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Autore: _Joanna_    21/08/2015    0 recensioni
Questa one-shot è ambientata alcuni giorni prima della famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. In uno spaccato di vita quotidiana Aurelia condivide i suoi timori riguardo la minacciosa montagna fumante che si staglia all'orizzonte, venendo a conoscenza di una strana religione che vede nel disastro imminente la punizione di un dio senza nome.
Genere: Angst, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Lo schiavo grattava il pavimento come se stesse cercando di sradicare ogni singola lastra. Aurelia rimase rapita nell’osservare i movimenti decisi di quell’uomo, quasi disperati; erano giorni ormai che alcuni degli schiavi della casa si comportavano in modo strano, come se fiutassero nell’aria l’odore di una minaccia incombente.
 
     “Sono solo schiavi” le aveva detto suo fratello Fabio “Non diversi dagli animali che hanno paura anche della loro ombra e danno di matto per qualche tuono… Come se a Giove importasse di farsi sentire da loro” concluse, sottolineando il suo pensiero con una risata.
 
     Ma non si trattava solo di qualche tuono. Da giorni ormai la terra tremava, sempre con maggiore frequenza, sempre più violentemente. Spostò lo sguardo in alto, oltre le mura della grande villa: anche da lì, in alto, nella volta azzurra dove splendevano il sole e le stelle, poteva vedere il denso fumo nero che si innalzava dalla montagna poco lontano. I sacerdoti dicevano che quel monte, il Vesuvio, era la dimora del dio Vulcano, e che i suoi vapori acidi e le scosse del terreno erano il mezzo che la divinità usava per comunicare la sua volontà agli uomini. Aurelia era di ben altro avviso “Se è davvero così, il dio da noi non vuole proprio niente, ha già deciso il nostro destino”. Anche lei sentiva che qualcosa di terribile si stava per abbattere sulla città e sui suoi abitanti, qualcosa che sarebbe stata ricordata nei secoli a venire, come una novella Atlantide.
 
     «È la fine del mondo che si avvicina, bambina mia» le disse la buona e anziana balia, mentre le pettinava i capelli «Fareste meglio ad andarvene via di qui finché c’è ancora tempo. L’ho detto alla padrona, ma lei non ha voluto credere alle superstizioni di una vecchia».
Quei discorsi la infastidivano, ma uno dei difetti della donna era che una volta partita con una delle sue storie, nemmeno Ercole stesso avrebbe saputo fermarla. E, infatti, attaccò immediatamente a raccontare.
«Sai il mio popolo si tramanda un libro, un antico testo sacro scritto nella nostra lingua madre. In esso è contenuta la storia dell’uomo, dalle origini del mondo, quando ancora nessun essere umano aveva mai camminato sulla terra, fino alla fine dei tempi».
Dove voleva arrivare Esther con i suoi libri polverosi? Credeva davvero che l’apocalisse profetizzata dai suoi folli antenati stesse finalmente arrivando? Decise di non interromperla.
«In questo libro, la Torah, si parla della genesi dell’uomo, di come Elohim creò il primo uomo. Adamo era il suo nome e venne posto in quello che è chiamato il Paradiso Terrestre, un luogo stupendo, ricco di frutti, piante lussureggianti, fiori, animali e infiniti ruscelli gorgoglianti, dove il sole splendeva sempre e dove tutto era in armonia. Il lupo non mangiava l’agnello, il gatto non inseguiva il topo, tutti vivevano in pace tra loro» nel frattempo Esther aveva finito di spazzolarle i lunghi capelli color miele e ora rivolgeva tutta la sua attenzione a studiare le espressioni sul volto della giovane fanciulla «Ma Adamo si sentiva triste, circondato da tutte quelle meraviglie si sentiva incompleto: il cavallo aveva la giumenta, il leone aveva la leonessa, tutti gli animali avevano una compagna, mentre lui era solo, l’unico della sua specie. Così Elohim, mosso a compassione per la sua più superba creatura, prese una delle costole di Adamo e da essa nacque la prima donna, Eva. Ora i due potevano finalmente vivere felici, correvano e giocavano, nudi, e non conoscevano i dolori del mondo, né molti dei sentimenti a noi comuni, come l’invidia, la  vergogna e la lussuria; ma Elohim li mise in guardia: potevano passeggiare liberamente in quel giardino meraviglioso, cogliere ogni fiore, gustare ogni frutto, ma mai, mai, avrebbero dovuto avvicinarsi all’Albero della Conoscenza e mangiare il frutto proibito. Essi non avevano motivo di disubbidire all’ordine del Signore, avevano a disposizione ogni cosa si potesse desiderare, non dovevano fare altro che immaginarla ed essa compariva all’istante. Ma tra gli animali che popolavano il giardino dell’Eden, si annidava anche la più odiosa delle bestie, il serpente, che ingannò Eva e la convinse che Elohim aveva posto quel divieto per invidia e gelosia della perfezione dell’uomo. E così Eva ascoltò il serpente e il primo uomo e la prima donna assaggiarono il frutto della conoscenza. Con grande dolore Elohim fu costretto a punire i suoi figli, cacciandoli dal Paradiso Terrestre, condannandoli a una vita mortale, tra sofferenze e mali indicibili» concluse la balia.
Aurelia, tuttavia, non comprendeva il senso di quel racconto. Paradiso Terrestre? E cosa c’entrava quello con la fine del mondo? Non fece in tempo a formulare le sue domande, che Esther proseguì.
«Hai capito dove voglio arrivare, bambina mia?» le chiese «È questo il Paradiso Terrestre, o Atlantide, come la chiamate voi, ignorando moltissime cose. Roma e le sue città, Pompei così ricca e prosperosa. Le pendici del monte sono tra le più fertili che si possano trovare per miglia e miglia e l’uomo se n’è approfittato, vivendo nell’opulenza, costruendo le sue lussuose dimore, innalzando templi ai falsi idoli, progredendo nelle scienze e nelle promesse ingannevoli che essa offre. L’uomo ha prestato orecchio al serpente, di nuovo: non poteva non esserci una punizione. Roma ha abbracciato i falsi dei, ci ha condotto a una nuova dannazione, saremo cacciati, come furono cacciati i nostri progenitori. E solo Dio nella sua infinita misericordia sa in quale posto infernale andremo a finire» ammonì.
Il monte brontolò, come se anche lui avesse qualcosa da dire nel merito.
“Sciocchezze, Aurelia, nient’altro che storie per far spaventare i bambini e farsi obbedire”. «Prendimi la collana con gli smeraldi» ordinò. «E smettila di parlare in questo modo, se ti sentisse qualcuno potrebbe farti tagliare la lingua per le tue menzogne… E ti assicuro che la cosa non mi dispiacerebbe» aggiunse, non senza una nota di affetto.
La tensione ora si era allentata, eppure la strana sensazione che aveva provava negli ultimi giorni si era acutizzata. “Stupida ragazzina credulona” si rimproverò di nuovo. Quella sera suo padre avrebbe dato uno sfarzoso banchetto per festeggiare i Consualia e per suggellare la promessa di matrimonio tra lei e Gaio Fulvio Emiliano; non avrebbe permesso a quella sciocca schiava di turbarla con le sue superstizioni. “Oggi avrà inizio la mia vita” pensò, mentre un leggero sorriso le illuminava il volto.
 
 

 
 
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Angolo Autrice
 
Salve gente!
Mi presento sono Joanna e questa è la prima fic che scrivo in questo ambito.
“l’illuminazione” per questa storia mi è giunta guardando il film Pompeii (una grande delusione devo dire) pertanto ho cercato di dare un senso a quelle due ore, immaginando pensieri ed emozioni di chi era lì, persone che avranno lanciato ogni tanto un’occhiata pensierosa a quella montagna un po’ brontolona mentre la loro vita proseguiva sempre uguale.
Il parallelismo con la cacciata dall’Eden non so come mi sia venuto in mente, forse è un po’ azzardato, ma ho voluto staccarmi dalle tipiche storie che parlano dei bravi cittadini di Pompei che si non si fanno troppe domande finché non è troppo tardi e cominciano a darsela a gambe.
Diciamo che è un piccolo esperimento senza pretese, siate clementi e, se volete, fatemi sapere che cosa ne pensate! :D
 
Jo
 
  
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