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Autore: _Akimi    24/08/2015    1 recensioni
"Perché ormai quella non era più vita e non c'era più un vero posto sicuro da chiamare casa. Le strade gremivano di cadaveri irriconoscibili,di macchine distrutte e utilizzate come ripari provvisori. Ciò che più faceva paura, tuttavia, non erano né gli oggetti inanimati né tanto meno i resti delle persone che, un giorno, avevano fatto parte di quella vivace città.
Con l'inizio del contagio, era cominciata anche una nuova esistenza, sempre se così poteva essere considerata. "
Zombie!AU
4° Classificata al contest "Beware the... Warning Contest - Seconda Edizione" indetto da Rota23 sul forum di EFP
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kushina Anna, Misaki Yata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Autore : _Akimi
-Titolo storia : The Final Frontier
-Fandom : Project K
-Personaggi : Misaki Yata,Anna Kushina. Citati : Mikoto Suoh,Fushimi Saruhiko
-(Eventuali) Pair : Nessuna
-Generi : Angst,Triste,drammatico.
-Avvertimenti generali : //
-Avvertimento prenotato : Angst, Death Character - Zombie!AU
-Note autore : Nella storia ci sono un paio di riferimenti alla serie originale. Avendo indicato solo l'anime, non ho inserito particolari momenti legati al Film che, in ogni modo, consiglio di vedere.
Il titolo "The Final Frontier" è ispirato alla canzone del gruppo metal Iron Maiden dato che tratta un argomento facilmente collegabile all'AU scelto.
 


 
The Final Frontier
Capitolo I - La scimmia

 
121 giorni dal contagio.

Un paio di edifici scintillanti si stagliavano nel cielo imbrunito, riflettendo gli ultimi e deboli raggi di un Sole ormai tramontante. In lontananza, risuonava un fruscio di foglie secche, accompagnate da un riecheggiare metallico prodotto da un oggetto sconosciuto, molto probabilmente, abbandonato dal rispettivo padrone.
Era da molti giorni,oramai, che la città non brillava della sua usuale bellezza : non c'era più nessuna giovane figura ad animare le piazze principali, nessun uomo alle prese con le ultime tecnologie o anziano che, data l'età, percorreva i viali alberati con la pacatezza e la saggezza che tanto lo caratterizzavano.
In effetti, per quanto la città avesse mantenuto buona parte dell'architettura moderna di una grande metropoli, non c'era più nulla che desse segno di vita tra le lunghe strade e i negozi erano stati completamente saccheggiati e abbandonati a sé stessi. Il piacevole profumo di donuts e di cappuccino nei café aveva lasciato spazio al nauseante odore di morte, di carne imputridita e vittima delle intemperie. Il saltellante ritmo in 8bit delle sale giochi sostituito da qualche voce debole e sommessa e infine, persino i fiori di ciliegio che avevano da poco cominciato a spuntare, sembravano avere una forma e un colore diverso.
La paura e la tristezza erano diventate più concrete del solito, impregnando l'aria, facendo gonfiare gli occhi di lacrime alle persone che dovevano convivere con quell'inferno. Molti dei cittadini, non per altro, si erano arresi senza mai indagare sul perchè di tutto ciò, preferendo sprofondare in un senso di torpore e di morte prematura; non c'era più differenza tra i vivi e i defunti, nessun cuore pulsante che animasse lo spirito di persone qualunque, di persone che avessero ancora voglia di proclamare il proprio diritto di vivere lì, nella città che li aveva visti crescere.
Alcuni sostenevano che si trattasse di una qualche misteriosa calamità naturale, dato l'eccessivo abuso dell'uomo nei confronti della sua stessa terra; i più superstiziosi,invece, erano convinti che fosse una punizione del Cielo, voluta dagli Dei per condannare le trasgressioni e la malvagità che ogni individuo della società si era concesso.
Non solo,nonostante la città di Shizume fosse tecnologicamente avanzata e fosse particolarmente conosciuta per gli alti livelli di sicurezza, rimanevano anche dei gruppi di cittadini che discutevano su quanto la Nazione non si fosse dimostrata pronta ad un attacco nemico di natura nucleare, forza che aveva portato al veloce deperimento delle cellule umane e vegetali.


Qualsiasi fosse la causa, definita sconosciuta anche dall'organizzazione Scepter 4, aveva portato sconforto e anarchia nell'intera società. Non c'erano più veri princìpi su cui fare affidamento, né tanto meno sulle forze armate che avevano mantenuto la tranquillità prima del contagio.
Senza contare che, con il passare dei giorni, il cibo e l'acqua cominciavano a scarseggiare e i posti di blocchi al confine della città si erano fatti più severi, permettendo solo ai più giovani e ai malati di poter avere degli approvvigionamenti per continuare a sopravvivere.


Sì,sopravvivere.


Perché ormai quella non era più vita e non c'era più un vero posto sicuro da chiamare casa. Le strade gremivano di cadaveri irriconoscibili,di macchine distrutte e utilizzate come ripari provvisori. Ciò che più faceva paura, tuttavia, non erano né gli oggetti inanimati né tanto meno i resti delle persone che, un giorno, avevano fatto parte di quella vivace città.
Con l'inizio del contagio, era cominciata anche una nuova esistenza, sempre se così poteva essere considerata.
Tutti li potevano osservare dagli spiragli delle finestre sbarrate malamente con dei pezzi di legni, tutti potevano sentirli attraverso le porte che erano rimaste sigillate per settimane, se non mesi.
Non avevano parole, ma solo gemiti e grida che esprimevano la loro insaziata voglia di carne.
Non avevano un intelletto per comprendere ciò che era giusto e sbagliato, seguivano il loro istinto, dettato principalmente dai sensi che avevano più sviluppati degli uomini normali.
Forse era fin troppo crudele discriminarli in quel modo, ma nessuno dei vivi riusciva più a credere a ciò che vedeva e mentre la sopravvivenza si faceva più ostica, loro continuavano ad aumentare.
I loro rantoli sempre più udibili, diventavano maggior fastidio anche per chi, non ancora completamente arreso, voleva poter trovare qualcosa di positivo in questo caos quotidiano.
 
* * *


Un ragazzo aumentò il passo, attraversando con familiarità le strade che dovevano portarlo al sicuro da quella nuova minaccia. La fortuna di essere vivi, pensava alle volte lui, risiedeva solamente nelle ultime forze che il proprio fisico dava a disposizione, permettendo di essere più veloce di qualsiasi creatura rimasta là fuori.
A differenza di altri, non aveva mai avuto una grande paura di quegli strani esseri, per quanto fossero pericolosi e pronti ad attaccare persone innocue con facilità; anzi, preferiva ironizzare sulla triste situazione in cui si trovava, limitandosi a dire che anni e anni passati a giocare a survival games sarebbero serviti finalmente a qualcosa.
Una volta svoltato nell'ultimo vicolo alla fine della strada principale, il giovane distolse lo sguardo dalla direzione in cui era intento dirigersi, alzando di poco lo sguardo per osservare il cielo che stava poco a poco dando spazio a piccole stelle luminose.


-Merda.-
Esclamò a bassa voce, togliendosi le ingombranti cuffie bianche che era solito indossare per rilassarsi un po'. Preferiva coprire i tetri gemiti di quei non-morti con una playlist che avrebbe fatto rabbrividire la madre, date le parole poche aggraziate nelle canzoni che ascoltava, ma qualsiasi pezzo sarebbe stato più gradevole delle urla di quei mostri.
Era troppo orgoglioso per ammettere di essere in svantaggio numerico, per ammettere che la sua famiglia era lontana da lui e che gli mancava più di quanto avesse mai pensato. Voleva poter vedere i suoi fratelli e dirgli che finalmente era ritornato a casa, la sua casa.
Tuttavia, sapeva che la speranza non l'avrebbe portato da nessuna parte, proprio per questo aveva imparato a cavarsela da solo. Non voleva trovarsi impreparato all'invasione di quegli esseri né tanto meno risultare spavaldo, attirando la loro attenzione.
Certo, dato il suo carattere impulsivo, gli era piuttosto difficile evitare di distruggere un paio di teste di quei bastardi, ma la pazienza avrebbe decisamente premiato in futuro, permettendogli di raggiungere al più presto i propri famigliari.
Così, con la certezza di poter trovare rifugio anche in quella notte, il ragazzo si rimise il suo amato skate sotto ai piedi, dandosi un paio di spinte per passare fulmineo attraverso le vie più strette e buie, in genere conosciute da chi abitualmente girovagasse nella zona.


2 a 0 per Yata Misaki.


Era abbastanza cosciente di non essere il ragazzo più intelligente della città, ma la sua velocità e prontezza gli facevano onore, motivo per cui non si sarebbe mai stancato di schernire quegli stolti non-morti che seguivano la sua tavola in modo del tutto dispersivo e poco tattico.
Sì, era certo che la città avrebbe potuto ritrovare il suo - non molto antico - splendore e una volta scoperto il metodo che avrebbe tratto la popolazione in salvo da quel male, Misaki non avrebbe atteso altro che potersi riunire con la propria famiglia, concedendosi al lato più affettuoso di sé.
-Non lo pensi anche tu,amico?-
Esclamò con un sorriso beffardo dipinto sul volto quando, all'improvviso, uno di loro allungò le braccia verso di lui, tentando di fargli perdere l'equilibrio e di fermare la sua corsa abituale verso una casa abbandonata, trasformata comodamente in un rifugio anti-zombie.
Il ragazzo si rannicchiò velocemente verso il basso senza perdere velocità e si limitò a drizzarsi solamente quando la figura del non-morto cominciò ad essere sfuocata alla sua vista, divenendo infine un tutt'uno con il grigiore degli edifici circostanti.


-Oh,finalmente.-
Lo skate scivolò elegantemente sulla punta del piede che, con un colpo netto, gli permise di alzare la tavola e di tenerla in mano, in modo da potersi fermare per pochi istanti.
Si avvicinò lentamente alla ringhiera che costeggiava il mare e ove, in lontananza, si intravedevano le linee spigolose dell'isola più famosa della città, completamente adibita a scuola. L'istituto che risiedeva là, lontano dalle coste, era stato uno dei Licei più rinomati in tutta la zona, ma anche dei più costosi, motivo per cui Yata si ritrovò a frequentare un istituto di poco conto sulla terra ferma.
Non che l'idea di andare a scuola gli fosse mai piaciuta un granché e, in ogni modo, non voleva pesare economicamente sulla sua famiglia, sapendo quanto fosse impegnativo avere tre figli giovani a carico.
-Mi sei mancata,piccola.-
Misaki allungò la mano verso un oggetto scintillante, uno dei pochi che, timidamente, rifletteva la flebile luce della Luna. Quest'ultima spuntava lenta attraverso le nuvole, lasciando che i sopravvissuti trovassero pace nella sua vista e che continuassero a sperare nell'arrivo di un nuovo giorno, dopo più di cento di inferno.
Per quanto banale potesse sembrare, Yata si era affezionato a quella che, da semplice strumento sportivo, era divenuta un'arma letale contro i non-morti. La sua mazza da baseball, compagna di infantili avventure, l'aveva infatti salvato più di una volta quando si era ritrovato a fronteggiare direttamente quelle creature e non c'era giorno in cui non ringraziasse sua madre per avergliela regalata.
Ovviamente, non si era risparmiato nel tenere ben nascosta anche una pistola piena di proiettili, quest'ultima guadagnata non molto correttamente nei suoi anni di Liceo. Tuttavia, sopratutto negli ultimi tempi, si era rivelata anch'essa un'ottima alleata contro gli zombie, risultando più utile in quei momenti piuttosto che puntata addosso ai delinquenti nella quotidianità di Shizume.
Perché, per quanto non ci fossero paragoni con la catastrofe che aveva colpito la città, non si poteva negare che la società in cui Yata era costretto a vivere, non fosse mai stata gentile verso i ragazzi come lui. Bastava aver pochi soldi in tasca e un'espressione non molto amichevole per poter sembrare un teppistello qualunque.
Era una figura che, in ogni modo, a Misaki non dispiaceva e gli permetteva di avere più libertà di quante effettivamente potesse avere e nessun pericolo l'aveva mai spaventato abbastanza da farlo allontanare da quel mondo losco.
Ora aveva solamente un motivo più valido per maneggiare oggetti del genere, senza dover sembrare, come sempre, l'irresponsabile di turno.


Sapeva di dover farsi perdonare non pochi comportamenti scorretti, sopratutto dal momento in cui sua madre aveva fatto tutto il possibile per assicurargli una vita dignitosa. Sì, non sarebbe mai stato uno dei ragazzi delle scuole Elite di Shizume, ma non gli era mai importato avere così tanto denaro da spendere se alla fine non si sarebbe potuto concedere le passioni che adorava di più.
La sua vita era semplice, ma questo non significava che non la vivesse appieno : il solo andare in skate gli dava un senso di libero arbitrio e sicurezza che nessun altro avrebbe mai compreso allo stesso modo.
Yata Misaki era un ragazzo sbandato, orgoglioso e decisamente poco incline ad usare un linguaggio opportuno con gli altri, ma era anche una persona affettuosa, se voleva, colma di princìpi e con un senso del dovere nei confronti della sua famiglia che avevano ben pochi, alla sua età.
Ed era per questo che quei pochi soldi che aveva, spesi per la maggior parte in abiti troppo larghi per lui o in console e videogiochi, valevano molto più di un'eredità legata a chissà quale famiglia importante.


Yata.
Un cognome qualunque? Forse.
Ma il ragazzo voleva farsi valere per quello che era, non per le sue origini né tanto meno per quante monete nascondesse nella tasca.
Così, si ritrovò a pensare che quel contagio non era nient'altro che una lezione per tutte le persone che, a differenza di lui, davano per scontato molte cose delle proprie vite e sopratutto, anche delle vite degli altri.
* * *
 
Ripresa la strada verso il suo rifugio, galoppante nonostante il senso di stanchezza che cominciava a sentirsi, Misaki continuò ad ascoltare la propria playlist, incurante dell'alternarsi di canzoni di genere completamente diversi tra loro: una canzone metal bastava per rianimarlo dal torpore per via del sonno che iniziava ad assalirlo, un pezzo pop per ricordarsi della sorella minore Megumi e uno hip pop che lo riportava ai tempi del liceo, giorni decisamente più tranquilli di quelli.
Nel ricordarsi dei momenti passati sui banchi di scuola, il volto sorridente del suo migliore amico gli balzò alla mente. Erano anni che non si parlavano, anche se alle volte Misaki si domandava se ne fosse valsa la pena, litigare per questione sciocche. L'orgoglio di entrambi li aveva allontanati, ma non provava rimorso per come si era comportato : si era sentito tradito dall'atteggiamento del suo compagno, anche se non riusciva a scordare i giorni passati in sua compagnia.
Saruhiko Fushimi, un ragazzo all'apparenza decisamente più pacato di Yata, aveva deciso di punto in bianco di abbandonarlo, forse perchè, con l'indole fortemente razionale che lo caratterizzava, aveva capito che il frequentare Misaki si sarebbe trasformato in un susseguirsi di cattive abitudini.
Saruhiko Fushimi si considerava troppo intelligente per un ragazzo semplice come il rosso e se dapprima essere amici si era rivelato un piacere per entrambi, con il passare del tempo i due si erano persi di vista, entrambi troppo presi dal proprio metodo per giudicare il mondo di cui facevano parte.


Misaki odiava Fushimi, ma nonostante non lo riconoscesse più come un amico leale, non riusciva a non preoccuparsi per lui.
Dov'era andato a finire? Era riuscito ad uscire dalla città o sopravviveva lì, proprio come faceva lui?
Erano domande che alle volte lo assalivano, ma la stanchezza nel cercare risposte l'avevano portato a lasciar perdere la questione. Non poteva fare altro che pensare a sé stesso, senza fare affidamento sull'aiuto di nessun altro. I suoi pensieri erano dettati dalle esperienze passate, sapendo quanto fosse spregevole il mondo nella propria quotidianità e ora, che le cose si erano fatte a poco a poco più ostiche e assurde, la generosità e l'umanità erano diventate qualità utopiche.
Utopia era vivere in una città piena di vita e i giorni passati a nascondersi o ad uccidere quei non-morti non sembrava non finire mai, portando allo sfinimento le persone più deboli e scoraggiando le più forti.
Anche lo stesso Yata, oramai, non aveva idea a quale categoria appartenesse; era debole? Probabilmente no, dato che cercava in tutti i modi di andare avanti con le proprie forze e senza doversi affidare ad elementi del tutto illogici.
Allora doveva essere per esclusione una persona forte, anche se non era certo che lo fosse. C'era qualcosa in lui che, istintivamente, gli faceva capire che alla fine avrebbe commesso qualche errore che l'avrebbe portato alla morte.


Forse poteva considerarsi un pensiero esagerato, ma Misaki, come molti altri, aveva paura di morire e aveva ancora più paura nel rendersi conto che, all'improvviso, avrebbe potuto trasformarsi in uno di loro. La sua vita, in quella forma, non avrebbe avuto nessun senso e senza il proprio volere, avrebbe seminato terrore tra i sopravvissuti.
Eppure, nonostante le possibilità di essere infettato fossero alte, il ragazzo continuava a proseguire sulla sua strada, limitandosi a stringere con forza la mazza tra le mani e a scivolare silenzioso tra le vie con il suo skate sotto i piedi.
Non poteva avere compassione per nessuno, non era mai stato bravo nell'occuparsi degli altri e per questo aveva deciso di rimanere solo, evitando di aggiungersi in sciocchi gruppi di persone che pensavano che l'unione servisse a trarli tutti in salvo.
Sapeva che gli altri, proprio in momenti negativi come questi, non avrebbero esitato nel colpirlo alle spalle non appena ne avrebbero avuto la possibilità. Sapeva che il suo migliore amico, Saruhiko Fushimi, non era l'unico a non provare vergogna nell'essere considerato infame e nella città, ormai pullulante di non-morti, erano i vivi a fargli più paura.


Non poteva fidarsi di nessuno.
Non voleva.
 
* * *
Voltò con destrezza per l'ultima volta, scomparendo in un vicolo illuminato solamente da un lampione che minacciava di cadere se qualcuno si fosse appoggiato su di esso. La flebile luce giallognola gli permetteva di vedere le ombre dei cassonetti proiettate sotto i suoi piedi; alla sua destra, un cumulo di cadaveri in putrefazione venivano martoriati dal continuo volare di mosche e altri fastidiosi moscerini.
Aveva sempre odiato quel genere di vista, portandolo a sperare che non gli sarebbe capitato di riconoscere qualcuno lì, in mezzo a quei corpi esanimi. Era scorretto che tutte quelle persone non avessero una sepoltura adeguata e in più, non si poteva mai essere certi del motivo del loro decesso.
Molti di loro morivano di denutrizione, altri di disidratazione, ma per quanto fosse doloroso abbandonare in quei modi la vita terrena, si aveva la sicurezza di lasciarla per sempre.
Misaki non credeva ciecamente in un'altra vita oltre a quella, ma preferiva non avvicinarsi a quei cadaveri, rischiando di scoprire che non fossero del tutto morti come potevano sembrare.
Sapendo quali fossero i pericoli, Yata aveva imparato a non provare rimorso nell'attaccare soggetti in movimento, sapendo che colpirli dritti in volto con la sua mazza non significasse ucciderli. Loro non dovevano più appartenere a quella città, né a quel mondo ed era certo che la violenza fosse l'unico modo per assicurare una via di pace per tutti loro, anche se non erano coscienti di ciò che stavano facendo ed il perchè del loro comportamento.
Più di tutti gli altri, Misaki credeva fortemente nel libero arbitrio e un umano, se privato di questo, non avrebbe mai più potuto apprezzare il vero senso della vita. Proprio per questo era arrivato a pensare che chiunque avesse causato quel contagio, meritasse una morte più sofferta di quella di tutte quelle vittime.


Senza pietà, senza nessun senso di colpa.



Non avendo prestato attenzione alla strada, in poco tempo, Misaki perse l'equilibrio sulla tavola, vedendola schizzare in avanti senza controllo. Per quanto avesse cercato di attutire la caduta, il ragazzo si ritrovò ad appoggiare il piede sinistro in malo molo e cadde rovinosamente a terra. Perse lentamente la presa dalla mazza e quest'ultima, dopo aver provocato un fastidioso tintinnio sull'asfalto, rotolò lontano dal proprio padrone, fermandosi solamente quando fu ostacolata dalla parete di un edificio.
Per quanto avesse poca coscienza di ciò che stava accadendo intorno, Misaki si rimise in piedi prontamente, dirigendo la mano e lo sguardo verso l'arma argentea che minacciava di scomparire nelle ombre proiettate dagli edifici vicini.
Allungò il braccio verso di essa, ma inaspettatamente, qualcosa attirò la sua attenzione, obbligandolo ad indietreggiare per poter acquisire spazio.
Non aveva idea di cosa o chi avesse di fronte, l'oscurità non gli permetteva di riconoscere al meglio le figure che lo circondavano e fu obbligato ad aspettare non poco, prima che la sua vista si abituasse al buio notturno.


Agilmente, avvicinò la mano vicino al suo fianco, scoprendo una piccola lama che teneva ben nascosta negli abiti, in casi di estrema urgenza.
L'arma, un coltello a serramanico che possedeva segretamente da molto tempo, scattò in modo meccanico verso l'alto, lasciando che la lama affilata riflettesse la poca luce Lunare che raggiungeva la piccola via.
-Se non vuoi finire sgozzato, allontanati subito da qui.-
Gridò minaccioso, mentre con le dita stringeva l'impugnatura dell'arma. Non voleva arrivare ad atti estremi, ma era certo che la sua vista non lo stesse tradendo : c'era qualcuno di fronte a lui, dalla dimensione della sua figura poteva trattarsi di un giovane, o in alternativa, di una persona che fosse inginocchiata a terra.


Che fosse ferita?


Misaki non ne aveva certezza, ma non voleva avvicinarsi abbastanza per scoprire che cosa avesse. Di quei tempi, infatti, essere feriti significava essere spacciati e non era così generoso da preoccuparsi per gli altri. Teneva più alla sua vita e voleva solo ritornarsene a casa, in sicurezza possibilmente.

-Mi dispiace.-
Una voce delicata raggiunse le sue orecchie, mentre i suoi occhi si stupirono non appena una bambina avanzò lontano dalle tenebre, fissando incuriosita e spaventata il ragazzo sconosciuto davanti a sé.
I capelli chiari le ricadevano morbidi sulle spalle e insieme alla carnagione pallida, diventava più evidente il contrasto con gli occhi scarlatti. Due iridi rosse non smettevano di osservare Misaki e per la prima volta in tutta la sua vita, evitò di ricambiare quello sguardo, temendo che la piccola potesse scoprire qualcosa di lui in poco tempo.
-Perfetto...una fottuta bambina.-
Sbuffò Yata abbassando lentamente il coltello certo che, anche se avesse provato ad attaccarlo, non sarebbe riuscita a fargli alcun male.Non aveva intenzione di ferirla in qualche modo, sopratutto dal momento che pareva confusa, ma non spaventata. Era inusuale trovare una ragazzina come lei che, a differenza di molte altre, non si era nascosta in un angolo della città per piangersi addosso.
O almeno, a Misaki dava quest'impressione, ma forse si sbagliava.
-Non sono una bambina.-
Pronunciò lei con tono piatto, dandosi una sistemata al vestito elegante che indossava. Anche il suo stile, a differenza di quello del ragazzo, pareva fuori luogo, ma agli occhi di chiunque poteva sembrare decisamente graziosa. La pelle che pareva di porcellana, il portamento di una piccola dama di chissà quale epoca passata, ma l'espressione,diamine, la sua espressione la rendeva decisamente meno adorabile.
Era ancora lì, immobile e non smetteva di osservare Misaki con uno sguardo indecifrabile.

-Allora io sono vecchio.-
Rispose lui, sembrando più annoiato di quanto effettivamente fosse. Non aveva intenzione di fare il baby-sitter a nessuno e non gli importavano le intenzioni della ragazzina dato che aveva un piano in mente che riguardava lui,solo, nel suo rifugio.
Non per altro, dopo aver sistemato nella felpa il coltello, riprese la sua mazza e si diresse in silenzio verso lo skateboard. Si allontanò dalla bambina solo con un paio di passi, ma non si voltò verso di lei fino a quando non riprese la tavola, sistemandola a terra per continuare il suo breve viaggio.

-A-aspetta!-
La ragazzina risultò più veloce di quanto Misaki avesse calcolato e con lo sguardo rivolto verso di lei, la vide fare un paio di passi incerti per fermarlo. Nessuno dei due parlò per un una manciata di secondi, lasciando che il silenzio calasse lentamente, sostituito poco dopo da un paio di gemiti non molto distanti da lì.
Misaki, ormai impaziente di ripartire, sapeva quale fosse la cosa più corretta da fare, ma per una volta non era certo di volersi prendere quel genere di responsabilità : non sapeva neppure il nome di quella bambina, eppure, dal suo sguardo sembrava che si conoscessero da molto tempo e che lei non avesse aspettato altro che incontrarlo lì, in quel vicolo stretto e maleodorante.
No, si continuava a ripetere che non sarebbe bastato un semplice sorriso o uno sguardo più dolce di altri per portarla al suo rifugio, ma una parte di sé sapeva bene che non aveva speranza di sopravvivere lì da sola, anche se sosteneva di non essere una bambina.


Diamine, gli ricordava così tanto la sua sorellina.

-Da quanto tempo sei da sola?-
Domandò, riprendendo tra le mani lo skateboard per poi, alla fine, arrendersi e fare cenno di seguirlo.
Non poteva succedere nulla di male, era troppo innocua per colpirlo all'improvviso, era troppo innocua per un mondo del genere e sapere che fosse rimasta per molto tempo da sola in parte lo rendeva un ragazzo meno rigido, anche se non sarebbe mai arrivato ad essere troppo dolce con lei.
In quel genere di situazione,purtroppo, Misaki era più spinto a seguire la sua indole aggressiva, pensando che non ci fosse tempo per generosità e sentimentalismi. Non era cattiveria, semplicemente, era di per sé difficile proseguire da soli, figuriamoci avendo una bambina di quell'età accanto.
Poteva persino essere matura, cosa che, per ora, Misaki dubitava altamente, ma non sarebbero cambiati i rischi che entrambi potevano correre. Gli zombie non provavano pietà per i bambini, né per le donne né per ragazzi come lui per cui portarsi appresso soggetti deboli era la scelta peggiore che qualsiasi persona adulta potesse prendere.
Ovviamente, sapeva che non avrebbe pensato allo stesso modo se quella stupida ragazzina fosse stata una sua parente ed era principalmente per questo che si decise, alla fine, di portarla al sicuro.


Solo per questa volta, solo per questa notte,Misaki.

-Non lo so, sono scappata in fretta.-
Bisbigliò lei, affiancandolo senza smettere di guardarsi le spalle.
Ora sì che sembrava spaventata, ma Misaki si limitò ad una smorfia, pensando che qualcosa di simile già lo avevano : entrambi non accettavano di avere paura.
-Non dirmi che hai girovagato senza nessuno fino ad ora.-
Non era per nulla stupito, ma voleva avere abbastanza tatto da poterle chiedere se sapesse che fine avessero fatto i suoi genitori, se li avesse visti morire oppure erano stati proprio loro a farla scappare.
Odiava il modo in cui aveva lentamente iniziato ad interessarsi alla sua situazione, ma non per questo le avrebbe domandato qualcosa della sua vita solo per metterla a suo agio. Non dovevano diventare amici, né tanto meno affezionarsi l'uno l'altro, semplicemente avrebbero condiviso un posto sicuro per una singola notte e poi lontani, ognuno per la sua strada.


-Perché? Sei preoccupato per me?-
Domandò accennando un sorriso ingenuo, anche se non era sua intenzione schernirlo.Sapeva che fosse difficile fidarsi di una sconosciuta, per quanto fosse chiaro che tra i due non ci fossero molti anni di differenza.Tuttavia, era grata dell'avere trovato un ragazzo come lui, anche se al primo impatto aveva dato l'impressione di essere scontroso e diffidente.
Non le erano mai piaciute le persone aggressive, ma in cuor suo era certa che il giovane non fosse altro che orgoglioso e che quel visetto pallido e infantile gli avesse ricordato qualcuno in tempi lontani, forse una sorella piccola o una vecchia amica d'infanzia.

-Come potrei!Non so neppure come ti chiami!-
Misaki alzò istintivamente la voce, mentre si sentì il volto avvampare. Ringraziò gli Dei per essere completamente immerso nell'oscurità, sicuro che la bambina non avrebbe potuto vedere la sua sciocca espressione in quel momento. Infatti, nonostante l'apparenza brusca, il ragazzo si imbarazzava facilmente se qualcuno capiva le sue vere intenzioni ed era difficile per lui nascondere le proprie impressioni in quei momenti.
-Anna.- Esclamò lei, mentre un timido sorriso le illuminò il volto. Era strano trovare qualcuno di così giovane, in mezzo a tutto quel caos. Era difficile sopravvivere negli ultimi tempi e la bambina non poteva negare che in quei giorni, sopratutto da quando si era ritrovata senza nessuno accanto, avesse sentito un forte dolore alla bocca dello stomaco, causato sia dalla paura di morire che dalla fame, sensazione decisamente più fastidiosa e concreta.
Era da giorni, se non più, che non metteva qualcosa di appetitoso sotto i denti; dalla sua fisionomia, si poteva ben capire che non fosse una ragazza che amasse abbuffarsi di dolci, mangiava il giusto, ma da quando i viveri avevano cominciato a scarseggiare, iniziò a rimuginare su tutti i dolciumi che aveva gentilmente rifiutato, pensando che non fosse sano riempirsi troppo con del cibo spazzatura.
-Mh?-
Rispose disinteressato Misaki che, in quei pochi attimi, si era concentrato solamente sul cielo davanti a sé.
Si domandava quanti altri giorni si sarebbero conclusi così, quante settimane sarebbe durato in mezzo ai non-morti e quanti mesi sarebbero passati prima che qualche governatore decidesse di non offrire più cibo ai sopravvissuti. Pareva del tutta assurda la situazione in cui i cittadini di Shizume erano obbligati a vivere : il resto della Nazione aveva messo in quarantena l'intera città, formando posti di blocco agli estremi di tutti i quartieri. I soldati controllavano che nessun infetto attraversasse il confine, mentre chi risultava in salute poteva considerare la possibilità di andarsene da lì.
Pareva facile allontanarsi da quell'inferno, ma attraversare la città senza mezzi di trasporto validi e senza una giusta dose di provviste poteva risultare letale.
Misaki trovava ingiusto il modo in cui la Nazione trattava quella città, una cittadina come tutte le altre ed era stato solamente un caso che quell'epidemia fosse toccata a loro e l'equilibrio che lo Stato cercava di mantenere tra i sani e gli infetti diventava sempre più sottile.


Prima o poi sarebbe toccato a tutti.

-Mi chiamo Anna Kushina.E tu?- La bambina fu obbligata a rimanere al passo con il ragazzo, così, per non rischiare di perdersi, strinse tra le dita un lembo della felpa rossa che l'altro teneva stretta alla vita.
Non voleva allontanarsi da lui, non ora che, finalmente, aveva trovato qualcuno con cui passare quelle notti fredde e anonime. Aveva sempre odiato dormire in solitudine alla sera e aveva imparato a riconoscere i sinistri richiami di quelle creature orribili. Aveva imparato ad osservare i loro movimenti con attenzione, notando come strisciassero i piedi a terra e come le loro fauci cercassero costantemente carne fresca da masticare.
Aveva capito come allontanarsi da loro e come fossero ciechi nel mondo che li circondavano. Tuttavia, nonostante non avessero un'ottima vista, venivano facilmente attratti dai rumori assordanti e dagli odori che non riconoscevano come simili ai loro.


Adoravano il profumo della vita.
O almeno, questa era una delle tante conclusioni di Anna.
Credeva che quei non-morti meritassero una fine proprio come qualsiasi persona sofferente e malata, ma lei non era abbastanza forte, né fisicamente né psicologicamente, per aiutare ognuno di loro a trovare un posto più sicuro nella vita successiva. Voleva essere più intraprendente, più sicura, ma una parte di sé stessa sapeva che,infondo, era ancora una bambina e nessuno avrebbe mai voluto portarsi dietro una mocciosa come lei.

-Yata.-
Rispose lui, non volendo rivelare il suo nome. Non gli era mai piaciuto un granché Misaki, forse perchè troppo femminile a confronto della sua personalità, ma al tempo stesso, era convinto che il suo cognome gli desse un'aura decisamente più spaventosa e severa.
-Tu puoi chiamarmi Anna.- Gli rispose in fretta, trovando palese il modo in cui il ragazzo cercasse di nascondere il suo nome. Forse non si fidava di lei e poteva comprenderlo dato che si erano appena conosciuti, ma per quanto non sapessero ancora niente l'uno dell'altro, la ragazza non aveva intenzione di essere formale nei suoi confronti. Yata era più grande di lei, ma sembrava abbastanza giovane da poter essere trattato come un qualsiasi altro ragazzino incontrato prima dell'epidemia.


-Anna...che nome da bambina.-
La ragazzina lo guardò, accennando un sorriso malinconico. Ogni volta che pensava al suo nome le veniva spontaneo ricordare la propria famiglia, ma ormai era da sola e non aveva più idea di che fine avessero fatto le persone a cui voleva bene. Sapeva che crescere significava anche quello, ovvero imparare a sopportare il dolore e a diventare più forte, per quanto fosse ostica la situazione che era ormai costretta a vivere assieme a molti altri.
-Ho già undici anni!-
Esclamò lei, stringendo istintivamente la presa sulla felpa del più grande. Sapeva che l'avrebbe schernita per questo, ma non le importava.

 
Preferiva le risate di due improbabili adulti alle grida sommesse dei mostri che si nascondevano là fuori.

 
  
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