sembrava avere tutta l'intenzione di farlo in pianta stabile. La porta sgangherata era stata rimessa a nuovo, nuove tele chiudevano le uniche due finestre della facciata, mentre le altre due – sul lato opposto – erano state inchiodate con pannelli di legno grezzo.

Il piccolo orticello che fiancheggiava la costruzione era stato sistemato e riseminato: minuscoli ciuffetti verdi affioravano timidamente dalla terra umida.

La vide aprire la porta e sparire oltre l'ingresso con i secchi d'acqua. Passò un minuto buono prima che ricomparisse da una delle finestre, dandogli la prima vera occasione di guardarla in faccia. Si stava giusto chiedendo se l'avrebbe vista morire di peste bubbonica, come temevano i beninformati del villaggio, quando la ragazza alzò il viso nella sua direzione.

La paura di essere scoperto (impossibile! Era stato attento ad assicurarsi di avere sufficiente copertura tra le fronde dell'albero che lo ospitava) venne rapidamente sostituita da una strana sensazione cui non avrebbe saputo dare un nome.

Furono gli occhi a monopolizzare la sua attenzione, verdi e apparentemente calmi, eppure accesi di una luce strana, inquietante; erano incorniciati da sopracciglia delicate e rossicce, dalla pelle pallida della fronte e delle guance. E poi c'erano le labbra, rosse e carnose. Erano quelle, insieme allo sguardo, a cozzare bruscamente con il suo aspetto altrimenti angelico. Gli ricordava uno di quegli affreschi rosicchiati dall'usura del tempo che si affacciavano dai soffitti della villa; una dea nuda fatta di curve gentili e burrose, della stessa sostanza delle nuvole che ne avvolgevano le nudità per far sì che non ci fosse niente di scabroso a sconvolgere le povere, pudiche fanciulle non maritate della casa.

Gli occhi, però, gli facevano venire in mente uno di quei temporali terribili che spazzano la terra con la furia del vento, la vessazione della pioggia, che appiccano incendi pronti ad ingoiarsi interi villaggi. Come se gli stessero promettendo una rapida, orrenda punizione. La vendetta per un crimine che ancora non sapeva di aver commesso, ma di cui si sentiva ugualmente colpevole.

Le labbra, invece, oh... quelle gli mettevano addosso un'idea di perdizione completamente diversa, quella fatta di membra ansanti, pelle sudata e bocche che sanno di vino.

Si ritrovò a deglutire malamente e a trattenere il fiato, non tanto per la paura di essere scoperto, ma per la reazione inaspettata che la sconosciuta gli aveva provocato.

Il volto di Barbara gli si palesò davanti agli occhi, spregiudicata e bellissima; vedova e orfana e quindi padrona di se stessa, più libera di tante altre. Rivederla in piedi tra gli scaffali polverosi della piccola biblioteca di paese di cui aveva ereditato la gestione dal defunto padre, gli scatenava addosso un'urgenza calda e familiare, una che sapeva di poter soddisfare ogni volta che l'avessero voluto... bastava stare attenti a non farsi scoprire.

Ma quello che la sconosciuta riusciva a suscitargli non aveva niente a che vedere con Bobbi... era una sensazione nuova che gli metteva addosso terrore, curiosità ed eccitazione tutte insieme.

La ragazza dirottò lo sguardo altrove, lontano dal suo nascondiglio, un attimo prima di sparire oltre il davanzale, inghiottita dalle ombre della casa.

Si sentì immensamente stupido, fermo com'era su quell'albero come un gufo del malaugurio caduto sotto gli incantesimi della folla superstiziosa: che si aspettava di trovare? Una vera strega? Una donna orribile dallo sguardo iniettato di sangue, magari, con un grosso naso ingobbito, mani scheletriche e macchiate dal tempo, unghie lunghe, appuntite e gialle come gli occhi del gatto nero che – sicuramente – accompagnava le sue demoniache incombenze quotidiane.

Fece per voltarsi e andarsene quando qualcosa di rosso e non meglio definito gli schizzò davanti agli occhi. L'istinto prese il sopravvento: allungò una mano e afferrò al volo quella che scoprì essere una mela, talmente scarlatta e lucida da sembrare fatta di cera, come quelle assiepate nel centrotavola della sala da pranzo a villa Coulson.

Abbassò lo sguardo per incontrare quello della ragazza ai piedi dell'albero, le mani sui fianchi e un'espressione a dir poco furibonda ad animarle il volto, insieme ad una tacita domanda cui non si sarebbe potuto sottrarre se non al prezzo di una penosa figura da stoccafisso.

“Bellissima giornata, ah?” Gli uscì stupidamente e senza alcun preavviso, proprio mentre il rimbombare sordo di un tuono scuoteva il cielo grigio e nuvoloso sopra di lui. Si era a tal punto preoccupato della tempesta di quegli occhi verdi e sconosciuti, da dimenticarsi di quella reale che minacciava di abbattersi su di lui da un momento all'altro.

“Non direi,” rispose la giovane, la voce più bassa e roca di quanto non si fosse aspettato.

L'accusa che le lesse in faccia bastò a fargli sprofondare lo stomaco dalla vergogna. Prese un'improvvisa decisione e si inerpicò giù per il tronco, atterrandole (più o meno) elegantemente di fianco.

La fanciulla lo osservò da capo a piedi: i vestiti smessi che usava durante le sue scampagnate, gli stivali logori e la camicia strappata intorno ai polsi, la casacca del gilet sgualcita e mancante di almeno tre bottoni, la corda dell'arco che gli tagliava trasversalmente il petto, l'inarcatura di legno che faceva altrettanto con la schiena.

Non era del tutto estraneo al sentirsi completamente fuori posto, ma non gli era mai capitato al cospetto di quella che aveva tutta l'aria di essere una popolana: non che l'essere stato ufficiosamente adottato da lord Phillip gli avesse mai realmente montato la testa con chissà che velleitarie pretese aristocratiche, ma non gli era mai successo di vergognarsi per il proprio aspetto. Mai prima di allora.

La donna era vestita con abiti più umili dei suoi, eppure c'era un non so che di regale nel mondo in cui gli stava di fronte, senza paura e senza disagio; tanto da farlo sentire terribilmente inadeguato.

“Mi state spiando?” Gli chiese chiaro e tondo, impedendogli di abbassare lo sguardo e di eludere in qualche modo la domanda.

“No,” si affrettò a rispondere, ma non gli ci volle molto per rendersi conto di quanto suonasse stupido. L'aveva appena sorpreso appollaiato su un albero a fissarla... da che mondo e mondo le sue azioni avrebbero potuto essere definite spiare. “Okay. Magari vi stavo spiando,” ammise, passandosi nervosamente una mano sulla nuca (il che contribuì a ricordargli che era tempo di tagliarsi i capelli... di nuovo).

La ragazza non sembrava intenzionata a togliergli gli occhi di dosso: continuava ad osservarlo così come Leopold faceva con le sue stupide rane prima di sezionarle e sbudellarle per capire cosa le tenesse in vita.

Il silenzioso si protrasse fino a diventare fastidioso. Fin troppo. Ne approfittò per rilanciarle la mela... che la sconosciuta fece cadere senza il benché minimo accenno ad un'agile presa. Il frutto atterrò sul prato con un leggero tonfo, mitigato solo dai cannoni dei tuoni che avevano preso a risuonare sopra le loro teste.

“Avete paura che sia avvelenata?” Domandò senza neppure abbassarsi a guardare che fine avesse fatto, le braccia intrecciate al petto che... fece solenne giuramento di non far ricadere lo sguardo in quel punto per niente al mondo.

“Perché dovrebbe?” Si sforzò di risponderle e di apparire disinvolto come non era affatto. Si chinò a raccogliere la mela e neppure aspettò di essersi rimesso dritto prima di darle un poderoso morso. Il succo gli scese giù per il mento mentre il sapore dolce e aspro insieme gli riempiva la bocca.

“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.

“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.

“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.

“Ero curioso.”

“Quindi ci credete.”

“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”

“Per spiarmi? No.”

“Mi scuso se vi ho infastidita, signorina... qualunque sia il vostro nome,” adesso iniziava a spazientirsi sul serio. Va bene, era stato colto in flagrante, ma non aveva neppure intenzione di lasciarsi prendere a pesci in faccia da una completa sconosciuta. “Ma i boschi sono di tutti e si dà il caso che apprezzi moltissimo la solitudine di questi luoghi,” decretò seccamente, detestandosi per il modo compunto in cui stava parlando. Di nuovo, la netta sensazione di trovarsi davanti a chissà che principessa o regina di terre lontane lo colse alla sprovvista. E' solo una contadina, si ricordò. Datti un cazzo di contegno, Clint.

“Fossi in voi mi affretterei a tornare al villaggio, allora. Quando la tempesta sarà scoppiata, i vostri alberi non potranno più tenervi al sicuro, sir...”

“Non sono un sir.”

La sconosciuta non batté ciglio, come se quel diverbio non la stesse turbando per niente. C'era qualcosa di assolutamente sbagliato nel suo viso, nel suo comportamento: era uno di quei giochi cinesi ad incastro di lady Melinda; una composizione praticamente completa, a cui manca solo un pezzo... eppure l'unico che rimane non è della forma giusta. Lo si può schiacciare sull'unica orbita vuota del disegno, ma non ci entrerà mai. La donna, ad occhio e croce non molto più giovane di lui, aveva l'aspetto di un enigma irrisolvibile.

“I vostri abiti sono di nobile fattura,” obiettò semplicemente.

“Sono solo stracci.”

“Stracci aristocratici,” insisté con calma a dir poco snervante. “Andavate a caccia?”

“No, ve l'ho detto. Ho sentito parlare di vostra madre e sono venuto a vedere.”

“Mia madre?”

“La vecchia che dicono di aver visto aggirarsi nei pressi della casa del tagliaboschi,” specificò, “della vostra casa,” si corresse subito.

“Non so di che stiate parlando,” dichiarò lei, forse improvvisamente annoiata da quell'inutile ciarlare.

“Vivete da sola?” Non aveva la benché minima idea di quanto fosse pericoloso? Il regno era pieno di malintenzionati, soprattutto quando si trattava di giovani donne sole... nei boschi. Dio, non le avevano mai raccontato le fiabe più famose, quand'era piccola? Il bosco era costante prefigurazione di pericolo, perdizione, morta certa. Solo uno stolto vi si sarebbe avventurato e solo uno sciocco vi avrebbe preso dimora, soprattutto quando si parlava di una fanciulla incapace di difendersi.

“E' per caso vietato dalla legge?”

“No,” borbottò stizzito.

Fu allora che si accorse che quella che viveva nel bosco era lei, che quello che ci si era avventurato, invece, era lui. Secondo i simboli delle fiabe che sua madre gli aveva narrato la sera, davanti al fuoco del campo, lui era la giovinetta imprudente, e la fanciulla invece il lupo cattivo che aspettava di coglierla in fallo per riempirsene lo stomaco.

Un brivido inaspettato gli corse giù per la schiena, facendolo sentire immensamente stupido. Quali che fossero le sue sensazioni, le ridicole suggestioni che quella donna gli dava, la realtà rimaneva una sola: la potenziale vittima era lei e nessun altro. O almeno tentò di convincersene per mantenere salda la presa su quell'improbabile situazione.

La pioggia li sorprese l'istante successivo, riversandosi sul bosco dapprima con timidezza, poi con impeto sempre maggiore. Lo prese come un valido motivo per andarsene il più rapidamente possibile.

“Signora,” l'apostrofò accennando ad un profondo inchino.

“Vi conviene entrare in casa o rischierete di ammalarvi... o peggio.” Gli dette le spalle senza attendere una risposta, abbandonandolo solo come un verme in balia del temporale. Un lampo improvviso e poi il boato di un fulmine che sembrava essere caduto un po' troppo vicino per i suoi gusti, lo convinsero a seguirla.

Si fermò di nuovo sulla soglia dell'ingresso: un odore dolciastro di muffa, fumo, e chissà quale strano unguento gli pizzicò le narici. Qualcosa gli diceva che non avrebbe mai dovuto varcare quel confine, quasi si sentisse sull'orlo di un cambiamento madornale, un cataclisma che avrebbe cambiato per sempre l'aspetto della sua vita.

La fanciulla si muoveva tra le ombre della cucina, improvvisamente rischiarata dal fuoco che si curò di riportare in vita tra i ciocchi carbonizzati del camino.

Si dette mentalmente dell'idiota: la superstizione non era il suo pane. Possibile si stesse comportando proprio come quegli stupidi bigotti che tanto detestava?

Azzannò la mela, rossa e lucente, per la seconda volta e si decise infine a compiere quel misero passo da cui, l'avrebbe scoperto molto più tardi, non si sarebbe più potuto tirare indietro.






Note: Kate Bishop, per chi non la conoscesse, è l'altra Occhio di Falco nel fumetto di Matt Fraction. Bobbi è Barbara Morse ed è un miscuglio tra quella dei fumetti (dov'è l'ex moglie di Clint) e quella di Agents of Shield. Tutti gli altri personaggi menzionati fino ad ora (fatta eccezione per i due principali) sono di AoS. Tra l'altro mi sento di dire che Ward lo detesto XD Quindi se vi piace Ward, mi dispiace, ma questa non è una storia Ward-friendly.
Ora ho smesso di delirare davvero. Grazie a chi è arrivato fin qui e al prossimo capitolo! :)

 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Hermione Weasley