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Autore: Amily Ross    23/08/2015    6 recensioni
(Shot prequel de: “Il Ritiro Natalizio della Nazionale Giovanile”. Narra la partenza di Grace e la sua avventura tedesca, l’amicizia che instaurerà con Benji e l’inizio della sua storia d’amore con Karl)
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Partire: lasciare la propria città natale, gli amici di sempre, non è mai facile, ma quando sei costretta a farlo hai poche alternative di scelta. Questo è quello che mi è successo – quando l’anno scorso – sono stata costretta a lasciare l’Hokkaido e seguire i miei genitori in Germania per lavoro; a malincuore, l’unica cosa che posso fare è sperare di trovare dei nuovi amici anche qui. «C’è Benji ad Amburgo!» mi disse Philip – il mio migliore amico – all’aeroporto il giorno della mia partenza. Già c’è lui, ma stiamo pur sempre parlando del più spocchioso ragazzo che io abbia mai conosciuto… «Sarà difficile legare con lui!» risposi al mio amico, “Ma è già un potenziale conoscente!” pensai tra me, in aereo. Io sono ottimista e voglio vivere con tutta me stessa questa nuova avventura.
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Questa storia è temporalmente collocata nell'ottobre del 2015, dove i ragazzi hanno quasi diciotto anni.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Grace (Machiko Machida), Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: eccomi qua, come vi avevo promesso sono tornata a infestare questo fandom, alla fine non è passato tanto tempo, dai, pensavo peggio. Come vi avevo anticipato nella long: Il Ritiro Natalizio della Nazionale Giovanile ecco il prequel - o meglio una oneshot che si andrà a collocare temporalmente in quello che sarà poi il prequel, ovvero Chronicles of the Schneider's Family - spero quindi questa OS sia l'altezza della sopraccitata fiction, come dissi allora non ero sicura di scriverla, ma alla fine è venuta da sé. Spero di essere riuscita nell'intento e, presto, inizierò a scrivere il tanto citato sequel. Tremate gente, l'ispirazione è tornata, i nostri cari personaggi preferiti non dormiranno sogni tranquilli con questa pazza e sadica autrice.

Vi lascio alla fiction, un bacione, la vostra Amy. ♥

 

Dal diario di una Manager: per fortuna che esiste il calcio.

 

 

    È passata una settimana da quando sono arrivata ad Amburgo, da quel poco che ho visto lungo il tragitto aeroporto-casa, non sembra male come città, forse sono io che non voglio accettarla; da quando sono entrata nella nuova casa, non ho messo un piede fuori, non mi va, mi sentirei un pesce fuor d’acqua.

   I ragazzi della Flynet, Jenny e Philip, mi hanno sempre etichettato come la ragazza forte: colei che riusciva sempre ad avere una giusta parola per tutti, che riusciva a tenere in riga una squadra di ragazzini che – scalmanati – correvano dietro a un pallone nel gelido Hokkaido. Grace la forte. Così mi chiamavano con affetto.

   Ma oggi è rimasto ben poco di quella ragazzina trascinatrice, erano loro la mia forza, e da sola mi sento svuotata, sola e abbandonata in una città a me sconosciuta.

     La mia nuova camera è ampia e luminosa, proprio come quella che avevo nella vecchia casa, ho sistemato ogni cosa e, guardandomi attorno, per un attimo, mi sembra che non sia cambiato nulla: le foto con i ragazzi, quella con Phil e Jenny del mio ultimo compleanno insieme e quella con la mia migliore amica – che abbiamo scattato ai tempi delle scuole medie durante un allenamento della squadra.

     Lacrime, che calde, mi inumidiscono le guance, ricordi che si affollano e mi fanno gioire, un tuffo nel passato; guardo fuori dalla finestra – il sole brilla alto e maestoso nel cielo terso – e mi sorride, anche io sorrido asciugandomi le lacrime. “Basta piangere, Grace! Adesso esci, ti fai un giro, ti prendi un gelato e magari conosci nuova gente.” mi dico, mentre indosso un maglioncino rosso, una gonna sopra al ginocchio nera a balze, dei collant scozzesi e le mie adorate Dr. Martens nere.

    Mi guardo allo specchio, pettinando i capelli, che decido di lasciare sciolti e appuntarli ai lati con delle forcine, faccio un giro su me stessa – facendo sollevare e girare – la gonna e sorrido, mi siedo sullo sgabello della toletta, mi guardo allo specchio e annuisco, decisa ad affrontare la mia nuova vita; mi tolgo gli occhiali e li ripongo nella custodia, decidendo di indossare le lenti a contatto, che solitamente metto molto raramente – solo per le occasioni importanti – ma oggi ho deciso di cambiare: città nuova, vita nuova, Grace nuova;  copro le occhiaie con il correttore, passo un filo di matita nera sulla rima interna degli occhi, completando lo sguardo con il mascara, poi passo alle guancie mettendo un po’ di blush e concludo con un lucido rosato sulle labbra. Mi do un’ultima sistemata ed esco.

   Scendo giù, dove mia mamma è alle prese con gli ultimi scatoloni e le sorrido. «Vado a fare un giro nei dintorni. Hai bisogno di qualcosa?» le chiedo, lei sorride e scuote la testa. «No, tesoro, vai tranquilla.» mi risponde, sorrido, prendo il mio cappotto nero metto una sciarpa bianca e una volta fuori, respiro profondamente l’aria fredda della mattina. Sorrido. “Vai, Grace, alla conquista di Amburgo.”

   Passeggio allegramente con il vento che, dispettoso, fa svolazzare i miei capelli. “Forse avrei dovuto legarli.” mi dico, ma poi scuoto la testa divertita e, rivedo me e Jenny adolescenti, con i capelli svolazzanti, durante un allenamento quando improvvisamente è venuto giù un vento gelido. Sorrido a quel ricordo, e nel frattempo, mi guardo attorno curiosa, osservando ogni particolare della città.

   Attirata dalle urla di alcuni bambini che, felici, giocano su un prato scorgo un parco e decido di avvicinarmi. I bambini giocano allegramente nelle giostre, i genitori seduti su delle panchine – chi leggendo, chi fumando, chi parlando – sono vigili sui loro piccoli che, incuranti, si divertono.

   Mi guardo ancora attorno e sorrido. “È bellissimo!” mi dico, osservando tutto: il laghetto poco distante dove nuotano i cigni, persone che fanno jogging, altre che passeggiano il cane, sembrano tutti felici; forse solo io non lo sono e mi guardo attorno – quasi spaurita – speranzosa di trovare un viso conosciuto. So che è impossibile, ma in questo momento mi accontenterei anche di incontrare Benji.

   Con questi pensieri passeggio per il parco osservando ogni persona presente, e improvvisamente, la mia attenzione viene catturata da un gruppo di ragazzi che corrono sul prato guidati da un biondino niente male. Guardandoli meglio un sorriso raggiante appare sulle mie labbra – riconoscerei ovunque una squadra di calcio che si allena – altri ricordi si fanno spazio prepotenti – nella mia mente, facendomi rivedere quei ragazzi che, incuranti delle intemperie, correvano sotto la neve fitta pur di tenere la forma fisica.

   Sorrido ancora e piano, senza l’intento di disturbare il loro allenamento, mi avvicino di poco, loro si fermano e iniziano a fare stretching e il mio sorriso si allarga ancora di più quando noto che uno di loro porta un cappellino calato sulla testa. “Genzo.” leggo. Sorrido, conosco solo un ragazzo che è talmente egocentrico da portare il suo nome scritto sul cappello.

   «Ragazzi facciamo una pausa, dopo andremo di corsa al campo e faremo una partitella.» dice il biondo con gli occhi azzurri, che intuisco essere il capitano, sorrido e piano mi avvicino al ragazzo col cappellino. «Benji?» lo chiamo, sperando che questo mi riconosca, lui si gira e sorride, pensando di ritrovarsi davanti una delle tante fans. «In carne e ossa!» risponde, sorridendo e alzando il cappellino in segno di saluto.

   Sorrido e lo guardo, dal suo sguardo non sembra aver capito chi sono. «E immancabile cappellino!» aggiungo, sorridendo, al che lui inarca un sopracciglio e mi guarda senza capire. «Ci conosciamo?» mi chiede, mentre la sua mente inizia a viaggiare lontano – quando viveva in Giappone – cercando di ricordare i volti degli amici d’infanzia.

    È buffo vederlo concentrato in questo modo, per qualcosa che non sia il calcio, sorrido e annuisco. «Sì, in un certo senso, sono Grace, una delle manager della Flynet e qualche volta sono stata convocata anche ai ritiri delle Nazionale.» rispondo, sapendo che ciò sia sufficiente a far sì che mi riconosca.

Lui elabora la mia risposta e poi sorride. «Grace! Certo che mi ricordo di te, la migliore amica di Jenny e Philip. Cosa fai qui ad Amburgo?» mi chiede, avvicinandosi a una panchina, io lo seguo e ci sediamo. «Mi sono trasferita una settimana fa, mio padre è stato trasferito qui dalla ditta per la quale lavora.» rispondo, sorridendo.

    Iniziamo a parlare dei vecchi tempi, mi chiede degli altri, dei loro progressi e io rispondo a ogni domanda con un sorriso, sono felice di averlo incontrato – forse la lontananza dai suoi amici – l’ha reso più socievole, e questo non può che farmi piacere, continuiamo a parlare, incuranti degli sguardi curiosi dei suoi compagni di squadra.

    «Guarda, Karl, sembra che il nostro Benji abbia compagnia.» sento dire ad un ragazzo biondo, con uno stuzzicadenti in bocca, non ricordo il suo nome, ma il suo viso mi è familiare. Il ragazzo interpellato sorride. «Ma fatti gli affari tuoi, Hermann. Però è carina, e bravo il nostro Price!» risponde l’altro. Lo guardo meglio e lo riconosco all’istante, è Karl Heinz Schneider, il Kaiser. Sorrido e torno a parlare col mio concittadino.

    «Casanova non vorrei disturbare, ma dobbiamo andare al campo!» dice il capitano, avvicinandosi a noi, io inevitabilmente arrossisco un po’ e Benji sorride. «Schneider guarda che non ci sto provando, è una mia connazionale. Vi presento Grace Machida, è stata manager nella squadra di Philip Callaghan e anche della Nazionale.» risponde, alzandosi e io lo imito.

     Sorrido, ancora un po’ rossa in viso, e abbasso il capo in cenno di saluto – com’è usanza nel mio paese natale – anche se in Europa non sono soliti salutarsi così; i ragazzi sorridono e uno a uno si presentano. «Grace ora devo andare, mi ha fatto piacere incontrarti, ci vediamo.» sorride il portiere, io annuisco. «Price se la tua amica non ha nulla da fare può venire al campo con noi, tanto non è estranea al calcio, e da quel che mi è parso di capire, si è trasferita da poco.» dice Karl, Benji sorride e mi guarda, io allargo il mio sorriso e annuisco. «Se non disturbo, mi farebbe piacere assistere a un allenamento.» rispondo, il capitano sorride. «È un piacere!»

     Detto ciò, raggiungiamo il campo dove si allenano, mentre loro corrono per non perdere il ritmo, io cammino dietro con Benji, parliamo ancora lungo la strada, finché non arriviamo al campo e mi siedo sulla panchina mentre loro entrano in campo e un uomo – che intuisco essere l’allenatore e se non ricordo male anche il padre del Kaiser – si avvicina consegnando a Karl un pallone, i ragazzi si schierano in campo e il mister fa da arbitro.

    Sorrido, guardandoli giocare, mentre vecchi ricordi sia affacciano alla mia mente, mescolandosi con questi nuovi, gioisco mentre loro rincorrono quel pallone felici, anche io inevitabilmente mi ritrovo a essere felice; mi è sempre piaciuto vedere gli allenamenti della Flynet, e ora potrò fare lo stesso con quelli dell’Amburgo.

    “Per fortuna che esiste il calcio, orami è fondamentale anche per noi manages.” mi dico, sorridendo felice, quest’insolita passione per una ragazza, mi ha aperto un mondo anni fa e ora – anche lontana da casa – si sta rivelando più fondamentale di quanto abbia mai pensato in tutta la mia vita. Se non fosse stato per questo sport, non avrei mai conosciuto i ragazzi della Nazionale, e di questo, devo ringraziare indubbiamente Philip è merito suo se io e Jenny siamo entrate nello staff della Flynet, ed è sempre merito suo – e della sua tenacia – se è diventato un titolare in Nazionale.

    Mi ritrovo a pensare agli eventi passati e sorridendo felice delle mie scelte, quasi senza accorgermene esulto quando Benji para un tiro – successivamente – Karl segna, mi sembra di ritornare ragazzina ed esultare assieme alla mia migliore amica ai goal di Philip.

     Ad allenamento finito i ragazzi raggiungono la panchina e io abituata a rendermi utile, mi alzo, passando loro asciugamani e bottigliette. Benji mi sorride, non riesco a decifrare il suo sorriso, ma credo sia felice di aver trovata una vecchia amica, che ne sa abbastanza di calcio, anche io dal canto mio sono felice, e sarei ancora più felice di iniziare una nuova carriera da manager in una nuova squadra, potrebbe essere un ottimo modo per conoscere nuovi potenziali amici.

     Loro bevono e si asciugano il sudore, mentre io penso che potrei proporlo all’allenatore, ma non lo conosco e – a dirla tutta – mi vergogno un po’ di chiederlo a Benji, il quale adesso parla con i suoi compagni e ogni tanto mi lancia occhiate e sorrisi, anche Kaltz e Schneider sorridono, mentre parlano insieme, poi un sorriso del capitano cattura la mia attenzione. “È proprio un gran bel ragazzo!” mi ritrovo a pensare, quasi senza rendermene conto, sentendomi le guance accaldate.

    «La tua amica è carina, Benji, sembra anche abbastanza simpatica e ne sa di calcio.» sorride ed esclama Schneider, Benji sorride e lo guarda con sguardo di chi la sa lunga. «Cos’è, Kaiser ti sei innamorato?» lo prende in giro, l’altro tedesco, il quale si becca una gomitata dal suo capitano, mentre il portiere se la ride ancora sotto i baffi.

    «Ma falla finita, Hermann, non dire cazzate!» risponde Karl, facendo ridere ancora di più Benji, quando il mister li richiama all’ordine, loro si avvicinano alla panchina e io mi ridesto dai miei pensieri. «Ragazzi per oggi l’allenamento è finito, andate a fare la doccia.» dice loro l’allenatore e, prontamente, i ragazzi annuiscono. «Aspettami, così ti accompagno a casa e parliamo ancora un po’, se ti va, ovviamente…» mi dice Benji, avvicinandosi e sorridendo,  rimango quasi sorpresa e sorridendo annuisco.

***

    Sono già passati due mesi da quando mi sono trasferita, uno da quando sono diventata la manager dell’Amburgo, è stato il mister a propormelo, forse sarà stato Benji a dirglielo, forse avrà visto lui stesso che ho anni di esperienza alle spalle; io so solo di essere tornata la Grace tredicenne che seguiva la sua Flynet, per il resto non m’importa, l’unica differenza è che adesso sono la Grace quasi diciottenne manager dell’Amburgo.

    Le miei giornate sono scandite dalle lezioni nella nuova scuola che ha aperto i suoi battenti e, con mia grande sorpresa, mi sono ritrovata proprio nella stessa classe dei ragazzi,  in associazione alle lezioni curriculari sto seguendo anche un corso intensivo di tedesco – seppur grazie ai ragazzi – devo ammettere di aver fatto molti progressi; i miei pomeriggi invece, sono scanditi dai compiti per casa e dai loro allenamenti, ed è lì che esco veramente per ciò che sono, perché è inutile negarlo: ho sempre amato il calcio, e amo il mio lavoro di manager.

    Adesso è tutto come ai vecchi tempi, sono tornata a bordo campo, ho dei nuovi amici e tutto va alla grande; l’unica differenza è che non sono  più nel gelido Hokkaido, ma ciò non mi pesa – almeno non più – anche se ciò che più mi manca dei luoghi della mia infanzia sono i miei migliori amici, ma sono certa che, grazie al calcio, ci rincontreremo di nuovo.

***

    Sono in camera mia a prepararmi, ho appena finito di asciugare i capelli, mi sono vestita indossando la tuta da  manager, mi allaccio le scarpe da tennis e sorrido guardandomi allo specchio, poi mi avvicino all’armadio e lo apro guardando tra i miei vestiti per decidere cosa scegliere, abbiamo deciso che a fine partita andremo a mangiare qualcosa tutti insieme.

    Prendo dei jeans neri a sigaretta e li guardo, poi scuoto la testa e sorrido riponendoli di nuovo al loro posto e prendo una mini gonna scozzese che abbino a una camicetta bianca, un golfino nero e dei collant color carne – optando questa volta – per delle decolté nere; poggio tutto sul letto e prendo la borsa che uso solitamente per gli allenamenti, do un ultima occhiata ai vestiti che ho scelto e sorrido, mentre le parole di Benji – il mio nuovo migliore amico – mi tornano alla mente. “Un uccellino, in squadra, mi ha detto che con le gonne sei ancora più bella.”

       Mi piace che mi abbia detto queste parole, sono sicura che non è lui, non è il tipo da farsi problemi nel dire schiettamente in faccia quando gli piace una ragazza, ammetto di essere curiosa di sapere chi è, ma lui non mi ha detto il nome e io attenderò al mio posto finché non sarà quest’uccellino a spiccare il volo verso di me.

      Mentre penso a queste cose, ripongo i vestiti e le scarpe nel borsone, prendo la pochette con i trucchi la infilo dentro la borsa nera che, userò dopo per uscire, gli metto dentro il borsellino e tutto ciò che possa servirmi, mi metto il borsone in spalla e scendo giù tenendo la borsa nell’altra mano, guardo l’ora e poggio entrambe le cose sul divano, sono le 18:30, ho ancora mezz’ora prima che venga Benji a prendermi per andare allo stadio.

***

      Finita la partita – che abbiamo vinto – per 2-1 grazie a un goal di Karl e uno di Hermann; i ragazzi sono sotto le docce e io ne approfitto per cambiarmi e truccarmi in tutta tranquillità. Sono felicissima di trovarmi in uno spogliatoio, come ai vecchi tempi, quante volte io e Jenny ci truccavamo mentre i ragazzi erano a lavarsi, per poi uscire per andarci a rintanare nella solita cioccolateria per scaldarci, parlare, ridere e scherzare? Toppe e un po’ mi mancano quei momenti che, soprattutto per me e Janny, erano diventati un rito nel quale ci confidavamo e parlavamo, tanto i ragazzi erano sempre impegnati a commentare la partita appena giocata.

      Dopo dieci minuti buoni i ragazzi iniziano a uscire, io sorrido ed esco fuori per permettere loro di cambiarsi, mi poggio alla porta e mi ritrovo a pensare di nuovo alla parole del mio migliore amico, mentre penso al sorriso che il capitano mi ha riservato appena uscito dalla doccia, adesso capisco cosa provava la mia migliore amica quando era cotta di Philip, perché io mi sento esattamente allo stesso modo con Karl.

      Mi sento stupida a pensarlo, a osservarlo di nascosto mentre si allena, rimanendo ogni volta incantata dalla sua bellezza ed eleganza; Lo so, so che ormai mi sono innamorata, poi penso alle parole di Benji e mi sale l’ansia, chiedendomi costantemente chi è questo misterioso uccellino. Come vorrei fosse Karl. “E se non lo fosse? E se fosse un altro che a me non piace?” mi ritrovo a pensare ogni volta come una stupida.

    “Forse stasera quest’uccellino si rivelerà, non ti resta che sperare, Grace.” mi dico, facendo un profondo respiro, sentendo le voci dei ragazzi che iniziano a uscire dallo spogliatoio, ridendo e scherzando come sempre. «Ti sei fatto fare un goal stupidissimo, Price.» lo punzecchia Karl, dopo avermi sorriso di nuovo. «Ma stai zitto, Schneider, tu sei quello che si è mangiato un goal sotto porta, solo perché all’ultimo ti sei distratto per il fallo che hanno fatto a Kaltz.» lo rimbecca il portiere.

     «E su, non litigate voi due. Invece di pensare che il vostro migliore amico poteva seriamente farsi male state a contarvi i goal fatti e subiti.» si intromette Hermann, mettendo di lato il suo stecchino. «Ha ragione lui, ragazzi, e poi dai, non fate i bambini. Dopo Karl ha segnato battendo una punizione da manuale e il tiro che a Benji è sfuggito non era così tanto facile da bloccare.» dico saggiamente, guardando entrambi e sorridendo.

     Detto questo, raggiungiamo l’uscita dello stadio ed entrando nelle auto,[1] partiamo alla volta del Paulaner’s Miraculum,  pub nel quale siamo soliti andare. «Stai molto bene vestita così, sei bellissima. –  mi dice a un certo punto Benji, alla guida della sua Maserati, io lo guardo e sorrido leggermente in imbarazzo. – penso che l’uccellino potrebbe dichiararsi, stasera.» aggiunge subito dopo, guardando la strada.

     Io non rispondo, questa storia sta iniziando a darmi un po’ fastidio, guardo la Porsche Carrera nera davanti a noi  e dentro me, sorrido come una stupida, intravedendo la testa di Karl. “Non voglio ritrovarmi a fare la stessa fine di Jenny, in qualche modo devo uscirne, anche perché credo che Benji non sia la persona adatta a far ciò che feci io, nonostante sia il mio nuovo miglior amico e gli voglio un gran bene.”

     Con questo mio pensiero arriviamo al locale, prendendo il solito tavolo che Karl ha fatto riservare la sera prima, ci sediamo e Derek, il nostro amico cameriere, nonché proprietario del pub, ci porta le birre. «Vado un attimo in bagno.» dico alzandomi con un sorriso, afferro la borsa e scappo verso la toilette.

     Faccio un profondo respiro e osservo la mia immagine riflessa allo specchio, il lucidalabbra è andato. “Forse dovrei smettere di mordermi le labbra, ogni volta che sono nervosa.” mi dico, decidendo di non rimetterlo, tanto mangiando e bevendo sarebbe andato via comunque. Anche la matita è un  semidisastro, trattenendo le lacrime l’ho bagnata facendola sbavare, prendo un fazzolettino di carta, mi ripulisco e mi do un contegno.

    “Se questa sera quest’uccellino deciderà di parlarmi, voglio essere al meglio, chiunque esso sia.” Penso, rimettendomi la matita. “Jenny, amica mia, come vorrei averti qui con me. Ho bisogno dei consigli che solo una migliore amica è in grado di dare.” sospiro e sento gli occhi pizzicare a questo pensiero, mi fermo, non posso piangere, o altrimenti la matita si sbava di nuovo e dovrò ricominciare da capo.

    Soddisfatta del mio lavoro torno dai ragazzi, che sorridono e bevono allegramente, il mio sguardo cade inconsciamente sul capitano –  davvero mi sento Jenny o Amy quando si perdevano a osservare Philip e Julian. “Cosa mi sta succedendo?” mi chiedo, vedendo che Karl sta parlando con Benji, facendo finta di nulla, torno al mio posto, sorridente come sempre.

    Non appena mi siedo entrambi smettono di parlare, il primo mi sorride, mostrandomi la sua dentatura bianchissima e perfetta, mentre io – inevitabilmente – annego in quegli occhioni cerulei e bellissimi, l’altro sorride nascondendosi dietro al boccale di birra, dal quale sorseggia la bevanda.

   Pochi minuti dopo Derek torna portando le nostre ordinazioni, aiutato da Eva, la sua ragazza e anche lei nostra amica. Sospiro, guardo i ragazzi uno per uno, e distrattamente inizio a mangiare le mie patatine, soffermando il mio sguardo ambra su Karl.“Perché mi stai facendo questo? Perché mi sto innamorando di te?”

   La cena procede tra una battuta e l’altra, tra i soliti litigi dei tre migliori amici, e ridendo e scherzando terminiamo il nostro pasto; finché alcuni non decidono di andar via, perché stanchi o per vari impegni; in quel preciso istante mi arriva un sms sul cellulare. “Chi mai potrà essere?” mi chiedo, dubitando che possa trattarsi di qualche amico del Giappone, dato il fuso orario. Con questo pensiero lo leggo e rimango sorpresa, lo rileggo, per accettarmi di non aver capito male, poi rileggo il mittente: Karl.

       Alzo lo sguardo e gli sorrido come una scema. «Danke!»[2] gli rispondo al messaggi e subito me ne arriva un altro. «Komm lass mich, kaufen sie ein bier an der bar.»[3] sorrido, alzandomi e annuisco. Per fortuna che la maggior parte dei ragazzi sono andati via, non so perché, ma mi sarei vergognata. “Ok, sono del tutto impazzita, non capisco più nulla. Una volta ero la ragazza spavalda che non si lasciava intimorire da niente e nessuno... adesso chi sono? Che mi succede?”

       Con questo pensiero seguo Karl al bancone e, tesa come una corda di violino, mi accomodo sullo sgabello accavallando le gambe; noto lo sguardo del capitano cadere sulle mie gambe, mentre un dolce sorriso compare sulle sue labbra e anche lui si siede. «Cosa prendi?» mi chiede, io sorrido e lo guardo. «Una birra piccola.» rispondo, guardandolo ancora.

       Lui annuisce e ordina due birre piccole, sorride e me ne passa una, la sorseggio e sento l’agitazione salire. “Perché mi hai chiesto di prendere da bere con te? Perché solo noi? Karl cosa vuoi dirmi? Qualsiasi cosa hai in mente, ti prego, non tenermi sulle spine.” Penso, continuando a sorseggiare la mia birra nervosamente.

       Karl sorride e bevendo un sorso della sua volge il suo sguardo su di me. «Sei bellissima, Grace.» mi dice, all’improvviso, guardandomi negli occhi. “Oddio che imbarazzo, mi sento avvampare, sarò rossa come un peperone.” penso inevitabilmente, sforzandomi di sorride. «Gr...grazie.» farfuglio solamente.

    Lui sorride dolcemente, avvicinandosi di poco. «Dico davvero. Le gonne ti stanno una meraviglia.» aggiunge, carezzandomi la guancia, io alzo lo sguardo sorpresa e fisso i suo bellissimi occhi azzurro ghiaccio. «Karl... eri tu allora l’uccellino?» chiedo come una stupida, commossa e col sorriso sulle labbra.

 Lui sorride ancora, si gira a guardare Benji ed Hermann e ride. «E così te l’ha detto... stupido portiere.» dice ridendo, una risata cristallina e melodiosa, anche io mi giro a guardare i nostri compagni, soffermo lo sguardo sul mio migliore amico e sorrido raggiante.

           Karl continua a guardarmi perso, posso sentire il suo sguardo su di me, mi giro di nuovo e lo guardo anche io. «Sono contenta che sia tu, anche tu mi piaci, non pensavo che a uno come te potesse piacere una ragazza mediocre come me.» sussurro sinceramente e ancora sorpresa. “Sicuro che non sto sognando?” mi chiedo.

        Lui continua a sorridere, il suo sguardo fisso nel mio, mentre la sua mano si intreccia ai miei capelli. «Non sto scherzando, Grace, mi piaci davvero. Dal primo giorno in cui ti abbiamo incontrato, mi hai colpito. Sei bellissima e voglio stare con te.» sussurra, con un dolcissimo tono, per poi poggiare le sue labbra sulle mie.

       Io stringo le braccia al suo collo e ricambio con dolcezza, mentre un turbinio di emozioni sconosciute si scatena dentro me: il cuore mi batte all’impazzata, mi sento felice e leggera. “Io, la mediocre Grace, con il più grande campione di Germania: il bellissimo Karl Heinz Schneider.”

            Quando sono arrivata qui non mi aspettavo certo nulla del genere, ma devo ammettere che la cosa non mi dispiace affatto. “Adesso posso dirlo, trasferirsi ad Amburgo non è stato poi così terribile.” penso felice. Ci stacchiamo dal bacio e lo guardo. «Anche tu sei bellissimo. Grazie per aver scelto me...» sussurro, lui sorride e mi stringe. «Sei una ragazza straordinaria, ho avuto modo di conoscerti in questi mesi, apprezzarti e innamorarmi.» sussurra lui, baciandomi ancora.

           Io ricambio e mi accoccolo al mio ragazzo, mi suona strana come cosa, ma è così. Il mio ragazzo! Gli carezzo i capelli e continuo a baciarlo con dolcezza e amore, mentre lui ricambia al medesimo modo, per poi staccarci senza fiato e guardarci ancora persi. «Ti amo, Karl...» mormoro timidamente, mentre due piccole lacrime scendono dai miei occhi.

          «Anche io ti amo, Starlet.»[4] sussurra con un dolcissimo e bellissimo sorriso, mentre con il dorso dell’indice mi asciuga le lacrime, per poi sorridere ancora e baciarmi di nuovo con la dolcezza dei baci precedenti e l’amore appena dichiaratoci. Io lo stringo e ricambio felice, innamorata, mentre sento il mio cuore sussultare e fare capriole.  

 

To be continued...

 

[1] In questa storia, i ragazzi, hanno quasi tutti diciotto anni; ho fatto alcune ricerche e in Germania l’esame di guida si dà a diciassette anni, solo dal compimento dei diciotto però, si può guidare da soli – diciamo un po’ come vale da noi quando si prende il foglio rosa – qui scrivo che Benji e Karl hanno già la loro auto e la guidano tranquillamente da soli, ma passiamogliela per buona, tanto hanno quasi l’età per poterlo fare  ed essendo una fan fiction, mi prendo anche una piccola licenza poetica

[2] Grazie in tedesco

[3] Vieni al bancone, vorrei offrirti una birra

[4] Stellina

   
 
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