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Autore: northernlight    19/08/2015    1 recensioni
Tirò fuori le chiavi dalla tasca interna del pesante cappotto nero che indossava, recuperò anche il cellulare per controllare l’ora: erano le 5:20, probabilmente era in piedi da quasi 24h. Per una volta poté ringraziare l’alcool che lo teneva sveglio, non del tutto lucido ma almeno era in piedi. Non ringraziò invece il suo compagno di sortite awardesche visto che Adam l’aveva abbandonato solo a se stesso in preda ad una tremenda febbre che l’aveva costretto a letto sin dal giorno precedente.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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            Their kind of heaven.
 



L’alba di Londra ha sempre qualcosa di magnifico e stupefacente, pensò Theo, e amava paragonarla all’impatto con l’acqua gelida del Pacifico quando andava a Santa Monica soprattutto quando fuori faceva particolarmente caldo: il freddo, stare lì alle cinque di mattina così come faceva freddo stare in acqua, ma non si sarebbe mosso da quel posto nemmeno per tutto l’oro del mondo. Il loro manager gli avrebbe staccato la testa a morsi se l’avesse visto, lui che doveva indossare due maglie anche con 40° all’ombra per non ammalarsi e danneggiare la voce. Sceso dall’auto che l’aveva riaccompagnato a casa, si fermò a contemplare il cielo che iniziava a diventare pian piano più chiaro, le poche nuvole sparse si tingevano di rosa riflettendo la luce del sole nascente. Inciampò goffamente nel marciapiede, ubriaco com’era, per inseguire con lo sguardo il profilo delle basse case attorno sé, i marypoppinsiani comignoli che si stagliavano contro quel cielo visto milioni di volte, ma sempre così assurdamente bello. Era proprio vero: non ci si abitua mai a quella città. Una folata di vento gelido spazzò via quella nebbiolina malinconica che l’aveva avvolto e lasciato imbambolato lì, per quella strada che iniziava a popolarsi di londinesi – perché per lui chiunque avesse coraggio di trasferirsi e vivere in quella città meritava a pieno titolo quella definizione – in vista del nuovo giorno. Era febbraio e per lui, da qualche anno, febbraio significava l’inizio della stagione degli award: una tiritera infinita di tappeti rossi, nomi altisonanti mischiati alla fanghiglia, domande molto spesso stupide e ignoranti, sorrisi falsi e – a volte – quelle sbronze galattiche che ti davano l’illusione di passare in fretta e invece, come quella mattina, stavi lì a fissare il nulla per dei minuti interminabili. Come la sbronza di quella sera. Tirò fuori le chiavi dalla tasca interna del pesante cappotto nero che indossava, recuperò anche il cellulare per controllare l’ora: erano le 5:20, probabilmente era in piedi da quasi 24h. Per una volta poté ringraziare l’alcool che lo teneva sveglio, non del tutto lucido ma almeno era in piedi. Non ringraziò invece il suo compagno di sortite awardesche visto che Adam l’aveva abbandonato solo a se stesso in preda ad una tremenda febbre che l’aveva costretto a letto sin dal giorno precedente. Aprì lentamente il portone di casa sua. L’amico aveva insistito perché presenziassero comunque entrambi, e ne era convinto e deciso almeno fino a quando non era quasi franato addosso a Theo a causa di quella terribile piaga sociale che mette K.O. qualsiasi uomo sul pianeta Terra: una banalissima influenza invernale. Mentre pigiava il bottone numero 5 sulla tastierina elettronica dell’ascensore, ricordò la conversazione di quella mattina stessa.

“No, Theo, smettila. Tu ci andrai e basta” gracchiò Adam dalla morbida poltrona di pelle marrone, avvolto in una coperta di pile rossa.

“Ma…” provò a ribattere il cantante.

“Smettila di fare i capricci, non è la prima volta che vai a qualche premiazione senza di me” lo interruppe Adam “ho già parlato con Calvin, passerà a prenderti da qui alle 22. Di là c’è il tuo abito e tutto quello che ti serve.”

Discussione chiusa. Nessuna possibilità di risposta. Theo 0, Adam 1 e questo era tutto. L’anima Miranda Priestly di Adam l’aveva messo nuovamente a tacere e al cantante non rimase altro da fare che mettere su un broncio che urlava faccio-capricci-quando-mi-pare da tutti i pori e si mise a preparagli qualcosa di caldo. E alla fine ci era andato da solo, alla cerimonia, con i suoi amici di sempre tranne uno; tuttavia era sempre preoccupato per Adam: si erano scambiati qualche rapido messaggio poi l’amico aveva smesso di rispondere, presumibilmente addormentato e, sperò Theo, possibilmente ancora vivo. L’ascensore arrivò al quinto piano dopo quella che gli parve un’eternità. La stanchezza iniziava a farsi sentire, come iniziavano a farsi sentire le gambe pesanti e le palpebre impastate dal sonno. Al terzo tentativo riuscì ad infilare la chiave nella toppa della porta di casa e, stranamente, a girarla senza svegliare tutto il vicinato. Il piccolo corridoio, pieno di fotografie in bianco e nero, lo accolse in una penombra ovattata e isolante. Si fiondò subito in salotto dove il divano bianco rifletteva l’albeggiare del cielo che filtrava da una enorme finestra lì vicino. Il riscaldamento era acceso perciò in casa regnava quel microclima tropicale che a Londra non sarebbe mai potuto accadere naturalmente. Si tolse il cappotto e la giacca bianca e li lasciò cadere distrattamente per terra ma, nel fare qualche passo in avanti, urtò quel dannato tavolinetto che aveva spostato esattamente tre giorni prima e del quale non si era ancora abituato ad avere in quella posizione. Qualcosa rotolò tragicamente sul pavimento, con un drammatico tonfo sordo da far gelare il sangue. Si bloccò fermo, immobile, congelato. Nel non sentire nessun rumore in risposta, Theo tirò un sospiro di sollievo e iniziò a sbottonare il colletto della camicia che indossava. Si avviò verso la sua camera, pregustando la dormita di minimo tre giorni che gli si dipanava davanti. Seminò i suoi vestiti un po’ ovunque, cosa che faceva solo quando non era pienamente conscio delle sue azioni; i suoi abiti erano forse la seconda cosa a cui teneva di più al mondo. Le scarpe lasciate in bagno, la camicia poggiata blandamente su un mobile; barcollò in camera sua, nel buio assoluto,si fermò sulla porta calciando via i morbidi pantaloni neri rimanendo in canotta e boxer. Sorrise debolmente nel vedere i contorni del suo letto occupato, il soffice piumone bianco rigonfio dal lato opposto al suo. Recuperò una maglia bianca a mezza manica e dei pantaloni di felpa neri lì vicino e si avvicinò a tentoni al letto. Ovviamente, con una bella manata goffamente assestata, scaraventò sul pavimento ciò che era sul comodino accanto al letto, probabilmente medicinali a giudicare dal rumore. Adam, comunque, sembrava dormire tranquillamente, il respiro un po’ pesante per via del raffreddore. Theo si avvicinò a lui, concentrato per la prima volta da quando aveva messo piede in quella casa: voleva abbracciarlo senza che lui se ne accorgesse, Adam aveva acconsentito a dormire nello stesso letto ma detestava il dover dormire abbracciato a qualcuno. O viceversa, qualcuno dormisse abbracciato a lui. Anche se quel qualcuno era Theo. Adam dormiva su un fianco e, anche se Theo non riusciva a vederlo, l’aveva guardato troppe volte dormire sul divano di casa sua per non sapere l’esatta posizione in cui erano le sue mani quando riposava. Era automatico ormai. Il cantante riuscì – stranamente – nell’intento di avvicinarsi ad Adam e di far aderire il proprio corpo al suo. Poggiò la fronte contro la nuca del chitarrista, inspirò profondamente arricciando appena il naso a causa del profumo di Adam alterato dai medicinali.

“Erano le mie aspirine, quelle che hai fatto cadere.”
Theo sorrise, gli posò un leggero bacio alla base della nuca.

“Hey…”
Theo lo strinse più forte a sé felice del fatto che Adam non si divincolasse dall’abbraccio.

“Hey” sussurrò Adam, la voce roca ancora assonnata, gli occhi chiusi.

“Divertito?” chiese il chitarrista.

“Mh-mh” affermò Theo.

“È andato tutto bene?”

“Mh-mh.”

“Sei ubriaco?”

“Mh-mh.”
Theo aggiunse una risatina eloquente. Adam gli strinse una mano portandosela al petto. Era gelida. Il cantante lo sentì inspirare a fondo.

“Hai addosso un profumo che non è tuo. Chi era la ragazza-copertura di stasera?” chiese Adam ironico.

“Durante l’after ero con Cara e Rosie” rispose Theo.

“Ah beh” continuò il chitarrista dopo un attimo di riflessione “Rosie è troppo perfino per te e a Cara dubito piacciano i tuoi attributi, al momento.”
Theo tacque, concordando con l’amico.

“Però c’era Daisy” riferì il cantante.

“Daisy ha delle belle tette” osservò poco dopo. Adam aprì gli occhi; quella ragazza era un po’ un tasto dolente per lui. Lei e Theo erano dannatamente belli e perfetti insieme che nessuno aveva fatto fatica, mesi addietro, a credere che ci fosse del tenero tra di loro.

“Siete simili” puntualizzò Adam.

“Cos-… anche io ho le tette?” chiese ironico il cantante, con un piede già abbondantemente tra le grinfie del sonno.

“No, siete simili. Sareste potuti essere una bella coppia, se a te le tette piacessero sul serio.”

“Daisy è una buona amica” lo rassicurò Theo.

Come se ci fosse bisogno di rassicurazioni’ aggiunse mentalmente poi, sbadigliando.

“Mh-mh” mormorò Adam.

“E sa di noi, quindi niente tette” proseguì il cantante “anche se, ogni tanto… in amicizia…”

“Dormi, Theo.”
Theo sorrise ancora. Sorrideva un sacco quando c’era Adam. Seguì il consiglio dell’amico e iniziò ad appisolarsi.

“Ah, in che pietose condizioni è la giacca bianca che indossavi?”
Theo, ammutolito, pensò alla giacca gettata chissà dove a pochi metri da lì. Ebbe anche un flash di non-ricordava-chi, forse Cara, che amichevolmente gli chiedeva chi si fosse fatto dato che aveva uno sbaffo di rossetto rosso sul collo della giacca.

“Come immaginavo” intervenne Adam non aspettano risposta dall’amico “domani la porto in tintoria.”

“Domani?”

“Sì, sto già un po’ meglio” spiegò Adam “domani dovrei riuscire ad uscire.”

“No, riformulo: domani?”

“Sì, domani.”

“Io vorrei dormire per i prossimi tre giorni, in questa esatta posizione. Non è contemplato uscire da questo letto, figuriamoci dall’edificio in generale.”
Adam avrebbe voluto avere le forze per rispondere, ma l’aspirina presa poco prima che Theo arrivasse, iniziava ad alleviare il martellante mal di testa che lo tormentava. O forse era solo la presenza di Theo, a permettergli di dormire bene.

“Mh-mh” mugugnò infine il chitarrista.
Adam sorrise. Sorrideva un sacco da quando c’era Theo.
  
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