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Autore: almost_    18/08/2015    9 recensioni
Borgo Silvano, nella regione di Kérehon, è l'ultimo luogo dove umani e Pokémon vivono assieme in armonia.
Un uomo malvagio ha infatti preso il potere, il Tiranno, vietando il possesso dei Pokémon, rinchiusi e sottratti ai proprietari. Borgo Silvano è troppo piccolo per costituire una minaccia, finché non si scopre che vi si nasconde uno studioso di Pokémon, il professor Oshizami, che conduce ricerche su qualcosa che potrebbe rivoluzionare la concezione dei mostri tascabili: l'abilità Empatica di ognuno di loro.
Il paese verrà distrutto, il professore rapito.
Toccherà al giovane Kaede andarlo a cercare, assieme ai suoi amici e agli assistenti del professore, in un viaggio ricco di insidie, che farà scoprire verità mai svelate sui Pokémon e aiuterà i protagonisti a maturare.
Un mondo difficile e oscuro si aprirà davanti ai loro occhi e per riportare l'equilibrio dovranno affidarsi alle indicazioni di uno studioso di una regione lontana: Samuel Oak.
Tra sfide, battaglie ed incontri vecchi e nuovi affronteranno il mondo, vincendo e perdendo contro loro stessi: una volta terminato il viaggio, niente sarà più come prima.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ash, Brock, Misty, N, Nuovo personaggio, Prof Oak
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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N.B. questa fan fiction è da considerarsi come seguito delle serie Pokémon precedenti, fatta eccezione per “Bianco e Nero”, che considero come serie a parte e della quale non saranno presenti riferimenti di alcun tipo.
 
 

Capitolo uno: Risveglio

 
Quella mattina la collina era spazzata dal vento.
Una donna la stava risalendo a fatica, premendosi forte sul collo lo scialle di stoffa spessa. Lanciò uno sguardo preoccupato in direzione del bosco alle sue spalle, le cui fronde ululavano impetuose. Vicino a lei un piccolo Pidgey sbatteva faticosamente le ali per non essere spazzato via. Era ancora buio, ma il cielo stava cominciando a tingersi di rosso e presto, sperava la donna, sarebbe spuntato il sole.
Con un ultimo, lungo sospiro giunse in cima alla collina, sul dorso della quale suo marito era già intento a curare il loro orto, per limitare i danni che quelle forti correnti avrebbero potuto causare.
«Hiroshi!» lo chiamò a gran voce, per sovrastare il fischiare del vento.
L’uomo sollevò il volto, mostrando gli occhi piccoli e scuri ancora appannati dal sonno e una folta barba dorata. Era forte, ben piantato, con i muscoli pronunciati e tesi a lottare contro le raffiche impetuose.
«Azumi! Non è un po’ presto per te?» gridò in risposta alla moglie, dopo averla riconosciuta.
«Kaede è sparito! L’ho chiamato per la colazione, ma in camera sua non c’era! L’ho cercato dappertutto, non riesco a trovarlo! Mi farà impazzire quel ragazzo!»
Hiroshi ridacchiò davanti alla preoccupazione della donna.
«Cos’hai da ridere a quel modo? Sai che sono tempi duri, questi! Se si fosse cacciato in qualche guaio? È ancora buio, potrebbe essersi perso!»
«Stai tranquilla, Azumi, l’ho incrociato appena alzato che stava andando al dojo con Satoru e Aruya; sai come è fatto, quando si mette in testa qualcosa non ci si può far nulla. Lascialo fare e riposati, qui ci penso io.»
La donna sospirò, stringendosi addosso lo scialle per proteggere la gola. Pidgey le svolazzava attorno, felice di vederla sollevata. Kaede era ingenuo e cocciuto, e quando la faceva stare in pensiero a quel modo era tutto figlio di suo padre…


«Kyaaaa!»
Una ragazzina dai corti capelli color carota piombò a terra con un tonfo sordo.
«Kaede, maledetto, mi hai fatto male!» protestò, rialzandosi agilmente e massaggiandosi il fondoschiena indolenzito, per poi agitare i pugni contro un ragazzo mingherlino, con grandi occhi nocciola e i capelli color del grano.
«Scusa, Aruya! La prossima volta starò più attento, te lo prometto!» rispose lui, passandosi una mano dietro alla nuca.
«Certo che dovrai stare più attento, perché sarò io a buttarti per terra! L’avrei fatto anche stavolta, se non avessi barato…»
«Ah, sì? E come avrei fatto, sentiamo!»
«Ehi, fate meno baccano voi due.» Un terzo ragazzo, con un ginocchio poggiato sul pavimento morbido, interruppe la nuova forma di karate che stava imparando. Si sollevò lentamente, sistemandosi il kimono. Era più alto e robusto di Kaede, con occhi azzurri uguali a quelli di Aruya, ma capelli rossi privi delle striature dorate della ragazza e più tendenti al vermiglio. «Durante i combattimenti ci si deve concentrare.»
«Per te parlare è facile, Satoru, sei il migliore qui» disse Kaede, sorridendo e asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Comunque non sei giusto, fratellone, è stato Kae a cominciare!» protestò Aruya.

Il dojo era immerso nella quiete della prima mattina, vuoto tranne che per i tre ragazzi, che avevano fatto di quella stanza raccolta e spoglia la loro fuga dalla realtà.
Era lì che si erano conosciuti i due fratelli Takeo e Kaede, quando erano poco più che infanti, e da allora erano stati inseparabili.
Avrebbero continuato ad allenarsi in solitudine, in comunione gli uni con gli altri, ancora per molto, se non fosse stato per un rumore lontano di passi e uno sbadiglio, a cui seguì logicamente l’entrata di un uomo alto e calvo, che i tre conoscevano bene. Dietro di lui si stagliava scuro e minaccioso il profilo del suo Hitmonlee.
«Eccovi, furfanti!» esclamò, sospirando. «I vostri genitori sono preoccupati, vi stanno cercando. Insomma, venire al dojo a quest’ora del mattino. Come avete fatto ad entrare? Lasciamo perdere. Tornate subito alle vostre case, e ripresentatevi ad un orario decente.»
I tre ragazzi salutarono rispettosamente chinandosi in avanti e pronunciando all’unisono: «Ci perdoni, sifu Isao, siamo profondamente pentiti!»
«Va bene, va bene, ma che non si ripeta.»

Dopo essersi cambiati uscirono dalla palestra, notando che le raffiche dell’alba erano ormai divenute una piacevole brezza e il cielo era rischiarato. I negozi cominciavano ad aprire, le vie del paesello si riempivano di persone e Pokémon a piedi o in bici, e dalla pasticceria della madre di Aruya e Satoru già arrivavano le prime zaffate di caldo profumo di leccornie.

«Secondo me il sifu se la prende troppo» commentò Aruya, sommessamente.
«Siete voi che siete troppo piccoli e non abbastanza forti: fossi stato da solo magari mi avrebbe lasciato allenare.»
«Eppure, Satoru, sei stato tu a chiederci di venire con te.» 
Il rosso sorrise, ammettendo la sua colpa davanti al biondo.
«E poi sei solo un anno più grande di noi» notò la sorella.

Un Pichu correva sul bordo del marciapiede e per poco Kaede non lo calpestò.
«Quasi dimenticavo!» esclamò poi. «Mio fratello Tadashi è riuscito ad evolvere il suo Shinx in un Luxio proprio ieri sera.»
«Non ho mai visto un Pokémon evolversi» disse la ragazza.
«Nemmeno io, Tadashi ce l’ha solo raccontato ieri a cena. Papà gli ha detto che è stato bravo, mamma invece non era tanto contenta. Secondo lei è meglio non avere troppo a che fare con i Pokémon, di questi tempi.»
«Anche nostra madre dice così» aggiunse Satoru, serio. «Dice che qui a Borgo Silvano siamo gli ultimi della regione di Kérehon che continuano ad allenare Pokémon, e che è soltanto perché siamo un piccolo villaggio che non dà nell’occhio che non passiamo guai. Che stupidaggine, sottrarre i Pokémon alle persone.»
«È una cosa disgustosa!» commentò Aruya. «Ormai io e Kaede abbiamo tredici anni, e tu addirittura quattordici, fratellone! Eppure non ci hanno ancora dato il nostro primo Pokémon, e non siamo ancora partiti. Tutto per colpa di quel maledetto…»
«Abbassa la voce!» le intimò Satoru. «Se urli contro al Tiranno ci guarderanno tutti, non facciamoci notare.»
La strada, infatti, era piena di passanti frettolosi. Affamati, i tre decisero di far colazione nella pasticceria della madre dei fratelli.
«Tadashi mi ha detto anche» cominciò Kaede prima d’entrare, con aria assorta, facendo voltare gli amici davanti a lui. «Che lavorare al laboratorio del professor Oshizami sta diventando pericoloso. Stanno facendo ricerche su un tema molto delicato, pare, e se lo si venisse a sapere a Kérehon potrebbero passare guai seri. Mia madre vorrebbe che lui lasciasse il suo posto di assistente. Ma lui non ha intenzione di arrendersi.»
«Fa bene, secondo me» approvò Satoru.
«Mi piacerebbe sapere di cosa si tratta!» esclamò Aruya. «Vorrei tanto diventare anch’io assistente del professore…»
«Eppure pare che Oshizami non voglia più dare Pokémon ai ragazzi, proprio perché è diventato troppo pericoloso» spiegò Kaede, imbronciato, mentre prendevano posto ad un tavolo vicino al bancone.
Il locale era quasi vuoto e l’odore di ciambelle calde riempiva l’aria.
La madre di Aruya e Satoru era molto giovane, e aveva i loro stessi capelli rossi. Era rimasta vedova molti anni prima, e da allora badava ai bambini e alla pasticceria senza l’aiuto di nessuno.
In poco tempo fu da loro col suo solito sorriso.
«Buongiorno ragazzi! Aruya, Satoru, se proprio volete uscire all’alba senza avvertire abbiate almeno l’accortezza di rifarvi i letti… E insomma, Satoru, non ti sei nemmeno pettinato!»
«Mamma! Non ci sgridare davanti a Kaede!» protestò Aruya, mentre il fratello si arruffava ancor di più i capelli rossi e ribelli. Il biondo ridacchiò.
«Molto bene, se non avete bisogno di me e dei miei rimproveri allora non avete neanche bisogno dei miei dolci, non è vero?» La donna incrociò le braccia e alzò il mento, vittoriosa.
«Scusaci mamma, saremo rispettosissimi e non ti daremo fastidio mai, mai, mai più!»
Guardò i figli di sottecchi, dall’alto in basso, poi il suo volto si addolcì e disse con un sorriso: «Uhm, così va meglio. Porto come al solito il ventaglio alla vaniglia per Aruya, la ciambella al cioccolato per Satoru e il cornetto alla crema per Kaede?»
«Magari!» esclamarono il biondo e la ragazza.
«Ehi, io muoio di fame, ho bisogno di almeno tre ciambelle al cioccolato giganti» disse Satoru.
«Ma insomma, non è un po’ troppo?»
«Poche storie donna, devo crescere, io.»
La madre scosse la testa rassegnata dirigendosi in cucina, dove un Chansey l’attendeva per aiutarla ai fornelli. Il figlio era capace di mangiare per almeno quattro persone, e per placare il suo appetito si trovava a fare la spesa quasi ogni giorno. Il fisico slanciato e muscoloso del ragazzo, poi, metteva a tacere ogni suo consiglio sul tentare di limitarsi.

«Sai Kaede, diventerò molto più forte di te, a karate, e ti batterò senza esitare» disse a un tratto Aruya, sgranocchiando il suo ventaglio alla vaniglia.
«Finora non è mai successo. Siamo sempre in parità. Il sifu dice che quando combattiamo abbiamo un equilibrio perfetto.»
«E infatti è per questo, no? Io e te siamo rivali, e un giorno capiremo chi è più forte.»
«Va bene allora, ma non pensare che ti lascerò vincere così facilmente.»
I due si sorrisero, complici della sfida appena lanciata. Satoru sbuffò, divertito, con le guance piene di ciambelle al cioccolato, sapendo di essere molto più abile di entrambi.
In quel momento la porta cigolò, per aprirsi e richiudersi lentamente. Apparentemente sembrava che nessuno fosse entrato, ma poi da sotto al tavolo dei ragazzi fece capolino un Pokémon di forma simile a un gatto, con grandi occhi scuri, le orecchie larghe e appuntite, il pelo color smeraldo più folto e scuro sul collo e all’attaccatura della coda, che partiva slanciata e sottile per poi biforcarsi alla fine.
«Nekochi*!» esclamò Kaede, riconoscendo il Pokémon con cui aveva vissuto fin da bambino. Difatti non era della sua famiglia, eppure era sempre vissuto nel loro orto, tenendo compagnia ai genitori e ai piccoli durante il lavoro. Li seguiva spesso, Kaede in particolar modo. Dopo aver strofinato il muso sulle ginocchia del ragazzo, Nekochi spalancò la bocca e i suoi denti piccoli e affilati consegnarono nelle mani di Kaede un foglietto di carta stropicciato.
«E questo?»
I ragazzi si strinsero attorno al biglietto, curiosi.

“A Kaede – e ai tuoi amici, con cui non ho dubbi che ti trovi -
Vorrei che oggi mi raggiungeste a Bosco Smeriglio, vorrei mostravi una cosa. Non parlate con nessuno, venite dritti da me.
Tadashi” 
 

*Pokémon inventato da me. Possiamo considerarlo della “settima generazione”, volendo.
NOTE DELL'AUTORE
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, è la prima fan fiction che provo a scrivere nel fandom di Pokémon. È un capitolo puramente introduttivo e mi auguro di non avervi annoiato, la storia “prenderà piede” per davvero soltanto dal secondo.
Sono graditissimi consigli, pareri e, ovviamente, critiche. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, perché è una ff in cui sto riversando molte energie.
Al prossimo capitolo,
Almost_k
   
 
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