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Autore: ChiiCat92    20/08/2015    2 recensioni
"Sora.
Quattro lettere.
S-o-r-a.
Sora.
Non è difficile da pronunciare, per questo scivola via dalle mie labbra sotto forma di gemito ancora prima che possa rendermene conto.
Sora.
Fa quasi male sulla lingua, brucia, brucia da morire, come fuoco vivo."
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Riku, Sora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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- Deep Blue Sky -

 

Sora.

Quattro lettere.

S-o-r-a.

Sora.

Non è difficile da pronunciare, per questo scivola via dalle mie labbra sotto forma di gemito ancora prima che possa rendermene conto.

Sora.

Fa quasi male sulla lingua, brucia, brucia da morire, come fuoco vivo.

Sento la sua bocca poggiarsi sul mio collo, mordermi la pelle, e sento me stesso gemere per il dolore improvviso, completamente alla sua mercé come una bambola, un giocattolo.

Sora.

Mi sussurra qualcosa all'orecchio, velocemente, mi fa rabbrividire. Capisco che sorride dal tono della sua voce.

Gli piace, gli piace vedermi disarmato, gli piace sapere che la mia intera esistenza in questo momento dipende da lui, solo da lui.

Quando si allontana sento all'improvviso un gran freddo, un freddo che mi prende le ossa e mi fa tremare tutto.

Mi volto appena a guardarlo e mi rendo conto di quanto sia diverso in questo momento.

Mi sovrasta, mi tiene schiacciato contro il muro.

Mi sottomette ed io lo lascio fare.

Si riveste piano, con quel sorriso vittorioso sulle labbra che mi fa impazzire. Vorrei strapparglielo via a morsi ma non ho la forza di farlo.

Quando i suoi occhioni blu trovano i miei mi sento percorrere da una scossa elettrica.

- Riku. -

Mormora, ed io sono di nuovo sotto il suo incantesimo.

Rispondendo al richiamo, mi avvicino a lui, come un soldato, sull'attenti. Non mi sono ancora rivestito.

Lui si diverte ad accarezzarmi il petto con la punta delle dita, così piccole eppure così esperte, cosa che mi fa tremare da capo a piedi, di nuovo.

Chi l'avrebbe mai detto. Io, così grande e grosso, succube di una personcina minuscola come Sora.

Devo averlo letto da qualche parte: è nelle bottiglie più piccole che si conserva il veleno più letale, ed io sto lentamente morendo.

- Perché non ti rivesti? -

Bisbiglia con un sorrisetto. Mi viene naturale aggrottare le sopracciglia, come a dirgli che è tutta colpa sua se ancora non l'ho fatto.

Sbuffo appena ma non ribatto, ho troppa fretta di recuperare insieme ai miei vestiti anche la mia sicurezza.

Mentre tiro su la zip del gilet, sento che qualcosa è già cambiato: non sono più la stessa persona che lui ha posseduto pochi istanti fa.

I suoi occhi blu mi cercano, trovandomi impettito e dritto proprio dietro di lui.

- Vado, prima che tua madre si faccia qualche strana idea. -

Gli angoli delle labbra di Sora si tendono in un sorriso quando mi sente parlare e mi chiedo in cosa posso averlo divertito così tanto.

- Mia madre si sarà sicuramente fatta qualche strana idea sentendoti gemere, Riku. -

Le sue parole hanno la forza di farmi fremere da dentro, come se lui avesse afferrato il mio nucleo e gli avesse dato una profonda scrollata, causando una serie di terremoti devastanti.

- Non dire idiozie. -

Riesco a dirgli, ma so di essere arrossito, lo so perché lui ride di me.

Per orgoglio non lo saluto neanche, nonostante il mio bisogno devastante di sentire le sue labbra sulle mie.

Gli volto solo le spalle e vado dritto alla porta, scendo le scale e via, fuori da quella casa.

Con le mani infilate in tasca e la testa incassata tra le spalle sento comunque lo sguardo acquoso di Sora. È alla finestra, posso quasi vederlo nella mia mente: sornione come un predatore che ha deciso di tenere in vita la sua preda ancora un po' per giocarci in un secondo momento, ben deciso a farmi un buco dietro la testa a furia di guardarmi mentre me ne vado. È sempre la solita storia.

Sopporto il suo sguardo finché non supero una macchia di palme da cocco, quelle che so che copriranno la sua visuale, dopo di che mi lascio cadere sulla sabbia fredda.

L'Isola dorme. Alle cinque del mattino cos'altro potrebbe fare? Umani, bestie, persino le ombre del passato dormono.

Il mare, placido, sciaborda lentamente, avanti e indietro, pigro, svogliato; il cielo sgombro mostra una serie di stelle così brillanti da fare male agli occhi, rischiarato dal pallido lucore del sole che sorge. Manca poco all'alba.

Non riesco a non sospirare, cercando di calmare il tumulto del mio cuore.

Il sangue circola troppo velocemente, i pensieri corrono in milioni di direzioni diverse, ogni muscolo freme e brucia come dopo una maratona: sono ancora troppo carico di adrenalina e la colpa è tutta del veleno che sto cominciando ad assumere con un po' troppa frequenza ultimamente.

Sora.

Di nuovo il suo nome mi sfugge dalle labbra con un sospiro trasognante.

Tra le sue braccia non posso fare altro che acconsentire ad ogni sua richiesta, ogni suo bisogno. Lui domanda ed io rispondo.

Quel suo aspetto nascosto viene a galla solo di notte, quando nessuno può guardare il volto dietro la maschera di dolcezza e ingenuità che indossa ogni giorno: Sora è molto più di quanto lasci a vedere, e sapere che mostra solo a me quel lato della sua personalità mi fa sentire in qualche modo speciale.

Lui mi appartiene come io appartengo a lui.

Quello tra noi è un segreto che ci bisbigliamo a vicenda tra le lenzuola, quando lui smette di essere il solare ragazzino che ho sempre conosciuto e si trasforma in qualcuno che non conosco, qualcuno che si prende da me quello che desidera senza neanche chiedere.

L'aria fredda della notte mi costringe ad alzarmi e proseguire verso casa.

Vorrei rimanere qui, in questo limbo, dove non sono né il Riku spavaldo e sprezzante, padrone di se stesso, né il Riku gemente e debole di Sora.

È nel tratto di spiaggia da casa sua a casa mia che ricostruisco pezzo per pezzo quello che sono.

Ad ogni passo si aggiunge un mattone. Quando sarò davanti alla porta il muro sarà di nuovo in piedi.

In quanto tempo Sora lo distruggerà di nuovo?

Ora non mi interessa, al Riku che si chiude alle spalle la porta di casa non interessa. Lui è forte, fiero, egoista.

Lui non sono più io.

Nel buio salgo le scale verso la mia stanza. Ho ancora i brividi su tutto il corpo, la pelle brucia dove Sora l'ha toccata. Mi sento febbricitante.

È l'effetto del suo veleno?

Ne vorrei ancora.

Mi getto a peso morto sul letto, sperando che il sonno mi colga il più in fretta possibile.

Voglio che arrivi presto domani, così potrò tornare da lui.

 

Bip, bip, bip, bip, bip.

Ho capito, ho capito, sono sveglio!

Mi sporgo da un lato e metto a tacere le urla della sveglia. Magari fosse così facile zittire quelle di mia madre provenienti dalla cucina.

Apro appena un occhio solo per rendermi conto che è tardi.

Perché sono andato a dormire all'alba?

Solo qualche secondo per ricordare.

Ah.

Sora.

Il cuore mi fa male mentre mi alzo ridando vitalità agli arti intorpiditi.

Ho dormito solo quattro ore, ma è come se non avessi dormito affatto.

Ormai è tardi per provare ad arrivare puntuale alla lezione, per cui neanche mi affretto nell'infilare la divisa scolastica. Con calma faccio il nodo al cravattino e con ancora più calma cerco la mia immagine allo specchio.

Con un sospiro di sollievo mi accorgo che Riku è ancora lì, il suo freddo disinteresse non è stato ancora del tutto intaccato dal veleno che gli scorre nelle vene.

Infilo a caso qualcosa nella cartella e scendo a fare colazione.

Mia madre ha un diavolo per capello, blatera del fatto che sto peggiorando: prima mi alzavo puntuale, non facevo mai ritardo e non sembravo così...

Così non so come, visto che ho smesso di ascoltarla, troppo impegnato a constatare che ho bruciato i toast senza neanche accorgermene.

- Non è da te! - urla lei, togliendomi di mano il tostapane come se da un momento all'altro potessi dar fuoco a tutta la casa - Mi dici dove hai la testa in questo periodo?! Sei completamente assente e distratto! Riku? Mi senti?! -

No, sinceramente non la stavo ascoltando.

Alzo lo sguardo su di lei e so di aver fatto un tremendo errore: non si dovrebbe mai guardare la propria madre con l'espressione che ho io adesso sulla faccia, quella da “non stavo ascoltando una sola parola e non ho idea di ciò che hai appena detto”.

Su di me si scatena la tempesta.

 

Venti minuti e diverse urla dopo, esco di casa felice di avere una lunga giornata scolastica davanti che mi terrà lontano da quella casa e tutto ciò che contiene.

Riesco a prendere per un pelo il traghetto che mi porterà all'isola maggiore e il tragitto è così corto che non mi sembra vero.

Da lontano la scuola appare come un blocco uniforme di cemento armato, con finestre di vetro traslucido che si alternano sulla facciata. Da vicino ci si rende conto che è proprio come sembra da lontano.

Riesco ad entrare in classe a metà della seconda ora, e tutti si sconvolgono al vedermi arrivare così in ritardo: che è successo al Riku che era già seduto al suo posto al primo banco ancora prima del suono della campanella?

Bhe, questo Riku non ne ha idea, per questo corre a sedersi all'ultimo banco e spera che la giornata non gli faccia troppo male da non sopravvivere fino all'ora di pranzo. Perché a quell'ora riceverà la sua dose di veleno.

 

Le campane del Paradiso hanno molto in comune con la campanella delle due.

Mentre tutti si alzano parlottando tra loro, io rimango al mio posto a terminare il mio capolavoro: una serie di ghirigori sconnessi che ho disegnato per tutta l'ora invece di prendere appunti.

Se questo non mi fa capire che in me è davvero cambiato qualcosa non so cos'altro potrebbe farlo.

Tengo lo sguardo fisso sul foglio, concentrato come se fosse il test di metà semestre finché non sento la sua voce intonare il mio nome come un usignolo.

Nella sua bocca “Riku” assume tonalità disturbanti che toccano corde nascoste dentro di me.

È per questo che rabbrividisco immediatamente.

Solo quando sono certo di incontrare il suo sguardo alzo gli occhi. Ed eccolo lì, un cielo blu profondo in cui mi sono già perso.

- Sei arrivato in ritardo oggi. -

Non è una domanda e non ha neanche il tono di un rimprovero, ma per qualche ragione mi si stringe lo stomaco all'idea di averlo in qualche modo dispiaciuto, e vorrei cancellargli quel broncetto infantile dalle labbra a suon di baci.

- Sì, devo aver puntato male la sveglia. -

Invece di dirmi, come tutti, “Non è da te!”, Sora si limita a sorridere, malizioso, come se fosse complice di quell'errore, o come se ne fosse lui stesso la causa. Come se la cosa lo divertisse enormemente.

- Andiamo in mensa insieme? -

Propone lui. Il ghigno di malizia ha lasciato il posto sul suo volto ad un sorriso casto e puro, fuori da ogni sospetto.

Dove nascondi i denti avvelenati, Sora?

- Come sempre. -

Riesco a sbottare, più rude di quanto vorrei.

Sora da in una risatina e mi precede fuori dall'aula.

No, non andremo in mensa.

 

- Sora...! -

- Shh. -

Mi zittisce lui, frettoloso, come se non ci fosse tempo neanche per il silenzio.

Spinge il bacino contro di me e sento tutto il mio corpo fremere. Getto la testa all'indietro e l'orgasmo mi prende all'improvviso, non previsto, non voluto: troppo in fretta.

“Ancora!” vorrei dirgli, ma lui si sta già allontanando e io non ho la forza per emettere alcun verso che non sia un gemito imbarazzante.

Mi accascio contro il muro, le ginocchia che non reggono più il mio peso.

Perché è sempre così?

Debole ed esposto, mi rivesto in fretta nascondendo i segni dei suoi morsi sulle spalle. Sa bene come fare perché nessuno veda quei segni: morde lì dove sa che i vestiti copriranno i segni dei denti, abbastanza forte da provocarmi una scarica di piacere e dolore insieme.

Lui sorride mentre si passa una mano tra i capelli spettinati, madidi di sudore. Ancora una volta sa di aver trionfato: se solo volesse, potrebbe schiacciarmi sotto i suoi piedi, non mi ribellerei.

Mi porge una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi ed io la prendo come se fosse la mia ancora di salvezza. Sovrastarlo in altezza mi fa sentire peggio che mai. Come può lui così piccolo sottomettere me così grande?

Mi prende il viso con entrambe le mani e mi bacia, forte, mordendomi il labbro inferiore come se volesse strapparlo via.

Quando mi guarda c'è qualcosa di brillante nelle sue iridi cerulee.

- Che c'è? -

Sussurra. Come se non lo sapesse!

Scuoto appena la testa, non sono in grado di parlare, non ancora. Cosa che lo fa ridere appena.

Mi getta le braccia al collo con foga, neanche fosse un bambino, e per un attimo mi sembra che tutto lo slancio di passionalità di pochi istanti fa sia tutto frutto di un mio sogno perverso. Ma ci mette poco ad appoggiare le labbra sulla pelle chiara della mia spalla e regalarmi un altro morso.

Salto in aria e un piccolo gemito, mio malgrado, mi sfugge.

- Sora... -

Mormoro, cercando di ammonirlo. Di questo passo avrò lividi ovunque.

Forse ha capito di averi fatto male, tanto che comincia a baciarmi piano, seguendo il profilo della spalla e passando al collo. Piego di lato la testa per accogliere le sue labbra mentre salgono verso l'orecchio. Morde il lobo, piano, suggendolo attentamente finché non mi vene la pelle d'oca...finché non comincio di nuovo a sentire tirare l'inguine.

- Ti eccita? -

Mi chiede, una risata nella voce.

Vorrei negare ma la reazione del mio corpo parla da sola.

Slacciato un braccio dal mio collo prende ad accarezzarmi il petto con una mano. Anche se tengo gli occhi chiusi so che mi sta guardando. Gli piace studiare le mie espressioni più imbarazzanti.

È proprio quando stringe un capezzolo tra indice e pollice che la porta principale dello spogliatoio si apre.

Così realizzo che sono ancora qua, nella cabina del bagno dello spogliatoio della palestra, mezzo nudo, schiacciato contro la parete di legno piena di gomme da masticare appiccicate ovunque e scritte con numeri di telefono che promettono notti di follie. E Sora, che continua a stuzzicarmi accarezzando i miei punti più sensibili, facendomi fremere come una foglia al vento.

La campanella della pausa pranzo è suonata da un pezzo, per questo un'inondazione di ragazzi ha invaso gli spogliatoi.

Sento il cuore battermi tanto forte in petto da fare male. Il chiacchiericcio sommesso dei ragazzi mi gela il sangue.

Se sapessero.

Se ci scoprissero.

Devo mordermi forte la lingua per non urlare: Sora è sceso tanto con le labbra da prendere tra i denti il capezzolo.

Abbasso lo sguardo nel tentativo di rivolgergli un'occhiataccia, ma le ondate di piacere che mi attraversano la schiena sono così intense da far evaporare qualsiasi traccia di rabbia.

E lui sorride.

Mai come in questo momento quel sorriso mi è sembrato così pericoloso e così perfetto insieme. I denti bianchi come perle contro le labbra rosso ciliegia, la piccola fossetta che gli viene sulla guancia destra, e gli occhi, pozze profonde e scure come l'Universo.

Tremo, so che cosa succederà adesso.

Mentre fuori dalla nostra porta qualcuno bussa e chiede come mai è chiusa a chiave, mentre i ragazzi si scambiano le loro confidenze prima di andare a lezione di ginnastica, mentre tutto il mondo va avanti con la sua vita, la mano di Sora scende tra le mie gambe e tutto il resto non ha per me più alcuna importanza.

 

- Forza Riku, sei lento! -

Corre in avanti, ridendo, i capelli spettinati che gli danno l'aria di un ragazzino.

Quanto pericoloso può essere un predatore travestito da preda?

Annaspo nel tentativo di stargli dietro. Ha ancora così tante energie che potrebbe fare il giro dell'isola e trovarmi ancora qui. Non riesco a condividere quell'entusiasmo, forse perché mi sento la testa leggera e le gambe mi tremano ancora.

- Io vado avanti, muoviti o parte il traghetto! -

Non so neanche se gli ho annuito. Visto che la sua testolina bruna sparisce all'orizzonte, penso proprio di sì.

Ondeggio in avanti, indispettito che questa giornata sia volata così in fretta, o forse...indispettito dal fatto che l'unica cosa che riesco a ricordare di questa giornata sono gli occhi blu di Sora sopra di me, come un cielo senza luna e senza stelle. Solo blu.

C'è stata la lezione di...Sora. Poi l'ora di...Sora. Sono stato interrogato in...Sora.

Sora. Non riesco a ricordare altro.

Arrivo all'attracco del traghetto che neanche me ne rendo conto. Sora ha preso i biglietti per entrambi e lo ringrazio con un sorriso sterile, mentre il sorriso che mi rivolge lui è di tutt'altra pasta: largo, luminoso, caldo, per un attimo ha la capacità di sostituire il sole.

È così che la gente ci vede, perché così appariamo ad una superficiale occhiata: un ragazzino piccolo, immaturo, infantile, con la divisa delle superiori che gli va davvero troppo larga come se gliel'avesse passata un fratello maggiore, e il suo amico almeno di un anno più grande, dall'aria annoiata e matura che lo controlla affinché non si faccia male perché è evidentemente pericoloso per se stesso.

Ma sappiamo entrambi, solo guardandoci negli occhi, che non è così: quello che nascondiamo sotto quella facciata potrebbe distruggere per sempre l'idea che le persone hanno di noi.

Sora è molto bravo a sostenere la sua parte, un attore provetto.

A volte mi chiedo come reagirebbe se lo baciassi in pubblico.

Mi guarderebbe con quegli occhi da cerbiatto abbagliato dai fari di un'auto e manderebbe avanti la sua recita?

Oppure mi aggredirebbe come sempre quando le mie labbra toccano le sue in cerca di un controllo che non possono avere?

È difficile capire cosa siamo insieme, se siamo qualcosa inseme.

Questo passionale tiro e molla è cominciato quasi per gioco, per caso, e si è trasformato in qualcosa di cui io ho bisogno, ogni giorno di più.

Siamo vicini, troppo, e a causa del mio “essere lento” abbiamo preso l'ultimo traghetto. A parte noi non c'è nessuno, lo sciabordare dell'acqua e il soffio del vento riempiono le orecchie. Siamo virtualmente soli per tutta l'attraversata.

Appoggiato sulla balaustra, Sora guarda il mare, con il vento che sferza i suoi capelli rendendoli più spettinati che mai. Io cerco di domare i miei, inutilmente.

Chissà perché ho tanto desiderio di apparire...affascinante mentre colmo la distanza tra noi e lo abbraccio piano da dietro.

Lo sento appena appena irrigidirsi al mio tocco, e subito volta la testa verso di me.

Ecco, come da pronostico, lo sguardo da cerbiatto.

- Che stai facendo? -

Lo dice piano, quasi spaventato.

L'ho preso alla sprovvista.

Mi guardo intorno, scenicamente, come per accertarmi che non ci sia nessuno in giro, e gli rivolgo un sorriso.

Riku? Hai sviluppato un'immunità al suo veleno?

Da dove hai preso tutto questo coraggio?

- Non c'è nessuno. -

Gli sussurro, tentando un approccio sensuale. Mi sento...stupido, stupido a tentare di sedurlo così, all'aperto, con gli occhi del mondo potenzialmente puntati su di noi.

- Lo so. Ma che stai facendo? -

Freddo. Ha perso il sorriso.

Sto facendo qualcosa di sbagliato?

Si tira indietro, e l'improvvisa mancanza del suo calore tra le mie braccia mi fa sentire vuoto e gelido come il suo sguardo.

- Sora, è solo un abbraccio. -

Cerco ancora di sorridergli, cerco ancora di essere affascinante, ma capisco da solo che quello che devo avere in faccia è più una smorfia che un sorriso.

- Non ti ho dato il permesso di abbracciarmi. -

Mi dice, come se fosse una cosa...così ovvia, e come se io fossi un totale idiota perché non ci ho pensato prima.

Ed ora è così che mi sento mentre mi guarda con rancore: un totale idiota, appunto.

- Pensavo che non ti desse fastidio, visto il nostro rapporto. -

Forse avrei dovuto solo pensarlo, e non dirlo ad alta voce come ho appena fatto, infatti me ne pento subito dopo. Ma è tardi, la sua espressione si è tramutata in qualcosa che non riesco a decifrare, un misto di incredulità e rabbia.

- È solo sesso, Riku. - una pugnalata al cuore avrebbe fatto meno male, sarebbe stato meno doloroso di questo, perché lui il cuore non l'ha solo pugnalato, l'ha preso ancora pulsante dal mio petto e l'ha fatto lentamente a pezzi - Non mi sembra di averti mai fatto intendere che ci fosse qualcosa di più tra noi. -

Mi spaventa la frase che potrebbe aggiungere subito dopo, mi spaventa il gelo nei suoi occhi, mi spaventa tutto di lui in questo momento.

Mi spaventa che possa dirmi che non solo non c'è niente tra di noi, ma che non potrà mai esserci niente tra di noi.

Questo, sopra tutto, è la cosa che più mi terrorizza, e non so neanche perché.

 

*

 

Cinque giorni.

Cinque giorni passati senza una sua parola, senza la sua presenza, senza di lui.

Non è venuto a scuola, non ha risposto alle mie chiamate, e a quanto sembra non “può uscire adesso”, almeno, è così che mi ha detto sua madre.

Mi manca, mi manca tanto che mi sento fare a pezzi dentro, come se qualcosa di affamato e cattivo si stesse mangiando il mio cuore.

Mi manca, anche se so che non sono altro che sesso per lui, solo divertimento e niente altro. Mi manca essere qualunque cosa per lui, anche un oggetto.

Basta, non ne posso più.

È chiaro che non riuscirò a prendere sonno stanotte, e non mi importa se sulla sveglia la lancetta delle ore segna le tre. Voglio vederlo, voglio vederlo adesso.

Il mare è agitato, il vento spazza la spiaggia e solleva la sabbia. Sembra il riflesso della mia mente: scura, inquieta, senza riposo. Il cielo coperto non lascia intravedere neanche una stella.

Mentre scivolo fuori dalla porta di casa ringrazio il sonno pesante dei miei, come faccio tutte le notti...come facevo tutte le notti rientrando dopo essere stato da Sora.

Il tratto di strada che separa le nostre due case non mi è mai sembrato tanto lungo, tanto difficile da percorrere come adesso. Mi sembra che la spiaggia si sia trasformata in un deserto di sabbie mobili in cui rischio di sprofondare.

Superate le palme intravedo la sua finestra. Mi sembra quasi di vedere la sua sagoma dietro le tendine, ma solo per un attimo.

Cosa dovrei fare adesso? Dovrei lanciare un sassolino contro il vetro come in uno squallido film di serie Z? Che figura da idiota. Da vero idiota.

Vedo Riku mentre si abbassa per prendere un sasso, calibrarne il peso e la grandezza e lanciarlo contro la sua finestra.

Mi rifiuto di pensare che quel Riku sono io. Mi rifiuto.

Sento il sassolino fare tonk contro il vetro.

Non so neanche che cosa mi aspetto. Che lui venga alla finestra? Sì, probabilmente. Ma non è quello che succede. Perché non succede niente.

Alzo gli occhi al cielo e il mio primo pensiero è che lui stia dormendo. Dopo di che penso che sia terribile che lui stia dormendo mentre io sono qui fuori a lanciare sassolini alla sua finestra.

Sbuffo e raccolgo un altro sasso, stavolta leggermente più grande del primo. Spero che non rompa il vetro. O forse lo spero.

Mentre ci sto ancora pensando ho già lanciato il braccio indietro e poi in avanti, lasciando andare il sasso.

Tonk. Crash.

Merda. Il vetro.

Sto già per saltare dietro gli alberi quando vedo la luce accendersi e una sagoma puntuta e spettinata avvicinarsi alla finestra per aprirla. A questo punto le gambe si sono cementate, non riesco a muovere un muscolo.

Gli occhi di Sora sono assonnati e gonfi, ma la sua espressione è abbastanza arrabbiata da fare paura anche in quelle condizioni.

Poi il suo sguardo incontra il mio e l'incredulità prende il posto della rabbia.

- Riku? -

Non deve neanche alzare troppo la voce per farsi sentire. Lo sentirei pronunciare il mio nome anche in mezzo ad una tempesta.

- Uhm...ciao! -

Gli dico, con un mezzo sorriso appena abbozzato che non sono sicuro che vedrà, è troppo buio.

- Sei impazzito o cosa? -

- Volevo vederti. -

Oddio, come sono ridicolo.

- Ridicolo. - ecco, appunto - Sono le tre del mattino! -

- Non ti sei fatto vedere a scuola e sei irreperibile di giorno! -

- Mi hai rotto una finestra! -

- Bhe...quello non era programmato. -

Sora alza gli occhi al cielo e si schiaffa una mano in faccia, scuotendo la testa.

- Che cosa vuoi? -

- Te l'ho detto, volevo vederti. -

Sbuffa dal naso, con un'espressione così...così adorabile, mi verrebbe voglia di baciare quel broncio...ma cancello subito quell'immagine dalla mia testa.

- Non ho voglia di una sveltina adesso. -

- Non parlavo...di una sveltina. Volevo vederti e basta, stare con te. -

Oddio Riku, dove hai lasciato il mandolino e il mazzo di rose rosse? Questa è una vera e propria serenata, ci manca solo che dichiari apertamente i tuoi sentimenti per lui!

A-ah, il cuore.

- Ne abbiamo già parlato, Riku. Solo sesso. Cosa non capisci? Ti farò sapere quanto mi costa cambiare il vetro, così potrai risarcire i danni. -

Fa per chiudere la finestra e sento qualcosa stritolarmi i polmoni. È per questo che tutta l'aria che stavo trattenendo, insieme con le parole non dette, viene fuori.

- Se si tratta solo di sesso perché sei sparito per tutto questo tempo, perché mi hai evitato?! -

Si blocca all'improvviso, la mano nel vuoto a cercare l'anta della finestra.

Forse ho fatto c'entro. Deve essere così. Il cuore mi batte furioso in corpo, lo sento ovunque, nelle tempie, nel petto, in gola.

Lui scuote piano la testa e ride. Una bassa risata, priva di allegria. Alza gli occhi su di me, c'è compassione in quello sguardo.

- Povero Riku. Cosa credevi, che fosse per te? Ho preso l'influenza, idiota. Buonanotte. -

Chiude la finestra, e qualche coccio di vetro si stacca dall'infisso e cade verso il basso. Fa lo stesso suono del mio cuore che va in frantumi.

 

*

 

Riku non arriva mai in ritardo a scuola, ha sempre tutti i compiti fatti, la sua divisa scolastica è sempre ben stirata, i capelli in ordine. È un tipo silenzioso, riservato, che non si sbottona mai troppo.

Quel Riku è stato ed è la ma maschera.

È stato, perché per un po' Sora me ne ha liberato.

Ma dopo quella notturna conversazione, la maschera è tornata al suo posto e Riku è il solito di sempre.

Mia madre sembra contenta, gli insegnanti anche, tutti sono contenti. Tranne me.

Io non sono contento di indossare di nuovo questa maschera.

Non so neanch'io che cosa mi aspettassi dallo strano rapporto che avevo con Sora, ma di certo non volevo questa freddezza, questa lontananza.

Sono diventato un estraneo per lui. Mi saluta appena, mi parla appena, se può sfugge persino il mio sguardo.

Era davvero solo sesso, in fondo.

Volevi starci insieme? Volevi che diventasse il tuo ragazzo? Ma andiamo! Meglio così, non dovrai dire a tutti che sei gay.”

Mi ripeto queste parole da giorni ormai, e non sortiscono l'effetto desiderato. Non mi danno conforto, non mi danno sostegno, non mi danno niente di niente, se non la consapevolezza di essere più solo che mai.

Ho smesso di contare i giorni, e poi le settimane. Il primo mese è stato il più duro, ma cominciare il secondo mi sembra anche peggio.

Non voglio passare altri trenta giorni annaspando alla ricerca di un qualsiasi cenno di Sora, sospirando nel vedere la sua schiena allontanarsi nel corridoio, rimpiangendo quegli attimi di dolorosa passione.

Lentamente, ogni minuto, ogni ora di ogni giorni, mi rendo conto di essermi innamorato di lui.

È qualcosa che va contro il mio volere, qualcosa che si accende come un fuoco quando sono in sua presenza.

Non avrei mai pensato di sentire tanto la mancanza delle sue mani su di me.

Un piede dopo l'altro, raggiungo l'entrata della scuola. In anticipo, ancora prima del suono della campanella. Il cortile è praticamente deserto.

Ho cercato di sorprendere Sora mentre usciva di casa stamattina, anche solo per vederlo da lontano, per poter sentire la sua voce chiamare il mio nome ancora una volta. Ma quando sono arrivato in vista di casa sua, mi è apparso subito chiaro che fosse già uscito.

Mi sembra di impazzire.

Mentre imbocco il corridoio verso la mia classe ogni passo mi costa uno sforzo immane.

Riku sarà seduto al primo banco oggi, prenderà appunti, risponderà alle domande, ma il suo cuore sarà altrove.

- È solo un giorno come un altro, puoi farcela. -

Mormoro a me stesso, rimettendo al suo posto la maschera che mi nasconde al mondo.

Con un sospiro, sono quasi con la mano sulla maniglia della porta quando mi sento placcare. Sì, il termine è proprio “placcare”, perché per la violenza dell'impatto non solo perdo la presa sulla cartella ma mi sfugge dai polmoni ogni briciolo d'aria, prima di essere sbattuto violentemente contro una fila di armadietti.

Sconvolto, non capisco cosa stia succedendo...almeno finché non sento piccole mani tirarmi per il colletto della camicia, verso il basso, e labbra morbide sulle mie.

- Vieni con me, in bagno. Adesso. -

Mi sento crollare. Le mie gambe, fragili come grissini, cedono al suono di quella voce, di quelle parole, di quel viso.

Sora.

Con quell'unico bacio mi ha somministrato nuovamente il veleno di cui mi ero disintossicato ma di cui non avevo ma smesso di sentire il bisogno.

Mi lascio tirare da lui, con la testa che scoppia per il rombo del cuore che mi riempie tutto.

Non c'è ancora nessuno in giro, è troppo presto, e Sora questo lo sa mentre chiude alle nostre spalle la porta della cabina del bagno.

Mi spinge contro la parete e si avventa sulle mie labbra come se non fosse passato un solo giorno, come se fosse successo tutto solo ieri, come se fossimo ancora come prima.

Mi sento mugolare. Chiudo gli occhi, lascio che lui, di nuovo, si prenda quello che vuole dal mio corpo.

Se questo è l'unico modo in cui potrò farmi amare da lui, va bene. Va bene tutto se si tratta di lui.

Le sue mani cercano invano di sbottonare la camicia, lo aiuto come posso, in tutta quella furia, e me la sfilo.

Lui rimane un attimo ad osservarmi, solo un attimo, un attimo in cui vedo qualcosa di diverso nei suoi occhi blu.

Cos'è? Cos'è che Sora mi ha davvero nascosto in questo mese di lontananza?

Domande, domande, domande, che perdono tutta la loro importanza non appena lui appoggia le labbra sulla pelle accapponata del mio petto.

Un sospiro mi sfugge e un brivido mi scuote tutto. Le sue mani sono ovunque, il suo tocco è ardente come un ferro appena tolto dal fuoco.

Il periodo di astinenza mi ha reso sensibile, troppo, tanto che sento tirare l'inguine e la ragione scivolare in un baratro nero e scuro da cui sarà difficile recuperarla.

È lui, è lui che mi fa impazzire così.

Porta le mani sui pantaloni e comincia a slacciarli, piano, per poi lasciarmeli scivolare lungo le gambe. Mi sfiora l'addome, vicino l'ombelico, con due dita, tanto piano che i brividi che mi percorrono la schiena sono sconvolgenti.

Sono come un muro crepato, ho resistito a tutte le scosse, ma questo terremoto è troppo, crollerò.

Lo sento sospirare contro la mia spalla e poi arriva il dolore del morso. Stringo i denti ma insieme sorrido, è un misto di emozioni positive e negative che mi confondono la mente.

Ma è quando la sua mano si stringe sulla mia erezione che sobbalzo. Gli afferro il polso, con forza, e per quanto sia difficile, lo fermo.

- Perché...che...che stai facendo? -

Balbetto, la voce che sembra più un gemito che altro.

Che stai facendo? La domanda sarebbe che sto facendo io? Ah! Perché l'ho fermato?

Il suo sguardo si incatena al mio e finalmente posso tornare a guardare il meraviglioso cielo blu delle sue iridi.

- Non ti piace? -

Mi chiede, sottovoce, stranito dalla mia domanda forse. Io sono solo stupito.

- Mi... - sospiro - ...mi piace ma...perché? Perché dopo tutto questo tempo...? -

- Te l'ho detto mille volte. - cos'è? Cos'è quel tremito che sento nella sua voce? Si sta preparando a mentirmi? - Sei solo sesso. E ho voglia di fare sesso adesso. -

- No. - e solo il Creatore dell'Universo, chiunque egli sia, sa quanto mi costa dire quella parola - No, sono io a non avere voglia. -

- Sei già eccitato. -

Mi guarda con malizia, una malizia forzata, così finta che mi sfugge una risata.

- Non voglio questo, Sora. -

- E cosa vuoi, cosa vuoi da me! - si divincola dalla mia presa e si spinge indietro. La cabina del bagno non è grandissima, siamo comunque a cinquanta centimetri di distanza l'uno dall'altro, posso sentire il suo respiro sulla pelle, il suo calore, e...quanto mi è mancato, quanto mi è mancato! - Ti ho dato tutto il piacere che potevo, perché non è abbastanza? -

Un altro sforzo immane è rivestirmi, tirare su i pantaloni e cercare di ignorare la protuberanza in mezzo alla gambe che tira da impazzire.

- Sora...io voglio te. -

- E allora perché mi rifiuti! Sono qui! Fatti tocca-...-

- No. - lo blocco prima che possa saltarmi di nuovo addosso, perché non so se ho la forza di respingerlo di nuovo - Non voglio che mi tocchi...se prima non mi dici di sì. -

- Sì...a cosa...? -

Il suo tono di voce diventa un sussurro e la sua espressione così dolcemente preoccupata...

Vorrei solo baciarlo, stringerlo tra le braccia, dirgli che questo mese passato lontano da lui è stato il più difficile della mia vita, che non voglio più stare separato da lui, che non voglio che esca più dalla mia vita.

- Vuoi...diventare il mio ragazzo? Fare coppia con...me? -

Vedo tutte le emozioni che passano dal volto di Sora, posso leggere il suo viso come un libro aperto esattamente com'è successo quella volta sul traghetto.

Non c'è nessuno che ci guarda, nessuno che può scoprirci, in questo guscio ci siamo solo noi, io e lui, come vorrei che fosse ogni giorni della mia vita.

Sento gli arti formicolarmi e la testa leggera, la paura che mi torce le budella. Potrei vomitare, maledico la colazione abbondante che ho fatto stamattina.

È un momento infinito, dilatato nel tempo, così lungo che mi sembra che mentre noi siamo qui, là fuori il mondo ha continuato a girare senza accorgersene.

- Sì. -

Quel piccolo, quasi insignificante “sì” ha la forza di farmi smettere di tremare, di far cessare il malessere, e di riempirmi tutto di una calda sensazione soffusa e dolce.

Gli rivolgo un mezzo sorriso, appena accennato.

- Non è...mai stato solo sesso, vero? -

- No. -

Scuote pianissimo la testa accompagnando quel no, come se si vergognasse di aver fatto quello che ha fatto, detto quello che ha detto.

Non ho bisogno di spiegazioni, non adesso.

- Siamo una coppia? -

Raggiante, gli rivolgo il mio sorriso più bello; la maschera che ho tenuto indosso crolla.

- Sì. - dice ancora e colma tutto d'un tratto la distanza tra noi. Il suo corpo si schiaccia al mio, torna a toccarmi come solo lui sa fare. Le dita, sempre esperte, torturano un capezzolo e i gemiti che mi sfuggono dalle labbra sono inaspettati quanto il suo: - Però io sto sopra. -

Una mano riprende quello che stava facendo, insinuandosi dentro i miei pantaloni, e sono di nuovo alla sua mercé.

Sora.

- Ti amo. -

- Anch'io ti amo. -

È solo un attimo di dolcezza, un bacio che mi appoggia così delicatamente sulle labbra che quasi non lo sento, ma il calore che rilascia mi manda in fiamme.

S-o-r-a.

Quattro lettere.

Sora.

Non è difficile da pronunciare, per questo scivola via dalle mie labbra sotto forma di gemito ancora prima che possa rendermene conto. 

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The Corner 

So che è estate e che quasi nessuno legge più su questo sito(?)
Però io scrivo comunque, e questa storia la dedico, ancora una volta, al mio piccolo grande amore,
e alla mia Sora: le uniche due che hanno gradito l'idea di Riku uke(?)

   
 
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