Seduto su un divanetto, tra Tom e Georg,
con Gustav alle mie spalle, osservo la sorridente giornalista che ci sta di
fronte che, da circa mezz’ora ci sta’ porgendo le “solite” domande, formulate
talmente spesso da aver meritato, da tempo, una sorta
di “risposta standard” finché, per la prima volta da parecchie interviste, non
ne pone una che mi spiazza completamente.
Un secondo.
Un sorriso appare sul mio volto mentre,
velocemente, vengo investito dai ricordi..
…Einziger…
…Extra
Kapitel…
…Mein erster
Fan…
Ero solo un ragazzino di 13 anni quando,
oramai rassegnato ad essere lasciato indietro da tutti perché considerato
“strano”, mi ero trasferito assieme ai miei genitori a Magdeburg.
Un ragazzino “strano”, che amava
utilizzare la matita per gli occhi di sua madre, che aveva lasciato il suo
paese, ben conscio che i problemi lo avrebbero seguito anche nella nuova città.
Ero quasi rassegnato a quello. Essere
solo, senza nessuno che potesse comprendermi
pienamente, me e la mio sviscerale amore per la musica. Condannato a vita ad
essere additato come la “femminuccia”, ad essere deriso dal bullo di turno,
tanto sicuro di sé stesso, da dover sfottere qualcun altro, mostrandosi forte,
per non venire sfottuto a sua volta.
L’avevo pensata così a lungo. Che quello fosse in un certo senso il mio destino. Era un
destino che mi faceva schifo, ed io, nonostante tutti gli anni di prese in giro
costanti, avevo continuato a lottare, per non arrendermi solo che, alla lunga,
ero arrivato quasi alla rassegnazione.
Avevo quasi iniziato a pensare che ci
fosse davvero qualcosa di sbagliato in me. Che era quella
mia “anormalità” a precludermi l’opportunità di essere accettato. Tristemente,
avevo iniziato a credere che non sarei mai stato capito, che sarei sempre stato
solo. Contro tutto.
Poco dopo il trasferimento, però,
qualcosa era cambiato.
Georg, mi aveva trovato. Un solo gesto,
aveva riacceso qualcosa in me. La speranza. Ma, come
se ciò, di per sé, non fosse già un miracolo, mi aveva fatto conoscere Gustav.
Venivo ancora preso in giro, ovviamente, ma
ora era diverso. Al mio fianco, c’era qualcuno a cui importava di me, che non
voleva soffrissi e che, era felice di passare il tempo
in mia compagnia.
E poi, infine, era arrivato Tom.
Come una folata di vento, era arrivato
lui, quello che, per scherzo, era diventato “mio fratello”. Tanto simile a me,
e, allo stesso tempo, anche diverso, era il gemello che non avevo, ma che
sentivo che avrei dovuto avere.
Felice, i miei amici al mio fianco, lo
stesso sogno condiviso, oltre alle divertenti giornate trascorse insieme, avevo compiuto 14 anni.
Avevo conosciuto Rolf, un ragazzino che
sapeva il fatto suo e che, a pelle, mi era subito piaciuto. Per lui, era stato
lo stesso, ovviamente, tanto che non appena suo padre aveva ottenuto una promozione,
il mio amico aveva insistito per venire a Magdeburg, per stare con me.
A pelle, Rolf, mi era piaciuto subito,
perché in lui, si combinavano bene due qualità che reputavo indispensabili,
soprattutto nel ruolo di nostro manager, che lui voleva follemente ricoprire.
Pratico, per risolvere ogni problema con sangue freddo, e dalla mente aperta,
da assecondare ogni idea strampalata che immancabilmente avevo.
“Qualsiasi cosa fai, per Rolf, è
perfetta solo perché l’hai fatta tu!” aveva commentato un giorno Georg,
sogghignando del nostro rapporto. E la cosa bella, era
che era davvero così.
Dopo tanto tempo, mi ero svegliato, come
da un incubo, durato anni ed anni. Tutto era finito. Ora, ero amato, amato per
ciò che ero. Amato, a priori, da
delle persone, perché ero io. Solo Bill, niente più. In un secondo, in
me, era nato un coraggio immenso. La paura di essere deriso per ciò che ero, era svanita. Cosa importava,
se qualcuno mi trovava strano, quando avevo Tom, Georg, Gustav e Rolf,
costantemente al mio fianco? Niente.
Mancava solo una cosa per chiudere il
quadro. Realizzare il nostro sogno. Il mio sogno.
Avevamo vinto un’importante
concorso per band esordienti e, cosa ancora più spettacolare, eravamo
stati notati. Subito dopo la nostra esibizione, prima ancora che vincessimo, tornati dietro alle quinte, un uomo si era
avvicinato a noi.
Io, lo avevo osservato, gli occhi
sgranati, un po’ intimorito. Tom, sempre guardingo, lo aveva scrutato.
“Complimenti, ragazzi!” aveva esordito
lui, con un sorriso sincero “Volevo solo dirvi che siete davvero molto bravi…”
“Grazie, lo sappiamo…” aveva risposto
subito Tom, la voce seria, come faceva sempre quando non sapeva con chi aveva a
che fare.
Lui aveva sorriso ancora, questa volta a
“mio fratello”, per niente infastidito dalla sua spiccata ‘modestia’ “Spero
vinciate voi…!” aveva concluso, allontanandosi.
Avevamo vinto. Anche
grazie a lui, ovviamente, che faceva parte della giuria. Quando, sul
palco, avevano detto ‘Devilish’, ci eravamo
abbracciati poi, gettando un’occhiata alla giuria, che ci applaudiva, avevo
visto che lui mi stava sorridendo.
Avevamo vinto e, cosa che al momento non
sapevamo, vincendo, ci eravamo aggiudicati uno dei
migliori manager in circolazione. La stessa persona che era venuto
dietro le quinte a complimentarsi con noi, che mi aveva sorriso dalla giuria.
Quella persona, era David.
David, con i suoi consigli, era stato
più che fondamentale. Insostituibile.
Ci aveva spronato ad esercitarci, in
ogni situazione e, quando poi, per scherzo, avevo composto una canzone assieme
a Tom, lui si era complimentato a lungo con noi, giudicandola niente male, per
essere il nostro primo tentativo.
Infine, aveva insistito sull’importanza
delle nostre apparizioni, ancor prima del contratto.
Un giorno, era apparso, al garage,
mentre io ed i ragazzi provavamo.
Non appena lo avevo notato, gli avevo
sorriso, finendo la canzone che stavo cantando poi, non appena la musica si era
interrotta, David si era avvicinato.
“Ho una grande
notizia per voi…” aveva esordito, sorridendo “La vostra prima esibizione live!
Certo, non sarà nel più grande stadio di Germania, ma almeno, farete pratica e vedremo come reagiranno le persone, alle
vostre canzoni…”
Ero sbiancato, poi
avevo
deglutito, nervoso.
Un secondo dopo, Tom si era avvicinato a
me. Appoggiando il braccio sulla mia spalla, aveva sorriso a David “Faremo
vedere di che pasta siamo fatti… Non te ne pentirai, promesso!”
Anche David, aveva sorriso “Lo so…”
Era arrivato il giorno del concerto, in
un supermarket della zona. David aveva fatto allestire un piccolo palco per
l’occasione.
Mentre salivo sul palco, ero più teso di una
corda della chitarra di Tom. Avevo gettato un’occhiata interrogativa anche a
mio fratello. Nervoso, anche lui, all’incirca quanto me.
Avevo sospirato, piazzandomi in mezzo al
palco. Il microfono in mano.
Vedevo, le persone, camminare, davanti
al palco, gettandomi occhiate interrogative. Probabilmente si stavano
domandando chi accidenti fossimo.
Espirai, poi mi
voltai,
facendo un cenno veloce a Gustav.
Il mio amico annuì,
poi io mossi la mano. Eins, zwei, drei!
In un secondo, ecco la musica. Ed ecco,
di nuovo, il me stesso, cantante, che si lasciava
completamente andare, che faceva chilometri, percorrendo il palco in tutta la
sua lunghezza, lo stesso ragazzino che cantava alla folla, che a poco a poco
eravamo riusciti a radunare.
Non c’erano più pensieri.
Solo la nostra musica.
Ed io ero lontano, chilometri e
chilometri, in un luogo dove nulla aveva importanza, eccetto la mia voce che
risuonava, divertendo me stesso.
Ciò che facevo, era principalmente
quello. Cantavo, per me, perché era il mio modo di essere
libero, di essere ciò che ero.
Quando infine tacqui, però fu qualcos’altro a
rendermi soddisfatto e felice.
Applausi.
Era passato solo un giorno dalla nostra
piccola esibizione.
Le mani in tasca, camminavo,
canticchiando, per le strade di Magdeburg, scrutando le vetrine ed il cielo,
cercando di tirare l’ora in cui, avrei incontrato gli altri.
Il walkman, all’improvviso, si spense ed
io, imprecando, lo estrassi dalla tasca della giaccia,
rigirandomelo tra le mani.
“Accidenti…” imprecai.
“Bill?!?”
All’improvviso, sentendomi chiamare da
una voce che non avevo mai sentito prima, mi voltai di scatto. Un bambino, più
piccolo di me, mi osservava, gli occhi grandi. “Sei Bill, vero? Non mi sono sbagliato, giusto?” domandò ancora.
“No, no. Sono io.” Risposi, fissandolo
ancora esterrefatto, più che certo di non avere mai parlato prima con quel
bambino e, dubitando, persino di aver mai poggiato i miei occhi su di lui, in precedenza.
“Ieri ero al supermercato con mia mamma…” spiegò.
Un secondo, sgranai di nuovo gli occhi,
troppo sconvolto, per riuscire a parlare.
“Volevo solo dirti che sei davvero
bravo…” dopo avermi rivolto un altro mega-sorriso, il bambino terminò dicendo “Mi piacciono molto le tue canzoni, le ho
sentite molto mie!”
Deglutii poi,
sorridendo, iniziai
ad arrossire, imbarazzato. Inconsciamente, iniziai a grattarmi una guancia
“Grazie. Davvero, grazie mille…”
Il bambino mi sorrise di nuovo, tutto contento “Sono contento di averti incontrato! Volevo anche
dirti che d’ora in poi, ti seguirò sempre! Sono un tuo
fan!”
Lo fissai, ancora più sconvolto.
“Grazie…” risposi ancora.
“Robert!” chiamò all’improvviso una
donna, sporgendosi dalla porta di un negozio a breve distanza.
Il bambino, si voltò
di nuovo “Arrivo!” urlò, poi tornò a sorridermi “Ciao, Bill!” salutò,
svanendo, rapidamente.
Io, rimasi un secondo, immobile, a
fissare il negozio, in cui era sparito, poi, lentamente, mi voltai,
ricominciando a camminare, il sorriso sulle labbra.
“Bill?!? Bill?!?”
Sentendomi chiamare, torno alla realtà,
riappoggiando lo sguardo sulla giornalista che sta ancora aspettando una
risposta alla sua domanda.
“Si, ricordo perfettamente, la prima
persona che mi ha fermato per strada…” sorrido.
Quel bambino, mi aveva fermato per
strada, probabilmente, senza pensare, senza rendersi conto di ciò che avrebbe
significato, senza pensare a ciò che avrebbe portato.
Aveva detto di essere mio fan.
Il mio cuore, si era riempito di orgoglio, di stupore, perché, per la prima volta,
qualcuno apprezzava ciò che io facevo. Apprezzava le mie doti. E non era solo questo.
Quel bambino, aveva cambiato in un certo
senso, il mio modo di cantare.
Avevo cantato solo per me, per
divertirmi, sfogarmi, essere me stesso ma, prima di lui, non avrei mai sperato
di poter esprimere i desideri di altre persone, di
farle felici, con la mia musica.
Anche se lui non lo sapeva, dovevo molto a
Robert, come dovevo molto ad ogni persona che era stata al mio fianco, a
partire da Tom, Georg e Gustav.
Lasciai che i giorni trascorressero,
senza far nulla, attendendo che arrivasse quello più adatto,
cosa che, puntualmente, avvenne.
Il giorno del suo compleanno.
Quel giorno, trovandomi per lavoro a
chilometri di distanza, non potei far altro che afferrare il cellulare,
comporre un numero, sorridendo.
Cosa c’è di meglio, per esprimere la mia
gratitudine, se non fare ciò per cui, lui mi apprezza
di più, pensai, pronto ad esibirmi, di nuovo, per la prima persona che,
dichiarandosi mio fan, aveva riempito il mio cuore di gioia.
Das Ende.