Seven Days to the
Wedding
Lunedì 6 Giugno
Ero agitato, sì. Le mani avevano iniziato a sudarmi, ed io odiavo
averle umide e appiccicaticce. Del resto, a chi piacerebbe?
-Tesoro, va tutto bene?-
Mi girai verso Ginger, abbozzando un sorriso, sperando con tutto il
cuore che fosse abbastanza convincente.
-Ma certo.-
-Sicuro? Mi
sembri..nervoso.-
-Si, sono
sicuro.- per evitare che facesse altre domande mi sporsi verso di lei,
lasciandole un piccolo bacio sul collo scoperto. Ridacchiò, ritraendosi un po’.
-Ma che
fai!? Sto guidando!- mi riprese, ma dal suo tono capii che non era affatto
infastidita.
-Lo so.- mormorai, scostandomi, e tornando a sedermi composto.
Stavamo
insieme da poco, ma io sapevo di amarla. Amavo la sua precisione e la sua
dolcezza, amavo la sua intelligenza, e il fatto che non mi trattasse come un
bambino. Amavo le sue dita sottili, ora avvolte in un paio di guanti di pelle
rossa. Amavo i suoi capelli biondi e lunghi, così lisci e morbidi che avrei
potuto accarezzarli per ore.
Desideravo
sposarla, lo desideravo con tutto me stesso ma, conoscere la sua famiglia,
quello era completamente un’altra faccenda.
Sapevo che,
quando Ginger li aveva chiamati per dar loro la notizia, i suoi genitori non
avevano dato in escandescenze come mi sarei aspettato. Avevano accettato la
decisione della loro figlia maggiore senza discussioni. Si fidavano di lei, e
sapevano che non era una persona che non ragionasse sulle cose e non ponderasse
le proprie azioni. Ma un conto era essere accettati per telefono, un altro lo
era esserlo di persona. Cosa avrebbero detto trovandosi di fronte un ventenne
sbarbatello, senza ancora una laurea in mano, pochi spiccioli nel conto in
banca e qualche lavoretto saltuario sulle spalle? Sapevo di non essere un gran
partito, e sapevo di essere giovane. Ma non ero stupido, né avventato. Avevo
imparato a cavarmela da solo fin da piccolo, e sicuramente ero più maturo di
molti miei coetanei. Ginger mi aveva rassicurato dicendomi che lei lo sapeva,
mi amava per questo, e che anche la sua famiglia lo avrebbe capito.
-Eccoci! Ci
siamo!-
Il grido
entusiasta di Ginger mi distolse dai miei pensieri, facendomi sobbalzare.
Guardai attraverso il parabrezza e rimasi senza parole: dopo aver superato un cancellone in ferro verde scuro, lasciato spalancato, ci
ritrovammo circondati da piante altissime che costeggiavano il viale in pietra
su cui eravamo. In fondo al viale si ergeva una villa a due piani di color
giallo limone, ai davanzali delle finestre ampie e in legno scuro erano appesi
dei vasi ricchi di fiori variopinti.
-Che modesta
dimora..- riuscii a mormorare dopo qualche istante.
Ginger si
aprì in un grosso sorriso, parcheggiando la macchina sotto una tettoia in legno
sul lato destro della stradina.
-Ti piace?-
domandò genuinamente.
-Certo,
amore -
-Ci
speravo.-
Le sorrisi
e, prima di uscire dall’auto, mi chinai per darle un bacio delicato sulle
labbra.
Ci avviammo
insieme verso il porticato, la mia mano sinistra stretta nella sua. Avevo
bisogno di coraggio e sapevo che in lei, lo avrei trovato.
***
Erano appena
le nove di mattina e io avevo già finito la mia abbondantissima colazione. Me
ne stavo rannicchiata nella mia poltrona preferita in salotto, cercando di non
addormentarmi. La sera prima ero uscita con delle amiche in un pub a Dublino, e
ci avevamo messo un sacco a tornare. Avendo vissuto per tutto l’anno a
Cambridge non ero più abituata alle strette stradine irlandesi e avevo fatto
molta fatica a guidare la Golf di Paula, sbronza marcia, che cantava e dava
direttive senza senso sul sedile posteriore. Sta di fatto che, ora che avevo
riaccompagnato tutte a casa, ora che avevo aiutato Paula a distendersi sul
divano di casa sua, perché il letto era decisamente troppo lontano da
raggiungere, e ora che avevo parcheggiato di fronte a casa erano le tre
passate. Non sapevo per quale miracolo divino fossi riuscita ad alzarmi alle
otto. Avevo persino restituito l’auto alla sua legittima proprietaria, che non
aveva neanche aperto mezzo occhio per salutarmi, così a casa mi aveva
riaccompagnato suo fratello. Zayn era già sveglio,
pronto per andare a lavorare all’azienda agricola di mio padre. Ci conoscevamo
da quando eravamo piccoli, passavamo molto tempo insieme, io, lui, Paula, mio
fratello e Ginger. Giocavamo ai pirati, agli indiani e ai cow-boy, divertendoci
come pazzi nel nostro giardino.
Il padre dei
fratelli Malik era arrivato in Irlanda dal Pakistan
quando era ancora giovane, si era appena sposato con Padma
e non avevano un posto dove andare. Aveva fatto domanda per un qualsiasi lavoro
nell’ufficio di collocamento a Mullingar, ed era
stato mandato all’azienda agricola J.H.C. Era così
che aveva conosciuto mio padre, che l’aveva preso subito in simpatia. Arun era
un ragazzo sveglio e imparava velocemente, così in poco tempo era diventato il
braccio destro di papà. Ora i Malik vivevano in una
bella casa qualche minuto distante dalla nostra, nella campagna di Mullingar, e Zayn aveva seguito
le orme del padre. In realtà solo in parte, lui lavorava come bracciante, non
gli interessava la parte burocratica e finanziaria, non per il momento per lo
meno. Aveva solo un anno più di me, ma non aveva voluto iscriversi
all’università, come invece avevamo fatto io e Paula. Diceva che la vita era
troppo breve per passarla a sgobbare sui libri. Un po’ gli davo ragione, in
cuor mio mi sarebbe piaciuto abbandonare tutto e farmi un giro per il mondo. Ma
ai miei sarebbe venuta una sincope, e in fondo studiare non mi faceva così
ribrezzo. Però ero felice che fosse giugno, che la sessione d’esami fosse
finita e che potessi rilassarmi un po’, finalmente. Beh, più o meno. Qualcosa
da studiacchiare ce l’avevo, ma ero troppo eccitata dalla notizia del matrimonio
di Ginger per potermi concentrare sui libri.
Io ero stata
la prima a saperlo. Mi aveva chiamata su Skype una
sera, ero in camera da sola perché Paige, fedele compagna di stanza e una delle
mie migliori amiche, era uscita con Mike, lasciandomi al mio tè ai frutti di
bosco e a un film con Leonardo di Caprio. Quando avevo sentito il primo trillo
provenire dal pc sulla scrivania avevo deciso di
ignorarlo. Poi, data l’insistenza dello scocciatore, mi ero arresa e avevo
messo in pausa a malincuore il dvd. Ero rimasta sorpresa trovandomi di fronte
mia sorella, con un sorriso da un orecchio all’altro e gli occhi luccicanti.
-Ehi,
Ginger, è successo qualcosa?- le avevo domandato, non sapendo se dovessi
preoccuparmi per la sua espressione estasiata o se dovessi farlo per il fatto
che mi avesse chiamata senza nessun preavviso. Lei si premurava sempre di
mandare un sms per essere sicura di non disturbare.
Aveva
annuito appena con la testa e me lo aveva annunciato. –Mi sposo.-
Due paroline
tanto semplici che mi avevano lasciata per un lungo momento senza parole. La
mia sorellona si sposava? E con chi? Certo, mi aveva
già parlato qualche volta di un ragazzo che nell’ultimo periodo l’aveva presa
particolarmente, ma non avevo capito che si trattasse di una storia tanto
importante.
-Harry mi ha
chiesto di sposarlo. E io ho detto sì. –
Ero rimasta
in silenzio per un altro istante, poi le avevo chiesto se fosse felice. Non
avevo bisogno di sentirmi dare nessuna risposta, il suo viso diceva già tutto.
Mi aveva
fatto promettere di non dire niente a mamma e a papà, che voleva e doveva farlo
lei, e di non dire niente nemmeno a mio fratello. Alle mie amiche che lo
dicessi pure. E io l’avevo presa in parola. Avevo aspettato Paige sveglia per
raccontarle tutto. Ero a metà tra l’essere contenta per mia sorella, e l’essere
scioccata dalla rivelazione. Lo shock però mi era passato in fretta, Ginger
aveva la testa sulle spalle, sapeva sempre quello che faceva, non dovevo
preoccuparmi per lei. Non mi restava che essere felice.
Tranquillizzai
mia madre nei giorni seguenti, sentendola quasi ogni giorno per telefono. Non
era tanto l’unione in sé che la preoccupava, anzi, riguardo a quella, dopo aver
parlato con Ginger, non nutriva alcun dubbio. Più che altro la angosciava
l’organizzazione. Già. Proprio così. Ginger le aveva spiegato che volevano una
cerimonia intima, con pochi invitati, a casa, senza troppe pretese, ma che si
volevano sposare subito. E mamma era andata subito in fibrillazione. Le avevo
assicurato che sarei tornata presto per aiutarla, appena fossero finiti i
corsi, e così avevo fatto.
Mi
stiracchiai voluttuosamente e sbirciai fuori dalla finestra. Da una parte avrei
voluto maledire Ginger per aver deciso di arrivare così di buon mattino,
dall’altra non vedevo l’ora di riabbracciarla, e di conoscere finalmente il
fantomatico Harry. Chissà come sarebbe stato mio cognato.
***
Sotto il
portico, seduti su due poltroncine in vimini, trovammo i genitori di Ginger. Si
alzarono prontamente per venirci incontro appena ci videro arrivare.
-Mamma,
papà, questo è Harry.- mi presentò Ginger, con un sorriso luminoso.
-Molto
piacere, signori Horan.- dissi, stringendo le mani di
un uomo piuttosto alto biondo-rossiccio e di una donna castana dall'aria
elegante.
-Nostro
figlio arriverà domani, nel frattempo ti presento la piccola di casa.-
Mr Horan voltò lo sguardo a destra e aggrottò le sopracciglia
cespugliose, non trovandovi nessuno. -Scusa, un attimo, Harry.-
Si voltò
verso la grande porta d’ingresso, lasciata semi-aperta.
-Mia! Tua
sorella é qui! Vedi di scendere in immediato!-
-Papà, non ti agitare.-
Sentii
rispondere con tutta calma.
-E comunque,
preferirei che evitassi di presentarmi a tutti come la piccola di casa. Mi fa
sembrare una poppante.-
Ginger mi
rivolse uno sguardo divertito, prima di correre incontro alla sorella, apparsa
sulla soglia, e di stringerla in un abbraccio.
-Mi sei
mancata, Canny!-
-Anche tu, Zenzera, ma se non tentassi di soffocarmi potrei essere più
felice di vederti..-
Sentii
mugolare la ragazza, di cui al momento potevo scorgere solo una mano che teneva
ben stretta una mela appena addentata.
-Scusale,
Harry, non si vedono da molto tempo.-
Tranquillizzai
la signora Horan con un sorriso, attendendo il mio
turno di essere presentato. Non dovetti aspettare molto perché Ginger lasciasse
la presa e si voltasse verso di me con un sorriso smagliante.
-Harry, ti presento
la tua futura cognata, nonché mia pestifera sorellina minore.-
-Non ci
credo, ancora con questi appellativi imbarazzanti!?- borbottò la ragazza che mi
apparve davanti, ma la sua espressione sembrava più divertita che infastidita.
Portava i
capelli tagliati all'altezza del collo, castani, come quelli della madre. La
guardai levare il viso verso l'alto, sbuffando, e lasciandosi scappare una
piccola risata dalle labbra sottili. Quando finalmente abbassò la testa,
fissandomi in volto, il mio stomaco ebbe un sussulto. I suoi occhi
s'incatenarono ai miei, e in quel momento, sperai soltanto che non si
liberassero più.
***
-Mia, avanti..-
mi mormorò nell'orecchio mamma, sembrava leggermente sconcertata dal mio
improvviso mutismo.
Deglutii a
vuoto, schiarendomi la voce.
-Ciao, io sono Mia.-
Una gomitata da parte di mia sorella mi fece
tendere la mano. Il ragazzo me la strinse frettolosamente.
-Harry, piacere.-
mormorò a sua volta.
Dovetti utilizzare tutta la forza di volontà a
mia disposizione per abbandonare il contatto con quegli occhi verdi, che
scrutavano i miei così intensamente da farmi desiderare di non distogliere lo
sguardo. Oddio, ma che diavolo andavo a pensare!?
-Bene!-
Il battito
energico delle mani di mio padre e la sua esclamazione mi riportarono con i
piedi per terra.
-Ora Harry, dato che il resto della ciurma
arriva domani, ti inviterei a fare un giro della proprietà.-
-Io posso
anche non venire, vero, papà?- domandai a bruciapelo -Ho una tesina da finire,
volevo completarla in modo da essere libera per il resto della settimana!- mi
affrettai ad aggiungere, anche se non era vero. Avevo già spedito la tesina il
giorno prima, ma avevo bisogno di stare sola.
-Non credo
ci siano problemi, piccolina.- acconsentì lui, gioviale, al suo solito.
Salutai
tutti con un sorriso. Mentre scappavo come un coniglio in camera mia udii la
voce bassa e allegra di mio padre commentare:
-C'é un bel sole, mia cara, non trovi? Sarà
senza dubbio una bella giornata.-
Avrei solo voluto poterla pensare come
lui.
***
Ok, doveva
essere stato un caso. Si, insomma, una semplice fitta, dovuta all'ansia e
all'agitazione accumulatesi durante il viaggio. Dopotutto, non capitava poi
spesso di incontrare la famiglia della propria promessa sposa sette giorni
prima del matrimonio. Certo, era andata così. Io amavo Ginger, non avevo dubbi
su ciò che provavo per lei.
Mi accostai alla finestra della camera per gli
ospiti che mi era stata assegnata, e guardai giù. Nel giardino, attorno ad un tavolino,
le tre donne di casa Horan stavano ritagliando delle
immagini da alcune riviste. O meglio, Ellen (come mi aveva pregato di chiamarla
Mrs Horan) e Ginger
utilizzavano due paia di forbici. Mia strappava le pagine senza l'ausilio di
alcuno strumento. Rise, quando la madre le picchiettò una mano in un finto rimprovero
per aver strappato a metà la fotografia. Un altro sbuffo allo stomaco.
Probabilmente avevo fame.
***
-Allora, che
ne pensi!?-
Feci finta
di non aver sentito e continuai a sfogliare i ritagli, concentrandomi più che
mai sui ricami di abiti bianco panna, che non avrei indossato nemmeno se mi
avessero pregato in ginocchio.
-Mia!?-
-Qualcuno
carino c’è..- borbottai, senza alzare lo sguardo.
-Ma, no,
sciocchina! Che hai capito!? Non intendevo gli abiti, quelli sono tutti
meravigliosi!-
Feci una
smorfia, poco convinta.
-Intendevo,
di Harry. Che ne pensi? Ti piace?-
Sentii lo
stomaco stringersi, come se una mano invisibile lo avesse afferrato.
-Sembra ok.- mi sentii rispondere dopo un’eternità, con una voce
che non mi apparteneva. Se avevo voluto sembrare naturale, beh, non ci ero riuscita
affatto.
-Oh, Mia,
andiamo, solo un misero ok!?-
-Ma l’ho
visto appena due ore fa, cosa potrei dirti di più!?- domandai a mia volta, guardando
in faccia mia sorella. Sembrava leggermente delusa, ma si riprese subito quando
mamma le fece l’occhiolino, mormorando un “lo sai com’è fatta”, e lanciandosi
in un’elaborata pianificazione dell’acquisto abito che ci avrebbe atteso nei
prossimi giorni.
Non riuscivo
a stare ad ascoltarla. Riuscivo solo a pensare che avrei potuto dire
un’infinità di cose. E non ne avevo detta nessuna. Perché il fatto che fossero
un’infinità non andava affatto bene. E mi sentivo terribilmente in colpa.
***
Scesi i
gradini del portico deserto. Mi guardai intorno, quel posto era davvero
mozzafiato. Il prato tagliato all’inglese si estendeva per qualche ettaro, ed era
lì che si sarebbe svolta la cerimonia. Gli operai sarebbero arrivati il giorno
seguente per montare il gazebo. Ginger aveva insistito con sua madre, e alla
fine aveva ottenuto che gli invitati non fossero più di una cinquantina tra
parenti e amici. A me erano sembrati comunque tanti, ma mi andava bene lo
stesso. Io da parte mia avevo invitato solo il mio migliore amico, a farmi da
testimone, e tre compagni dell’università. Avevo vent’anni, e non intendevo
invadere casa Horan con un’orda di ragazzi
scalmanati.
Feci qualche
passo sul vialetto lastricato, volevo raggiungere il boschetto che mi era stato
mostrato nel tour di benvenuto. Non camminavo da molto, quando sentii il rumore
di una macchina. Mi misi sul ciglio
della stradina ma la Range-Rover si fermò diversi
metri prima dal punto in cui mi trovavo. Il motore si spense e in pochi istanti
vidi un ragazzo piuttosto alto scendere, e recuperare un borsone di cuoio dal
bagagliaio. Stavo per andargli incontro per presentarmi, ma mi bloccai. Da un
sentiero laterale spuntò improvvisamente Mia, la vidi correre a perdifiato, i
piedi nudi, i capelli arruffati. Non appena si accorse di lei, il ragazzo
lasciò cadere a terra la borsa e la accolse fra le braccia, stringendola forte
a lui. E il mio stomaco tremò. E il respiro mi si fece affannoso. Chiusi gli
occhi per un istante, dovevo andare via di lì.
***
-Non
possiamo non vederci per così tanto tempo. Non possiamo, capito!?- sbottai,
colpendo mio fratello sulla spalla, non appena mi lasciò andare.
-Se questo è
un modo contorto per dirmi che ti sono mancato, grazie.-
-Sei un
idiota.-
-Anche tu mi
sei mancata, disastro.-
Feci una
smorfia, afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso casa.
-Mamma e
papà muoiono dalla voglia di vederti. Per non parlare di Ginger! Le stava quasi
per venire un infarto quando ieri hai detto che non sapevi se alla fine ti avrebbero
lasciato libero.-
-Dì la
verità, a te il mio scherzo è piaciuto.-
Sorrisi
furbescamente.
-Certo. Papà
era pronto a fare appello all’ambasciata.-
Rise. E io
risi con lui. Perché era bello sentirlo di nuovo. Era bello che fosse lì, con
tutti noi.
-Mia, sei
sicura che non devi dirmi niente?- mi chiese improvvisamente.
-Che cosa?-
domandai con aria confusa.
-Hai portato
qualcuno, al matrimonio?-
-No, Paige è
andata in Florida con il ragazzo del momento e Grace è andata a trovare i
parenti a Oxford.-
-Oh, su, dai
che hai capito. Non cercare di sviare.-
Ma che aveva
mio fratello? Stare tutto quel tempo in Africa doveva avergli dato alla testa.
-Guarda che
non capisco davvero dove tu voglia andare a parare.-
-Beh, e
allora che mi dici di quel tizio laggiù?- mormorò malizioso.
Seguii il
suo sguardo divertito e per poco non caddi a terra, inciampando nei miei stessi
piedi, quando capii a chi si stesse riferendo. Per fortuna mio fratello mi
afferrò prima che la mia faccia si andasse a spiaccicare dritta dritta sulle pietre. Perché avrei avuto giusto bisogno di
peggiorare le mie condizioni, già catastrofiche per conto loro.
-Ehi,
disastro, stavi cercando di suicidarti per non dover ammettere di avere un
accompagnatore con il tuo fratellone? Dai, a me puoi dirlo che è più di un
semplice amico..-
Spalancai
gli occhi.
-Ma..Ma che
diavolo stai blaterando!? Accompagnatore!? Amico!? Quello è..Dio, quello è
Harry, il fidanzato di nostra sorella, idiota che non sei altro!-
-Oh -
mormorò, facendo una faccia stupita almeno quanto la mia. –Beh, ma non è un po’
troppo giovane per sposarsi? Avrà la tua età!-
-Ha
vent’anni, Ginger ne ha ventiquattro, e presumo si amino, dato che hanno deciso
di sposarsi nel giro di, cosa sono, tre mesi che si frequentano?- presi un
respiro, imponendomi di parlare con convinzione. –E poi ci avranno pensato
bene, quindi..-
-Si, hai
ragione.- tagliò corto lui. -Harry! Ehi, amico!-
-Ma che
fai!?- sbottai, tirando uno spintone a mio fratello.
-Beh, avrò
pur il diritto di conoscere mio cognato, o no?-
E questa
volta mi afferrò lui per la mano, trascinandomi verso il patibolo.
***
Mi sentii
chiamare da una voce sconosciuta. Mi voltai e il cuore sussultò. Il ragazzo di
prima stava camminando spedito verso di me. Ma non era quello che mi aveva
sconvolto tanto: le sue dita stringevano quelle di Mia. Avrei solo voluto
correre via, ma ormai era troppo tardi. Li aspettai sull’ingresso e cercai di assumere
un’aria tranquilla e spensierata.
-Harry, finalmente
ci incontriamo!-
Sorrisi
stringendo la mano del ragazzo, che aveva lasciato andare quella di Mia per
presentarsi. Non potei fare a meno di rivolgerle una fuggevole occhiata.
-Lui è Liam.- borbottò. –Quel cretino di mio fratello.-
Era suo
fratello.
-E’ tornato
da dieci minuti e ha già iniziato a rompere le scatole.-
Risi.
-Sono
contento di conoscerti.- dissi, e ne ero pienamente convinto.
***
Mamma per
cena aveva preparato lo sformato di patate e formaggio. Campeggiava in mezzo
alla tavola apparecchiata con cura, emanando un delizioso profumino.
Contrariamente
a quanto avrei fatto di solito, non mi avventai sulla teglia come una sorta di
orso, ma rimasi ferma e composta sulla sedia. Non avevo fame. E questo
rappresentava un evento più unico che raro. Mi sentivo in una sorta di trance.
Ero lì, in soggiorno, con la mia famiglia al completo e con quell’estraneo
capitato tanto all’improvviso, eppure era come se non fossi veramente presente.
Li vedevo da dietro una patina ridere, chiacchierare, ma non li sentivo. Non
sentivo i loro discorsi. Ero stata molto attenta a non sedermi accanto né di
fronte al nostro ospite, in modo da non essere costretta a rivolgergli la
parola se non fosse stato strettamente necessario. In realtà non volevo nemmeno
scorgerlo con la coda dell’occhio. Ma quello era inevitabile. Ogni tanto il mio
sguardo ricadeva sulle sue mani, intente a strappare
un pezzetto di pane, o sui suoi riccioli scuri, così scompigliati rispetto ai
capelli ordinatissimi di mia sorella, e così in contrasto con il suo biondo
grano. Lo vidi mio malgrado sorridere a mia madre, due fossette birichine sulle
guance appena appena colorite per il caldo. Male allo
stomaco. Non lo dovevo guardare. Non lo dovevo guarda..
-Mia! Mia,
per amor del cielo, stiamo parlando con te!-
Il
rimprovero di mia madre interruppe il mio mantra, portandomi a fissarla con
occhi vacui.
-Si?-
-Harry ci stava
dicendo che frequenta il terzo anno all’università di Manchester, alla facoltà
di storia. Mi sembra che anche Grace studi storia lì, o mi sbaglio?-
-Sì, fa
storia.-
-Magari l’ho
già incontrata.-
Aveva la
voce roca. Dovetti costringermi ad alzare lo sguardo, non potevo parlargli con
la faccia fissa nel mio piatto.
-Si chiama
Grace O’Ryan, ma frequenta il secondo anno come me.-
Aveva gli
occhi verdi. E allungati.
-Non la
conosco, mi spiace.-
Mia madre
sorrise, alzandosi nelle spalle, e io mi sentii libera di distogliere lo
sguardo.
Ascoltai per
un po’ Liam che raccontava dell’Africa, erano due anni ormai che faceva il
volontario per Emergency e tutti noi eravamo molto
orgogliosi di lui. Certo, ci mancava sempre terribilmente, soprattutto a me. Io
e il mio fratellone, che alla fine aveva solo tre anni più di me, eravamo molto
legati. Capitava che ci scornassimo, ovviamente, ma di solito andavamo d’amore
e d’accordo.
Ora stava
parlando a tutti dell’incontro con Fatima, la bambina sudanese che aveva
adottato a distanza. Conoscevo già bene tutti i dettagli, così mi permisi di
nuovo di estraniarmi.
Ripensai a
ciò che aveva detto poco prima Harry. Non conosceva Grace, già. Ma Grace
conosceva lui. Non appena le avevo raccontato del matrimonio di mia sorella con
uno studente della Manchester University, aveva
preteso nome e cognome. Harry Styles. Certo che
sapeva chi fosse. Un anno avanti a lei nel corso di storia antica, un figo da paura, aveva sentenziato, un sorrisetto malizioso
ad incurvarle le labbra piene. Ovviamente, cicciottella come sono, non mi ha
mai filata neanche di striscio, aveva aggiunto subito dopo, senza perdere la sua
solita gaiezza.
Conoscevo
Grace dalle superiori, era stata la mia compagna di banco il primo giorno di
scuola, e tutti quelli successivi. Le volevo bene come a una sorella, lei e le
sue guanciotte paffute sapevano sempre mettermi di
buon umore, anche quando mi sembrava che il mondo stesse per crollarmi addosso.
Un po’ come quest’oggi.
***
Ero
semi-sdraiato sul letto della camera degli ospiti, un braccio dietro la testa.
Fissavo Ginger seduta accanto a me, che mi scrutava un tantino preoccupata:
-Non hai
mangiato molto a cena, non ti senti bene?-
-Non avevo
un grande appetito, ma lo sformato era molto buono.- risposi, rivolgendole un
sorriso sincero.
Lei mi
guardò ancora qualche secondo, attenta, dopodiché sembrò rilassarsi e si chinò
per baciarmi.
-Scusa per
la storia delle camere separate.- mormorò, dispiaciuta.
Risi e la
attirai a me, circondandola con le mie braccia.
-Sei pazza?
Mi piace un sacco. Fa molto retrò.-
Riuscii a
strapparle una risatina, dopodiché lasciai la presa per permetterle di alzarsi.
-Buonanotte,
amore.- sussurrò, prima di uscire e chiudere la porta dietro di sé.
Aspettai
ancora qualche secondo, poi mi alzai anch’io, diretto verso la piccola valigia
che mi ero portato dietro, e che non avevo ancora aperto. Mi spogliai lentamente,
con lo sguardo fisso verso la finestra. Infilai i calzoni del pigiama e una
maglietta intima grigia, sempre guardando il giardino sottostante.
Era stata
una bella serata, nonostante il nodo di tensione che mi aveva stretto lo
stomaco tutto il tempo. I signori Horan erano davvero
gentili e premurosi, come Ginger, e anche Liam era stato simpatico e
divertente. Era la piccola di casa, come l’aveva chiamata John Horan, l’unica incognita. Mia era rimasta in silenzio per
gran parte della cena e, durante tutta la giornata, non l’avevo praticamente
vista. Probabilmente non gli ero piaciuto. Probabilmente mi aveva visto come un
intruso spuntato dal nulla, arrivato a rapire sua sorella maggiore.
Probabilmente aveva pensato che fossi uno scapestrato, un bambino che voleva
assumersi responsabilità incapace di sopportare. Eppure non capivo perché mi
importasse tanto. Non si poteva piacere a tutti. Non subito, non al primo
colpo. Mi era già andata bene di essermi conquistato la simpatia di tre membri
della famiglia. Me lo sarei dovuto far bastare. Eppure, non era così.
***
Avevo appena
terminato la video-chiamata con Grace e, come avevo predetto, mi sentivo già
decisamente meglio. Non le avevo detto di quello che avevo provato fissando
Harry negli occhi, avevo solo manifestato un certo disagio per la sua presenza.
Lei mi aveva ascoltata, aveva preso un po’ in giro la mia paranoia e le mie
elucubrazioni mentali, facendomi ridere. Che stupida, ero stata. Ginger stava
per sposarsi con Harry, il ragazzo che amava, e io ero felicissima per lei. E
non c’era nient’altro a cui dover pensare.
M’infilai la
mia magliettona con il trifoglio enorme stampato sul
petto e uscii dalla mia camera per andare in bagno. Non appena posai la mano
sulla maniglia quella si abbassò da sola, feci un passo indietro e, quando la
porta si aprì del tutto, mi ritrovai di fronte Harry, con uno spazzolino da
denti in una mano e il dentifricio nell’altra.
-Oh, scusa.
Ginger..Ginger mi ha detto di usare questo bagno non sapevo..Non sapevo fosse
il tuo.- spiegò, imbarazzato.
-Tranquillo,
hai fatto bene a venire qui. Il mio è l’unico bagno che si trova qui sul
corridoio. Gli altri signorotti ce l’hanno tutti in camera.- spiegai, alzando
gli occhi al cielo.
Rise, e di
nuovo scorsi le sue fossette. Sentii le guance farsi calde.
-Beh, allora
io, mi lavo i denti.- mi precipitai a dire.
Harry si
spostò divertito, lasciandomi passare.
-Notte!-
esclamai, chiudendo in fretta la porta alle mie spalle.
-Notte,
Mia.-
Lo sentii,
attraverso il legno. Aveva detto il mio nome. Avevo il viso in fiamme. E il
cuore che non funzionava più.