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Autore: Feel Good Inc    31/01/2009    8 recensioni
Il professor Terada era quello che veniva comunemente definito un “uomo tutto d’un pezzo”.
Ma anche gli “uomini tutti d’un pezzo” hanno le loro debolezze.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Professor Terada, Rika Sasaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Debolezze

Debolezze

 

Don’t be afraid to be yourself

 

 

 

 

Il professor Terada era quello che veniva comunemente definito un “uomo tutto d’un pezzo”. Serio nel suo mestiere, elegante nella vita sociale, e al contempo di indole amichevole con tutti.

Ma anche gli “uomini tutti d’un pezzo” hanno le loro debolezze.

 

 

Lunedì pomeriggio. La campanella annunciò la fine delle lezioni, e gli studenti si riversarono vociando fuori dell’aula, sfrecciando in corridoio, impazienti di tornare a casa.

L’insegnante rispose ai saluti che gli venivano rivolti, ma rimase a testa bassa, concentrato sul registro personale, in cui stava ancora annotando i compiti assegnati per l’indomani.

Fu per questo che non si accorse subito che in classe con lui era rimasto qualcuno.

Quando infine chiuse il registro, afferrò la borsa e si alzò dalla cattedra, il suo sguardo si soffermò su una figurina nelle ultime file di banchi.

Rika Sasaki era seduta sul piano del proprio banco, la cartella stretta tra le braccia, il capo chino, il viso nascosto dai capelli castani. In quell’aula vuota, sembrava infinitamente sola e fragile.

Superata la sorpresa, Terada esitò. Doveva esserci qualche problema grave. Non l’aveva mai vista così: era una ragazzina molto tranquilla, ma sempre serena, almeno all’apparenza.

«Sasaki?»

Lei sussultò e alzò lo sguardo. Anche a quella distanza, era evidente che era sull’orlo delle lacrime.

«Scusi, professore, credevo fosse uscito» disse precipitosamente.

Però non dava segno di voler evitare le sue domande: lo fissava come se sperasse che lui continuasse a parlarle.

I suoi non erano gli occhi di una bambina...

Ma cosa vado a pensare?

Terada si scosse. Lasciò cadere il registro e la borsa sulla cattedra e mosse qualche passo verso il fondo dell’aula, dove Sasaki era ancora immobile a guardarlo, stringendo convulsamente a sé la cartella.

«C’è qualcosa che non va?» le chiese, fermandosi a qualche passo da lei.

Sasaki non rispose. Abbassò gli occhi, e le lacrime iniziarono a scorrere libere sul suo viso. L’uomo non osò muoversi; non voleva turbarla più di quanto non fosse già.

Terada non aveva figli. Non era sicuro di saperci fare poi molto con i ragazzi, al di là del classico rapporto insegnante-alunno. Ma con quella ragazza la faccenda era ancora diversa. Gli era sempre sembrata posata e matura per la sua età. Sentiva di poterle parlare senza ricorrere ad inutili paternalismi; ma ad ogni modo non intendeva forzarla, o rischiare di spaventarla. Non sapeva bene come affrontare la situazione...

«Non è nulla» mormorò alla fine lei, in tono nient’affatto convincente.

«Non credo che sia “nulla”.» Il professore tentò un sorriso rassicurante. «Problemi a scuola? Non posso aiutarti in qualche modo?»

Sasaki scosse lentamente la testa, sempre senza guardarlo.

«No, non ho problemi a scuola.» Ancora una volta, non sembrava convinta delle proprie parole. Arrossì. «Non credo che possa aiutarmi. Grazie comunque, professore.»

Una supposizione improvvisa – una pura ipotesi, in realtà – si fece strada nella mente dell’insegnante.

«Sasaki...» Si decise ad avvicinarsi ancora. «Ho notato una cosa, da quando insegno in questa classe. I tuoi compagni parlano spesso dei loro genitori, dei loro fratelli e sorelle. Di te, della tua famiglia, non ho mai saputo nulla.» Abbassò la voce. «Non ti va di parlarne? È perché c’è qualcosa che non va con i tuoi...?»

La ragazza scosse di nuovo il capo.

All’improvviso alzò lo sguardo e lo fissò apertamente in volto, arrossendo con ancor più intensità. Le lacrime le inondavano le guance.

«Ha mai avuto l’impressione di essere completamente sbagliato, sempre nel posto sbagliato e nel momento sbagliato?»

Una domanda così diretta quanto inaspettata lo spiazzò. Non trovò nulla da dire; ma ormai la sua giovane allieva aveva rotto gli argini. Continuò a parlare, liberandosi delle parole come un fiume in piena che travolgesse gli ostacoli nella sua corsa.

«So cosa dicono tutti. Eccola là. Sasaki la saggia. Sasaki che ha sempre una parola giusta per tutti. Sasaki la brava ragazza. Se solo sapessero... Se solo sapessero cosa prova la brava ragazza... Se solo sapessero quanto le costa tenersi tutto dentro...» Di colpo si portò le mani al viso, singhiozzando senza più ritegno. «Fa male, fa malissimo, non poter essere quello che si è, non poter esprimere quello che si prova...»

«Cosa dici?» mormorò Terada, un po’ confuso. Cercò di posarle una mano sulla spalla, ma alla fine cambiò idea. Non voleva trattarla come una bambina che avesse bisogno di carezze consolatorie. Lei non era così. «Sasaki, non dovresti neppure pensare queste cose. Nessuno ti impedisce di mostrare quello che sei... E sai cosa vedo io?»

Lei sollevò il viso arrossato e lo guardò. L’uomo ne approfittò per sorriderle dolcemente.

«Vedo una ragazza coraggiosa, giudiziosa, sincera, sempre pronta ad ascoltare gli altri... L’hai detto: una brava ragazza.» Sedette sul banco di fronte al suo. Da pari a pari. «Non c’è nulla di male in questo, sai? E per quante cose tu possa “tenerti dentro”, sono certo che non hai motivo di vergognarti neanche di quelle. Il fatto stesso che tu ora ti stia esponendo con questo vecchio impiccione del tuo professore» continuò allegramente, allargando le braccia, «senza timore di essere giudicata, dimostra quanto tu sia responsabile delle tue azioni... Perciò, lo vedi anche tu, nulla ti impedisce di aprirti agli altri per quello che sei, come stai facendo ora con me.» Tirò fuori dalla tasca della giacca un fazzoletto e glielo porse con un altro sorriso. «Non devi avere paura di essere te stessa, Rika.»

La ragazzina spalancò gli occhi, ancora colmi di lacrime.

Terada non avrebbe saputo dire se fosse più colpita dalle sue parole o dal fatto che lui l’aveva chiamata per nome.

Lei accettò il fazzoletto che le porgeva, ma non si asciugò subito gli occhi.

«Lo pensa davvero?»

L’uomo si chinò sul banco, sporgendosi verso di lei.

«Certo che sì.»

Rika si alzò e finalmente si passò il fazzoletto sul viso. Poi gli si avvicinò.

«Allora mi lasci fare una cosa.»

Si sollevò sulle punte dei piedi, chiuse gli occhi e posò sulla sua bocca un piccolo bacio leggerissimo, dal sapore di pianto.

Dopo un attimo si ritrasse. Aveva di nuovo le guance in fiamme, ma non piangeva più.

Terada rimase attonito a guardarla.

Il senso delle sue parole di poco prima lo colpì, quasi dolorosamente.

“Fa male, fa malissimo, non poter essere quello che si è, non poter esprimere quello che si prova...”

Davanti a lui non c’era più una ragazza. Ora Terada la vide per quello che era: una giovane donna. Innamorata.

Rika si mise la cartella in spalla e gli restituì il fazzoletto, tenendo per un istante le mani sulla sua. Sorrise timidamente.

«A domani, professor Terada.»

Attraversò la classe vuota, raggiunse la porta e uscì, rivolgendogli un altro breve, luminoso sorriso.

L’uomo la seguì con lo sguardo finché non fu scomparsa nel corridoio.

«A domani, Rika» mormorò tra sé.

Strinse forte il fazzoletto umido delle sue lacrime.

Quindi si alzò, tornò a prendere borsa e registro e uscì a sua volta dall’aula.

 

 

Il professor Terada era quello che veniva comunemente definito un “uomo tutto d’un pezzo”.

Ma anche gli “uomini tutti d’un pezzo” hanno le loro debolezze.

La sua si chiamava Rika Sasaki.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa shot, oltre ad essere un piccolo tributo al Terada/Rika – pairing su cui ci si sofferma poco, purtroppo – vuole essere anche un omaggio a tutti quegli amori apparentemente impossibili che tutti, almeno una volta nella vita, ci ritroviamo a provare. Ve lo dice una che attualmente ci è dentro fino al collo.

Spero vi sia piaciuta! ^^ Arigatou!

   
 
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