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Autore: _Orlando_    20/08/2015    2 recensioni
"Non è il mantello di Thorin, adesso, quello che ti protegge dal freddo"
"Un'affermazione interessante, uomo del lago. E come puoi dirti libero di amare qualcuno fino a che, schiavo di paure senza nome, calpesti persino la tua stessa volontà?"
Thranduil si volta di scatto. Spinge Bard verso una colonna, e prima che questi possa reagire, posa le labbra sulle sue. L'uomo sente il fiato farsi corto, tutte le sue difese venire meno. Le orecchie gli ronzano. Cede, allungando le mani verso il re, ma questi si è già ritratto.
"Come si può amare, quando non si ha neppure il coraggio dei propri desideri?"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bard, Thranduil
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Until the world goes cold'
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Disclaimer

 

Questa storia è nata da un'inspirazione comune a più autori. Nel discutere della possibile relazione tra il Re degli Elfi e il futuro signore di Dale, Miele_e_Cianuro, Rosebud ed io ci siamo proposti di comporre tre declinazioni di uno stesso nucleo narrativo,immaginato insieme in alcuni tratti principali ed incentrato su un dialogo tra Thranduil e Bard a seguito degli eventi della Battaglia dei Cinque Eserciti, con un più o meno ingombrante Thorin sullo sfondo.
Per quanto mi riguarda, è stato impossibile prescindere dalla Thorinduil, pur nel tentativo di scrivere una Barduil.

Consiglio a tutti di leggere le altre due storie, che sono assai più belle di questo mio modestissimo tentativo: 

Il crepuscolo del barcaiolo  (Rosebud_secret)

Ringrazio Miele e Rosebud per l'inesauribile fonte di ispirazione delle nostre conversazioni, e per avere amorevolmente betato questo testo.
Come da regole, ricordo che i personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.R.R. Tolkien; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Seguono spoiler per chi non avesse letto i libri, o visto i film, ispirati all'opera di questo autore.

Il titolo, come al solito, è tratto dall'omonima canzone dei Dark Tranquillity.


Con affetto,

 

Orlando

 


 


 

Misery's Crown


 

 

 

"As always in these matters
You broke the deal of deals
And wasted what was given
To revel in your mess
I gave up all for nothing
I tried my best and failed
There's a thousand million reasons
Never to share again"

Dark Tranquillity - Misery's Crown

 


 

La notte che segue ai funerali di Thorin Scudodiquercia, il cielo del Nord è coperto da una fitta coltre di nubi. E le stelle sembrano un ricordo lontano, perse nella grigia nebbia, nell'aria ancora fetida dei resti della battaglia.

 

Nella tenda che ha sistemato per lui ed i suoi figli, il futuro signore di Dale cerca invano il sonno, colto da un'inquietudine a cui non riesce a dare un nome.

 

Il peggio è ormai alle spalle, continua a ripetersi. Il drago, l'incubo sotto alla cui ombra è cresciuto, non è che un ricordo. Re Dain si è persino impegnato a mantenere il debito nei confronti degli Uomini del lago, quello a cui Scudodiquercia, accecato dal proprio orgoglio e forse da qualcosa di ancora peggiore, si era rifiutato di ottemperare.

 

Eppure, il ricordo del principe dei nani continua a tormentarlo, nonostante riesca a trovare, nei suoi confronti, ben più motivi di rancore e biasimo che non di ammirazione o cordoglio. E’ un nodo alla gola, e una morsa allo stomaco che non accenna a lasciarlo, da quando, durante la cerimonia, ha posato la gemma sulla sua tomba. Era stato obbligato a partecipare ai funerali, per onorare la neonata alleanza.

 

E' per il modo in cui ha espiato i suoi errori, sacrificandosi per sconfiggere l'orco, pensa, scuotendo il capo subito dopo. Perché Bard ricorda bene quante vittime abbia causato l'indecisione del nano, la sua esitazione prima di scendere in battaglia. Vittime che non sarebbero tornate in vita, non certo grazie al gesto glorioso quanto arrogante che gli era costato la morte, e nel quale aveva trascinato, egoisticamente, i giovani nipoti.

 

Ma lo sguardo fermo di Thorin, i suoi movimenti decisi e controllati, come quelli di una fiera pronta a balzare, continuano a tormentarlo. E come chi cerchi di ricomporre un arazzo in brandelli, continua a interrogarsi sul destino del nano, sentendosi spettatore di una tragedia che tuttora non riesce a comprendere a pieno.

 

Attento a non svegliare Bain, Sigrid e Tilda, che dormono rannicchiati sotto a spesse pellicce, esce dalla tenda, stanco dei suoi stessi pensieri. Fuori, l'aria pesante dei vicoli gli stringe la gola. Si dirige verso le mura diroccate della città, nella speranza di sfuggire a quella cappa opprimente.

 

E laggiù, in bilico sul parapetto, quasi sospeso nel vuoto, trova qualcosa che non si aspettava.

 

Il re degli elfi gli da le spalle, lo sguardo fisso sulla montagna, una mano appoggiata su quel che resta di un'antica statua degli uomini. Può riconoscerlo dalla luminosa capigliatura, e dalla straordinaria altezza, non uguagliata da nessuno degli elfi della foresta. Sorpreso, si avvicina cauto, rallentando il passo.

 

Bard non si era mai sforzato di comprendere gli elfi. Li considerava una forma di vita lontana da quella dei suoi simili e, benché ricordassero gli uomini nell'aspetto, a lui sembravano a volte più simili alle rocce, o agli alberi della foresta. Eterni ed immutabili, non toccati dagli affanni e dai sentimenti mortali.

I suoi rapporti con quelle creature si erano limitati a semplici scambi di barili, spesso neppure accompagnati da qualche parola. Quando scaricava le botti di Dorwinion alle soglie del bosco, i servi di re Thranduil lo accoglievano con poco più di un cenno del capo. Bard aveva, in quelle occasioni, l'impressione che le sue parole di saluto suonassero goffe e inadeguate. Che il solo parlare con voce umana, nella sacra foresta degli elfi, divenisse improvvisamente grottesco e sconveniente.

 

Negli ultimi giorni, però, a causa del tragico precipitare degli eventi, aveva potuto osservare più da vicino quelle creature. La prima volta che aveva visto Thranduil questi lo aveva fissato a lungo con il suo sguardo glauco, accennando un sorriso. Lo aveva guardato dritto in faccia, con insistente insolenza. E lui si era sentito nudo e stupido, come un bambino.

 

"Salute a te, Ammazzadraghi, e possa tu mostrarti un re degno delle tue imprese" lo aveva sentito sussurrare. Ma le labbra dell'elfo erano rimaste immobili. E Bard non era riuscito a comprendere se con quelle parole volesse rendergli omaggio, oppure canzonarlo.

 

Ad ogni modo, non era mai riuscito a sentirsi a proprio agio in presenza dell'elfo, neppure quando, la sera prima della battaglia, questi lo aveva onorato offerendogli il proprio vino.

Il profumo del re si era mischiato a quello della bevanda, e Bard aveva tenuto gli occhi bassi, cercando di ignorare la disarmante bellezza dell'altro ancor più dei suoi motti pungenti.

 

Anche adesso, avanzando nella notte gelida verso l'immobile figura di spalle, il barcaiolo si sente, suo malgrado, sopraffare dalle stesse contrastanti emozioni. Lui, l'aspro barcaiolo che aveva sempre disdegnato le frivolezze, preferendo al profumo delle principesse di racconti lontani la concretezza del focolare, le mani scure di chi ha cotto il pane sotto la cenere.

 

Ha raggiunto il fianco del re. E' talmente immobile che, per un attimo, Bard teme possa essersi tramutato in una statua. Ma da quella distanza può osservare la grana candida della sua pelle, e cogliere il movimento regolare del torace, spia della vita. E pensa, all'improvviso, che la creatura che ha davanti potrebbe quasi crederla umana.

 

E' allora che gli pare addirittura di scorgere un'ombra - tristezza, la chiamerebbe, se si trattasse di uno dei suoi simili - negli occhi di Thranduil. Ed il modo in cui, nella mano sinistra, stringe le bianche gemme che lo hobbit gli ha consegnato, all'improvviso gli ricorda quello in cui la madre di suo padre aveva stretto la freccia di Girion, quando il suo sposo era morto.

 

Senza saperne precisamente la ragione, seguendo un impulso che non riesce a controllare, Bard si slaccia in fretta il mantello, e lo avvolge attorno alle spalle dell'elfo.

 

"Non so quali affari ti trattengano su queste mura" si affretta a mormorare, vedendo il re trasalire a quel contatto e temendone la collera "ma ti prego di accettare il mio mantello. La notte è gelida, ed è il minimo che possa fare. Non mi sdebiterò mai abbastanza per l'aiuto ricevuto da parte del tuo popolo".

 

"Mi hai consegnato le gemme di Girion" risponde l'altro, voltandosi piano "il tuo debito è stato saldato. Risparmia la gentilezza del barcaiolo per confortare gli orfani lasciati dai vostri morti od altre occorrenze di tal fatta, che facilmente provocano pietà nel cuore degli uomini" sibila, stringendo però le mani attorno alla stoffa lisa.

 

"Perché non indossi quella collana, che abbiamo fatto tanta fatica a recuperare?" Risponde Bard, decidendo di metterlo alle strette. Aveva parlato d’impulso, punto sul vivo più di quanto non volesse ammettere da quello che gli era parso un insulto neppure troppo velato.

 

"Perché queste gemme sono il suggello di un'alleanza che ho pagato ad un troppo alto prezzo", afferma l'elfo, gelido, corrugando le sopracciglia. "Troppi sono morti in questa battaglia, e non soltanto elfi" Aggiunge, la voce ridotta ad un sussurro.

 

E' in quel momento che Bard comprende. Aveva udito i pettegolezzi delle guardie di palazzo, in quei giorni, senza dargli gran peso e sentendosi, anzi, vagamente irritato dalla frivolezza di quelle creature.

 

"La morte di Scudodiquercia ti addolora così tanto?" chiede, mentre nel suo cuore il turbamento assume dolorose, insospettate, tinte. "E' stato un epilogo triste, non lo nego. Ma anche la conseguenza delle sue azioni scellerate"

 

Prima che Bard possa accorgersene, il re si avvicina di scatto, portando il volto ad un soffio dal suo. E' privo, questa volta, della maschera della calma.

 

"Cosa può sapere Bard il barcaiolo del valore del nano che già guidava un popolo ai tempi del fallimento di Girion, padre dei tuoi avi?"Sibila, e l'uomo sente quella voce rompersi in migliaia, e tutte insieme echeggiare, in un disarmonico coro, in ogni angolo della sua testa. Il cielo si stringe sopra di lui, colorandosi di toni più cupi.

 

Ricorda la serpe che lo ha morso, quando, ancora un bambino, si era perso nella foresta. Ricorda i rigidi inverni sulle rive del lago, la mattina afosa in cui era nata la sua ultima figlia, e sua moglie aveva perso la vita. Tutte le sue più nascoste paure, le sue ore più dolorose si fondono insieme in un tetro mosaico, per pochi, sebbene infiniti, istanti.

 

Quando si riscuote, gli occhi del re, dritti nei suoi, sono lame di ghiaccio, eppure bruciano di collera. Sobbalza, cercando di nascondere il terrore che lo ha colto, ma non può resistere alla tentazione di fare un passo indietro.

 

"Ne so abbastanza" risponde, la voce che trema nonostante gli sforzi di renderla calma.

 

"Ne so abbastanza di quel genere di eroe. Di quello le cui nobili gesta, narrate nei canti, non sono altro che imprudenze, bravate ostentate in battaglia in cerca di gloria. Di quello che agisce per gli altri e pensa solo a se stesso, primo fra tutti e da ognuno distante. Io preferisco il tipo di eroe che, ignoto a tutti, ogni giorno combatte contro il gelo del lago e l'aridità della terra per sfamare i propri compagni. E ne ho visti morire molti, di simili uomini, di morti non meno onorevoli, le cui memorie verranno perse nel tempo. E molti sono morti nell'ultima battaglia, nella mischia e nel fango, nel tentativo disperato di difendere i loro cari, che saranno gli unici a piangerli. Ma nessuna delle loro tombe è stata omaggiata con preziosi manufatti. Dimmi, re degli elfi, per quale motivo la morte di Thorin Scudodiquercia merita più cordoglio della loro?"

 

"Cosa ha fatto per meritare il rimpianto di una creatura immortale?" vorrebbe aggiungere, ma le parole gli muoiono in gola.

 

Le labbra del re si allungano in un sorriso sghembo.

"Lo stai chiedendo a me, o piuttosto a te stesso, signore degli uomini?" si volta, muovendo qualche passo verso le mura. "La rabbia tradisce la tua emozione. Chiedi perché io mi dolga della morte del nano, ma dovresti interrogarti piuttosto sul motivo del tuo stesso rammarico."

 

Fa una pausa, e a Bard sembra che un brivido fugace scuota la schiena slanciata.

 

"Conosco anch'io molti eroi della fatta che tu descrivi e non nego l'importanza del loro operato. Ma tu manchi il punto. Descrivi le loro azioni, ma cosa li ha spinti a compierle? Parli di uomini che hanno scelto la via più difficile, quella del sacrificio, pur di restare fedeli alla morale dei loro padri, ai valori degli uomini. Di non guardare oltre le sponde del lago. Ma si trattava di coraggio, o di paura? Sono stati mossi da una libera scelta o da ciò che gli altri si aspettavano da loro? Il mio pensiero, piuttosto, corre a quelli che hanno osato i sentieri non battuti, inimicandosi i propri stessi compagni, per il solo desiderio di scoprire cosa ci fosse dietro a quelle sponde. Ricordo un giovane nano che consigliava al re la prudenza, quando, già vittima di se stesso, Thror si faceva più avido, e l'oro si moltiplicava inutile nelle vaste sale di Erebor. Ricordo un giovane nano che, al contrario del padre e del nonno, rigettando l'orgoglio e la volontà di vendetta, scelse per il suo popolo la sicurezza delle montagne azzurre, sino a che il momento non fosse propizio. Additato come codardo, a lungo ha atteso che le condizioni permettessero la propria impresa. E quando il momento è arrivato è partito con pochi compagni, in segreto, confidando soltanto nella sua volontà."

 

L'elfo si volta, avvicinandosi a Bard. La sua voce si tinge di amara ironia "A quel punto, la sua gente gli ha dato del folle." Si ferma a un passo dal piccolo l'uomo, piegando il busto verso di lui.

"E avevano ragione, Bard" mormora sul suo volto "era un folle, perché era diverso da loro".

 

"Non capisco cosa stai dicendo, mio signore. Tu stesso hai cercato di impedire la sua missione" risponde. Non sa se sono più le parole del re a turbarlo, o la sua vicinanza, le sciocche provocazioni di una creatura ormai avvezza a ricevere solo ammirazione incondizionata.

 

Thranduil alza di nuovo il capo.

"Ma io non volevo impedirla. L'avevo semplicemente interrotta. Le possibilità di riuscita erano quasi nulle, e avrebbe messo a rischio il mio stesso regno. Inoltre, volevo sincerarmi di cosa davvero lo muovesse. Se fosse stata solo avidità, la sua, avrei anche potuto ucciderlo nel mio palazzo. Ma quando ho compreso che il cuore del fanciullo che un tempo conobbi non era mutato, ho lasciato che fuggisse. O pensi forse che si esca così facilmente dalle mie celle?"

 

Bard boccheggia. Senza nessuna vergogna, Thranduil sta ostendando di aver messo a repentaglio la vita di due popoli per quello che, a lui, non sembrava che un complicato capriccio.

"E hai lasciato, consapevolemente, che affrontasse il drago?"

 

"Ma il principe Thorin non ha mai dovuto combattere un drago, Bard. Quella non era che una questione secondaria. Thorin doveva combattere se stesso, i limiti scritti nel destino della sua stirpe. E' andato incontro alla sua battaglia con coraggio e lucidità. Giocando il tutto per tutto. La malattia dell'oro lo ha sopraffatto, ma infine lui ha vinto. Purtroppo, un attimo troppo tardi. Ed è per questo che la sua morte è stata così ingiusta. Perché tutti gli altri, adesso, potranno sentirsi rassicurati dal suo fallimento. Ma forse non è qualcosa che un mortale può comprendere."

 

"E allora perché sei sceso in guerra, dopo?" esclama l'uomo. E' confuso, e il rammarico nella voce dell'elfo gli stringe lo stomaco.

 

Perché lui è degno della tua ammirazione, ed io del tuo scherno?

 

 

"Gli ho concesso di proseguire la sua missione, ma come re non avrei potuto permettere che il suo fallimento compromettesse la sicurezza del mio popolo. Vi sono anche altre altre ragioni, ma esse mi appartengono"

Il volto del re si contrae in un'espressione dura. "Al contrario dell'avidità di Thror, il coraggio di Thorin era qualcosa per cui valeva la pena combattere. Anche se, nel mio caso, questo significava dover combattere contro di lui." Sta guardando davanti a sé, come se cercasse di scorgere qualcosa nella fitta nebbia che circonda la montagna. I contorni di una figura, di una speranza già disattesa.

 

 

Serra le palpebre, per poi riaprirle di scatto e voltarsi verso l'uomo con aria severa, gli occhi brillanti di una gelida fiamma. "E ora dimmi, barcaiolo di Esgaroth, signore di Dale, che cosa hai provato quando la tua freccia a trafitto la bestia? Sei salito su quella torre solo perché la tua gente si aspettava che li salvassi, per riscattare i tuoi avi dal disonore? Oppure lo hai fatto per te stesso? Cosa avresti fatto, Bard, se la tua scelta fosse stata davvero libera?"

 

La fronte dell'uomo si adombra. Vorrebbe dimostrare al re che si sbaglia, sul conto del nano, ma i sui pensieri si affollano, confondendolo. E in un angolo, si fa strada il pensiero che l'elfo potrebbe persino avere ragione. Ritrova, in quelle parole, l'inquietudine che lo ha privato del sonno. Cosa accadrebbe se lo ascoltasse? Bard non è sicuro di volerlo scoprire.

 

 

"Non so darti questa risposta. Posso dirti che a muovermi è stato il pensiero dei miei figli. E i miei intenti saranno stati meno nobili, forse, ma io ho posto avanti a tutto il benessere di coloro che amavo, al contrario del nano"

 

Se avessi permesso a me di stringerti tra le braccia, non ti avrei ripagato con promesse infrante.

 

E' il pensiero di un attimo, e subito lo scaccia, spaventato. E' la malia del popolo fatato che lo confonde, e gli annebbia la mente. Pensa alle mani di sua moglie, scure di cenere, graffiate dal freddo. Alla concretezza del grembo che lo attendeva ogni sera, per sfamare lui ed i bambini. Sì, quello era l'amore. Fatto di cose semplici, concrete. Ma l'elfo, probabilmente, non potrebbe comprenderlo. Appoggia le mani sulle spalle del re.

 

"Non è il mantello di Thorin, adesso, quello che ti protegge dal freddo"

 

"Un'affermazione interessante, uomo del lago. E come puoi dirti libero di amare qualcuno fino a che, schiavo di paure senza nome, calpesti persino la tua stessa volontà?"

Thranduil si volta di scatto. Spinge Bard verso una colonna, e prima che questi possa reagire, posa le labbra sulle sue. L'uomo sente il fiato farsi corto, tutte le sue difese venire meno. Le orecchie gli ronzano. Cede, allungando le mani verso il re, ma questi si è già ritratto.

 

"Come si può amare, quando non si ha neppure il coraggio dei propri desideri?"

 

Sogghigna, e Bard può leggere lo scherno nei cupi occhi azzurri. Nel suo petto si agita un turbine di emozioni che non riesce a controllare. Alla fine, decide di far prevalere la rabbia. Afferra la vita dell'elfo, riportandolo a sé. Il suo corpo, a contatto con quello sottile dell'altro, brucia come lava.

 

"E cosa ti dice che io non abbia il coraggio dei miei desideri?" mormora sulla sua bocca, prima di premerla di nuovo contro la propria, accarezzando con la lingua le labbra dell'elfo. Con una mano afferra i capelli dorati, mentre l'altra scende avidamente lungo l'alta schiena, che si piega dolcemente, assecondando quel contatto e ricambiando il bacio. Per poi staccarsi, e spingere l'uomo indietro con un'insospettabile forza.

 

Bard non lo ha visto muoversi, ma il re è già alle sue spalle. Lo sente afferargli i fianchi, baciarlo sulla linea del collo. Un brivido caldo gli scuote le membra, e lo priva del senno. Sente il re sussurrare:

"Parli così adesso, perché la notte ti nasconde. Ma avresti il coraggio di seguirmi nella mia tenda, davanti agli occhi del tuo popolo?"

 

Adesso è di nuovo davanti a lui, e Bard vorrebbe, disperatamente, annullare quella distanza. L'aria densa della notte, lontano dal corpo dell'altro, lo avvolge in una morsa gelida. Vuole sentire di nuovo la pelle del re sulla sua, respirarne profumo. E pensa che senza quel contatto potrebbe persino morire, come si muore di sete.

 

Allunga il braccio, e tocca il volto di Bain. Davanti a sé, trova i volti dei propri figli. Sono colmi di delusione, e di biasimo. Il cuore perde un battito, e l'uomo ritrae la mano. Sono così vividi che ci mette un attimo a comprendere che si tratta di un altro dei giochi malvagi di Thranduil. Smarrito, incontra lo sguardo azzurro del re. Può leggervi stanchezza e, forse, il riflesso di un'antica illusione.

 

Esita. Apre la bocca, ma non riesce ad emettere alcun suono.

 

Il re degli elfi sorride "No, Bard. Hai sconfitto il drago, ma stai ancora fuggendo dal nemico più grande. Mi chiedo se potrai mai combatterlo, o se - anche da re - continuerai ad esserne schiavo."

Si volta, tornando verso l'accampamento.

 

"Ti prego, aspetta. Io.."

 

Non finisce la frase. Il re è già sparito, il suo mantello giace a terra, vuoto. E Bard si trova di nuovo nella sua tenda, disteso sul giaciglio di paglia, chiedendosi se non si sia trattato di un sogno. Ma il mantello conserva ancora il profumo del re degli elfi, e la stoffa brilla di capelli dorati.

 

Chiude gli occhi, esausto e confuso. Forse, qualcosa per cui valga la pena andare oltre alle rive del lago lo ha appena trovato.

 

 

  
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