Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Sam27    19/08/2015    3 recensioni
Ci sono alcune cose che ho imparato da brava fan girl:
1. “Asjdnbvfuhuj” riassume tutto. E con tutto intendo qualsiasi cosa talmente pucciosa da poter essere riassunta.
2. La nutella è la tua migliore amica. Nonché la soluzione a qualsiasi tuo problema.
3. Si può sopravvivere dormendo solo tre ore. E mangiando molta Nutella, mi sembra sottointeso.
4. Libri e computer sono l’ingresso per il paradiso. Potete anche sostituire il computer con uno Smartphone, un Iphone o un tablet. Ed ovviamente aggiungete la Nutella.
5. Quale marca di fazzoletti è più resistente. I fazzoletti Tempo sono eccezionali, me ne servono solo cinque pacchetti a libro.
6. I personaggi immaginari sono migliori di quelli reali. Infatti sembra che il mio ragazzo ideale non esista. Io vorrei solo che avesse la dolcezza di Peeta Mellark, l’umorismo di Fred Weasley, il coraggio di Peter Pevensie, la bellezza di Finnick Odair, il sarcasmo di Jace Shadowhunters e l’intelligenza di Caleb Prior. Forse chiedo troppo?
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Potremmo Volare'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Estratto dal sequel: "L'era glaciale"

1. Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono
 “L’amore è cieco
L’amicizia chiude gli occhi”
Otto von Bismarck
-Mi chiamo Eleonora e ho sedici anni, quasi diciassette- dico di malavoglia.
Lei mi guarda, inarca le sopracciglia e mi invita con un gesto appena accennato a continuare.
Io alzo platealmente gli occhi al cielo.
-Mi chiamo Eleonora, ho sedici anni e mezzo e sono sfortunata. Quando Dio distribuiva la fortuna probabilmente io ero seduta sul divano, un libro in una mano ed un barattolo di Nutella nell’altra. Non lo dico perché sono depressa o autolesionista,non si faccia strane idee, è semplicemente un dato di fatto. La sfiga mi perseguita ed ormai me ne sono fatta una ragione, probabilmente io e Neville siamo parenti lontani, ma cosa glielo dico a fare? Lei neanche sa chi sia Neville. Ecco: c’è una cosa che deve sapere di me, sono una fangirl e sto ancora aspettando che arrivi la mia lettera per Hogwarts
-Di cosa vuole che le parli ora? Della mia famiglia? E sia, d’altronde è per quello che sono qui, no? Perché i miei si sono separati. Non sono una di quelle figlie stupide che iniziano a ripetere: “questo mondo è ingiusto i miei si amavano”. No: mio padre amava mia madre, lei aveva altri gusti, per così dire.  L’ho vista mentre si baciava con un’altra donna. Ho sempre amato mio padre e adorato mia madre, ma da quel giorno...- faccio una breve pausa per riprendere fiato -Come se non bastasse mio padre ha iniziato a bere, ha perso il lavoro ed il tribunale dei minori l’ha ritenuto inadeguato per badare ad una sedicenne, senza tenere conto della mia opinione: ha dato l’affidamento a mia madre. Gli adulti non ascoltano mai, ma perchè glielo sto raccontando? Lei tutto questo già lo sa, gliel’avrà raccontato Rebecca, l’ex-moglie di mio padre.
-Quindi cosa dovrei dirle? Forse vuole sapere dei miei amici… Ho molti conoscenti che sopporto ogni tanto,  ho qualche amico sì, ma nessuno che io abbia avuto voglia di chiamare quand’ho scoperto che da domani dovrò vivere con Rebecca, capisce che intendo? Ho chiamato il mio migliore amico, invece, Alessandro- faccio una pausa e abbasso gli occhi mentre mi si colorano le guance sotto il suo sguardo indagatore, sembra che con quegli occhi grigi possa leggermi dentro e scoprire le insane idee che popolano il miocervello –E poi c’è il ragazzo che mi piace da due anni circa, si chiama Filippo ed è…-
-Parlami di come l’hai conosciuto- mi interrompe guardandomi da sopra gli occhiali squadrati.
-Filippo?- chiedo perplessa.
-Alessandro-
Arrossisco di nuovo, non riesco ad impedirlo: mi guarda come se già sapesse tutto ma avesse solo bisogno di una conferma.
-Sei sicura che sia solo un amico?-
-E’ il mio migliore amico- la correggo piano.
-Sembra quasi che tu ne sia innamorata-
Faccio una smorfia.
-E’ una lunga storia-
-Abbiamo ancora mezz’ora a nostra disposizione, racconta pure- mi incalza lanciando una breve occhiata all’orologio sulla parete.
-E’ un vecchio amico d’infanzia che ho rincontrato solo due estati fa. All’inizio non lo sopportavo, ho dovuto persino convivere nella stessa casa con lui e la cosa stava diventando insopportabile finché non mi sono accorta che mi piaceva. Ho scoperto che era fidanzato e mio fratello mi ha consigliato di distrarmi con Matteo, un modello dell’Abercrombie che conobbi quando andai con i mio padre a Milano per trovare la sua ex-moglie che in realtà lo tradiva con quell’altra,  così ho fatto ma ho scoperto che lui era gay e che gli piaceva suo cugino Luca, nonché bagnino della spiaggia in cui andavamo, li ho fatti mettere insieme e non ho concluso nulla. Come se non bastasse la ragazza di Alessandro, Rebecca, ci ha raggiunti,sembrava dolce e carina ma in realtà meditava istinti omicidi verso di me. Ho scoperto che tradiva Alessandro e dopo poco lo è venuto a scoprire anche lui, non per causa mia sia chiaro, si sono lasciati ed io e Sandro siamo rimasti amici-
-E Filippo?-
Mi scappa un’altra smorfia.
-Solita storia: è uno dei più popolari, bravissimo a scuola, capitano della squadra di calcio, fisico perfetto, occhi da favola -
-Non sembra ti piaccia così tanto-
-Mi piace- dico arrossendo –Ma è un’altra storia complicata-
Lei mi guarda, in attesa.
-Quando eravamo alle elementari era il mio compagno di giochi come molti altri, poi lui è andato alle medie ed ha tolto occhiali e apparecchio, diventando quello che è adesso. Io sono rimasta così. Lui ed i suoi amici mi hanno tormentata per anni, non era vero e proprio bullismo ma ci andava vicino, piccoli scherzi che se non fossero stati fatti in modo di divertire solo loro non mi sarebbero pesati… Al liceo le cose sono cambiate, probabilmente ora non sa nemmeno che esisto, nonostante i suoi amici continuino a farmi qualche battutina quando gli incontro nei corridoi. Ormai non ci faccio più molto caso ma lui… Lui è il sogno di ogni ragazza ecco, è gentile, intelligente e…-
Non mi viene in mente nient’altro da dire perciò mi zittisco: devo esserle sembrata parecchio patetica.
-Il nostro tempo è finito, Eleonora, ci vediamo la prossima settimana-
Le faccio un rapido cenno con la mano, mormoro un “Arrivederci” ed esco dalla stanza.
Quando mia madre mi ha detto che aveva trovato la risoluzione ai nostri problemi non avevo capito che mi avrebbe mandato da uno strizzacervelli e, per di più, quello della scuola.
Arrivo a casa prendendo l’autobus e mi butto sul letto, tra la pila di vestiti e le mie cose.
-Eleonora?- mio padre si affaccia alla porta: non ha una buona cera.
Mi ha promesso che smetterà di bere e verrà a prendermi, non so se crederci o meno.
-Sì?- gli domando con un debole sorriso sulle labbra.
-Dovresti iniziare a fare i bagagli-
Io getto uno sguardo alla valigia ai piedi del letto e sospiro, poi annuisco.
Lui si avvicina al letto, mi lascia una carezza sulla testa e se ne va.
Lo guardo finché non sparisce in cucina a tentare di affogare la tristezza tra i fornelli: ha gli occhiali storti, il naso rosso, la barba sfatta, la camicia fuori dai pantaloni e le mani che tremano. Non ha niente dell’uomo che conosco da quando sono nata eppure non posso fare a meno di amarlo. Ho provato a tenere nascosto a mamma il suo piccolo problema alcolico ma lei un giorno ci ha fatto una “bella sorpresa” scoprendolo ubriaco alle tre del pomeriggio, ho tentato di dirle che non era mai successo prima ma lei ha iniziato a frugare ovunque trovando le prove che le servivano. La odio ancora di più per questo e da domani dovrò convivere con lei e la sua compagna. Ho pensato seriamente di scappare di casa ed anche diverse volte ma Alessandro me l’ha sempre impedito, convincendomi a restare.
Sospiro e rinuncio a fare le valigie, chiamo invece il mio migliore amico, mi risponde dopo appena il primo squillo con voce allegra, so che finge ma mi basta.
Il giorno dopo il sole si affaccia timido tra le nuvole e la prima cosa che sento, al mio risveglio, è la voce calda di mio padre: -Buongiorno principessa!-
Poi le sue mani forti che alzano la tapparella e lasciano entrare la luce.
-Buongiorno- rispondo con la voce impastata dal sonno.
-E’ il grande giorno!- esclama lui tentando di essere allegro e sfilandomi le coperte di dosso.
Io grugnisco in risposta e mi tiro su a fatica, sbadigliando, i capelli ricci davanti agli occhi, non lancio nemmeno uno sguardo allo specchio alla mia destra per non lanciare un urlo di spavento e mi trascino a far colazione: brioches fatta in casa e succo alla zucca.
Due ore dopo siamo davanti alla casa di Rebecca in piedi uno di fronte all’altro, lui si torce le mani ed io cerco di non piangere.
-Guarda che non è un addio- cerca di scherzare lui –Ci rivedremo appena finiranno i due mesi d’obbligo nel centro specializzato, poi, se vorrai, potrai tornare a vivere da me. Sei abbastanza grande ormai, te la caverai-
Io annuisco, mordendomi il labbro, lui mi accarezza la testa ed apre il baule, porgendomi i bagagli che consistono in una valigia ed uno zaino: non ho voluto portare nulla di più, convinta che tornerò presto a casa mia.
-Devi andare- mi dice sorridendo imbarazzato.
Io gli butto le braccia al collo, lui rimane un attimo sorpreso poi mi stringe forte a sé con una mano.
-Ti voglio bene- dico, non meno imbarazzata di lui.
Era mamma quella affettuosa, che mi sbaciucchiava e mi sussurrava quanto fossi importante per lei, non papà.
-Girati un attimo- dice poi, aggiustandosi gli occhiali sul naso –E chiudi gli occhi-
Io gli lancio un’occhiata perplessa ma obbedisco. Un attimo dopo sento le sue mani grandi, sulle quali la mia sembra sparire, sfiorarmi il collo, poi qualcosa tintinnare al contatto con la cerniera del giubbotto. Apro gli occhi con un vago presentimento e mi guardo il collo: una catenina d’argento semplice ed un ciondolo a forma di mezzaluna con la scritta “I love you to the moon and back” affiancato da un altro ciondolo, rotondo e d’oro con la scritta “I love you”.
Lo guardo e sbatto le palpebre diverse volte, poi prendo un grande respiro solo allora riesco a parlare: -Non puoi permettertelo…-
-Posso- taglia corto lui con un gesto della mano.
Capisco che discutere non porterà a niente, perciò sorrido: -Grazie-
Gli scocco un rapido bacio sulla guancia e mi avvio verso la villetta di fronte a noi, trascinandomi dietro la valigia, lo zaino ed un vago senso di oppressione nel petto.
Non faccio in tempo a suonare che mio padre è ripartito e mia madre si affaccia alla porta, facendomi cenno di raggiungerla.
Mi lascio abbracciare senza opporre resistenza, lasciandomi scappare solo una smorfia.
-Questa è Michela-
L’ho già vista altre volte ma sempre e solo di sfuggita, questa è la prima occasione che ho di parlare faccia a faccia con lei.
Devo aiutarmi con una mano per riuscire a chiudere la bocca: è alta, con un corpo flessuoso e formoso ma magro nonostante i quarant’anni, i capelli lunghi sono sciolti sulle spalle e ha gli occhi verdi e sinceri, è vestita con un semplice maglione pesante ed un paio di leggings, ai piedi un paio di ciabatte.
Santo Godric! Perché mi sembra di conoscerla?
-Eleonora- dico cercando di suonare ostile ma riuscendo solo a balbettare leggermente, lei non stringe la mano che le porgo ma mi scocca due baci: uno per ogni guancia.
-Sono così felice di conoscerti!- esclama sorridendo sincera.
Io mi riscuoto e ricambio il sorriso. –Io no-
Lei sembra non avermi sentito, perché già mi sta invitando ad entrare.
-Lui è mio figlio Filippo- dice indicandolo.
Ora capisco dove l’avevo già vista.
Per un momento sento che la terra sotto di me scompare e penso che sverrò, batterò la testa, morirò e mio padre consolerà Rebecca al mio funerale la quale tornerà poi ad essere di nuovo mia madre.
-Eleonora- sussurra mia madre tra i denti mentre il giramento di testa passa.
Filippo ritira la mano che mi stava porgendo. –Non ti preoccupare, Rebecca, io e Eleonora ci conosciamo già. Sei nella classe affianco alla mia, vero?-
Ti prego, Dio, Godric,Zeus o chi per esso, fa che anche lui non sia gay,mi ritrovo a pensare mentre annuisco sorridendo stordita.
-Filippo, porti tu le valigie di Eleonora di sopra, vero?- gli chiede Michela gentilmente.
-Oh no, non c’è alcun bisogno, io…- borbotto arrossendo ma Filippo sta già facendo le scale tranquillamente.
-Tuo padre è già tornato a casa?- mi chiede Michela accompagnandomi in cucina, seguita da Rebecca –Mi sarebbe piaciuto prendere un caffè tutti insieme-
Scherza, vero?
-Deve essere al centro per le undici quindi immagino che sia in viaggio- dico confusa.
-Peccato- sorride lei –Cosa preferisci: caffè, aranciata, succo, acqua?-
Ditemi che scherza
-Preferirei andare a svuotare le valigie, grazie comunque- dico facendo per andarmene.
-Eleonora!- esclama Rebecca indignata.
-Tranquilla, nessun problema. Ti accompagno alla tua camera?-
-Non c’è problema, faccio da sola, grazie- insisto cercando di scappare da questa situazione assurda.
-Sei sicura? La casa è abbastanza grande potresti…-
-Ho detto che faccio da sola- ripeto secca uscendo dalla stanza.
Salgo le scale in fretta mentre sento le lacrime premere per uscire, vado quasi addosso a Filippo e mi ritraggo avvampando.
-Scusami- dice lui sorridendo –La tua stanza è quella-
Annuisco e mi dileguo, una volta dentro la camera mi butto sul letto e seppellisco la faccia nel cuscino.
Come possono essere così ipocrite?
Come si può fingere che vada tutto bene in questo modo?
Accarezzo il ciondolo della collana mentre con l’altra mano stringo le coperte con rabbia, poi mi lascio andare ad un lungo sospiro e chiudo gli occhi.
Vorrei tornare a quand’ero piccola ed il problema più grande era cadere dalla bici senza le rotelle o i mostri sotto il letto. E quando succedeva qualcosa di brutto potevo sempre e comunque contare sui miei genitori.
Sento la mia tasca vibrare e tiro fuori il telefonino: è Ivan.
-Pronto?-
-Sorellina?!-
-Fratellone?!-
Lo sento ridere. –Cambierai mai?-
-Dovrei?-
-Sei già arrivata a casa di mamma?-
-Sì-
-Come si sta?-
-Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono-
-Attenta a non farti baciare allora-
La scena delle labbra di Filippo sulle mie si fa lentamente strada nella mia mente e mi ritrovo ad arrossire.
-Ehi, Nora? Ci sei ancora?-
-Sì, certo, presente-
-Il prossimo weekend tu ed Alessandro venite da me e Ludovica: vi portiamo a visitare Torino, che ne dite?-
Improvvisamente sento tutto il nervoso, l’ansia, la malinconia e la stizza sparire.
-Dico che ti amo fratellone!-
-Vacci piano: Alessandro potrebbe ingelosirsi-
Mi lascio scappare una smorfia. –Io ed Alessandro siamo solo amici, quando te lo metterai in testa?-
-Tu non me la racconti giusta, sorellina-
-Piuttosto- dico per cambiare argomento –Non ho ancora capito perché non ho potuto venire a vivere con voi, siete anche sposati!-
-Perché  non sono tua madre, Nora-
-Ma io preferisco stare con te-
-Nora…- mi ammonisce lui.
-Va bene, va bene- borbotto dopo qualche istante di silenzio –Ti aspetto: vieni a portarmi via da questa prigione-
-Tranquilla, verrò-
-Ciao mio eroe-
-Ciao piccola strega-
Non faccio in tempo a mettere giù il telefono che squilla di nuovo.
-Alle tre sono sotto casa tua, non voglio sentire né se e né ma, capito?-
-Sandro cosa…?-
Ma non faccio in tempo a chiedere altro perché lui ha già chiuso la chiamata.
-A volte vorrei conoscere gente normale- borbotto mentre inizio a disfare le valigie ma non posso fare a meno di sorridere.
 
Il pranzo si svolge nel silenzio più cupo, ad un certo punto mia madre tenta persino di accendere la televisione per rallegrare l’atmosfera; io mangio a testa bassa, cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno e quasi ingozzandomi per potermi alzarmi da  tavola il più presto possibile.
-Gradisci qualcos’altro?- mi chiede Michela sempre con quel sorriso gentile.
Non la sopporto, né lei né il suo stupido sorriso.
-No, grazie- rispondo veloce –Ed ora credo che mi assenterò per andare a fare i compiti-
-Mi sembra che tu ti sia scordata una cosa, Eleonora- dice Rebecca alzando leggermente il tono di voce.
-Che cosa?- chiedo bloccandomi e girandomi lentamente verso di lei.
-Ci sono i piatti da lavare-
Io apro la bocca per replicare ma Michela mi precede: -Se devi andare a fare i compiti non c’è problema-
Così mi piaci donna,penso cercando di andarmene.
-Almeno aiuta a sparecchiare- insiste mia madre.
Io sbuffo.
-Eleonora!- mi riprende lei alzando la voce e lanciandomi un’occhiataccia.
Le sono sempre piaciute le occhiatacce, era con gli sguardi che comunicavano lei e papà, era con gli sguardi che si amavano.
-Ho capito- dico infine ed inizio a sparecchiare.
Anche Filippo si alza per dare una mano ed inavvertitamente mi sfiora il braccio. Io, inibita da quel contatto involontario ed improvviso, faccio cadere un piatto che si rompe in mille pezzi.
-Santo Koala Marsupiano!- esclamo mentre pezzi di porcellana rotolano di qua e di là.
-Modera il linguaggio, ragazzina- mi ammonisce per l’ennesima volta mia madre.
-Non ho usato un linguaggio volgare, se avessi detto…-
Lei mi interrompe prima che la situazione possa degenerare: -Guarda che pasticcio hai combinato!-
-Era un vecchio piatto, non fa niente- sdrammatizza Michela.
-Vai in camera tua prima di far saltare in alto la casa!- esclama mia madre guardandomi con ardore.
-Agli ordini, capo- borbotto io uscendo dalla stanza.
E’ solo l’una, questo vuol dire che mancano ancora due ore prima che Alessandro venga a salvarmi.
Osservo l’orologio a pendolo segnare, lentamente, il tempo che passa interminabile.
La mia stanza non è troppo grande ma sa di stantio, il mio letto ha il materasso più duro della storia e l’armadio sembra quello che condusse Lucy a Narnia –peccato che sia vuoto e triste invece che pieno di vecchie pellicce-, c’è persino una specchiera vecchio stile parecchio inquietante, come se non bastasse le pareti sono di un mostruoso giallo spento che assomiglia tanto al colore della pipì.
L’una e mezza.
Come posso resistere due mesi qua dentro?
Non sopporto di vedere mia madre e non sopporto di vederla felice con Michela, non sopporto nemmeno i sorrisi di quest’ultima. Non sopporto niente qui dentro. Come se non bastasse c’è Filippo… Preferisco non pensarci.
Le due.
Un leggero bussare alla porta.
-E’ aperto-
Con mia sorpresa non è Rebecca, venuta per farmi una bella strigliata, ma Michela con in mano un vassoio pieno di biscotti caserecci.
-Ciao- dico imbarazzata.
-Ti ho portato dei biscotti! Li abbiamo fatti io e tua madre-
L’immagine di lei e mia madre che si rotolano nella farina, nell’intento di  fare di tutto fuorché impastare i biscotti, mi si imprime nella mente.
-Grazie- dico cauta, prendendone uno.
Lo mando giù e faccio una smorfia, cercando di non abbandonarmi al profondo piacere che provano le mie papille gustative.
-Lo so che non è un granché come stanza- ammette posando il vassoio sul comodino –Era la stanza degli ospiti e non la usavamo da parecchio tempo, ma sto già parlando con mio fratello affinché la venga a sistemare. Ti prometto che quando tornerai da Torino sarà perfetta!-
Io annuisco, senza mostrare troppo interesse.
Poi un’idea si fa strada nella mia mente malsana, così prendo un altro biscotto.
-Sono buoni- dico sorridendo.
Lei mi sorride, raggiante e illuminata da vane speranze.
-Potresti dire a Reb-…- mi correggo appena in tempo -Mia madre che alle tre passa Alessandro a prendermi?-
-Con piacere, ti dobbiamo aspettare per cena?-
Io annuisco, dubito fortemente che mia madre mi lascerebbe stare tutto il giorno fuori, soprattutto oggi che devo fare la conoscenza della sua fantastica compagna.
-Ti lascio sola allora, vorrai prepararti-
Io annuisco ancora ma, di fatto, passo i quaranta minuti successivi a fissare il soffitto. Quando mancano ormai poco meno di dieci minuti all’arrivo di Alessandro afferro le prime due cose che sporgono dalla valigia: una salopette color jeans e una maglietta a maniche corte; insieme ad un giubbotto di pelle , il cellulare e pochi spiccioli.
-Io vado- urlo nel misterioso silenzio che aleggia nella casa.
-Non tornare tardi- dice mia madre a mo’ di saluto dal salotto.
Annuisco anche se so che non può vedermi ed esco di casa nello stesso istante in cui Alessandro scende dalla moto.
Gli vado incontro e gli butto le braccia al collo.
-Sei in ritardo- sussurro al suo orecchio –Perché la cosa non mi sorprende?-
-Perché non ami le sorprese-
Io faccio una smorfia mentre mi allontano da lui.
Mi porge un casco –anche se sarebbe più corretto dire il mio casco, visto che lo uso principalmente io e l’ha comprato per me- e salgo sulla moto dietro di lui, abbracciandolo.
-Sbaglio o quel babbeo che ci guarda dalla finestra al primo piano è il tuo adorato Filippo?- domanda a metà tra l’ironico e l’allibito.
-Zitto e metti in moto- dico improvvisamente nervosa.
-Okay, tieniti forte- si raccomanda come sempre.
Io mi stringo a lui mentre percorre velocemente le strade di questa triste città, arriviamo all’unico parco del paese dopo qualche minuto e scendiamo dalla moto.
-Allora?- mi chiede impaziente.
Io lo guardo inarcando un sopracciglio.
-Come si sta in prigione?-
-Così- dico facendo spallucce.
-E dai, Nora! Non farti pregare: sputa il rospo-
Io scrollo le spalle mentre cominciamo a camminare in mezzo agli alberi.
-Santo Gargoyle, parla ora e subito!-
Io scoppio a ridere. –Ti sto contagiando, Sandro. Ora inizi anche a parlare come me?-
-Sei tu che hai una cattiva influenza- risponde semplicemente ghignando.
Dopo l’estate di due anni fa che abbiamo passato insieme suo padre ha deciso di accettare il lavoro che gli avevano offerto nella città vicino alla mia e si sono trasferiti tutti per evitare che mio padre cadesse in depressione, siamo stati vicini di casa fino a ieri e non abbiamo passato giorno senza vederci. Devo ammetterlo: quando lo vidi arrivare verso di me senza salutare e con il telefono tra le mani non avrei mai pensato che sarebbe finita così.
-Terra chiama Nora!- esclama sventolandomi una mano davanti alla faccia.
-Sì, scusa- dico piano –Michela è bellissima e perfetta, quindi si capisce da chi abbia preso il figlio: Filippo Montesanti. Sì, proprio lui. Quando me lo sono rivisto davanti mi è preso un infarto-
-Immagino- ridacchia lui.
Gli lancio un’occhiataccia. –Ti sembra il caso di ridere delle mie disgrazie?-
-Non sia mai!- esclama ironico alzando le mani in segno di resa.
Gli tiro un pugno amichevole sul petto prima di continuare: -Stranamente è stato gentilissimo con me e sua madre si è rivelata perfettamente gentile e amichevole. Non sopporto di vederle insieme, okay? Mentre mio padre è in quello stupido centro per colpa sua… Io la odio, Sandro-
Lui mi guarda un attimo negli occhi, fermandosi: -Tu non la odi-
Io deglutisco ed abbasso lo sguardo.
Lui mi stringe brevemente una mano.
-Va tutto bene, hai capito? Vedrai che andrà tutto bene-
-Lo so ma… Voglio tornare con mio padre. Non ci voglio stare con lei. Lo so che mi sto comportando come un’immatura ma questo senso di impotenza mi infastidisce, capisci?-
Lui annuisce, cauto.
-Ti va un gelato?- mi chiede poi lasciandomi la mano.
-Con questo freddo?- gli chiedo rabbrividendo.
-Pensavo di prendere un ghiacciolo al limone, è un dolce babbano, sai?-
-Ah sì?- gli domando ridacchiando.
-Quando tornerà Elena?- mi chiede mentre raggiungiamo il bar.
-Domani-
Non so se ridere maliziosamente o piangere dalla preoccupazione per come Rebecca spiegherà a Elena la sua situazione, già spiegarle che si sono separati è stata un’impresa.
All’inizio dell’estate è andata in Emilia Romagna dai nonni e gli zii e, quando sono iniziate le pratiche per l’affidamento, papà e Rebecca hanno deciso di andarla a prendere quando le cose si sarebbero sistemate. Ha fatto i primi quattro mesi di scuola lì. Ho detto che, ormai, sarebbe stato meglio lasciarla là fino all’anno nuovo e, quindi, al secondo quadrimestre scolastico ma, come al solito, nessuno mi ha prestato la minima attenzione e papà aveva troppa poca voce in questione.
-Stai tranquilla, lei se la caverà, anche meglio di te- dice facendo un sorriso sghembo.
Io devo alzarmi sulla punta dei piedi per dargli uno scappellotto dietro al collo.
-Stupido-
-Ma sono un bello stupido-
-Stupido e narcisista- ripeto arricciando il naso.
-Cosa desiderate?- ci domanda il barista.
-Due ghiaccioli al limone- dice Alessandro lanciandomi uno sguardo d’intensa.
Me li offre lui, senza che io possa obbiettare ed usciamo, continuando la nostra passeggiata nel parco.
-Cosa pensi di fare con Filippo?- mi chiede con sguardo indagatore.
-Cosa intendi?- gli domando arrossendo.
-Ci proverai con lui?-
-Parli come se avessi una qualsiasi speranza- dico con una smorfia.
-Allora?- mi incita.
-Non ho una vera e propria scelta: non farò nulla-
-Sì che ce l’hai-
-E quale sarebbe?-
-Ammettere che sei da sempre segretamente innamorata di me-
Io rido e gli tiro  la carta del ghiacciolo, mancandolo di parecchi centimetri.
-Dovrei darti lezioni private- dice sbuffando e buttando nel cestino la carta.
-Di cosa?- gli chiedo perplessa.
-Di qualsiasi cosa, sei una schiappa praticamente in tutto, Nora-
-No, ti sbagli, io sono una comune mortale, sei tu che sei troppo bravo in tutto-
-Questione di punti di vista- dice leccando il suo ghiacciolo.
Io tengo gli occhi ben puntati sui suoi e mordo il mio, lo vedo rabbrividire: è una cosa che odia. Non sopporta mordere qualcosa di ghiacciato o vedere gli altri che lo fanno.
-Smettila- dice infatti con una smorfia.
-Di fare cosa?- chiedo divertita mordendo nuovamente il ghiacciolo.
Lui mi guarda male, seccato.
Io lo mordo ancora e ancora.
–E’ colpa tua se mi guardi- lo prendo in giro.
-Allora vuoi la guerra?- mi chiede mentre l’espressione stizzita lascia lo spazio ad un sorriso furbo e divertito.
Indietreggio, timorosa, ma è troppo tardi: inizia a farmi il solletico con la mano libera, rincorrendomi.
-Smettila!- esclamo con un urletto per niente da me tra le risate.
-Ammetti che sono bello-
-Mai- soffio tra i denti, senza riuscire a smettere di ridere.
-Dillo-
-Sei bruttissimo- dico cercando di mantenere intatta la mia dignità.
Lui si allontana da me mentre io riprendo a mangiare il ghiacciolo con le mani appiccicaticce e bagnate dal limone.
-Solo perché ti voglio bene e perché so che menti- dice ricomponendosi.
-Come no- dico io alzando gli occhi al cielo.
Non sarà maturo o particolarmente intelligente ma riesce a farmi dimenticare tutto il resto.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Sam27