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Autore: Bocca Dorata    21/08/2015    7 recensioni
Allora questa storia in realtà è vecchia e me ne vergognavo, ma ho deciso di pubblicare tutto il materiale che ho su efp così da non dovermene pentire.
La mia piccola one-shot è ambientata alla fine della trilogia, poco prima della conclusione. Tratta del rapporto tra Peeta e Katniss, una coppia che non apprezzo, ma di cui mi sentivo di dover parlate.
Dalla storia:
" [...] Katniss aveva passato di peggio. Ovviamente. Ma questo non impedì al suo cuore di impazzire e di perdere battiti mentre faticava anche solo a tirare il più semplice respiro dopo quella scoperta.
Cosa aveva detto il medico sugli attacchi di panico?
Non se lo ricordava. Non si ricordava niente. Niente. Niente.
"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Suona bene, no?

 



 
Tre giorni. Per ben tre lunghi giorni Katniss Everdeen, dimostrando la forza di volontà che l’aveva sempre caratterizzata, aveva deliberatamente ignorato quel maledetto, maledettissimo ritardo.
Ma nemmeno lei, al sopraggiungere del quarto giorno e del primo, orribile attacco di nausea, aveva più potuto far finta di niente.
Non poteva che essere quello.
Quello che temeva più di qualsiasi cosa. Più degli incubi del suo passato. Più delle sue sensazioni spesso rarefatte e scostanti. E forse anche più degli sguardi vuoti e gelidi che ogni tanto Peeta rivolgeva semplicemente al nulla.
Era incinta. Era maledettamente incinta.
Dentro di lei, dentro quel suo corpo rovinato per sempre, dietro quei lembi di pelle irregolari e quelle cicatrici che non avrebbe mai potuto, né voluto, cancellare, cresceva un bambino. Cresceva un'altra vita.
Ebbe un violento attacco di panico dentro il candito bagno della sua casa, nel ex-Villaggio dei Vincitori, poco dopo aver avuto la terribile sensazione di star per rimettere anche l’anima.
Aveva passato di peggio. Ovviamente. Ma questo non impedì al suo cuore di impazzire e di perdere battiti mentre faticava anche solo a tirare il più semplice respiro.
Cosa aveva detto il medico sugli attacchi di panico?
Non se lo ricordava. Non si ricordava niente. Niente. Niente.
Si accovacciò a terra stringendosi le ginocchia al petto, facendosi quasi male, tanto stringeva le unghie contro i polpacci.
Inizia dalle cose ovvie, si disse dondolandosi leggermente, come se stesse cullando un bambino.
…Un bambino. Mio Dio, lei era incinta!
Il respiro riprese a farsi affannoso. Merda. Merda. Merda.
Come poteva permettersi un bambino? Come potevano lei e Peeta anche solo sognare di poter badare a qualcuno che non fossero loro stessi?
Non importava quanti anni fossero passati. Non importava quante notti stretti l’uno all’altra avessero passato, o quanto ora fosse sicura di amarlo. Katniss si sentiva ancora la stessa diciasettenne distrutta e instabile che era uscita spezzata dalla guerra contro Capitol City.
Ed era sicura che nonostante i sorrisi che Peeta si premurava sempre di dedicarle, anche lui si sentisse così. Bloccato ad allora. Nonostante tutto. Il tempo poteva coprire, ma non cancellare.
Nulla avrebbe cancellato mai l’orrore. Nulla.
“Katniss è un po’ che sei nel bagno, stai bene?” la voce di Peeta era gentile, calma e rassicurante come sempre. Non che servisse a qualcosa.
Katniss aprì la bocca per rispondere, per dare almeno una parvenza di risposta, ma le uscì solo un debole rantolo confuso che fece preoccupare ancora di più il marito.
Peeta, al di là della porta del bagno, fu attraversato da un violento brivido di preoccupazione che gli fece tremare le mani in modo quasi spasmodico contro la maniglia.
Entrambi ancora vivevano nel terrore quasi costante che all’altro potesse succedere qualcosa, che quella pace ovattata potesse finire da un momento all’altro, facendoli ricadere violentemente in quell’incubo di guerra e torture da cui gli era sembrato di non essersi mai completamente svegliati.
“Katniss?!” esclamò l’uomo con la voce che tremava di ben più paura di quella che avrebbe voluto.
Soppesò un attimo il legno della porta pensando se sarebbe riuscito a sfondarla, in caso di bisogno.
La porta però gli si aprì davanti mostrando la pallida ombra del viso della moglie, stanco come non lo vedeva da mesi.
“Peeta.” Il suo tono era tremante e debole e anche lei era scossa da un tremore terribile “Peeta.” Ripetémentre le lacrime le risalivano agli occhi. Quella che sarebbe dovuto essere una bella notizia per qualsiasi coppia normale ed equilibrata, in casa Mellark si trasformava in una tragedia. Non che loro due fossero mai stati una coppia normale ed equilibrata.
“Che, che succede?” gli venne spontaneo abbracciarla, stringerla a sé come anni prima non avrebbe mai potuto fare. Sentire il battito agitato della donna vicino al suo, il suo respiro contro il petto, i suoi capelli, lunghi e ancora disordinati, tra le dita.
“So-sono incita” balbettò tra una lacrima e l’altra, tra un singhiozzo isterico e l’altro Katniss.
I suoi respiri erano ancora affannati. Nonostante non continuasse a ripetersi una banale sfilza di cose noiose sul suo conto e banalità sul suo quotidiano vivere, così come era quasi sicura che il medico le avesse detto di fare.
Un lampo di paura passò negli occhi chiari dell’uomo prima che lui, passandosi una mano nei corti capelli biondi, le tirasse su il volto guardandola negli occhi, plumbei e umidi, e le dicesse “Ehi, ma…ma è bellissimo. Io…io sono felice”.
Sorrise e seppe in un attimo che quella felicità era autentica, che non c’era alcuna falsità in quella gioia che improvvisamente si sentiva salire al cuore.
“Come pensi che possiamo prendercene cura in qualche modo? Come pensi che possa badare a lui? Come pensi che… io… io ho bisogno delle medicine” rantolò la donna barcollando via da Peeta e cercando nei cassetti del bagno quelle pillole che non usava più da quasi un anno.
“Non ci sono Katniss, sono finite.” Mormorò lui cercando di trattenerla. Non voleva vederla rompersi. Non di nuovo. Entrambi avevano visto fin troppo spesso il peggio dell’altro. Nessuno dei due l’avrebbe più sopportato.
Lui ancora non poteva credere di esserci uscito. Di essere uscito da quel vortice di follia e violenza che gli aveva praticamente mostrato l’inferno.
Quando aveva ritrovato un equilibrio mentale? Quando aveva smesso di giocare fin troppo spesso a “Vero o Falso”? Quando aveva capito di poter di nuovo amare Katniss per tutto quello che lei era? Quando?
Scosse la testa abbracciando Katniss, lasciando che si aggrappasse a lui così come lui aveva bisogno di aggrapparsi a lei, non doveva lasciarsi in preda alle domande irrisolte, era lei ad avere bisogno di lui ora.
“Noi ne siamo in grado Katniss, noi…noi possiamo crescere quel bambino. Noi…” non riusciva a trovare le parole giuste, proprio lui, che tutti avevano considerato un grande oratore “Noi insieme possiamo fare qualsiasi cosa.”
La donna si voltò verso di lui. Lasciandosi riflettere dagli occhi chiari dell’uomo che amava. Che forse, senza saperlo, in fondo aveva sempre amato.
“Io…”
“Chiameremo tua madre, ne sarà felice, ci aiuterà. Anche il dottore ci darà una mano. Sono sicuro che tutti lo faranno. Per noi. Per te.”
“...Per te.” Ripeté Katniss rispecchiandosi negli occhi chiari di suo marito e accorgendosi di riuscire a smettere di tremare, di riuscire a respirare normalmente.
“Ti amo.” Mormorò Peeta baciandola e cingendole i fianchi “E non vedo l’ora di sapere se sarà maschio o femmina”.
“Ti amo anch’io.” Sorrise Katniss, felice di poter finalmente sentire rallentare i battiti del suo cuore “Se sarà…se sarà femmina la chiamerò Prim…Primrose”
“Primrose Mellark” Mormorò Peeta felice che la moglie si fosse finalmente rassicurata “Suona bene, no?”



Scusate per questo mio breve delirio, non so, il finale mi aveva lasciato stranita, non riuscivo a credere che quella coppia tenuta insieme dal dolore avesse potuto avere dei figli.
E così mi sono inventata qualcosa.
Magari non è un granchè  (infatti non volevo pubblicarla), ma grazie per averla almeno letta :')

 
  
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